Indice di povertà raddoppiato in cinque anni

Che le cose non stiano andando ancora per il verso giusto si capisce dai risultati delle indagini che le maggiori associazioni, e i loro centri studi, compiono periodicamente.

Tra queste, ecco il nono numero del Misery Index, presentato da Confcommercio, che indica come, in soli cinque anni, sia raddoppiato il disagio sociale.
Per stilare l’indice sintetico del disagio, è stato sommato il tasso di disoccupazione con il tasso di inflazione estesa.

Ecco come ha commentato i risultati Mariano Bella, direttore dell’Ufficio Studi di Confcommercio: “Il sistema tiene conto della disoccupazione “estesa”, che comprende disoccupati, cassaintegrati e scoraggiati e la variazione dei prezzi dei beni e servizi acquistati in alta frequenza su base Istat“.

A pesare sul disagio sociale, e sull’indice di povertà, è oggi la disoccupazione, che interessa attualmente 4,3 milioni di soggetti, più del doppio rispetto ai 2 milioni del 2007.

Continua Bella: “A ottobre 2013 i disoccupati erano 3 milioni e 189 mila a fronte degli 1,5 milioni del 2007. I cassaintegrati, considerando le unità di lavoro a zero ore, sono passati da 71 mila a 320 mila, mentre gli scoraggiati in senso stretto, ovvero coloro che hanno comunque cercato lavoro almeno tre mesi prima della rilevazione, sono passati da 386 mila a 776 mila. Il Misery index di Confcommercio ci dice che il disagio sociale e’ raddoppiato rispetto al 2007“.

Confcommercio sottolinea che il pil procapite reale e’ diminuito dell’8,7%, mentre i poveri assoluti sono aumentati del 98,4% passando da 2,4 a 4,8 milioni.
L’indice mic e’ salito tra il 2008 e il 2012 del 72,5%, raggiungendo quota 21,2.

Vera MORETTI

La crisi non si ferma per le famiglie italiane

Non c’è pace per le famiglie italiane, sempre più schiacciate dal peso della pressione fiscale, che rende difficile riuscire ad arrivare a fine mese.
Secondo le rilevazioni effettuate dal Censis nell’ambito dell’Outlook Italia Confcommercio-Censis, è emerso infatti che una famiglia italiana su cinque non riesce a far fronte alle spese con il proprio reddito.

Questo allarmante dato è relativo all’inizio del mese di ottobre ed è peggiore, di gran lunga, rispetto ai numeri del marzo scorso, quando la percentuale era dell’11,3%, mentre ora siamo arrivati al 19%.

Inoltre, le famiglie che non rientrano in questa percentuale non se la passano certo bene: dallo studio, infatti, si nota che quasi il 50% delle famiglie prevede di tagliare i consumi per affrontare la crisi, mentre una su quattro ha difficoltà a pagare tasse e tributi e oltre il 72% non riesce ad affrontare spese impreviste.
Questo trend è confermato anche dal numero di coloro che si sono rivolti alle banche per un prestito, quasi raddoppiato e passato dal 6% di marzo all’11,5% di ottobre, mentre più di una famiglia su tre ha dovuto posticipare alcuni pagamenti.

Per questo motivo, sono sempre meno gli ottimisti nei confronti del futuro, calati in un solo anno di sette punti, passando dal 37 al 30%. Gli incerti sono raddoppiati, ed ora sono al 33%, contro il 16% del 2012.

Quale intervento si potrebbe rivelare più efficace per evitare che la situazione peggiori ulteriormente? Per il 55% delle famiglie intervistate, il Governo dovrebbe pensare a misure che possano davvero contrastare la disoccupazione, ma anche, per il 42,3%, pensare seriamente a ridurre le tasse.

A questo proposito, è intervenuto Mariano Bella, direttore del centro Studi: “La fiducia, che da maggio alla prima parte di settembre, ha rilevato l’Istat sembra ora ricominciare a sgretolarsi. Non è pensabile poi che le persone decidano di investire di più semplicemente grazie agli annunci o a complicati provvedimenti legislativi. C’è bisogno di provvedimenti importanti, di un taglio di spesa pubblica consistente che si traduca in una riduzione delle imposte“.

Vera MORETTI

Confcommercio: “La pressione fiscale effettiva è salita al 54%”

Il dato percentuale è da brividi: secondo gli ultimi dati resi noti da Confcommercio, la pressione fiscale effettiva sarebbe salita al 54% in rapporto al reddito annuo; questo significa che ogni lavoratore spende il proprio 54% del reddito per pagare le imposte allo Stato.

«Gli italiani sono un popolo di pagatori di tasse», ha spiegato il direttore dell’ufficio studi di Confcommercio, Mariano Bella, presentando i dati al convegno Tasse… Le cambiamo? Come ridurre la pressione fiscale e far emergere l’economia sommersa, in corso in questi giorni nella capitale, ma, secondo Confcommercio, «l’alto livello della pretesa fiscale» in Italia è «il primo “incentivo” all’evasione fiscale».

Il nostro è anche uno dei Paesi in cui la pressione fiscale, e non è una novità, è cresciuta maggiormente negli ultimi anni (+2,7% tra il 2000 e il 2013), passando dal 41,9 al 44,6%. Ma è la  Total Tax Rate (la pressione fiscale sulle imprese) la vera zavorra per l’economica italiana, in quanto raggiunge addirittura il 68,5% del reddito d’impresa e il confronto con la media europea e  mondiale, che si aggira intorno al 45%, è impietoso.

Confcommercio: “la pressione fiscale è un incentivo all’evasione”

 

“Tasse…Le cambiamo? Come ridurre la pressione fiscale e far emergere l’economia sommersa” è il titolo del consueto convegno annuale organizzato da Confcommercio a Roma sui temi del fisco e dell’economia sommersa.

Il sommerso economico in Italia è al 17,4% del Prodotto interno lordo (Pil) nel 2012-2013. Una percentuale che porta l’imponibile ogni anno sottratto al Fisco alla bellezza di 272 miliardi, dunque decisamente più elevato rispetto alle altre economia industrializzate del mondo.

“Gli italiani sono un popolo di pagatori di tasse”, ha spiegato il direttore dell’Ufficio studi di Confcommercio, Mariano Bella, presentando i dati dello studio. Secondo l’associazione “l’alto livello della pretesa fiscale” in Italia è “il primo incentivo all’evasione”.

Iva al 22%: 135 euro di spese in più per gli italiani

Se c’è qualcuno che sta cantando vittoria da quando ha sentito la notizia della sospensione della prima rata dell’Imu, prevista a giugno, forse riceverà un duro colpo quando, a luglio, troverà ad attenderlo l’aumento dell’Iva.
Quando l’estate starà per toccare il suo apice, infatti, l’aliquota salirà al 22%, un punto percentuale in più rispetto all’attuale 21, che, tradotto in “soldoni” dovrebbe costare 135 euro all’anno per ciascuna famiglia media italiana.

Questa è la previsione effettuata da Mariano Bella, direttore dell’Ufficio Studi di Confcommercio, che spiega l’incremento della spesa considerando che l’aumento andrà a impattare sul 70% dei consumi totali.
Ovviamente, per il 2013 si tratterebbe di “soli” 70 euro famiglia, che raddoppierebbero dal 2014 in poi e che porterebbero, ulteriormente, “a deprimere i consumi”.

La situazione, tra l’altro, non è rosea neanche ora, e in particolare per le imprese del commercio: si profila un annus horribilis con almeno 26mila aziende a rischio chiusura causa crisi.

Vera MORETTI

Famiglie ed imprese sfiduciate nei confronti del futuro

Il rapporto stilato da Censis-Confcommercio sulla fiducia di famiglie ed imprese nei confronti di una ripresa dell’economia interna ha riportato dati a dir poco sconcertanti.
Ciò che prevale, nella maggioranza degli intervistati è un sentimento di incertezza, che spesso sfocia in paura, per il futuro.

A conferma di ciò vi è un calo dei consumi che non si registrava dalla metà degli anni Novanta, e in continua flessione da ben quattro anni.
Mariano Bella, direttore dell’Ufficio Studi di Confcommercio, ha dichiarato: “Con il livello attuale di fiducia di famiglie e imprese è impossibile una ripresa nel giro di qualche mese. Negli ultimi mesi il 23% delle famiglie ha avuto problemi con il mondo del lavoro, fatto che non può che influenzare poi il reddito e quindi la fiducia delle famiglie stesse“.

E le cose non migliorano per le imprese, in particolare per quelle che operano nel settore dei servizi e del commercio, mentre il manifatturiero sembra reggere, pur manifestando un certo affanno.
A peggiorare le condizioni delle imprese, si sa, è la questione, ormai insostenibile, dei finanziamenti: nel primo trimestre 2013 solo l’11,5% delle imprese ha chiesto un prestito e appena il 29,6% lo ha ottenuto. La percentuale di imprese finanziate è quindi in totale del 3,4%, un numero pressoché irrisorio che non permette al Paese di crescere.

Giuseppe Roma, direttore del Censis, vede come fenomeno più rappresentativo della crisi la diminuzione della capacità di risparmio delle famiglie: solo il 12% riesce a mettere qualcosa da parte contro il 17% costretto ad erodere i propri risparmi e il 71% che riesce ad essere in pari.
Per tirare avanti il 43,6% delle famiglie usa i risparmi accumulati in passato, ma soprattutto si posticipano i pagamenti (la relativa percentuale è passata dal 13 al 32%). Si chiede poi un prestito in banca (il 6,4%) o ad amici (il 26,5%).

Continua Roma: “il vero crollo dei consumi c’è stato nel 2012 e oggi viviamo la crisi più lunga della storia italiana che ha fatto bruciare 114 miliardi di Pil“.
I consumi non crescono “perché si deteriora il mercato del lavoro: il 12% delle famiglie ha un componente che teme di perdere il lavoro e il 30% dei lavoratori dipendenti ha visto diminuire il proprio reddito. Il sentimento delle famiglie è di grande difficoltà e deriva soprattutto dalla preoccupazione per la condizione lavorativa. Per la ripresa dei consumi bisogna saper contare sulla capacità di reagire delle famiglie italiane. Quindi più politica per le imprese, ma anche più politica per le famiglie“.

Vera MORETTI

“Imu sopra le attese, ridare i soldi a imprese e cittadini”

di Davide PASSONI

E alla fine arrivò Confcommercio. Anche l’associazione di rappresentanza dei commercianti ha presentato la propria indagine sulle previsioni dei consumi natalizi e anch’essa non lascia spazio a ottimismo. Nonostante qualche segnale positivo non manchi. Due soli dati: ogni famiglia spenderà in consumi il 13% in meno delle tredicesime rispetto al 2011 e, tra Imu, bollo auto e canone Rai, le tasse nel 2012 sono in crescita del 94,5%.

Bastino questi, non vogliamo tediare oltre i lettori. Chi volesse avere i dati puntuali, può scaricare il rapporto di Confcommercio cliccando qui. Non diamo la parola a Mariano Bella, direttore dell’Ufficio Studi di Confcommercio.

Lette le risultanze della vostra indagine… ma dove stiamo andando?
Non dobbiamo valutare con troppo pessimismo le indicazioni emerse dall’indagine presentata ieri. Certamente, però, non dobbiamo lanciare falsi messaggi rassicuranti; la crisi c’è, tanto che dal 2007 alla fine del 2012 ogni italiano ha perso circa 2600 euro di reddito disponibile, pari al 13,2% e, contestualmente, ha destinato 1400 euro in meno ai consumi. Difficile alla luce di questi dati, pensare a un Natale con una inversione di rotta.

Ma…
Ma ci sono due dati positivi. Il primo è la propensione di un italiano su 2 nonostante la crisi – dato leggermente crescente rispetto agli anni scorsi – a non abbandonare la consuetudine di fare i regali per Natale: questo ci dice che esiste un residuo capitale fiduciario nelle famiglie italiane che andrebbe valorizzato e non disperso con segnali e campagne allarmistiche.

E il secondo?
Il secondo è che da tre mesi a questa parte i prezzi al consumo sono in calo. Questo significa che le imprese della distribuzione guardano avanti, non perdono la voglia di fare business, riducono i prezzi perché hanno voglia di sopravvivere e non vogliono fare margini subito, tanto poi si vedrà… Insomma, un atteggiamento proattivo che va incontro alla necessità di risparmio che le famiglie manifestano e che fa ben sperare.

Poi, però, ci sono le tasse…
Sì, e per dicembre direi soprattutto il problema dell’Imu, che falcidia le tredicesime dei lavoratori dipendenti e gli accantonamenti di lavoratori autonomi, artigiani, commercianti. Un’imposta che di fatto è raddoppiata rispetto allo scorso anno, quando esisteva solo per le seconde case, e che erode il valore delle tredicesime di oltre il 13% in termini reali.

Che cosa chiedete alla politica per salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie e la sopravvivenza stessa delle imprese italiane, alla luce di questi dati sempre più cupi?
Come associazione di rappresentanza con obiettivi collettivi non chiediamo naturalmente soldi per i nostri associati. Non è un mistero che con questa pressione fiscale che continua a crescere non ci sono serie prospettive di ripresa per la nostra economia. Facciamo una valutazione: il gettito Imu, stando alle cifre a disposizione del governo, dovrebbe essere di circa 5-7 miliardi superiore rispetto alle stime d’incasso che aveva fatto l’Esecutivo. Ovvero, ci sono soldi in più. Vogliamo provare a restituirli a imprese e cittadini, magari riducendo l’Imu sulle imprese o evitando l’ormai certo aumento dell’Iva? I soldi ci sono, decidano governo o parlamento come restituirli.

Minore asimmetria tra il fisco e il contribuente, sempre lo stesso problema…
Non può esserci un sistema fiscale capace solo di prelevare quando e dove vuole e incapace o senza la volontà di restituire quando possibile o necessario. I soldi ci sono, vediamo se questa inversione di tendenza ci sarà, almeno questa volta.

Chiuso per ferie? No, per crisi

In passato si storceva il naso di fronte alle lamentele dei negozianti: quasi nessuno credeva che la crisi potesse toccarli.
Ma ora le cose sono cambiate e, dati alla mano, la situazione, per il commercio al dettaglio, è diventata davvero pesante.

A parlare sono i 20.000 negozi che mancano all’appello rispetto al 2011.
Così tante sarebbero le saracinesche che, nel 2012, si sono chiuse, o presto lo faranno, per non aprirsi più.

Mariano Bella, direttore dell’Ufficio Studi di Confcommercio di fronte a questa realtà, e considerando i numeri, per nulla confortanti, degli anni passati, ha dichiarato che la crisi sta colpendo in modo più duro di quanto ci si aspettasse.

Il “Rapporto sulle Economie Territoriali e il Terziario di Mercato” presentato dall’Ufficio Studi, rivela che nel 2011 il commercio ha registrato un saldo negativo di 30.039 imprese, sintesi di 71.792 iscrizioni e di 105.831 cancellazioni, un risultato decisamente peggiore di quello registrato nel biennio precedente.

E se le cessazioni sono state elevate in tutti i settori, proprio nel comparto del dettaglio hanno raggiunto i massimi livelli, interessando il 60% delle totale delle cancellazioni del settore.
A fronte di 43.829 imprese iscritte ci sono state 62.477 cessazioni con un saldo negativo di 18.648.

Vera MORETTI

Confcommercio: spese fisse sempre più alte per le famiglie italiane

Un’analisi effettuata dall’Ufficio Studi Confcommercio su come è cambiata negli ultimi quaranta anni l’incidenza delle spese obbligate sui consumi e sul potere di acquisto delle famiglie mette in luce una situazione che fa riflettere: tra il 1970 e il 2010 la quota di consumi assorbita dalle cosiddette spese obbligate (bollette, affitti, servizi bancari e assicurativi, carburanti…) è quasi raddoppiata ed è passata dal 23,3% sul totale dei consumi a poco meno del 40%. Nello stesso periodo, la quota di consumi “liberi” delle famiglie – quelli per beni e servizi commercializzabili – si è ridotta dal 76,7% al 61,2%, con una forte contrazione per gli alimentari la cui quota si è più che dimezzata, dal 36,1% del 1970 al 15,1% del 2010.

Entrando nel dettaglio dello studio, si scopre che tra le spese fisse, le maggiori quote, in valore, sono destinate all’abitazione (57,4%) e ad assicurazioni e trasporti (25%). Quanto alle dinamiche dei prezzi, i consumi obbligati hanno mostrato, tra il 1970 e il 2010, un’inflazione mediamente superiore al 60% rispetto a quella delle spese libere. Gli over 65 che vivono da soli destinano ai “consumi di base” oltre i tre quarti della spesa media mensile. Sul totale dei consumi liberi, le coppie senza figli spendono più di un terzo per i servizi; per le famiglie numerose con 3 o più figli, invece, quasi i tre quarti delle spese libere se ne vanno per l’acquisto di beni, soprattutto alimentari. Secondo il direttore dell’Ufficio Studi Mariano Bella, la crisi attuale, almeno fino al luglio scorso “era una crisi di produzione e reddito, non di consumi“. Ma la caduta della fiducia dei consumatori che si è registrata ad agosto comporta un grave rischio, ovvero “una nuova recessione se le famiglie ridurranno la propensione al consumo“. Per il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, “lo studio ci indica qual è la situazione reale del Paese: bassa crescita, consumi stagnanti, redditi fremi, tassazione alta, aumento delle spese obbligate. E ci dice che sono molti i settori con ampi margini per una maggiore apertura alla concorrenza“.

Clicca qui per scaricare il documento integrale dello studio

Confcommercio: Sud e turismo per la ripresa dell’Italia

È stato presentato nei giorni scorsi a Roma il Rapporto sulle “Economie Territoriali e il Terziario di Mercato 2011,” redatto dall’ufficio Studi di Confcommercio su dati Eurostat e Istat. I risultati del rapporto sono in linea con quanto da più parti lamentato riguardo allo stato attuale dell’Italia. In particolare, secondo quanto ha affermato il direttore dell’ufficio Studi di Confcommercio, Mariano Bella, “si ripresenta il tema della scarsa crescita che attanaglia l’Italia da dieci anni“.

Come avviare, dunque, la ripresa? Secondo l’ufficio Studi, è necessario potenziare e migliorare i servizi e valorizzare il Sud. Secondo Bella, il turismo è “il perno sul quale fondare una politica economica di rilancio. Il turismo è fatto di una pluralità di servizi – trasporti, logistica e infrastrutture – e l’intreccio turismo-mezzogiorno può essere una carta da giocare. Dobbiamo quindi riuscire a mettere a reddito il capitale turismo. Il Mezzogiorno ne beneficerebbe molto e ricordiamoci che senza il Mezzogiorno il Paese nel suo insieme non può crescere“.

In generale, l’ufficio Studi di Confcommercio ha rivisto al ribasso le stime sui consumi degli italiani per il 2011 e per il 2012. Secondo il rapporto, la spesa delle famiglie residenti, quest’anno, si attesterà a +0,7% dal +0,9% previsto a marzo. In calo anche la previsione per il 2012, con i consumi che cresceranno dell’1,2% rispetto all’1,5 previsto a marzo.