Suicidi? No, teniamo accesa la speranza

Ne siamo consapevoli. Questa settimana Infoiva ha toccato un tema tutt’altro che comodo; quando si parla di suicidi per crisi, di imprenditori che si tolgono la vita perché schiacciati dal fallimento personale prima che da quello imprenditoriale, non ci si mette in una posizione di particolare confort… Eppure, lo sapete se ci seguite con assiduità, è un tema sul quale non abbassiamo la guardia, mai.

I suicidi degli ultimi giorni, dopo un’estate relativamente tranquilla su questo fronte, sono stati solo lo spunto, tragico, che ci ha fatti ritornare sull’argomento con la voglia di spingere l’asticella un po’ più in su; cercando di capire quali sono le associazioni che possono aiutare chi si trova nel gorgo; raccontando storie di chi ha trovato la forza di reagire per ricominciare; entrando, grazie all’aiuto di uno psicologo, nella mente di chi si trova senza più un mondo dall’oggi al domani per capire quali meccanismi perversi scattano.

Un viaggio nel lato più oscuro della crisi, grazie al quale abbiamo maturato due convinzioni che vi vogliamo trasmettere: uscirne si può, si deve, e non bisogna mai voltarsi dall’altra parte ma parlarne, parlarne, parlarne. Aspettando che lo Stato faccia il suo…

Leggi l’intervista a Pietro Giordano, consigliere dell’associazione “Speranza al lavoro”

Leggi l’intervista a Giulia Buggea

Leggi l’intervista al prof. Pier Giovanni Bresciani

Leggi l’intervista a Massimo Mazzucchelli

Leggi l’intervista a Stefano Zanatta

C’è un gran bisogno di Terraferma

Quando un imprenditore sente la propria azienda e la propria vita sballottate dalle onde della crisi, sul punto di affondare, la cosa che vorrebbe di più al mondo è approdare sulla terra ferma. E proprio Terraferma si chiama l’iniziativa di sostegno psicologico gratuito per gli imprenditori in difficoltà, nata all’interno del network Imprese che Resistono.

Perché, come sostiene Massimo Mazzucchelli, imprenditore del Varesotto e responsabile del progetto Terraferma, la prima mossa che bisogna fare di fronte alla richiesta di aiuto da parte di un imprenditore ormai senza alcuna speranza è riportarlo a confrontarsi con la realtà, riportare il problema alle sue giuste dimensioni senza che si assolutizzi. Tanti drammi possono essere evitati se presi in tempo, bisogna solo evitare che l’imprenditore resti solo: a lui e a chi lo sostiene, poi, il compito di uscire dal tunnel.

Leggi l’intervista a Massimo Mazzucchelli

Imprese alla ricerca di Terraferma

 

Imprese che resistono, imprenditori che devono resistere. Di fronte alla crisi, al timore di doversi trovare nella situazione di licenziare i propri indipendenti o alla paura del fallimento, molti imprenditori decidono di togliersi la vita. Altri invece riescono, con l’aiuto e il supporto di chi sta loro attorno a risalire la china, e guardare al domani.

Infoiva ha intervistato Massimo Mazzucchelli, imprenditore e responsabile del progetto Terraferma, un’iniziativa nata in senso all’associazione Imprese che resistono, per offrire un supporto psicologico immediato (gli psicologi di Terraferma sono reperibili 24 ore su 24) a chi si trova, troppo spesso inconsapevolmente, ad attraversare il momento più buio.

Com’è nata l’idea di Terraferma?
Faccio parte del movimento Imprese che resistono (ICR) dal 2009, ossia da quando è nato, e da allora ci impegniamo a denunciare come la crisi economica sempre più forte aggredisca soprattutto le piccole imprese italiane: aumentano i casi di suicidio fra gli imprenditori che non ce la fanno più. L’idea di Terraferma è nata di conseguenza: mi ricordo che all’inizio del 2012 mi era capitato di ascoltare a qualche telegiornale le parole di un Ministro italiano che ‘giustificava’, mi passi il termine, come in una situazione di grave difficoltà come quella che stiamo attraversando, sia normale che aumentino i casi di gesti estremi, un po’ come è successo in Grecia. Di fronte a queste parole, la mia prima reazione è stata di forte rabbia: non mi sembrava possibile che nessun facesse niente. Era più che mai necessario offrire a tutti gli imprenditori un sostegno immediato, soprattutto del punto di vista psicologico, e specializzato: così ho contattato un’amica psicologa e nel giro di un paio di mesi è nato il progetto Terraferma. Oggi l’iniziativa conta 30 psicologi in tutta Italia, sempre reperibili, 24 ore su 24, 7 giorni su 7.

Perché avete scelto questo nome, Terraferma?
Viviamo in una fase di cambiamento epocale, l’industria manifatturiera, un tempo cavallo di battaglia dell’italianità, viene ricollocata in altri Paesi, perchè la produzione costa meno. Ma come si crea lavoro e ricchezza allora nel nostro Paese? Se le situazioni di crisi hanno da sempre posto gli imprenditori di fronte ad una scelta, questa volta si tratta di trovarsi in un vicolo cieco, dove la piccola e media industria, da sola, non ha gli strumenti per salvarsi. Gli imprenditori vivono oggi in una situazione di tempesta, e volevamo trasmettere l’idea di una Terraferma, di un punto d’appiglio cui ancorarsi.

Qual è la sua storia da imprenditore?
Mi sono diplomato in ragioneria e sono un ingegnere mancato, nel senso che ho frequentato per un un paio d’anni il Politecnico, ma poi ho scelto di dedicarmi all’impresa di famiglia. Mio padre è mancato poco dopo, ma è da lui che ho appreso le conoscenze fondamentali per mandare avanti un’impresa: essere presenti 7 giorni su 7 in azienda e occuparsi esclusivamente dell’attività. La nostra azienda produce dispenser per nastri adesivi, si tratta di attrezzi che servono per l’imballaggio e sono quindi destinati alle aziende di produzione: l’Europa resta il nostro primo cliente, l’America secondo, mentre in Italia il nostro giro d’affari si aggira attorno al 5% del fatturato. A partire dal 2009 la nostra produzione ha subito una forte flessione, come conseguenza al calo della produzione nelle imprese di tutto il mondo. E’ proprio in quel periodo che ho capito che per un imprenditore è necessario investire almeno una parte del proprio tempo per conoscere e approfondire ciò che accade intorno alla propria azienda e nel mondo, interessarsi alla vita pubblica, alle scelte del governo, delle associazioni di categoria. la mia reazione immediata è stata quella di rimboccarmi le maniche: investire sulla produzione di nuovi articoli, produrre abbassando i i costi, creare brevetti su nuovi prodotti, affidarsi marketing on line, ma qualunque sforzo facessi di risultati sul fatturato non se ne vedevano. Nel momento più difficile mi sono avvicinato al movimento Imprese che resistono.

Quali sono le ragioni più frequenti per cui gli imprenditori si rivolgono a Terraferma?
Il problema fondamentale in Italia è la mancanza di lavoro: l’assenza di liquidità è un sintomo della mancanza di lavoro, che è la vera causa della crisi. Le ragioni per cui gli imprenditori si rivolgono a noi sono diverse: dalla banca che vuole il rientro dei Fidi, agli artigiani in difficoltà perché, per determinare quanto devono pagare di tasse, il fisco si basa ancora oggi sugli studi di settore, che non tengono conto dei momenti di crisi e del reale fatturato dell’azienda. Gli artigiani che non riescono a pagare si trovano così costretti a fare ricorso, che spesso non viene accolto, e se il pagamento non viene evaso a quel punto subentra Equitalia. Altre ragioni ancora riguardano la difficoltà a rientrare nei pagamenti con i clienti, e molto spesso il primo cliente a non pagare è lo Stato.

Perchè è importante offrire un supporto psicologico agli imprenditori che vivono sulla propria pelle l’esperienza della crisi?
L’imprenditore è abituato a fare da sé, ma in queste situazioni estreme è impensabile agire da soli. Sono spesso i famigliari a contattarci: il rischio è che l’imprenditore si chiuda in sè stesso, vuoi per la difficoltà del sentirsi chiamare tutti i giorni dalla Banca, il rischio che i fidi non vengano rinnovati, e la vergogna di sentirsi definiti evasori anche quando non si tratta di assolutamente di evasori, ma di imprenditori in ritardo con i pagamenti per mancanza di liquidità. Quello cerchiamo di fare in primis è riportare la persona a confrontarsi con la realtà, perché spesso di fronte alla tempesta si perde il contatto con chi ci sta attorno: il problema viene ingigantito e si perdono di vista le cose fondamentali, i rapporti con famiglie e i colleghi. In un secondo momento, superata la fase spiazzamento iniziale, il nostro compito è di fornire un supporto pratico alle imprese, per aiutarle a uscire dalle criticità con cui si trovano a fare i conti, mettendo a disposizione una rete di commercialisti, avvocati e consulenti finanziari.

Una fra le spinte più forti che conducono gli imprenditori a prendere la decisione più estrema, ovvero togliersi la vita, riguarda il peso di dover licenziare i propri dipendenti. Quali emozioni scatena?
Ogni imprenditore vive un senso di responsabilità nei confronti dei propri dipendenti. Questo vale soprattutto per i piccoli imprenditori, perché c’è contatto diretto, si lavora insieme, mentre nelle grandi aziende queste decisioni vengono gestite dalle risorse umane. Di fronte a una persona che molto spesso è un’amico d’infanzia, oppure un dipendente che lavora nelle tua azienda da 30 anni, i cui figli lavorano lì, risulta impossibile per un impreditore dire ‘non sono più in grado di offrirti un lavoro’. L’imprenditore vive da un lato un forte senso di respinsabilità, perchè molto spesso conosce le storie singole di ciascuna famiglia, e dall’altra parte un senso di impotenza, perchè non riesce a far fronte alla crisi e a non aumentare la produzione.

Avete vissuto in prima persona casi di imprenditori che hanno tentato il suicidio? Perchè si arriva ad una decisione così estrema?
Qualche mese fa mi è capitato di ricevere la telefonata di una persona che ‘non ce la faceva più’, ma che fortunatamente è riuscita a superare il momento più buio. Hanno contattato Terraferma anche parenti e famigliari di persone che purtroppo si sono tolte la vita e avevano bisogno di capire che cosa fare dell’azienda, come agire. Siamo in contatto inoltre con la figlia di Mario Frasacco, l’imprenditore di Roma che si è suicidato lo scorso 4 aprile, che ha voluto denunciare allo Stato la disperazione che vivono sulla loro pelle ogni giorni i titolari di aziende.

Fare impresa oggi in Italia fa paura?
Fa paura a chi la sta facendo, sono sempre di meno i piccoli imprenditori che ‘mettono’ in azienda i propri figli perché non ne vale più la pena; preferiscono indirizzarli verso lo studio, l’università e un percorso formativo fuori dall’azienda di famiglia, che molto spesso coincide con un non-ritorno. Il capitale investito in un’azienda dovrebbe remunerare sia l’imprenditore che il rischio d’impresa, ma oggi non è più così. Non c’è la soddisfazione della crescita, diminuisce la domanda interna, si allarga lo spazio d’azione ma si riducono le quantità. Si lavora sul presente, e non si guarda al futuro, purtroppo.

Alessia CASIRAGHI