Lavoro, mancano lavoratori specializzati in questi settori

Il mercato del lavoro è ancora in sofferenza, sono 5,5 milioni i contratti programmati dalle aziende, ma mancano le coperture. Ecco i lavori più cercati e per i quali le aziende fanno fatica a trovare lavoratori specializzati.

Mercato del lavoro, quali professioni sono da coprire?

Se da un lato vi sono tante persone che cercano un lavoro e fanno fatica ad arrivare a fine mese, ci sono tante aziende che cercano personale e non riescono a trovarlo. Lo squilibrio tra domanda e offerta è determinato prevalentemente dal fatto che spesso chi cerca lavoro non ha un grado di istruzione adeguato alle mansioni disponibili, in altri casi le posizioni restano scoperte perché poco allettanti dal punto di vista economico. Il quadro della situazione è stato riassunto il Bollettino annuale 2023 del sistema informativo Excelsior, targato Unioncamere-Anpal.

A sorpresa i settori dove si assume di più sono quelli che richiedono un titolo tecnico-professionale e di istruzione e formazione professionale. Proprio le difficoltà emerse ci dicono che c’è ancora distanza tra l’offerta formativa delle scuole e le richieste delle aziende.

Le imprese hanno avuto difficoltà a trovare il 65,5% dei diplomati presso gli istituti ITS, le difficoltà aumentano per lavoratori con diploma tecnici specializzati nei percorsi dell’area meccanica. Difficoltà elevate ci sono anche nella ricerca di tecnici ITC Information and Communication Technologies) Tecnologie riguardanti i sistemi integrati di telecomunicazione.

Per quanto riguarda invece le posizione aperte per laureati, ci sono settori dove sicuramente vi è un eccesso e altri invece in cui c’è penuria, tra questi ultimi vi sono laureati in materie tecnico-scientifiche.

Le mansioni per cui non si trovano lavoratori

Tra le mansioni più difficili da coprire vi sono:

  • ingegneri dell’informazione;
  • personale infermieristico;
  • ostetriche;
  • tecnici delle costruzioni civili.
  • Non si trovano inoltre idraulici, elettricisti, farmacisti e tecnici programmatori.

Si tratta a ben vedere di posizioni che possono fornire anche un buon riscontro economico e nonostante questo, sembra siano poco affascinanti per i giovani che preferiscono avere una formazione che porta in una direzione diversa rispetto a tali professioni.

Il presidente di Unioncamere, Andrea Prete, ha precisato che il problema della irreperibilità di questi professionisti è dovuta alla incapacità di orientare i giovani nel momento in cui devono scegliere il percorso formativo da seguire.

Il problema delle assunzioni in Italia è ciclico, infatti nelle stagioni ad elevato interesse turistico le aziende lamentano la scarsità di personale da adibire a mansioni come camerieri, cuochi, addetti alla reception, guide turistiche.

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I 10 profili più cercati attualmente, imprese alla ricerca di 318mila candidati da assumere

Sono 318 mila le entrate nel mondo del lavoro previste per febbraio 2022 secondo l’indagine Excelsior di Unioncamere e Anpal. Per la prima volta dalla ripresa dall’emergenza sanitaria ed economica gli ingressi nel mondo del lavoro sono stimati in meno 140 mila unità rispetto al mese di gennaio 2022. A pesare sui numeri in discesa il caro energia e la situazione delle materie prime. Sono noti i 10 profili più ricercati dalle imprese italiane in questo periodo e i posti a disposizione per ciascuno di essi. Tuttavia, non tutti i profili ricercati nel mercato del lavoro troveranno il giusto candidato. L’indagine calcola che mediamente il 40% dei posti rimarrà vacante.

Offerte di lavoro, quanti posti sono a disposizione di chi cerca a febbraio 2022?

Sono circa 318 mila i posti di lavoro da coprire nel mese di febbraio 2022. Il dato è di circa 140 mila posizioni in meno rispetto ai numeri di gennaio scorso. È quanto emerge dall’indagine Excelsior di Unioncamere e Anpal. Le stime mostrano il primo campanello di allarme sul mercato del lavoro. A impattare in termini negativi sulla ripresa delle offerte di lavoro è il caro energia e le difficoltà di approvvigionamento delle materie prime. La stima è comunque positiva se rapportata allo stesso periodo del 2021. Rispetto a febbraio dell’anno scorso, infatti, la riapertura delle attività dall’emergenza Covid permette la ricerca di 102 mila nuove unità sul mercato del lavoro. Delle 318 mila posizioni ricercate in questo mese, 167 mila riguardano contratti a termine e a tempo determinato; 72 mila sono invece i posti a tempo indeterminato.

Quali settori stanno avendo un calo nelle offerte di lavoro?

Rispetto a gennaio 2022, i settori che stanno avendo un calo nelle offerte di lavoro sono quelli del manifatturiero (-29,5% a febbraio confrontato con gennaio 2022); lo stesso settore segna, in ogni modo, un +27,4% rispetto a febbraio 2021. In calo anche il settore delle costruzioni (-20,7% rispetto a gennaio 2022 e +16,7% rispetto a febbraio 2021). Anche più marcata è la caduta delle opportunità di lavoro nel settore dei servizi (-32,5% a febbraio 2022 rispetto al mese scorso, +33,8% rispetto a febbraio 2021) e, nello specifico, nel commercio (-43,7% rispetto a gennaio 2022 e +37,6% rispetto a febbraio 2021).

Offerte di lavoro febbraio 2022, quali sono i settori con le maggiori opportunità?

Andando nella sintesi delle professioni e del numero delle offerte di lavoro presenti a febbraio 2022, si può dire che le imprese avranno bisogno di:

  • 820 dirigenti;
  • 21.760 candidati nelle professioni intellettuali, scientifiche e di elevata specializzazione;
  • 49.270 profili di professioni tecnici (dell’informatica, dell’ingegneria, della salute, dell’economia);
  • 25.350 impiegati;
  • 69.640 candidati nelle professioni qualificate nelle attività commerciali e nei servizi;
  • 57.110 operai specializzati;
  • 47.430 conduttori di impianti e operai di macchinari fissi e mobili;
  • 46.210 figure non qualificate addette alla consegna merci e ai servizi di pulizia.

Offerte di lavoro 2022, quali sono i primi 10 profili più ricercati a febbraio?

Ecco, dunque, nello specifico quali sono i 10 profili maggiormente ricercati dalle imprese con il numero di posti a disposizione:

  • addetti alle attività di ristorazione con 34.910 opportunità di lavoro;
  • personale non qualificato nei servizi di pulizia con 25.970 offerte di lavoro;
  • addetti alle vendite con 20.060 offerte di lavoro;
  • conduttori di veicoli a motore con 17.670 profili ricercati dalle imprese;
  • artigiani e operai specializzati delle costruzioni e nel mantenimento delle strutture edili con 14.720 offerte di lavoro;
  • personale non qualificato addetto a spostare e a consegnare merci con 12.360 opportunità di impiego;
  • impiegati addetti alla segreteria e agli affari generali con 11.860 offerte di lavoro;
  • tecnici dei rapporti con i mercati con 9.570 offerte di lavoro;
  • meccanici artigianali, montatori, riparatori e manutentori di macchine fisse e mobili con 9.080 offerte di lavoro;
  • tecnici della salute con 8.650 nuove opportunità di impiego.

Quali altri profili sono ricercati dalle imprese italiane attualmente?

A seguire, molto richiesti sono i profili dalle imprese italiane in questo periodo:

  • artigiani e operai specializzati addetti alle rifiniture delle costruzioni con 8.160 nuovi profili ricercati dalle imprese;
  • fonditori, saldatori, lattonieri, calderai, montatori carpenteria metallica e professioni assimilate;
  • conduttori di macchine per il movimento terra, sollevamento e maneggio dei materiali;
  • operai addetti all’assemblaggio di prodotti industriali;
  • tecnici informatici, telematici e delle telecomunicazioni;
  • professioni qualificate nei servizi sanitari e sociali;
  • tecnici in campo ingegneristico;
  • tecnici della gestione dei processi produttivi di beni e servizi;
  • ingegneri e professioni assimilate;
  • artigiani e operai specializzati di installazione e manutenzione delle attrezzature elettriche ed elettroniche.

Mercato del lavoro, in quali settori le imprese fanno più fatica a trovare i profili ricercati?

Rispetto ai posti di lavoro e alle opportunità offerte dalle imprese, per molti profili sarà difficile reperire gli high skill ideali. Lo scarto tra i profili ricercati dalle imprese e le competenze offerte dai lavoratori si evince soprattutto nella manifattura, in particolar modo nelle industrie metallurgiche e dei prodotti in metallo. A seguire il comparto delle costruzioni, della meccatronica, dell’informatica e delle telecomunicazioni. Anche i servizi alla persona segnano la difficoltà di reperire i profili adeguati alle mansioni.

Offerte di lavoro, le 10 professioni più difficili da trovare da parte delle imprese in questo periodo

Ecco, dunque, quali saranno le professioni che lasceranno il maggior numero di opportunità e posti di lavoro vacanti:

  • tecnici della gestione dei processi produttivi di beni e di servizi con il 68,4% dei posti che rimarranno scoperti;
  • artigiani e operai specializzati addetti alle rifiniture delle costruzioni con il 65,1% dei posti vacanti;
  • i dirigenti con il 65% dei posti vacanti;
  • fonditori, saldatori, lattonieri, calderai, montatori carpenteria metallica e professioni assimilate con il 64,1% delle opportunità di lavoro che non troveranno il giusto candidato;
  • tecnici della salute con il 59,6% delle offerte di lavoro che andranno deserte;
  • meccanici artigianali, montatori, riparatori e manutentori di macchine fisse e mobili con il 59,3% dei posti vacanti;
  • tecnici in campo ingegneristico con il 59,1% dei profili mancanti;
  • fabbri ferrai, costruttori di utensili e assimilati con il 59% dei posti non coperti;
  • conduttori di veicoli a motori con il 56,3% dei posti vacanti;
  • specialisti in scienze matematiche, informatiche, chimiche, fisiche e naturali con il 55,9% dei posti vacanti.

Offerte di lavoro, la situazione dei giovani aggiornata

Tra le considerazioni che i numeri portano a fare sul mercato del lavoro, emergono le difficoltà delle imprese nella ricerca di profili giovani e con le giuste competenze. Mediamente la mancanza di profili ideali è presente nel 43,4% delle offerte di lavoro riservate ai giovani. Nel mese di febbraio 2022 le imprese hanno cercato di più di assumere unità provenienti dalla scuola e dalle università. Circa 85 mila contratti, corrispondenti al 27% del totale, ha riguardato i giovani. Con una crescita del 2% rispetto allo scorso mese. Le difficoltà più evidenti nella ricerca di questi profili si è registrata tra i progettisti, gli ingegneri e le professioni assimilate (più di 6 posti su 10 andranno vacanti); ma anche gli operai specializzati nell’edilizia e nella manutenzione degli immobili e gli operati impiegati in attività meccaniche ed elettroniche sono di difficile reperimento.

A Bolzano, workshop tra scuola e lavoro

Un’asse di collegamento tra scuola e mercato del lavoro, che dovrebbe rappresentare la normalità, è stata pensata da Philipp Achammer, Assessore provinciale all’Istruzione del Comune di Bolzano, il quale ha proposto presso la Camera di Commercio di Bolzano, in collaborazione con il Dipartimento di Istruzione tedesca, una serie di eventi dedicati al Laboratorio sul futuro Scuola – Economia.

Questi workshop si sono svolti a Bolzano, Merano e Brunico, ed hanno riunito i rappresentanti delle scuole e delle imprese per facilitare un proficuo scambio sulla reciproca collaborazione. I partecipanti hanno discusso dei loro desideri e delle loro visioni in materia di cooperazione tra scuola ed economia, avanzando anche diverse proposte.

Sicuramente questo tipo di collaborazione ha effetti positivi sulle possibilità di ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, soprattutto dal punto di vista pratico, ma anche sulle imprese che in questo modo entrano in contatto con i programmi didattici proposti nelle scuole.
Si tratta di un espediente di sicuro successo, che porta, come primo ed importante beneficio, la diminuzione della disoccupazione giovanile.

Essendo un esperimento che riguarda in particolare la scuola di derivazione tedesca, in Alto Adige è attivo da diversi anni e viene modificato e migliorato con il variare delle esigenze.
Uno dei punti fermi, sottolineato anche dalle tavole rotonde organizzate durante la manifestazione, è l’importanza sempre più urgente del plurilinguismo, che andrebbe incentivato con maggiore insistenza e su larga scala.
Inoltre, i tirocini rappresentano una chiave di svolta per gli studenti, poiché permette loro di mettere in pratica quanto appreso e di specializzarsi ulteriormente, considerando che è quanto viene chiesto insistentemente dalle aziende.

Per chi volesse consultare la sintesi dei risultati del laboratorio, può farlo scaricandola dal sito Camcom.bz.it.

Vera MORETTI

Mercato del lavoro e povertà, quali connessioni?

Come è messo il mercato del lavoro in Italia? Quanta flessibilità c’è e quanta rigidità, invece, lo blocca ancora impedendone lo sviluppo e la modernizzazione? Sono solo alcune delle domande alle quali prova a rispondere il Rapporto di Monitoraggio del Mercato del Lavoro 2015 – L’Italia fra Jobs Act ed Europa 2020 pubblicato dall’Isfol.

Si tratta della quinta edizione dello studio Isfol, i cui risultati erano stati in parte anticipati lo scorso dicembre durante il convegno Lavoro e crisi economica. Nel rapporto, il mercato del lavoro italiano viene analizzato specialmente nei suoi addentellati con il Jobs Act e ne vengono messe in luce tanto le dinamiche occupazionali, quanto le evoluzioni delle tipologie di contratti di lavoro e le sfide – più perse che vinte – sul fronte della flessibilità.

Interessante, nel rapporto, l’analisi fatta della connessione tra mercato del lavoro, occupazione e povertà. Secondo i risultati, il 18% delle famiglie con occupati nel 2014 non riusciva ad affrontare una spesa imprevista di 300 euro, numero che cresce del 50% (al 27%) se il dato si estende alle famiglie con e senza occupati. Il dato è stato estrapolato utilizzando i dati Isfol-Plus.

Il rapporto sul mercato del lavoro evidenzia che il 18% di famiglie in difficoltà di fronte a una spesa imprevista di 300 euro vive, nel 46% dei casi, in un nucleo familiare monoreddito e nel 45% dei casi in famiglie con due redditi.

Lo studio evidenzia anche uno stretto rapporto tra mercato del lavoro, difficoltà economiche e diversi aspetti legati al contesto sociale delle famiglie con occupati prese in analisi. Risulta infatti che sono più esposti alle difficoltà (in più del 50% dei casi analizzati) i nuclei familiari con lavoratori con titolo di studio basso, un quadro sanitario non completamente soddisfacente e che vivono in contesti sociali e urbani caratterizzati da una bassa qualità dei servizi.

Un quadro generale che influisce negativamente non solo sul mercato del lavoro, ma anche sulla percezione della qualità che, di esso, hanno le famiglie interessate dal rapporto: in molte di esse, infatti, gli occupati o l’occupato non sono soddisfatti di molti aspetti legati al lavoro e, in generale, della propria vita.

Mercato del lavoro e flessibilità? Incompatibili

Il mercato del lavoro italiano non è certo uno dei più elastici in Europa. Sono diversi i fattori che contribuiscono alla sua rigidità e molti gli aspetti di modernità che ancora gli mancano per poter fare il salto di qualità di cui ha bisogno.

Uno dei campi nei quali si misura il ritardo dell’Italia è quello del lavoro flessibile, come testimoniato dalla survey Future People: Le postazioni di lavoro nell’era della trasformazione digitale, realizzata da Cornerstone OnDemand e IDC e svolta sul mercato del lavoro di 16 Paesi europei.

L’indagine ha analizzato il mercato del lavoro di Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Islanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Olanda, Polonia Spagna, Svezia e Svizzera e ha posizionato il nostro Paese al decimo posto per quanto riguarda la capacità delle nostre imprese di implementare policy di digitalizzazione a favore della flessibilità di orari e spazi di lavoro. Una scarsa attenzione che porta i dipendenti italiani a raccomandare il proprio posto di lavoro solo nel 59% dei casi, contro una media europea del 71%.

In sostanza, il mercato del lavoro rigido ed eccessivamente regolamentato presente nel nostro Paese fa sì che le imprese di casa nostra diano poco valore al lavoro flessibile, senza comprendere le potenzialità che esso ha per il benessere dei dipendenti.

Secondo la survey, le imprese italiane si pongono dunque sul mercato del lavoro con percentuali non all’altezza per quanto riguarda alcuni aspetti determinanti nel campo della flessibilità lavorativa. Nello specifico solo il 67% di loro propone attività ricreative sul posto di lavoro, uno scarso 58% mette a disposizione postazioni di lavoro flessibili, il 66% si serve di open space, il 69% utilizza sistemi IT accessibili da nuovi device e il 76% attua orari flessibili. Percentuale dignitosa solo sul fronte della mobilità interna: 86%.

Conclude il quadro poco edificante la scarsa importanza che le imprese italiane attribuiscono, nelle loro policy, alla condivisione e alla collaborazione: solo il 53% dei dipendenti è incoraggiato ad assumersi nuove responsabilità, il 51% è stimolato a condividere la conoscenza o viene coinvolto nei processi decisionali aziendali e a un misero 43% è spinto sono affidate decisioni importanti da prendere in autonomia.

Il Jobs Act e i manager italiani

Sono molti gli aspetti del Jobs Act sui quali imprese e professionisti si dividono, specialmente per quello che riguarda gli incentivi alle assunzioni e, in generale, le dinamiche legate all’occupazione. Ecco perché Michael Page, società di ricerca e selezione di personale specializzato nel middle e top management, ha realizzato un’indagine a livello nazionale su un campione di 705 professionisti tra i 35 anni e i 45 anni, con provenienza da diversi settori e zone geografiche per capire quali effetti ha su di loro il Jobs Act.

Dai risultati dell’indagine emerge che solo il 5,5% dei manager intervistati sarebbe incline a cambiare lavoro per effetto del Jobs Act; ben il 44,3% è meno propenso a farlo e oltre il 50% ritiene che la nuova Legge non impatti su questa scelta.

L’influenza del Jobs Act non è determinante per il 75,5% dei candidati nel favorire la ricerca di un nuovo lavoro, mentre il restante 24,5% che ne riconosce l’utilità, afferma che la riforma lo aiuterà a trovare un lavoro a tempo indeterminato (17,4%).

Di fronte alla domanda su quanto fosse ritenuta interessante una nuova opportunità lavorativa con un aumento economico del 10/20%, in riferimento alla nuova Legge sulle tutele crescenti, oltre un quarto dei candidati (il 27%) si è dichiarato non interessato.

Quali sono, invece, le priorità dei candidati oggi, a fronte dell’attuazione della riforma, nella fase di negoziazione con il nuovo datore di lavoro? La retribuzione si distingue come l’elemento decisivo: il 53,2% sceglie un aumento dello stipendio superiore del 20% al consueto come prima opzione da poter contrattare. Seguono più mesi di indennizzo in caso di licenziamento illegittimo da parte del datore di lavoro (16,2%), il riposizionamento all’interno dell’azienda in caso di licenziamento illegittimo (15%) e il mantenimento delle condizioni del vecchio contratto per un determinato periodo (10,8%).

Sorprendente, invece, i dato sull’informazione dei manager riguardo il Jobs Act: dal sondaggio di Michael Page risulta che il 32,3% degli intervistati non conosce il contenuto della nuova legge sul lavoro.

La Grecia siamo noi (anzi, peggio)

In questi giorni si fa un gran parlare della crisi greca e il Paese ellenico viene additato come un esempio pessimo da non seguire. Peccato però che, per quanto riguarda le tasse sulle imprese e il mercato del lavoro, la Grecia sia messa molto meglio dell’Italia.

È quanto emerge da una ricerca del centro studi ImpresaLavoro, realizzata elaborando i dati del World Economic Forum e della Banca Mondiale. Stando infatti a questa ricerca, la Grecia batte l’Italia per 12 a 0 in materia di mercato del lavoro e tasse sulle imprese.

Nello specifico, la ricerca di ImpresaLavoro, si è basata sul rapporto “Doing Business 2015” della Banca Mondiale e ha scoperto come il Total Tax Rate (la pressione fiscale totale sulle imprese) nel Paese ellenico non arriva al 50% (49,9%) mentre da noi si spinge fino al 65,4%. Senza contare il fatto che ogni azienda greca impiega ogni anno 193 ore per pagare le tasse contro le 269 di un’impresa italiana.

Ma dove si consuma, alla fine, il “cappotto” di Atene su Roma? Grosso modo nelle classifiche del “Global Competitiviness 2014-2015”. Eccole le prime 9 voci.

  • efficienza generale del mercato del lavoro: Grecia è 118esima, Italia 136esima;
  • collaborazione tra lavoratori e imprese: Grecia 108esima, Italia 137esima;
  • flessibilità nella determinazione dei salari: Grecia 118esima, Italia 138esima;
  • efficienza nelle modalità di assunzione e licenziamento: Grecia 92esima, Italia 141esima;
  • legame salari-produttività: Grecia 121esima, Italia 139esima;
  • effetto della tassazione sull’incentivo a lavorare: Grecia 138esima, Italia 143esima;
  • scelta dei manager in base al merito: Grecia 98esima, Italia 122esima;
  • capacità di trattenere i talenti: Grecia 96esima, Italia 121esima;
  • capacità di attrarre i talenti: Grecia 127esima, Italia 128esima.

Non ha bisogno di ulteriori chiose il commento su questo paragone tra Italia e Grecia fatto da Massimo Blasoni, presidente di ImpresaLavoro: “Anche se l’Italia ha dei fondamentali economici migliori di quelli greci, occorre notare come l’analisi puntuale di due aspetti importanti dell’economia come efficienza del mercato del lavoro e tassazione sulle imprese dimostrino l’arretratezza del nostro Paese. Non è un dato banale perché i fondamentali economici sono figli delle scelte fatte in passato”.

Disoccupazione, il dramma dell’industria manifatturiera

 

Sono  136.616 i  lavoratori che rischiano di perdere il posto di lavoro nel 2014, in aumento di 13.486 unità rispetto allo scorso anno: è questo quello che si evince dal XI Rapporto industria, mercato del lavoro e contrattazione della Cisl. Secondo lo studio, tra il 2008 e il 2013, l’industria manifatturiera è quella che ha pagato il conto più salato alla drammatica crisi economica con quasi il 90% (482mila) della diminuzione totale degli occupati.

“Come contraccolpo della riorganizzazione delle imprese – si legge nel comunicato stampa della Cisl – negli ultimi due anni il ricorso agli ammortizzatori sociali ha toccato livelli storici. La Cassa Integrazione anche nel 2013 ha superato il miliardo di ore autorizzate, coinvolgendo almeno 300.000 persone”.

Risulta in crescita solo il lavoro a tempo determinato, e non ci voleva uno studio particolarmente scientifico per confermarlo, con i contratti che sono aumentati del 10% nel 2012 e +2,8% nel 2013.

JM

I Consulenti: sgravi fiscali per rilanciare l’occupazione

Dopo le proposte dei Consulenti del lavoro che abbiamo illustrato ieri per rilanciare il mercato dell’occupazione in Italia, ecco altri punti che, per l’associazione, sono imprescindibili.

Oltre a diversi interventi nell’ambito della responsabilità solidale, del documento unico di regolarità contributiva e del contributo di fine rapporto necessario a finanziare l’Aspi, secondo i Consulenti del lavoro sarebbe opportuno introdurre uno sgravio fiscale di cinque anni per i lavoratori under 30 o over 50 e dei contributi ridotti per 3 anni qualora un’azienda stabilizzi un dipendente a termine; gli sgravi fiscali dovrebbero essere totali per retribuzioni fino a 40mila euro e del 50% per retribuzioni fino a 80mila euro).

Secondo i Consulenti, poi, sarebbe necessario razionalizzare il Fondo di tesoreria, ridurre del 5% il costo del lavoro a tempo indeterminato (attraverso 12,2 miliardi di euro che verrebbero recuperati rivedendo le tariffe Inail), ridurre la spesa pubblica improduttiva  e utilizzare il 50% delle risorse recuperate dalla lotta all’evasione fiscale.

Come si vede, si tratta di un mix di suggerimenti tecnici e di misure di buon senso che, se attuato, potrebbero con tutta probabilità ridare fiato a un mercato del lavoro ormai sull’orlo del collasso.

Occupazione, le proposte dei Consulenti del lavoro

Chi meglio dei Consulenti del lavoro può elaborare proposte utili al rilancio dell’occupazione in Italia.

È quello che hanno fatto con un documento nel quale analizzano cause della stagnazione attuale e propongono soluzioni per superare l’impasse.

Il documento parte con una bacchettata alla legge Fornero, la quale “non ha centrato gli obiettivi occupazionali che si prefiggeva, forse perché pensata per un modello di mercato del lavoro già in espansione”. Il suo effetto è stato invece quello di irrigidire la flessibilità in entrata. Ecco dunque le proposte dei Consulenti per incidere in maniera efficace sulla riduzione del costo del lavoro, per ammorbidire la rigidità in entrata e tornare a una situazione ante legge Fornero.

Cancellazione, per le partite Iva, dell’articolo 69 bis del Dlgs 276/2003, introdotto dalla riforma Fornero. Vale a dire togliere la possibilità di trasformare le prestazioni a partita Iva in collaborazione coordinata e continuativa purché siano soddisfatti due dei seguenti tre presupposti: rapporto superiore a otto mesi annui in due anni consecutivi; corrispettivo da partita Iva superiore all’80% dei corrispettivi annui complessivi del collaboratore in due anni consecutivi; postazione fissa in una sede del committente messa a disposizione del collaboratore a partita Iva.

I Consulenti auspicano anche un ritorno alla situazione precedente la riforma anche per il contratto di associazione in partecipazione, mentre per il contratto a tempo determinato chiedono la sospensione fino alla fine del 201, dell’obbligo di indicazione della causale e dei periodi di sospensione obbligatoria tra due contratti.

Importante levare vincoli anche all’apprendistato, con l’eliminazione dei nuovi obblighi di stabilizzazione da parte delle aziende e il mantenimento di quelli previsti dai contratti nazionali. Vi è poi una richiesta di omogeneizzazione dei percorsi di formazione, specialmente tra regione e regione.

Utile sarebbe, secondo i Consulenti, innalzare il tetto economico per lavoratore e per anno dagli attuali 5mila euro a 8mila per le imprese e gli studi professionali, così come accorpare giuridicamente questo tipo di contratto con quello dell’impiego intermittente.

Vedremo domani le altre proposte dei Consulenti del lavoro.