Occupazione? Su gli investimenti, giù il costo del lavoro

Come se non bastassero le mazzate che continuamente arrivano sul mercato del lavoro italiano dall’interno delle mura di casa nostra, adesso anche il resto del mondo ci ricorda come, nel nostro Paese, la situazione occupazionale sia preoccupante.

Arriva infatti dall’Ilo, l’International Labour Organization, l’organismo dell’Onu specializzato nelle tematiche del lavoro, l’ennesimo allarme: “All’Italia servono circa 1,7 milioni di nuovi posti di lavoro per riportare il tasso di occupazione ai livelli pre-crisi”. È quanto si legge nel “Rapporto sul mondo del lavoro 2013”, il documento stilato dall’organizzazione che fa il punto sull’andamento occupazionale nel mondo. E questa è la triste figura dell’Italia, che deriva dalla somma dei posti persi negli ultimi anni con l’aumento della popolazione in età attiva rispetto al periodo ante-crisi.

L’Italia figura nella categoria di quei Paesi nei quali la disoccupazione continua ad aumentare (per citare un dato, era al 6,1% nel 2007) e dove sono cresciute le disparità di reddito a causa della recessione. Nel capitolo del rapporto dedicato al nostro Paese, si sottolinea come “la sfida della ricerca di un posto di lavoro è particolarmente difficile per i giovani tra 15 e 24 anni: il tasso di disoccupazione di questa fascia di età è salito di 15 punti percentuali e ha raggiunto il 35,2% nel quarto semestre 2012”.

Il rapporto punta anche l’attenzione sulla diffusione dell’occupazione precaria: infatti, a partire dal 2007 il numero dei precari è cresciuto del 5,7% e ha raggiunto il 32% degli occupati nel 2012. Secondo l’Ilo, la percentuale dei contratti a tempo determinato sul totale dei contratti precari è aumentata con tutta probabilità a causa della riforma Fornero. Ecco dunque che, per risollevare il mercato italiano dell’occupazione, il rapporto Ilo suggerisce di puntare sugli investimenti e sull’innovazione anziché sull’austerità e sulla riduzione del costo unitario del lavoro e, soprattutto, dice la sua su una delle “grandi trovate” che da qualche tempo gira in bocca ai soloni della politica e dell’occupazione, la cosiddetta “staffetta generazionale”. L’Ilo la approva con riserva, sottolineando come esistono modi più efficaci per rilanciare l’occupazione giovanile: dagli incentivi all’assunzione al miglioramento del sistema di formazione.

In aumento i disoccupati anche nel 2013

Le previsioni economiche non lasciano presagire nulla di buono e anche questo 2013 ormai avviato sembra destinato a farsi ricordare come un altro annus horribilis.

Tra i dati più pessimistici e preoccupanti ci sono quelli che riguardano i disoccupati: entro la fine dell’anno in corso, dovrebbero essere circa 520mila i nuovi esclusi dal mercato del lavoro.
Si tratta, ovviamente, di stime approssimative, che si sono basate sull’andamento del mercato di questi ultimi mesi e che potrebbero mutare, e che sono state calcolate dal Cgia di Mestre sulla base del numero di disoccupati e cassaintegrati a zero ore, in aumento rispetto al 2012.
Se le previsioni si confermassero, i cittadini senza lavoro diventerebbero 5.405.800, contro i 4.886.000 di fine 2012.

Giuseppe Bortolussi, segretario del Cgia di Mestre, ha commentato: “Per invertire la tendenza in atto bisogna agire su più fronti: ridurre il costo del lavoro, favorire una maggiore flessibilità che sia accompagnata da misure di sostegno al reddito per i lavoratori occupati a tempo determinato, ma, in particolar modo, assicurare un alleggerimento fiscale e burocratico sulle imprese. Se non aiutiamo soprattutto le miro imprese con meno di 10 addetti, che nel decennio scorso hanno garantito in UE il 58% dei nuovi posti di lavoro, sarà molto difficile abbassare il tasso di disoccupazione che alla fine di quest’anno è dato al 12%1”.

Vera MORETTI

Cerchi un termoidraulico? Auguri…

Cara azienda, vuoi un tecnico termoidraulico? Auguri… Ti serve un consulente di software? Prova a giocare al Superenalotto, vincere è più facile che trovarlo… Insomma, siamo alle solite: in un Paese alle prese con una crisi che più bastarda non si può e nel quale sembra che trovare lavoro sia un’impresa disperata, arrivano studi e ricerche che ci dicono che mancano profili professionali?

Proprio così. Ci ha pensato il Sistema informativo Excelsior di Unioncamere ministero del Lavoro con la sua analisi annuale, presentata a Verona in occasione di Job&Orienta, mostra convegno su orientamento, scuola, formazione e lavoro. Ebbene, dagli approfondimenti di Excelsior risulta che sul mercato del lavoro italiano sono circa 65mila, per il sistema produttivo, i professionisti “introvabili”, pari al 16,1% delle assunzioni non stagionali che annualmente vengono previste dalle imprese.

Rispetto al 2011, il numero di assunzioni non stagionali che le imprese intendevano effettuare entro l’anno è drasticamente calato (da 600mila a 400mila), facendo scendere, anche se non proporzionalmente, il numero degli introvabili dai 117mila dello scorso anno ai 65mila del 2012. Tuttavia, all’interno di questo numero, la mancanza di alcuni profili professionali resta critica ed elevata.

Qualche esempio? In Lombardia 9 progettisti informatici su 10 sono difficili da reperire, nel Lazio le mosche bianche sono i termoidraulici, in Trentino Alto Adige i camerieri non stagionali. I profili di laureati sono i più complicati da reperire. Dei quasi 59mila che le imprese prevedono di assumere nel 2012 con un contratto non stagionale, uno su 5 ricade tra gli introvabili (circa 12mila unità). Rispetto al 2011, quando le imprese avevano previsto 74mila assunzioni, la quota della difficoltà di reperimento si è ridotta di circa 6 punti percentuali (dal 26,1% al 20%).

Tra questi, le figure professionali “missing” sono soprattutto quelle di ambito informatico. Dal progettista di sistemi informatici (900 delle circa 1000 assunzioni previste per il 2012 sono difficili da reperire, l’85% del totale) al consulente di software (circa 100 gli introvabili, pari al 30% delle assunzioni), dall’analista programmatore (circa 150 mosche bianche) al programmatore informatico (più di 300 gli introvabili). Chiude la lista lo sviluppatore di software, con oltre 300 introvabili pari a circa il 22% della richiesta. Una strage.

Stesso scenario tra i diplomati dove, tra le 166mila le assunzioni non stagionali previste nel 2012, le difficoltà si concentrano su circa 27mila unità (il 16,2%), in discesa, così come per i laureati, sia in valore assoluto (erano oltre 45mila nel 2011), sia in termini di quota sul totale delle relative assunzioni (da 18,7% a 16,2%).

Dati che fanno riflettere e che spingono a fare una considerazione di base. Se, in linea di massima, vale ancora il modo di dire secondo cui il lavoro c’è, basta cercarlo, è sempre più vero che per sperare in un ingresso “mirato” e quasi certo nel mondo occupazionale è necessario “mirare” il campo di studi e formazione. Va bene la soddisfazione personale, ma cosa ce ne facciamo di economisti o filosofi se servono soprattutto informatici?

Apprendistato, questo sconosciuto…

di Davide SCHIOPPA

Paradossi di un’Italia che non vuole crescere. Non che non può, non vuole. Abbiamo uno dei mercati del lavoro più rigidi d’Europa, pur con tutta la buona volontà del ministro Fornero e della sua riforma, e quando si mettono sul piatto strumenti utili a togliere un po’ di gesso facciamo di tutto per non applicarli.

Parliamo, per esempio, del contratto di apprendistato, al quale Infoiva ha dedicato un focus nella settimana appena trascorsa. Lo abbiamo fatto proprio perché, da più parti, abbiamo letto del disappunto per la mancata o farraginosa applicazione della normativa che regola l’apprendistato e della conseguente difficoltà, da parte delle aziende, a proporre questa tipologia di contratto ai neolaureati o, comunque, ai giovani.

Abbiamo voluto vederci un po’ più chiaro, per capire quanto di vero ci sia in questo impasse e, in effetti, abbiamo constatato che sì, il problema esiste: uno strumento dalle buone potenzialità viene tarpato dalla troppa burocrazia. Ma che futuro ha un Paese così? Non che l’apprendistato sia la formula magica che risolve il problema della disoccupazione giovanile in Italia ma, chiediamo, perché non siamo capaci di fare bene una cosa dall’inizio alla fine? Perché siamo sempre il Paese delle cose fatte a metà? Ai giovani il compito di giudicarlo, quando si troveranno senza un futuro.

Leggi i risultati dello studio di Bachelor sugli annunci di lavoro per neolaureati

Leggi l’intervista al Professor Maurizio Del Conte dell’Università Bocconi

Leggi l’intervista al presidente della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, Rosario De Luca

Leggi l’intervista a Enrica Carminati, responsabile di Fareapprendistato.it

“Basta lacrime e sangue, ora produttività”

di Davide PASSONI

Apprendistato da panacea per i giovani a palla al piede del sistema? Via, non siamo drastici, il sistema è una palla al piede già di per sé, quello che manca sono regole chiare e certe. Sulle potenzialità inespresse del contratto di apprendistato, Infoiva ha sentito il presidente della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, dott. Rosario De Luca.

L’apprendistato avrebbe dovuto essere il canale d’ingresso principale dei giovani nel mercato del lavoro, ma a oggi pare fatichi ancora a decollare? Perché?
Il problema sta nella diversa e, molto spesso contorta, applicazione nelle varie Regioni italiane. Non bisogna infatti dimenticare che la competenza è stata assegnata a livello regionale e questo non è d’aiuto. La nostra Fondazione Studi ha rilevato, tramite un’indagine eseguita su un campione rappresentativo di consulenti del lavoro, che sebbene sia possibile sottoscrivere il contratto d’apprendistato in tutte le regioni italiane, si scoprono ritardi nel varo degli strumenti che dovrebbero favorirne la diffusione con la conseguente reticenza dei datori di lavoro a farne uso a causa dei costi elevati e delle difficoltà burocratiche.

Come Consulenti del Lavoro, qual è la vostra posizione rispetto a questa tipologia di contratto?
Assolutamente favorevoli, nonostante le citate difficoltà operative che di fatto ne impediscono o ne rallentano la diffusione. C’è un affannarsi nel dichiarare populisticamente che l’apprendistato è il canale privilegiato per l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro. Ma si tratta di pura teoria, non suffragata da alcun riscontro empirico, ma   accompagnata dai numerosi limiti che questo tipo di contratto comporta: dal numero massimo di apprendisti da assumere alla durata minima di 6 mesi.

Perché un’azienda dovrebbe scegliere questo tipo di contratto piuttosto che un altro? Ci sono, a suo avviso, strumenti migliori per incentivare l’occupazione giovanile?
L’apprendistato prevede agevolazioni contributive per l’azienda che lo utilizza. Però, con la riforma Fornero, i datori di lavoro possono assumere apprendisti beneficiando di detti sgravi solo se dimostrano di aver stabilizzato a tempo indeterminato una parte degli apprendisti assunti in precedenza. Purtroppo non sono rimasti molti strumenti ai giovani per entrare nel mondo del lavoro; in pratica c’è solo l’apprendistato, ma l’incompatibile e diversificata gestione regionale lo vanifica.

Pensa che il mercato del lavoro in Italia sia ancora troppo rigido, specialmente riguardo ai vincoli all’ingresso, nonostante gli sforzi del governo?
C’è ancora molto da fare  per consentire l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro. E questo problema, come gli altri, non si risolve assumendo scelte a tavolino , senza cioè riscontri concreti. I monitoraggi vanno effettuati prima di intervenire normativamente e non dopo, come invece avviene. Le nostre indagini, ad esempio, attestano che il 63% delle aziende ritiene “difficile” applicare la normativa di settore, mentre il 13% lo considera “inconveniente”.

Situazioni straordinarie come è quella attuale per le imprese, l’economia e il lavoro necessitano di iniziative e progetti straordinari: secondo voi il Paese e il governo stanno dando segnali positivi in tal senso?
Delle tante riforme fatte finora, nessuna incide efficacemente sui problemi reali del Paese che merita interventi strutturali di prospettiva. Per questo, dopo il periodo delle manovre di lacrime e sangue, è giunta l’ora della produttività e degli interventi di sostegno alle piccole aziende e ai lavoratori autonomi, che sono i veri sostenitori dell’occupazione in Italia. E questi interventi devono passare dalla madre di tutti gli interventi: la riduzione del costo del lavoro, che oggi tutti scoprono essere un problema; ma che noi danni definiamo come il freno inibitore della nostra economia.

Non è un Paese per apprendisti

di Davide PASSONI

Uno strano destino quello dell’apprendistato in Italia. Mentre il ministro Fornero sigla un memorandum con la Germania per favorirne l’applicazione e annuncia il varo di una sezione all’interno del sito www.lavoro.gov.it e di un indirizzo mail (apprendistato@lavoro.gov.it) dove inviare osservazioni, suggerimenti, segnalazioni, le aziende continuano a nutrire diffidenza nei confronti di quella che dovrebbe essere la principale forma di ingresso nel mercato del lavoro.

Lo dicono i dati di fatto, ma lo dicono anche studi e analisi ad hoc. Una delle ultime a scattare una fotografia impietosa dell’impasse in cui si trova l’apprendistato viene dall’Ufficio Studi di Bachelor, network internazionale per la ricerca e selezione di neolaureati, ed è stata effettuata sugli annunci di lavoro destinati ai giovani laureati, relativamente al III trimestre 2012: solo il 4,6% di questi annunci offre, come forma contrattuale, un apprendistato. Raffrontando le percentuali anno su anno, si vede che, rispetto al terzo trimestre 2011 – in concomitanza con la definizione del testo unico sull’apprendistato – l’aumento è stato assai poco significativo (era al 3,7%).

Secondo i dati elaborati da Bachelor, il 66% degli annunci è rivolta a neolaureati (da 0 a 12 mesi dalla laurea), per i quali vengono proposti soprattutto stage: nel il 75,9% dei casi contro il 75,6% del III trimestre 2011. Un abisso, rispetto alle proposte di apprendistato, di cui abbiamo parlato sopra. Se invece ci spostiamo sulla fascia di coloro che stanno tra i 12 e i 24 mesi dalla data di laurea, le cifre dell’apprendistato peggiorano ulteriormente: 3,9% contro un miserrimo 0,8 del III trimestre dello scorso anno. Per la fascia 24-48 mesi, il nulla: 0,2%.

Un trend comprensibile, che si contrae mano a mano che il candidato invecchia (pur senza un’esperienza specifica, questo è il paradosso…) ma che non nasconde le difficoltà che questo tipo di inserimento affronta per diventare a tutti gli effetti uno strumento per accelerare l’ingresso dei più giovani al mercato del lavoro.

Stupisce, in questo contesto, che una delle associazioni in prima fila nella promozione dell’occupazione e dell’ingresso al mercato del lavoro come Assolavoro (l’Associazione Nazionale delle Agenzie per il Lavoro), risponda a Infoiva che “al momento non ritiene di suo interesse approfondire l’argomento“. Scusate, se non ora quando? Mah… Buon lavoro alle agenzie per il lavoro.

Comunque, tornando alla ricerca di Bachelor, è vero che questa prende in esame solo i soggetti laureati, ma l’avvio asfittico dell’apprendistato interessa anche diplomati e non, perché il problema è strutturale non contingente. Quali garanzie può offrire alle aziende, in un momento complesso come l’attuale, una forma di inserimento valida sulla carta ma che sconta una complessità della disciplina e della gestione operativa degli apprendisti, oltre a enormi incertezze regolative?

Apprendistato tra luci (poche) e ombre (molte)

di Davide PASSONI

Il lavoro, questo sconosciuto. In un’Italia che fatica più degli altri Paesi avanzati a trovare un filo logico cui attaccarsi per uscire dalla crisi bastarda che attanaglia lei e l’economia globale, quello del lavoro è un tema più che caldo: rovente. Un tema sul quale quelli del Governo si stanno rompendo la testa da un anno a questa parte, da quando sono subentrati all’Esecutivo Berlusconi. E sul quale hanno partorito una riforma, la cosiddetta Riforma Fornero, con più ombre che luci.

Prima c’era stato il testo unico sull’apprendistato, entrato definitivamente a regime 6 mesi fa, con il quale si era pensato di dare maggiore forza e competitività a questa tipologia di contratto di inserimento, per dare più opportunità di ingresso sul mercato del lavoro ai giovani. Ora, a oltre un anno dal varo del Testo Unico, si cominciano a trarre i primi bilanci che, pare, non sono del tutto positivi.

Da più parti si sottolineano le troppe rigidità in uscita (tra le quali i costi per recedere dal contratto e l’impossibilità di far passare di livello l’apprendista), alcune regole che penalizzano la diffusione dell’apprendistato, la durata massima della formazione (3 anni fissati dalla legge, che diventano 5 nel settore dell’artigianato e per determinate qualifiche professionali), le lacune attuative per il cosiddetto “apprendistato qualificante”, destinato ai ragazzi tra i 15 e i 25 anni. Non stupisce dunque se, secondo un’indagine effettuata dalla Fondazione studi dei consulenti del lavoro, solo un’azienda su cinque pensa più facile avviare l’apprendistato di mestiere o professionalizzante per assumere giovani tra i 18 e i 29 anni.

La cosa paradossale, però, è che molte delle associazioni professionali o d’impresa attribuiscono all’apprendistato un valore e un’importanza molto alti; quello di cui si lamentano sono la burocrazia, la farraginosità delle procedure per accedervi, l’incertezza sul ruolo delle regioni e i loro ritardi. Insomma, tutte carinerie che ricadono nell’ambito del legislatore più che in quello delle imprese. Per cui ci risiamo: per quale motivo, chiediamo, quando lo Stato cerca di avere buone idee, all’atto della loro messa in pratica rovina tutto? Cercheremo di scoprirlo ascoltando la voce degli interessati, lungo tutta la settimana.

Professionisti, il 2012 è d’oro

E chi l’ha detto che in Italia il mercato del lavoro per i professionisti è sempre più ristretto? Probabilmente non Confprofessioni, che recentemente ha diffuso le cifre relative all’occupazione dei professionisti in Italia, incrociando i dati Inps sulle posizioni lavorative attive e le cessazioni tra l’1 gennaio e il 30 giugno 2012.

Risultato: nei primi sei mesi del 2012 sono stati creati quasi 40mila posti di lavoro negli studi di avvocati, notai, medici, dentisti, commercialisti, ingegneri e architetti. Nello specifico, si parla di quasi 32mila impiegati e oltre 6mila apprendisti. Cifre di tutto rispetto, ancora più significative se accostate a quelle delle cessazioni dei rapporti di lavoro nel medesimo periodo: 25.730 impiegati e 2.500 apprendisti, con il risultato di un saldo positivo che sfiora le 10mila unità, contro una cifra che, a livello nazionale e negli altri comparti, ha fatto registrare un -76mila nel medesimo periodo.

Quali, però, le professioni più attive? Vince a mani basse l’area economico-amministrativa – quella, per capirsi, popolata da commercialisti, consulenti del lavoro e studi amministrativi e gestionali -, con oltre 5600 assunzioni; in seconda posizione l’area sanitaria, in terza l’area tecnica (architetti, ingegneri, geometri, geologi), in quarta – strano? – l’area giuridica, che si aggiudica uno striminzito +210 assunti.

Dove vincono i nuovi professionisti? A sfatare una leggenda che li vuole principalmente al Sud, i dati di Confprofessioni parlano di un Nord che tira la volata all’occupazione negli studi professionali: sono infatti oltre 4.500 le assunzioni nette. Il Sud, comunque, si difende con quasi 2.500 nuovi posti di lavoro; fanalino di coda il Centro, con 1.803 nuovi occupati.

Infine, l’età. Secondo Confprofessioni sono i giovani che lanciano la ripresa dell’occupazione negli studi. La forma prediletta di ingresso nel mercato del lavoro è quella del contratto di apprendistato: sono oltre 3600 i nuovi apprendisti entrati in studio tra l’1 gennaio e il 30 giugno 2012.

Secondo il presidente di Confprofessioni, Gaetano Stella, “questi dati confermano la vivacità del settore professionale che, nonostante la crisi economica, riesce ancora a creare occupazione. Nel desolante quadro della disoccupazione in Italia, gli studi professionali hanno una forte attrattiva, soprattutto per i più giovani e per le donne che rappresentano quasi il 90% degli occupati“. Vero, ma non dimentichiamo che tanta parte di questo fiorire di professionisti è figlio di una crisi che ha espulso tanti di loro dal mercato del lavoro dipendente; il fatto che il mondo degli studi professionali riesca in qualche modo a riassorbirli è sicuramente un punto di merito. Vediamo di non far cessare la tendenza.

Come ti piazzo il cinquantenne

Se è pur vero che non è cosa così diffusa tra le aziende investire su profili senior, salvo essere alla ricerca di una figura professionale molto specializzata, persiste un eccessivo e radicato luogo comune legato all’impossibilità di ricollocarsi superati i 45-50 anni di età.

Il cinquantenne che si ritrova forzatamente fuori dal mercato del lavoro, a causa della crisi, può sfruttare questa condizione come occasione per rinnovare la propria professionalità, sia il potenziale delle hard skill che le soft skill.

Un’indagine di Manageritalia rivela che, per il 58,7% dei manager, far carriera significa avere un incarico sfidante e ottenere continue possibilità di crescita professionale (54,9%) e solo per il 27% carriera significa stipendio elevato. Essere flessibili alle richieste del mercato significa aprirsi a nuove possibilità e puntare anche alle piccole e medie imprese italiane a conduzione padronale; realtà che hanno bisogno di figure manageriali di grande esperienza anche su mercati internazionali.

I profili vincenti in questi contesti sono le figure tecniche operanti negli ambiti dell’ingegneria trasversalmente ai vari settori. La caccia è spesso aperta nelle aree come la progettazione, la ricerca e sviluppo o quella commerciale, dove questo tipo di seniority crea valore aggiunto per l’azienda.

Si rilevano infatti casi in cui società, già saldamente posizionate sul mercato, cercano esplicitamente professionisti specializzati di almeno 50 anni di età, soprattutto nei settori tecnici, dal metalmeccanico al siderurgico fino all’ambito dell’elettronica-automazione. Ad esempio, direttori per uffici tecnici con un forte background in ambito elettrico, elettronico e direttori di produzione nel settore siderurgico. In queste realtà spesso il manager risponde direttamente al proprietario, quindi non sono previsti percorsi di crescita; questo è ovviamente di meno appeal per il 40enne rampante.

Il plus della risorsa senior? La capacità di inserirsi in un contesto a basso turn over e forte coesione del gruppo, come può essere una piccola impresa; dove un profilo senior può integrarsi con facilità e dinamicità nel team manageriale e operativo.

a cura di Matteo Columbo Manager Technical Hunters

Con l’estate prendono piede i mestieri ‘dimenticati’

I mestieri di una volta, legati alla tradizione artigianale, spesso tramandati da padre in figlio, che hanno reso celebre il nostro Paese diventando vere e proprie eccellenze, vengono improvvisamente riscoperti in questa estate. Emerge dall’ultima indagine dell’Osservatorio Openjobmetis, agenzia per il lavoro, che analizza quanto segnalato dalla rete di 130 filiali sparse su tutto il territorio nazionale. Se sia in corso un ritorno al passato o si tratti solo di un effetto della crisi occupazionale è difficile dirlo. Tuttavia, dal calzolaio di Pontedera fino al falegname della Val di Sangro, nella nostra Penisola cresce la richiesta di quelle figure professionali delle quali sembrava essersi persa la memoria.

Il mercato del lavoro è tutt’altro che saturo – spiega Rosario Rasizza, amministratore delegato di Openjobmetis – di tutte quelle figure legate alla tradizione manifatturiera e produttiva italiana. Infatti, accanto ai profili più tecnici, sempre molto ambiti dalle aziende nostrane, come tornitori, fresatori e saldatori, stiamo registrando su tutto il territorio italiano una crescente richiesta di macellai, pasticceri, falegnami e calzolai. Mestieri, questi, che le generazioni più giovani raramente decidono di approcciare, ma che oggi registrano un maggiore dinamismo rispetto al recente passato. Forse stiamo assistendo – conclude Rasizza – a un cambio di mentalità, a una riscoperta delle nostre radici. Quello che è indubbio è che, in un contesto economico come quello attuale, emergono prima di tutto le eccellenze: per questo, sono i profili specializzati ad avere maggiori chance di trovare un posto di lavoro”.

Diverse le posizioni aperte nelle filiali Openjobmetis, da Nord a Sud: oltre ai falegnami della Val di Sangro, sono richiesti anche carpentieri a Castelfranco Veneto, operai addetti alla levigatura legno a Oderzo, maître a Milano, macellai ad Ascoli Piceno, fabbri a Roseto degli Abruzzi, calzolai a Empoli e Civitanova Marche, dove sono richiesti anche sarti con elevata esperienza.

Dall’indagine emerge, inoltre, che operai calzaturieri specializzati sono richiesti anche a Monsummano Terme e a Pontedera, dove si registra anche una carenza di maestri di confezione nel settore tessile. C’è poi bisogno di panettieri e pasticceri ad Alessandria, mentre ad Empoli e Prato sono numerose le richieste di personale qualificato per il comparto pelle.

Non solo tradizione, però. L’indagine evidenzia, parallelamente, un’altra tendenza: tra i profili più richiesti, infatti, si segnalano anche ingegneri meccanici ed elettronici e periti tecnici, tutti rigorosamente con voto di laurea alto e, nel caso dei periti, un’elevata specializzazione. Caratteristica vincente nel mercato del lavoro di oggi.