La Banca del Mezzogiorno aiuta le Pmi

Finalmente una buona notizia per le piccole e medie imprese del Sud. Si è infatti aperta la possibilità di richiedere alla Banca del Mezzogiorno mutui a copertura di un intero investimento realizzato. L’obiettivo è quello di incentivare lo sviluppo delle Pmi del Mezzogiorno con finanziamenti per investimenti appena effettuati o in fase di realizzazione a micro e piccole imprese.

Al momento la quota del finanziamento può arrivare fino a 500mila euro e sarà erogato dalla banca del mezzogiorno come un sostegno economico a favore delle piccole imprese. I tassi di interesse possono variare dal 4 all’8% e la copertura fino al 70% dell’investimento, grazie alla garanzia statale.

La linea impresa sarà in grado di offre due tipologie di finanziamento:
Impresa 50: un pacchetto finanziario che rilascia 50mila euro con un finanziamento della durata tra 18 e 60 mesi.
Impresa più: per la richiesta di finanziamenti più elevati, che possono raggiungere la cifra di 500mila euro e una durata massima di 96 mesi.

Imprese a terra? C’è chi ancora vuole investire

 

 

Saldo in attivo per le imprese italiane, da Nord a Sud dello stivale: le aziende che aprono i battenti superano ancora nel numero quelle che cessano l’attività. La conferma viene dal saldo del bimestre luglio-agosto: saldo positivo e pari a +9.668 unità, con un tasso di crescita dello 0,16%.

E la crisi? Se da un lato, secondo quanto emerge da una rilevazione di Unioncamere sui dati del Registro delle imprese delle Camere di Commercio, le iscrizioni sono state lievemente più numerose dello scorso anno (quasi 51mila a fronte di poco meno di 50mila di luglio-agosto 2011), dall’altro però hanno superato quota 41mila le cessazioni registrate nel bimestre estivo 2012, il dato peggiore dal 2009.

Bilancio positivo, ma l’ombra inquietante della crisi continua a oscurare le aziende italiane.

La crisi sta progressivamente erodendo la capacità di resistenza di tantissime nostre imprese – ha sottolineato Ferruccio Dardanello, presidente di Unioncamere, – anche se non spegne la voglia d’impresa di tanti italiani. L’elevato numero di cessazioni e il rallentamento della dinamica espansiva registrato nelle regioni settentrionali nel periodo estivo, suona come un campanello d’allarme delle condizioni difficili in cui sta vivendo il Paese e dello stato d’animo di incertezza dei nostri imprenditori”.

Ma qual è la mappa da Nord a Sud delle imprese che decidono di aprire?

Strano a dirsi, ma il rallentamento della crescita delle imprese ha colpito  le aree produttive maggiormente sviluppate: dal Centro-Nord, che presenta tassi di crescita più contenuti rispetto all’anno scorso, al Nord-Est la crisi sembra “raffreddare” l’anima imprenditoriale dei suoi abitanti. Anche se, va sottolineato, cresce l’indicatore della nati-mortalità di solo lo 0,07%, in contrazione dallo 0,18%  del 2011. Analoga sorte interessa Nord-Ovest e Centro, il cui tasso di crescita nel bimestre è pari allo 0,11%, in riduzione rispetto al +0,17% e +0,25% del 2011.

Segna un punto positivo invece il Mezzogiorno, dove l’indicatore della crescita (+0,28%) è in aumento rispetto a quanto registrato nel bimestre estivo 2011. A Napoli si contano addirittura quasi 2mila imprese in più rispetto a giugno 2011, mentre Palermo, Aosta e Salerno spiccano al vertice della classifica per tasso di crescita.  Maglia nera invece a Vicenza, con -86 imprese nel 2012, mentre in 16 province del Nord le cessazioni hanno superato le iscrizioni, generando così un saldo negativo.

Alla crisi le nuove imprese rispondono optando per una forma giuridica più strutturata: +0,42% l’incremento delle società di capitali, +0,52% le altre forme giuridiche, mentre modesti sono i tassi di incremento delle Ditte individuali (+0,09%) e delle società di persone (0,05%).

Dal punto di vista dei settori più svantaggiati, l’Agricoltura è in assoluto il settore che perde il maggior numero di imprese nel periodo (-416 imprese), mentre meno consistente è la riduzione che interessa il settore manifatturiero (-275 imprese). Saldo positivo ma in deciso rallentamento rispetto a luglio-agosto 2011 quello delle Costruzioni, settore che nel bimestre estivo 2012 aumenta di sole 83 unità, mentre frena la dinamica espansiva di tutti i settori dei servizi, in particolare delle Attività professionali, scientifiche e tecniche (736 le imprese nell’estate 2012 a fronte delle oltre 1000 registrate lo scorso anno). Fa eccezione la Sanità e assistenza sociale, in cui il saldo di 201 unità corrisponde a un tasso di crescita dello 0,59%, in aumento rispetto allo 0,41% del bimestre luglio-agosto 2011.

Alessia CASIRAGHI

Poste Italiane: ricerca e innovazione nel Mezzogiorno

 

Siglato un nuovo accordo tra  Poste Italiane, Cnr e Banca del Mezzogiorno allo scopo di semplificare e velocizzare i processi di ricerca e innovazione, in particolare nelle regioni del Sud. L’obiettivo è quello di integrare e mettere a disposizione dell’Italia “asset scientifici, tecnologici e finanziari che favoriscano lo sviluppo del tessuto imprenditoriale, in particolare nel Mezzogiorno“.

L’accordo quadro comprende una serie di obiettivi quali “la valorizzazione dei risultati dei progetti di ricerca, anche attraverso l’attivazione di finanziamenti specifici, la diffusione di strumenti finanziari di supporto alle imprese, la promozione di eventi e strumenti funzionali a rafforzare il trasferimento tecnologico soprattutto verso le Pmi, il sostegno alle pubbliche amministrazioni nelle fasi di valutazione dell’efficacia degli interventi“.

“Con questo protocollo – Luigi Nicolais ha sottolineato il presidente del Cnr,  – sperimenteremo una funzionale sinergia pubblico-privato capace di incidere sulle leve della valorizzazione dei risultati della ricerca“.

Ma come agiranno nel concreto i diversi enti firmatari dell’accordo?

Saranno coinvolti nella progettazione e attivazione di servizi a supporto delle Pa,  offriranno forme di partenariato e garanzia; non solo: saranno impegnati nella diffusione e crescita dell’innovazione nel tessuto produttivo, attivando una capillare rete informativa e di servizi a disposizione dei ricercatori e delle imprese.

Sarà possibile – ha aggiunto Nicolais – accelerare la ripresa economica del paese solo se i diversi attori dello sviluppo condivideranno strategie e percorsi gestionali capaci di fare emergere e valorizzare le potenzialità e le eccellenze presenti in ogni struttura“.

Questo accordo – ha concluso Massimo Sarmi, amministratore delegato di Poste Italiane – permetterà di valorizzare gli investimenti realizzati e di usare al meglio le nostre piattaforme tecnologiche e finanziarie, facilitando anche la nascita e la crescita di start-up, secondo criteri di progresso tecnologico e innovazione sociale. Dunque uno strumento importante per poter sfruttare al meglio, in tempi brevi, le ingenti risorse comunitarie disponibili”.

Microimprese: se il posto fisso non è più un miraggio

di Alessia CASIRAGHI

Il miraggio del posto fisso non sembra più così lontano. Almeno se si guarda alle microimprese. Sono loro infatti, dati alla mano, le aziende ad aver garantito nel 2011 ai propri dipendenti più sicurezze economiche e contrattuali. Termini ormai desueti come contratto a tempo indeterminato, posto fisso, stabilità economica tornano in auge se si guarda alle microimprese.

“Nel 2011 le imprese con meno di 10 dipendenti hanno offerto un lavoro a 4 persone su 10” si legge nella ricerca condotta da Fondazione Impresa, contro le grandi imprese, quelle con oltre i 250 dipendenti, che hanno garantito il posto a solo 2 italiani su 10.

Non solo: sono proprio le microimprese a garantire più stabilità con il 47% delle assunzioni non stagionali a tempo indeterminato, un dato superiore di 2 punti percentuali rispetto al dato complessivo (44,9%).

Dati alla mano, quello che sorprende è che sono proprio le piccole imprese del Mezzogiorno ad avere una propensione maggiore ad offrire il posto fisso: al primo posto troviamo la Sicilia (66,3%), seguita da Campania (63,5%) e Molise (61,9%). Nel Nord Italia capofila è il Veneto, con il 41,4% di assunzioni a tempo indeterminato per le microimprese.

Un dato in controtendenza se si pensa che nel terzo trimestre 2011 il tasso di disoccupazione registrato nel Mezzogiorno era pari al 12,4%, con picchi riguardanti la disoccupazione giovanile al 36,7%, e un tasso di inattività con punte del 49,6%.

Le microimprese non hanno paura di investire e appaiono il vero traino dell’economia in un momento di profonda crisi. “Le microimprese hanno già dimostrato di sostenere l’occupazione nel medio periodo e anche durante la crisi – confermano i ricercatori di Fondazione Impresa. – Nell’anno più buio, il 2009, hanno perso appena l’1% dell’occupazione mentre l’intero sistema delle imprese ha evidenziato una contrazione occupazionale doppia (-2%). E con le prospettive economiche di recessione per il 2012 la piccola impresa potrebbe continuare a rappresentare il vero ammortizzatore sociale dell’economia italiana”.

Riforma fiscale: le novità per le donne

Più spazio alle donne e ai giovani per superare l’attuale crisi. Sono queste le priorità espresse dal neopremier Mario Monti durante il suo discorso alle Camere, prima del voto di fiducia. L’obiettivo è trovare soluzioni che garantiscano un più facile accesso alle donne nel mondo del lavoro, in particolare per le mamme e le neomamme. Anche se è di oggi la notizia di un’infermiera che in 9 anni ha lavorato solo 6 giorni grazie a finte maternità, l’impegno di Monti è volto a trovare soluzioni alle “difficoltà di inserimento o di permanenza in condizione di occupazione delle donne”.

Ma quali sono le proposte?

Abbassare l’imposta pagata dalle lavoratrici, con corrispondente innalzamento per gli uomini, in modo da ridurre il costo del lavoro per le aziende che assumono donne. Questa iniziativa dovrebbe favorire l’accesso al mondo del lavoro da parte delle donne. Alzando di un punto percentuale l’Irpef degli uomini e abbassando corrispettivamente quella femminile si avrebbe un gettito fiscale invariato, ma di stimolo per l’assunzione “in rosa”. L’idea alla base d questo progetto nasce da un lavoro di due economisti, Alberto Alesina e Andrea Ichino.

Numerosi i riscontri favorevoli a questa iniziativa: l’aumento dell’imponibile sul lavoro maschile incrementa il gettito fiscale, ma non intacca la forza lavoro degli uomini, non causando cioè licenziamenti. Dall’altro lato, se si aumenta il numero delle donne impiegate a un’aliquota inferiore, si assiste ad una riduzione del costo del lavoro per le aziende, laddove il gettito fiscale rimarrebbe invariato.

Esistono però dei limiti a tale proposta. La disoccupazione femminile in Italia, la più alta in Europa, non è legata al costo del lavoro, ma è quanto più un deficit di tipo culturale. Il rischio per un’azienda che decida di assumere una donna al posto di un uomo è che la donna potrebbe lasciare temporaneamente il posto di lavoro per maternità. Inoltre, i maggiori problemi legati alla disoccupazione femminile sono riscontrabili nel Mezzogiorno, dove le famiglie in cui lavoro solo l’uomo sono più numerose. Un aumento dell’imponibile sul lavoro maschile colpirebbe dunque la capacità di spesa delle famiglie.

Una medaglia dalla doppia faccia, dunque la proposta avanzata dal nuovo governo Monti. Più facilmente attuabili appaiono invece le iniziative legate al sostegno alla famiglia per favorire il rapporto tra donne e lavoro. Qualche esempio? Garantire un accesso più facile agli asili nido e allungare il tempo scolastico. Ma siamo appena all’inizio, e la sfida si preannuncia difficile.

Alessia Casiraghi

Finanziamenti per un’impresa su due

Sono più di un terzo le imprese che nel 2011 hanno dichiarato di aver ottenuto da parte delle banche un finanziamento inferiore a quanto richiesto, se non, nei casi peggiori, di non averlo ottenuto per niente. Secondo quanto rivela l’Osservatorio sul credito per le imprese del commercio, del turismo e dei servizi, pubblicato da Confcommercio sarebbero il 34,4% le imprese che nell’ultimo trimestre del 2011 denunciano di non aver potuto accedere ad alcuna forma di finanziamento, in aumento rispetto ai tre mesi precedenti, quando la percentuale raggiungeva quota 29,6%. Diminuisce quindi il numero delle PMI che riescono ad ottenere il finanziamento richiesto-  dal 55,8% al 49,8% – praticamente un’impresa su due.

I dati raccolti rivelano poi che le imprese maggiormente sfavorite si trovano nel Nord-Est e nel Mezzogiorno. A completare il quadro il peggioramento di tutti gli indicatori relativi all’offerta di credito: costo del finanziamento, costo dell’istruttoria e delle altre condizioni, durata dei finanziamenti, garanzie richieste.

Ma quante e quali sono le imprese che necessitano di ricorrere a un finanziamento in Italia?
Le imprese del terziario per far fronte al proprio fabbisogno finanziario si trovano costrette a richiedere un aiuto economico: nel terzo trimestre del 2011 solo il 49,2% ha dichiarato di non essere ricorso ad un finanziamento, mentre il 35,7% ha accusato qualche difficoltà o ritardo nei pagamenti. Risultato: il 15,1% delle imprese del terziario ha manifestato la propria necessità di ricorrere ad un aiuto economico per far quadrare i conti a fine trimestre. A registrare maggiori difficoltà sono state le microimprese e quelle operative nelle regioni del centro e del sud Italia.

Le previsioni per il quarto trimestre peggiorano ulteriormente il quadro, facendo registrare un saldo pari a -2,7. A manifestare maggior preoccupazione le imprese attive nel commercio, in particolare gli esercizi operativi nelle grandi aree metropolitane.

Resta stabile la percentuale (22%) delle imprese del terziario che nel terzo trimestre del 2011 si sono rivolte alle banche per chiedere un finanziamento o la rinegoziazione di un finanziamento già in atto. Occorre sottolineare però che nel terzo trimestre è diminuita la percentuale delle imprese che ottengono il credito con un ammontare pari o superiore rispetto alla richiesta: sono state il 49,8% contro il 55,8% del trimestre precedente. Ovvero meno della metà.

E’ aumentata l‘area di irrigidimento che ha colpito nei mesi scorsi, con riferimento a luglio, agosto e settembre, il 34,4% delle imprese contro il 29,6% del trimestre precedente.

A.C.

A Milano gli Stati Generali del Commercio

“E’ ora di reagire. Il tempo è scaduto ed è l’ora delle scelte”. E’ intriso di pragmatismo e necessità di un’azione forte e immediata l’ultimatum lanciato al Governo da Confcommercio, riunito a Milano per gli Stati Generali del Commercio.

Per la rinascita dell’Italia si richiedono “scelte necessarie per controllare e ridurre la spesa pubblica, – si legge nel documento presentato da Confcommercio – e per contrastare e recuperare evasione ed elusione. Ponendo, così, le basi per una progressiva riduzione di un livello di pressione fiscale divenuto ormai intollerabile”. Il vero monito va al Governo: “sappiamo che occorreranno ancora sacrifici. Ad essi non ci sottrarremo. Ma a condizione che si renda chiaro che questi sacrifici verranno ripagati con il ”dividendo” delle scelte necessarie per il futuro dell’Italia”.

Il tempo della partita è scaduto. Confcommercio ribadisce la necessità di lavorare con ”serietà e rigore nell’affrontare e nel risolvere nodi strutturali di lungo corso.

Punto primo: “liberare risorse destinate agli investimenti infrastrutturali ed al capitale sociale ed umano”, solo così l’Italia sarà in grado di competere ad armi pari in ogni mercato”.

Punto secondo: “riformare politica ed istituzioni. Rinnovando, così, l’etica pubblica e riguadagnando il rispetto e la fiducia dei cittadini”. Secondo la Confederazione ”per accelerare la dinamica del ritorno alla crescita, occorre fare tesoro della lezione principale della crisi, cioè della rivalutazione delle ragioni dell’economia reale e del lavoro”. In particolare, si legge nel documento di Confcommercio “occorre rafforzare la capacita’ competitiva del sistema di impresa diffusa, con regole, politiche e risorse che ne sostengano competitività, produttività e crescita. Tenendo presente, in particolare, che oggi le imprese dei servizi di mercato contribuiscono alla formazione del valore aggiunto e dell’occupazione in misura superiore al 50% del totale”.

E rivolto alla classe politica italiana, Confcommercio ribadisce ”è necessario un rilancio delle riforme istituzionali, a partire dalla riduzione dei costi della rappresentanza politica, così come è indispensabile ancorare a solidi principi di riferimento l’attuazione del federalismo fiscale”. Altro cancro per l’Italia l’evasione e dell’elusione fiscali che si combattono “riducendo le aliquote di prelievo fiscale senza traslare la pressione ‘dalle persone alle cose’. Occorre, poi, procedere a coraggiose alienazioni di patrimonio pubblico per ridurre il debito e finanziare la spesa pubblica strategica per il futuro del Paese”. L’ulteriore e ”fondamentale impegno” che oggi Confcommercio chiede ”è quello di una vera e propria politica per i servizi, fatta di semplificazioni, di flessibilità governata e contrattata nel mercato del lavoro, di sostegno all’innovazione e di liberalizzazioni”.

Sul fronte delle infrastrutture la confederazione chiede, inoltre, ”una compiuta attuazione della riforma che liberalizza le attività di autotrasporto e logistica; l’adozione di un Patto e un Piano Nazionale per la mobilità urbana; un’effettiva liberalizzazione del mercato del trasporto ferroviario; una strategia di riordino e razionalizzazione del trasporto aereo; lo sviluppo dei trasporti marittimi e delle autostrade del mare, potenziando nel contempo le infrastrutture portuali e retroportuali e i loro collegamenti con il territorio”.

Ultimo nodo cruciale per il destino economico dell’Italia, il Mezzogiorno: la priorità per il Sud è di ”perseguire pochi e fondamentali obiettivi strategici, privilegiando la costruzione di condizioni di contesto che consentano una maggiore produttività delle imprese e del lavoro. Servono incentivi automatici e fortemente selezionati per le attività d’impresa, e occorre rafforzare le infrastrutture con particolare attenzione alla logistica urbana”.

A.C.

Mercato del lavoro: “diamo i numeri” sulle nuove assunzioni

Unioncamere e Ministero del Lavoro rivelano che le assunzioni programmate per il trimestre ottobre-dicembre 2011 saranno pari a 91.800.

Tante? Poche? Certamente in numero inferiore rispetto a quelle dello scorso 2010  se badiamo alle assunzioni non stagionali; un dato in aumento, invece, se stiamo ai numeri di quelle stagionali.

A rivelarlo è un’indagine trimestrale del Sistema Informativo Excelsior svolta sulla richiesta di lavoratori dipendenti delle imprese industriali e terziarie che, però, ha registrato per l’ultimo trimestre del 2011 un calo di circa 2.000 assunzioni rispetto al medesimo periodo del 2010.

La difficoltà maggiore ad assumere si colloca nelle aree del Nord-Est, dove si concentrano le piccole imprese maggiormente esposte agli andamenti del mercato; e nel Mezzogiorno, dove la domanda interna è sempre più stagnante.

Ad essere avvantaggiati, invece, soprattutto i giovani sotto i 30 anni, con una stima che si aggira attorno alle 31.400 assunzioni previste.

A pagare il solito scotto, però, sono le donne: hanno solo 15.400 richieste di assunzioni.

Stando alle nostre fonti, l’avvicinarsi del periodo natalizio dovrebbe accrescere la domanda di lavoro stagionale, soprattutto per il settore alimentare e del commercio.

Staremo a vedere.

A.C.

Libertà d’impresa: bisogna mettere mano all’articolo 41 per liberare l’economia

Oggi (9 febbraio 210) nell’agenda politica di Roma c’è una riunione straordinaria del Consiglio dei Ministri. L’obiettivo? Cercare finalmente di finalizzare il pacchetto per lo sviluppo economico. Il punto di partenza pare essere ben chiaro: modificare l’articolo 41 della Costituzione.

art.41 – L’iniziativa economica privata è libera. | Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. | La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.

 Seconda mossa sarà quella della ridiscussione del federalismo, che è senza dubbio il nodo che lega il patto tra Pdl e Lega e che quindi tiene in piedi la maggioranza.

Secondo il Governo Berlusconi, mettere mano all’articolo 41 servirà a liberare l’economia dai lacciuoli burocratici che spesso rendono defatigante avviare una impresa sancendo, con una aggiunta o una riscrittura della Carta Costituzionale, il valore della libertà di impresa. Se per il premier agire sulla Costituzione, nonostante i tempi parlamentari della doppia lettura di entrambe le Camere, è l’unico modo per tagliare il nodo gordiano della burocrazia e favorire lo sviluppo economico lo si capirà nel prossimo Consiglio dei Ministri che dovrà esaminare anche altri due capitoli del pacchetto: il Mezzogiorno e il piano casa. Infatti per cercare di riallineare il Paese bisogna far partire le opere infrastrutturali per il Sud e cercare di dare una spinta per nuove costruzioni come previsto dal piano casa previsto fin dall’inizio della legislatura. Insomma, cari lettori, come avrete capito, c’è da fare. Tanto. Il Governo ha da svegliarsi, uscire dai chiacchiericci, rimboccarsi le maniche e mettersi seriamente a lavorare per il bene del Paese. Per il bene dell’Italia che produce.