Trump presidente, per le imprese nulla cambia

Trump presidente? Nessun problema per le imprese, almeno per quelle milanesi e lombarde che ritengono che l’elezione del magnate americano non porterà conseguenze per il loro business.

C’è ottimismo: per il 21% delle imprese gli affari miglioreranno, contro il 13% che si aspetta conseguenze negative e il 27% stabilità rispetto ad ora. La crescita, per uno su cinque che mostra ottimismo, sarà del 5-10%.

Le imprese avrebbero preferito una vittoria della Clinton (36%) rispetto a Trump (27%), ma il 25% avrebbe voluto qualcun altro al loro posto. Per la maggior parte degli imprenditori, la presidenza di Obama non ha aiutato gli scambi con l’Italia come era previsto (per il 28% non ha aiutato, per il 13% meno del previsto, rispetto al 27% per cui è stata una presidenza favorevole).

Sono dati che emergono da un’indagine di Camera di commercio di Milano insieme all’azienda speciale Promos su circa 200 imprese lombarde attive sui mercati esteri, la maggior parte verso gli Usa, al 9 e 10 novembre 2016, subito dopo l’elezione di Donald Trump.

Un mercato in crescita quello degli Stati Uniti, per il 33% più attrattivo di otto anni fa contro il 15% che lo ritiene meno attrattivo. Il 65% vorrebbe incrementare i rapporti con gli Usa. Per il 75% circa sono un mercato interessante per i loro prodotti.

Sono 1193 le multinazionali americane in Lombardia e danno 135mila posti di lavoro, con 49 miliardi di fatturato all’anno. Gli Usa pesano una vendita all’estero su sei per la Lombardia (16,2%) e sono circa 8mila le imprese lombarde che esportano verso gli Usa, di cui 3 mila a Milano, quasi mille a Brescia, Bergamo, Monza e Varese. Quasi 200mila le operazioni di export realizzate in un anno con gli Stati Uniti.

La Lombardia negli scambi con gli Stati Uniti ha totalizzato 5,5 miliardi di euro di import-export nei primi sei mesi del 2016. Con 1,6 miliardi di import e 3,8 miliardi di export, la Lombardia pesa il 23% dell’import nazionale verso l’America e il 21,2% dell’export. Sono dati che emergono da un’elaborazione della Camera di commercio di Milano sui dati Istat. Tutto questo cambierà con l’arrivo di Trump? Difficile crederlo…

Apprendisti, merce rara

Gli apprendisti erano e sono la ricchezza di ogni bottega artigiana. Purtroppo, però, negli ultimi anni il loro numero, in Italia, è crollato in maniera preoccupante. Secondo un’analisi dell’Ufficio studi della Cgia, tra il 1970 e il 2015 il numero degli apprendisti è sceso del 43%: da 721mila a 410mila.

Gli artigiani mestrini segnalano come questi dati, nonostante siano condizionati dalle crisi economiche che, negli ultimi 45 anni, hanno toccato l’Italia e dalle novità legislative sull’apprendistato susseguitesi con i vari governi, siano comunque spia di un deciso calo sul lungo termine.

Nel contratto di apprendistato la prestazione lavorativa va di pari passo con l’obbligo del datore di lavoro di fornire agli apprendisti la formazione necessaria per apprendere un mestiere e per conseguire la qualifica.

Al momento sono tre le tipologie di contratto di apprendistato in vigore:

  •  apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale;
  •  apprendistato professionalizzante o contratto di mestiere;
  •  apprendistato di alta formazione e di ricerca.

Il 90% circa degli apprendisti è però assunto con un contratto professionalizzante.

Particolarmente colpito dal calo del numero di apprendisti è l’intero settore dell’artigianato. Dal 2009, gli apprendisti occupati nelle aziende artigiane sono calati del 45%, principalmente al Sud (-61%), poi al Centro (-44%), al Nordovest (-43%) e al Nordest (-33%).

Tra il 2009 e il 2015, la contrazione media a livello nazionale degli apprendisti è stata del 31%.

Se si guarda ai settori produttivi, il calo più rilevante del numero di apprendisti è avvenuto nelle costruzioni, settore martoriato dalla crisi: tra il 2009 e il 2015 il calo è stato del 65%. Non se la passano bene neppure le attività finanziarie (-54%), il commercio (-34%) e i trasporti (-33%).

Commenta il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeo: “Al di là della necessità di rilanciare la crescita e conseguentemente anche l’occupazione, è necessario recuperare la svalutazione culturale che ha subito in questi ultimi decenni il lavoro artigiano. E’ vero che attraverso le riforme della scuola avvenute in questi ultimi anni, il nuovo Testo unico sull’apprendistato del 2011 e le novità introdotte con il Jobs act, sono stati realizzati dei passi importanti verso la giusta direzione”.

Imprese femminili in crescita

Le imprese femminili sono una realtà in crescita un po’ in tutta Italia ma in una regione come la Lombardia hanno fatto, come si suol dire, il botto. È stato infatti negli ultimi 6 anni lo slancio delle imprese guidate da una donna, con 62mila imprese femminili nate in questo periodo, quasi la metà delle esistenti (40%).

A queste si aggiungono le 49mila che hanno circa 10 anni e le 24mila che ne hanno circa 20. Invece, sono 2807 le imprese femminili ultracinquantenni, nate prima del 1966. È quanto emerge da un’elaborazione della Camera di commercio di Milano sui dati del registro imprese al terzo trimestre 2016.

A Milano il lavoro è sempre più declinato al femminile. In una citta dove il 65% delle donne tra i 20 e i 64 anni è occupata, iniziative come il GammaForum possono rappresentare un osservatorio privilegiato da cui partire per comprendere come sia cambiano il mondo del lavoro per l’universo femminile”. Così l’Assessore alle Politiche per il Lavoro, Attività produttive e Commercio del Comune di Milano, Cristina Tajani.

Un tasso crescente che – secondo Federica Ortalli, Presidente del Comitato IF della Camera di Commercio di Milano – si spiega senz’altro con un più diffuso supporto pubblico all’iniziativa economica delle donne, che trovano spesso nel fare impresa una risposta alla mancanza di soluzioni occupazionali, oltre che una strategia per conciliare lavoro e famiglia”.

A questi dati delle imprese femminili si sommano quelli relativi alla spinta data all’economia italiana dalle imprese costituite dagli under 35 tout court ,che rappresentano il 54,1% del saldo complessivo delle imprese italiane.

Piacere, Mohamed Brambilla

La diffusione di imprese guidate da extracomunitari è ormai una tendenza in atto da tempo, grazie all’ingrandirsi dei fenomeni migratori. Una diffusione che porta anche ad alcuni fenomeni curiosi.

Secondo quanto emerge da un’elaborazione della Camera di commercio di Milano su dati del registro imprese relativi alle imprese individuali, con sede nel territorio metropolitano di Milano, iscritte nel periodo 1 gennaio-31 agosto 2016, in questo periodo Mohamed è il nome più diffuso tra i titolari di impresa a Milano.

Oltre un imprenditore su 40, tra quelli che hanno aperto un’attività iscrivendola in Camera di commercio, nei primi 8 mesi del 2016 si chiama Mohamed. Sono 209 su quasi 7.200 titolari di imprese individuali nate nell’area di Milano.

Tra gli stranieri, oltre a Mohamed, sono molto presenti anche Ahmed (78 titolari) e Ibrahim. Tra i cognomi cinesi, invece, il più diffuso è Hu, con 64 titolari, seguito da Chen (42) e Wang (24), Zhang, Liu e Zhou (22).

Oltre ai Mohamed, ai Pedro e agli altri, vi sono anche, naturalmente, molti imprenditori dal nome italiano. Tra i nomi più diffusi vi sono, Andrea (155 titolari), Marco (131 titolari), Francesco (119 titolari), Luca e Alessandro (114 titolari). Maria è il primo nome femminile in classifica, presente 108 volte.

Per quanto riguarda i cognomi italiani, vi sono 15 Colombo che hanno aperto un’impresa individuale, 12 Rossi, 11 Cattaneo, 10 Russo, 6 i Bianchi e 6 Barbieri.

E il mitico Brambilla? Solo in 7 hanno aperti un’impresa a Milano nel 2016. Aspettando il primo Mohamed Brambilla…

Start up innovative, un po’ di chiarezza

Che cosa sono le startup innovative? Sono società di capitali, costituite anche in forma cooperativa, che hanno come oggetto sociale esclusivo o prevalente lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico.

Non sono molti i requisiti da possedere per essere una start up innovativa:

  • sede principale in Italia o in uno Stato Ue o Eea (Spazio economico europeo);
  • sede produttiva o filiale in Italia;
  • costituite da non più di 60 mesi;
  • ultimo bilancio non superiore a 5 milioni di euro;
  • non distribuire utili;
  • non nascere da fusione, scissione o cessione di ramo di azienda.

Inoltre devono avere almeno una di queste caratteristiche:

  • spese in ricerca e sviluppo maggiori o uguali al 15% del maggiore valore tra costo e valore totale della produzione;
  • almeno i 2/3 dei dipendenti o collaboratori con laurea magistrale oppure 1/3 di dottorati, dottorandi o laureati con almeno tre anni di attività di ricerca certificata o almeno un brevetto o privativa industriale.

Detto questo, i vantaggi che derivano dall’essere una start up innovativa sono diversi, purché si sia iscritti nell’apposita sezione speciale del Registro delle Imprese:

  • agevolazioni fiscali per le pratiche del Registro delle Imprese;
  • disciplina societaria flessibile;
  • disciplina su misura per i rapporti di lavoro a tempo determinato;
  • facilitazioni burocratiche (possibilità di costituzione della start up innovativa in forma di srl con procedura semplificata);
  • accesso semplificato, gratuito e diretto al Fondo di Garanzia per le Pmi;
  • equity crowdfunding;
  • non assoggettamento alla procedura di fallimento.

Oltre a questo, ci sono anche i vantaggi della procedura semplificata per la costituzione di una start up innovativa in forma di Srl con modello tipizzato: è infatti possibile utilizzare una procedura semplificata, che prevede per la stipula di atto costitutivo e statuto l’utilizzo di un modello standard tipizzato avvalendosi della piattaforma online disponibile su startup.registroimprese.it. In alternativa, atto costitutivo e statuto possono essere redatti con l’assistenza diretta della Camera di commercio.

In Italia, è Milano la capitale delle start up che fanno innovazione: con 842 imprese, il 13,2% del totale nazionale che è di 6.362, è il primo comune italiano per concentrazione di start up innovative, seguito dalla città di Roma con quasi 505 (7,9%) e Torino con 260 (4,1%). Alle start up innovative si aggiungono le 37 Pmi innovative, quasi una su sette (13,8%) tra quelle registrate in Italia (268). Oltre l’80% delle start up e Pmi innovative milanesi opera nei servizi, in particolare nella produzione di software (37% delle start up) e nell’informazione (14%), il 9% nell’industria, soprattutto fabbricazione di computer e macchinari. Quasi una start up innovativa milanese su otto (11,5%) è femminile, una su cinque (19,5%) in mano a giovani ed oltre una su undici (9,4%) è attiva in ambito energetico. Emerge da un’elaborazione Camera di commercio di Milano su dati del registro imprese a ottobre 2016.

Festività dei defunti e imprese, qualche numero

Oggi è la ricorrenza dei defunti, festività religiosa che coinvolge un settore d’impresa assai diffuso sul territorio italiano. Una delle regioni nelle quali la ricorrenza dei defunti coinvolge più imprese è la Lombardia, come ha potuto constatare la Camera di commercio di Milano.

Secondo un’elaborazione effettuata dalla Camcom meneghina sui dati del registro imprese a giugno 2016 e 2015 relativi alle localizzazioni, tra sedi di impresa e unità locali, sono 1.836 le imprese funebri attive in Lombardia nel 2016 su 12.540 presenti in Italia, il 14,6% del totale nazionale.

Nel settore funerario e dei defunti, sono soprattutto pompe funebri (1.485 attività) ma ci sono anche 351 attività nel commercio al dettaglio di articoli funerari e cimiteriali. Un comparto che cresce in regione dell’1,5% tra 2015 e 2016 e del 2,2% in Italia.

Milano è prima in regione con 503 attività, +3,3% in un anno, e un peso del 27,4% sul totale regionale. Seguono Brescia (309 attività, 16,8%), Bergamo (195, +2,6%) e Varese (158). Sopra le cento attività anche Pavia, Mantova e Monza e Brianza, provincia nella quale, in un anno, si è registrata la crescita più elevata, +6,5%.

E, quando si parla di ricorrenza dei defunti, non si può non parlare del mercato dei fiori, nel quale si conferma la stabilità nei prezzi. Come da tradizione, il fiore più acquistato per la festa dei defunti è il crisantemo (prezzi stabili compresi tra 1,50 e 2,50 euro). Lo rilevano l’Associazione giardinieri, floricoltori, fiorai e pulitori dei cimiteri e l’Associazione dettaglianti fiori e piante aderenti a Confcommercio Milano. Secondo la qualità, il prezzo di un mazzo di crisantemi (7 rami) può variare dai 10 ai 30 euro.

Terremoto, le imprese e i comuni in ginocchio

L’Italia continua a essere scossa e devastata dal terremoto e anche le imprese sono in forte difficoltà a causa del sisma. Sono 7.378 le imprese dei comuni più coinvolti dal terremoto di questi giorni, nelle aree soprattutto di Macerata e Perugia.

Una economia prevalentemente agricola (30%) e industriale (industria 9% e costruzioni 16%), ma in cui cresce il settore turistico (+8%). L’agricoltura perde il 10% in cinque anni, l’industria il 9%, le costruzioni il 17%.

Il commercio tiene con un -3%, mentre crescono alberghi e ristoranti +8% e pesano oggi il 7% di tutte le imprese, nonostante il terremoto. Crescono i servizi alle imprese di circa il 10%. Le imprese in totale sono in calo del -0,6% in un anno e del -6,6%, 525 in meno, in cinque anni. Emerge da un’elaborazione della Camera di commercio di Milano sui dati del registro delle imprese al terzo trimestre 2016, 2015 e 2011, sulle zone colpite dal terremoto in questi giorni, secondo alcuni comunicati della Protezione Civile.

Sono 239.917 le imprese nei comuni più soggetti a terremoti in Italia, il 5% dei circa 5 milioni di imprese italiane con 439mila addetti, il 3% del totale nazionale e un fatturato da 26 miliardi. Economia in ripresa, con circa 1.000 imprese in più un anno grazie al turismo. Sono infatti 400 le imprese in più nel settore alloggio e ristorazione, +2,5%.

Rispetto al dato nazionale si tratta di un’economia più agricola (24% delle imprese dell’area, il 9% in più che in Italia) e commerciale (primo settore con 30% delle imprese dell’area, il 2,7% in più che in Italia). Minore il peso delle costruzioni (12,4%, il 2,3% in meno della media italiana) e del manifatturiero (8%, 1,7% in meno).

Anche questi dati emergono da un’elaborazione della Camera di commercio di Milano sui dati del registro delle imprese al secondo trimestre 2016, 2015 e 2011, sulle zone sismiche, livello 1, secondo la classificazione sismica al 2015 della Protezione Civile.

L’economia di queste aree soggette a terremoto è aumentata nell’ultimo anno di circa mille imprese, +0,4% rispetto al +0,2% in Italia. In crescita anche gli addetti, + 5% dai 418mila di un anno fa. Una ripresa che si stava verificando e che interrompeva il calo di imprese in cinque anni, 6mila in meno del 2011.

Primi comuni per numero di imprese nelle aree più soggette a terremoto sono: Messina con quasi 14mila, Reggio Calabria con circa 13mila, Cosenza, Lamezia Terme (CZ) e Potenza con 6mila, Benevento e Foligno (PG) con circa 5mila.

Primi comuni per fatturato: Messina e Melfi (PZ) con quasi due miliardi, Benevento, Osoppo (UD), Foligno (PG) e Potenza con oltre un miliardo. Tra i Comuni con maggiore crescita di imprese in cinque anni: Reggio Calabria con 600 imprese in più, Lamezia Terme e Rende (CS) con 400. Tra quelli meno grandi: Viggiano (PZ, +17%), Pozzilli (IS) e Zumpano (CS, +12%), Falconara Albanese e Pedace (CS, +20%).

Conto alla rovescia per il Salone Franchising Milano

Prosegue nel 2016 la crescita del franchising, una crescita non impetuosa, ma costante negli ultimi due anni: il primo semestre del 2016 fa segnare infatti un aumento del fatturato dello 0,5% rispetto allo stesso periodo del 2015.

I settori trainanti sono l’abbigliamento, che segna + 2,3% del fatturato, e il food con il + 2%.
Il fatturato del franchising nel 2015 è di 23 miliardi di euro: un settore che conta 950 aziende franchisor e 51mila negozi in affiliazione, dà lavoro a 188mila persone e si riunirà nel tradizionale incontro annuale, il 31esimo Salone Franchising Milano, dal 3 al 5 novembre 2016 a Fieramilanocity.

Le merceologie più ricercate dai potenziali affiliati nel 2016 sono: abbigliamento (25%, con un aumento del 9% già nel primo semestre 2016), food (28,3%), servizi ai privati, cioè i servizi a domicilio o in negozio per la cura della persona (11,7%), commercio specializzato (12,5%), articoli per la persona (14%), servizi per le imprese (2,5%), prodotti per la casa (3,5). In crescita rispetto al 2015 anche le donne, +5,5%, e i giovani under 35,+10%.

Cresce l’abbigliamento specializzato, come intimo, camicerie, calze – ha commentato Antonio Fossati, Presidente del Salone – ed il food altrettanto specializzato, si vedano i negozi per celiaci, vegetariani, i ristoranti a tema, le friggitorie e le pizzerie. Ma oltre ai grandi brand del franchising stanno crescendo anche franchisor che riscoprono i vecchi mestieri (sartoria, macelleria, pasticceria) e li ripropongono al grande pubblico”.

“Altra novità interessante è il Social Franchising – ha aggiunto Fossati – cioè l’applicazione del modello franchising a servizi di utilità sociale come centri per disabili, tossicodipendenti, anziani. Una visione supportata anche dalla Comunità Europea. Il franchising si conferma dunque come settore sempre innovativo, utile alle aziende e naturalmente a chi vuole diventare imprenditore di sé stesso”.

Torna il turismo nel Ponte dei Santi

Confermate le partenze per il ponte dei Santi, in linea con lo scorso anno. Per quasi un’agenzia su cinque i clienti partono molto, per altrettante abbastanza. Un viaggio soprattutto per le coppie, verso le città d’arte o al mare.

Prime mete del ponte dei Santi Roma e Firenze e il mare toscano in Italia, Londra, Madrid e le isole in Spagna. La maggior parte per un week end allungato, ma uno su tre prende l’intera settimana di vacanza. Contenuta la spesa intorno ai 500 euro per il ponte dei Santi. Emerge da un’indagine della Camera di commercio di Milano su una decina di agenzie di viaggio e da una elaborazione sui dati del registro imprese.

Sono 15.441 le imprese del settore attive a livello nazionale. Roma è prima con 1.942 attività (+2,8% in un anno), seguita da Milano con 1.122 imprese e Napoli con oltre 1.000. Poi Torino, Firenze e Bari.

Sono oltre 2.400 le imprese in Lombardia che si occupano di organizzare viaggi e di assistenza turistica, il 15,7% del totale italiano di settore. Un settore stabile tra 2014 e 2015 che Milano cresce dello 0,4%, toccando quota 1.122 imprese. Vengono poi Brescia con 287 imprese, Bergamo con 209, Varese con 177 e Monza e Brianza con 166. In un anno cresce soprattutto Sondrio (+4%). Emerge da un’elaborazione della Camera di commercio di Milano su dati registro imprese al 2016 e 2015.

Ha dichiarato Luigi Maderna, presidente Fiavet Lombardia, Associazione regionale delle agenzie di viaggio aderente a Confcommercio Milano: “Positivo l’andamento della breve vacanza nel ponte dei Santi, che segna una differenza nel business e nelle prenotazioni delle agenzie. I milanesi cercano una breve sosta dal lavoro, un clima marino più mite dopo un autunno più rigido e piovoso del solito, oppure un momento culturale per visitare città e musei. Milano è ancora abbastanza richiesta e continua a suscitare l’interesse dei turisti”.

Digitalizzazione imprese e Industria 4.0

La più grande sfida per la digitalizzazione delle imprese italiane sembra essere quella dell’ Industria 4.0. Una rivoluzione che, nel nostro Paese, dovrebbe trovare terreno fertile, dal momento che si inserisce nel campo del manifatturiero che è la spina dorsale della nostra economia.

Il made in Italy, quello della tradizione, grazie al digitale e all’ Industria 4.0 si rinnova e può portare ad un nuovo made in Italy, in un processo che, si stima, nel 2020 farà generare al manifatturiero italiano almeno il 20% del Pil.

Per questo, alcune realtà hanno cominciato a muoversi come dimostra, per esempio, il caso di Fabbrica 4.0, progetto di Confindustria Servizi Innovativi che ha l’obiettivo di promuovere l’utilizzo del digitale nel manifatturiero attraverso diversi passaggi tipici dell’ Industria 4.0: reingegnerizzazione dei processi, utilizzo del cloud, stampa 3D, la manifattura additiva.

Quello di Confindustria Servizi Innovativi è solo uno dei tanti progetti che, si spera, potranno portare presto l’Italia sulla strada dell’ Industria 4.0. E, per rinfrescarci la mente, rivediamo insieme, in sintesi, che cosa c’è alla base di questa “quarta rivoluzione industriale”.

Intanto bisogna ricordare che l’espressione Industria 4.0 deriva dall’omologa tedesca Industrie 4.0, coniata in Germania dall’associazione di ingegneri Vda. La Germania, infatti. È la patria dell’ Industria 4.0, ormai da anni al centro delle strategie produttive nazionali.

Uno dei pilastri fondativi dell’ Industria 4.0 insieme ai Big Data (la raccolta, la razionalizzazione e l’analisi di una ingente mole di dati in tempi molto rapidi) e al Cloud Computing (disponibilità di dati in remoto, accessibili ovunque e sempre tramite web) è l’Internet of Things, (IoT, internet delle cose). In sostanza, l’IoT è la tecnologia che consente di connettere in rete tra loro e far dialogare tanto gli oggetti di uso quotidiano (dal frigo alla lavatrice), quanto le macchine di sistemi produttivi industriali complessi.

Proprio l’applicazione di queste tre componenti alla produzione industriale farà in modo che i processi aziendali diventino più rapidi, economici e razionali. Le macchine non si limiteranno a produrre, ma diventeranno dei veri server in grado di immagazzinare dati, rielaborarli e inviare alle varie unità dell’azienda informazioni in tempo reale sullo stato dei processi produttivi, in modo da variarli e renderli più efficaci se necessario.