Industry 4.0, a che punto siamo?

Si è tenuta nei giorni scorsi, nella sede di API (Associazione Piccole e Medie Industrie), la prima tavola rotonda organizzata dall’Associazione relativa a Industry 4.0 e smart factory. Sul tema della quarta rivoluzione industriale, al tavolo dei relatori sono intervenuti Paolo Galassi, presidente API, Giovanni Anselmi, responsabile dell’Osservatorio Pmi 4.0, Mario Levratto, head of marketing and external relations di Samsung Electronics Italia e Italo Moriggi, fondatore di Skorpion Engineering S.r.l.

Un incontro per approfondire la situazione congiunturale del tessuto industriale attuale, dando all’ Industry 4.0 il volto dei piccoli e medi imprenditori lombardi per cui IoT (Internet of Things) e 4.0 non sono una moda ma la realtà quotidiana.

L’intento della tavola rotonda di è stato quello di delineare uno scenario su come le Pmi si stanno aprendo agli importanti cambiamenti della quarta rivoluzione industriale, evidenziando le modalità con cui le imprese trasformano la produzione nell’ottica della smart factory, con un focus sulle risorse – informatiche e umane – necessarie per aprirsi all’ Industry 4.0 e sui benefici attesi nei diversi processi aziendali.

Più del 24% delle nostre aziende associate prevede di evolversi verso l’informatizzazione dei sistemi di fabbrica nei prossimi 5 anni – ha commentato il presidente di API Paolo Galassi -. In virtù di questo crescente interesse nei confronti della manifattura del futuro, Samsung e Skorpion sono esempi concreti di Industry 4.0”.

In tal senso, Mario Levratto di Samsung Electronics Italia ha illustrato come, grazie alle tecnologie Samsung appositamente sviluppate per l’ntegrazione di macchinari già in uso con dispositivi di nuova generazione, sia possibile massimizzare investimenti e produttività.

Al modello Samsung si è affiancato il caso di successo di Skorpion Engineering, associata API di Segrate che da più di 15 anni opera nell’ambito della prototipazione e delle tecnologie additive, facendo della stampa 3D il suo core business.

Giovanni Anselmi, responsabile dell’Osservatorio Pmi 4.0 di API, ha infine commentato: “Questo incontro è dimostrazione dell’impegno di API e dell’osservatorio nell’offrire alle aziende sia una panoramica sulle tendenze e gli orientamenti strategici del mercato, mettendo a disposizione parametri di confronto sulle pratiche eccellenti di chi già utilizza le nuove tecnologie, sia la possibilità di accedere a dei servizi sul digital manufacturing. Uno spunto di riflessione importante, che sottolinea come, nei prossimi anni, si renderà necessario non solo adeguarsi alle nuove tecnologie, ma anche investire in formazione sul tema Industry 4.0: il concetto di smart factory non è una moda di passaggio, ma rappresenta il futuro del manifatturiero”.

Le giovani imprese italiane premiate da Altagamma

Il mondo delle imprese italiane è fatto anche di giovani e di eccellenze. Va nel senso della valorizzazione di queste caratteristiche la seconda edizione del “PREMIO GIOVANI IMPRESE Believing in the Future”, ideato e promosso da Altagamma per sostenere le giovani imprese culturali e creative italiane nei diversi settori rappresentati nella Fondazione, ha decretato i vincitori 2016. Il Premio è organizzato in collaborazione con Borsa Italiana, Maserati, SDA Bocconi e con la partecipazione de L’Uomo Vogue.  

Ecco i vincitori nelle 7 categorie: Moda: BENEDETTA BRUZZICHES; Design: MORE; Gioielleria: DELFINA DELETTREZ; Alimentare: FRANTOIO MURAGLIA; Digital: LOVEThESIGN; Motori: EVO YACHTS; Hotellerie: VENISSA.

In linea con la mission di Altagamma di aumentare la competitività dell’alta industria culturale e creativa italiana e del Sistema Paese, il Premio Giovani Imprese ha l’obiettivo di contribuire a garantire anche per il futuro quel primato italiano che vanta una quota di mercato mondiale del lusso pari al 10%, con punte del 25% nei prodotti per la persona e nell’alimentare e del 30% nel design.

Altagamma intende offrire un programma di affiancamento e di mentorship che possa supportare le giovani imprese che presentano le adeguate caratteristiche imprenditoriali e creative.

In questo senso le scelte dei vincitori sono basate su una valutazione delle qualità del prodotto e del servizio offerti e delle potenzialità di crescita a medio e lungo termine.

Con questo obiettivo, la seconda edizione del Premio ha visto per la prima volta la creazione di un Advisory Board composto da professionisti e personalità di spicco nei diversi settori che hanno valutato  le candidature fino a selezionare prima i 21 finalisti, e successivamente, con il contributo di tutti i partner,  i vincitori. Un advisory Board diversificato sia per settore di competenza sia per approccio, composto da Davide Paolini (giornalista gastronomico), Antonio Cristaudo (Pitti Immagine), Stefania Lazzaroni (Fondazione Altagamma), Piero Lissoni (designer), Sara Maino (Vogue Italia), Cristina Morozzi (Istituto Marangoni Design), Walter De Silva (designer), Ettore Mocchetti (Traveller), Luca Martines (YOOX NET-A-PORTER GROUP).

Ai vincitori Fondazione Altagamma metterà a disposizione la membership gratuita per un anno e un percorso di mentorship creato su misura e costituito da una serie di incontri organizzati all’interno delle aziende socie da realizzarsi nel 2017. Borsa Italiana offrirà un percorso di training nell’ambito del programma ELITE e l’opportunità di esplorare l’interesse di possibili investitori internazionali.

Maserati – nella categoria “Motori” – premierà il vincitore mettendo a sua disposizione un programma formativo in diversi dipartimenti aziendali; il percorso verrà costruito su misura, in funzione del background e delle esigenze del vincitore stesso. Questo approccio permetterà di offrire una piena comprensione delle dinamiche di un brand esclusivo nel panorama automotive internazionale.

SDA Bocconi riserverà infine ai vincitori una giornata di executive management training.

Il mercato immobiliare italiano brilla nel 2016

Se c’è un settore in Italia che ha vissuto un 2016 d’oro è quello del mercato immobiliare. Un settore che viene da anni di pesante contrazione e per il quale ci vorrà parecchio tempo per tornare ai livelli di un tempo.

Un’analisi sull’andamento del mercato immobiliare italiano nel 2016 condotta dall’Ufficio Studi Tecnocasa conferma i dati resi pubblici dall’Agenzia delle Entrate nei giorni scorsi, che evidenziano come nei primi nove mesi del 2016 ci sia stato un incremento medio delle transazioni del 20,4%.

Un trend significativo quello del mercato immobiliare, trainato soprattutto dalla diminuzione dei prezzi e dai mutui più accessibili; dal 2007 le abitazioni, a livello nazionale, hanno ceduto il 39,7% del loro valore. Si torna dunque ad acquistare sia come prima casa sia come investimento.

Le grandi città vedono in testa Torino con un aumento del 26,9%, seguita a ruota da Genova (+26,8%) e da Milano (+26,7%). Fanalino di coda Palermo, il cui mercato immobiliare registra un modesto +8,1%.

A livello geografico i comuni del Nord (con +23,7%) corrono più dei comuni del Centro (+18,3%) e del Sud (+15,7%).

Questi dati – sottolinea Fabiana Megliola, Responsabile Ufficio Studi Tecnocasa commentando l’andamento del mercato immobiliare – sembrano confortare la previsione che, per tutto il 2016, le transazioni chiuderanno intorno a 500mila. I prezzi invece continuano nel loro trend al ribasso, anche se meno rispetto al passato. Per la fine dell’anno prevediamo un ribasso dei prezzi compreso tra -2% e 0%“.

Fiere italiane in salute, parola di AEFI

La trentesima rilevazione trimestrale sulle tendenze del settore fieristico condotta dall’Osservatorio congiunturale di AEFI (Associazione Esposizioni e Fiere Italiane) per il periodo luglio-settembre 2016 indica un quadro complessivo in miglioramento rispetto al trimestre precedente e un consolidamento rispetto al corrispondente trimestre dell’anno precedente.

L’indagine, che ha coinvolto 26 poli fieristici italiani associati AEFI, evidenzia un trend positivo per quanto riguarda espositori, visitatori e superficie occupata. Restano stabili gli indicatori relativi al numero di manifestazioni.

Particolarmente positivo l’andamento del numero degli espositori, con un saldo del +27% registrato dalle risposte degli associati AEFI, in significativo aumento rispetto al trimestre precedente, quando il saldo era +12% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, quando si attestava a +16%.

Interessante lo spaccato relativo alla provenienza, da cui emerge un’ottima performance degli espositori italiani, con un saldo del +31%. Gli stranieri Ue segnano un saldo positivo del +23% mentre quelli extra Ue, fanno registrare un saldo del +15%.

I dati dell’Osservatorio AEFI trovano ulteriore conferma nel raffronto con l’analisi effettuata da ISFCERT-Istituto Certificazione Dati Statistici Fieristici riconosciuto da ACCREDIA relativamente alle fiere certificate.

Confrontando infatti l’andamento delle ultime due edizioni di 37 manifestazioni professionali internazionali che si sono svolte nei primi nove mesi del 2016 e che si sono affidate all’Istituto ISFCERT per ottenere la certificazione dei dati fieristici statistici sia nel 2015 che nel 2016 – e sono quindi comparabili – si evidenzia ancora un aumento del numero dei visitatori, delle visite – intese come numero degli ingressi univoci giornalieri – degli espositori e della superficie complessivamente occupata. 

In particolare, i visitatori hanno registrato una crescita totale del 2,5%, con gli italiani che sono aumentati dell’1,4% e gli stranieri del 6,5%; gli ingressi univoci giornalieri hanno subìto complessivamente un incremento del 5,4% (italiani +4,9%; esteri +9,4%). I dati indicano poi che gli espositori sono cresciuti del 2,2% (italiani +3%; stranieri +0,8%). Infine relativamente alla superficie occupata, le manifestazioni professionali certificate nei primi nove mesi del 2016 hanno registrato +3,2%.

L’economia del panettone

Cresce il business del panettone, 2,5 milioni in più rispetto allo scorso anno, +5%. Affari per 60 milioni legati al dolce tipico milanese, che vale circa un quarto delle vendite in pasticceria di questo periodo.

È quanto emerge da un’indagine della Camera di commercio di Milano su oltre trenta pasticcerie milanesi contattate in questi giorni. Il cliente torna e ne acquista uno ogni dieci giorni. Per 9 su 10 il panettone va il liscio con uvetta e canditi. Per i pasticceri è il simbolo principale e naturale di Milano (55% moltissimo, 42% molto). Per il 61% supera la dieta mediterranea (32%) come simbolo del nostro territorio per gli stranieri.

Stranieri che crescono tra la clientela, un cliente su venti, il 5%. Il 32% è favorevole a un panettone in versione estiva per avere un dolce tipico tutto l’anno.

Il 15 dicembre sarà la “Giornata del Panettone: assaggi gratis in 80 pasticcerie”. I pasticceri aderenti esporranno in vetrina la vetrofania per invitare i clienti alla prova del panettone artigianale.

Inoltre il panettone tradizionale in 80 pasticcerie è una iniziativa della Camera di commercio di Milano, di Confcommercio Milano, Lodi, Monza e Brianza – con l’associazione Panificatori, Assofood (dettaglio alimentare), EPAM (pubblici esercizi), Promo.Ter Unione -, Unione Artigiani della Provincia di Milano e APA Confartigianato Milano, Monza e Brianza, insieme ai consumatori.

Sono 150 i pasticceri e i panettieri che hanno aderito all’iniziativa a Milano e provincia e esporranno la vetrofania con il logo in vetrina. Il loro dolce è un prodotto fresco, senza conservanti e artigianale. Il marchio “panettone tipico della tradizione artigianale milanese” è depositato presso l’Ufficio Brevetti della Camera di commercio di Milano.

L’economia del software vale il 3,2% del Pil italiano

Il software ha un profondo impatto sull’economia italiana: contribuisce infatti con 50,8 miliardi di euro al Pil del nostro Paese (cifra che comprende anche gli effetti indiretti e indotti), alimentando quasi 744mila posti di lavoro altamente qualificati e ben remunerati, oltre a 864 mllioni di euro in Ricerca e Sviluppo.

Sono questi i dati principali della ricerca Software: A €910 billion Catalyst for the EU Economy (Il software, un catalizzatore da 910 miliardi di euro per l’economia Ue), pubblicati nei giorni scorsi da BSA | The Software Alliance. La ricerca comprende dati e valutazioni d’impatto economico condotte da The Economist Intelligence Unit.

Il rapporto coglie l’ampiezza del settore e l’impatto che esso ha nell’economia dell’Ue, in particolare nei suoi cinque principali Stati membri. Il rapporto esamina poi anche i benefici più ampi del software, ossia come esso possa fungere da strumento per i governi, le imprese e i cittadini.

Fra i dati più interessanti della ricerca:

  • Il software contribuisce per 50,8 miliardi di euro annui all’economia italiana. Il settore nel 2014 ha prodotto direttamente 20,3 miliardi di euro di Pil, pari all’1,3% del totale. Ma, se sommiamo i suoi effetti complessivi (compresi quelli indiretti ed indotti), il contributo s’aggirava intorno al 3,2% del Pil in Italia.
  • Se tutte le 744mila persone occupate nell’industria del software formassero una città, sarebbe la quinta per popolazione in Italia, dopo Roma, Milano, Napoli e Torino. Il settore impiega direttamente 289.011 persone e la ricerca mostra che il suo indotto ne occupa altre 454.910.
  • L’industria del software genera il 7,5% degli investimenti privati in R&S. Le aziende del settore investono massicciamente in Ricerca & Sviluppo: ben 864 milioni di euro nel 2013, cioè il 7,5% della spesa totale in ricerca del settore privato in Italia.
  • Il software produce concreti guadagni per tutte le economie dell’Ue. I sistemi economici degli Stati membri beneficiano di nuovi posti di lavoro creati dalla moderna digital economy e in generale delle opportunità generate dalle innovazioni nel campo del software.

Ad esempio:

o          In Germania: il settore contribuisce per un totale di 152,6 miliardi di euro (incluso l’indotto) all’economia del Paese, ovvero per 5,2% del Pil. Genera quasi 2 milioni di posti di lavoro (sempre incluso l’indotto), cioè il 4,5% dell’occupazione complessiva in Germania.

o          In Francia: il settore contribuisce per un totale di 113,1 miliardi di euro (incluso l’indotto) all’economia del Paese, il 5,3% del relativo Pil. Genera in totale circa 1 milione e 200mila posti di lavoro (indotto compreso), vale a dire il 4,5% dell’occupazione globale d’Oltralpe.

o          In Spagna: il settore contribuisce per un totale di 35,8 miliardi di euro (incluso l’indotto) all’economia del Paese, il 3,4% del rispettivo Pil. Genera in totale 624.471 posti di lavoro (ancora indotto compreso), cioè il 3,7% dell’occupazione complessiva spagnola.

Per leggere la ricerca complete, la sua metodologia e le fonti di riferimento, insieme ad esempi pratici, cliccate qui.

Il cambiamento, da minaccia a opportunità

Il cambiamento aziendale? Non è più percepito come minaccia, ma come espressione della capacità dell’azienda di essere protagonista nel mercato e di saper creare nuove opportunità per i dipendenti.

Le stesse aziende, però, nella loro evoluzione devono fondarsi su un’identità organizzativa e su valori condivisi da tutti. Sono alcune delle principali evidenze emerse dalla Survey InfoJobs sul lavoro 2016, presentata nei giorni a Milano in occasione del Forum delle Risorse Umane 2016 dal titolo “Hr transformation: soft skills, valori e reputazione aziendale per il cambiamento efficace”.

L’indagine, condotta su un campione di 26.168 candidati e 260 aziende, ha evidenziato come il processo di trasformazione interna, affrontato dal 71,3% delle aziende intervistate, sia visto come un’occasione per approcciare in modo proattivo le sfide del mercato.

Inoltre, per il 67% delle aziende e per il 51% dei candidati rappresenta la capacità di adattarsi allo scenario del settore lavorativo in continua evoluzione, un passaggio necessario per incrementare la competitività aziendale e non subire i fattori di cambiamento esterni.

La Survey InfoJobs sul lavoro 2016 ha indagato anche gli strumenti per spiegare e monitorare il processo di cambiamento, affinché sia efficace. Da una parte, hanno sempre più importanza i nuovi tool che la digitalizzazione mette a disposizione, come canali social aziendali e chat (23,1% delle aziende e 21,2% dei candidati ne sono interessati). Dall’altra, i candidati preferiscono essere informati e ascoltati attivamente sul processo di cambiamento durante le riunioni interne periodiche (74,2% dei candidati), primo strumento anche per l’84% delle aziende.

Non interessano tanto le giornate di team building, in cui invece le aziende investono e credono molto (43,5% dei rispondenti). Una evidenza confermata dall’accordo tra aziende e candidati sull’importanza di coinvolgere tutti i livelli aziendali nel processo di cambiamento (94,2% delle aziende rispondenti e 84,9% dei candidati).

Infine, InfoJobs ha chiesto chi debba essere lo sceneggiatore del cambiamento interno. Per il 48,5% delle aziende e per il 40,2% dei candidati, le Risorse Umane devono seguire tutte le fasi del processo di cambiamento e verificarne l’effettiva riuscita in tutti i livelli aziendali. In particolare per il 23,9% delle aziende, le HR hanno un ruolo determinante quali principali promotori del cambiamento e sono fondamentali nel mostrare nella pratica le caratteristiche della nuova organizzazione. Per essere efficace, il cambiamento deve diventare parte della routine aziendale attraverso comportamenti condivisi da tutti.

Sono proprio i valori aziendali, la cui interiorizzazione riveste un ruolo cruciale per il successo del cambiamento, a rendere le aziende performanti in un mercato sempre più competitivo. Come indagato dalla Survey InfoJobs sul lavoro 2016, la reputazione e l’identità aziendale sono due asset fondamentali da mettere in luce nelle offerte lavorative per poter attrarre i talenti migliori secondo il 48% delle aziende. Opinione condivisa anche dal 37,5% candidati.

Tra i valori ritenuti più utili, le aziende intervistate mettono al primo posto le soft skills, come l’innovazione (48,9% del campione), seguita dalla passione (46,9%) e dalla capacità di lavorare in team (43,9%). Diversa invece la visione dei candidati secondo cui il valore aziendale maggiormente significativo è l’attenzione al benessere dei dipendenti (citata dal 56,2% del campione), come dimostra l’importanza della tematica del welfare e dello smart working. Seguono la qualità dell’offerta al cliente e la possibilità di lavorare in team (45,4%).

Dalla Survey InfoJobs sul lavoro 2016, è emerso inoltre che i valori sono uno specchio del modello lavorativo di un’azienda. Per questo motivo, il 49,2% delle aziende li presenta durante un colloquio e il 71,7% dei candidati si informa a riguardo tramite il sito internet. È quest’ultimo infatti il canale più utilizzato dalle organizzazioni per presentarsi all’esterno, oltre alle brochure aziendali (utilizzati dal 25,4% delle aziende) e ai canali social (24,2%).

Immigrati, risorsa d’impresa

Se non ci fossero gli immigrati… Negli ultimi 5 anni le imprese individuali dell’artigianato guidate da immigrati sono più che raddoppiate nelle sartorie (+129,7%), dove guidano i cinesi, nelle pulizie (+108,8%, rumeni, egiziani e albanesi) e nel giardinaggio (+74,5%), la metà delle quali ha come capi rumeni o albanesi.

Sono dati che emergono da un’indagine di Unioncamere e Infocamere sull’imprenditoria artigiana straniera in Italia tra giugno 2011 e giugno 2016. In questo arco di tempo, le attività artigiane guidate da immigrati sono cresciute dell’8,3%, in un contesto globale che ha invece registrato un -7,8%.

Unioncamere – Infocamere rilevano che gli imprenditori immigrati guidano poco più di 181mila aziende il 13,5% dell’intero comparto. Romania, Albania e Cina sono i principali Paesi da cui provengono gli imprenditori, ai quali si deve il 43,7% del tessuto produttivo nazionale.

Egiziani (27,7%), pakistani (8,2%) e turchi (6,5%) vincono nella ristorazione da asporto. Mentre tra parrucchieri ed estetisti sono in aumento svizzeri e tedeschi, che detengono rispettivamente il 19,2% e il 12,2% di queste imprese, con un 7,6% di cinesi.

Oltre la metà del tessuto imprenditoriale artigiano gestito da immigrati è composto da imprese specializzate in lavori di muratura e imbiancatura, dove primeggiano rumeni e albanesi (rispettivamente il 28,1%. e il 22% del totale) e a distanza i marocchini (7,4%).

Il commento di Ivan Lo Bello, presidente di Unioncamere: “I dati mostrano l’importanza del contributo degli immigrati per la crescita della nostra economia, un contributo che passa sempre più anche dalla capacità di molti extracomunitari di fare impresa e, attraverso questa, di integrarsi nel nostro Paese. Per questo è indispensabile supportare l’avvio di nuove realtà imprenditoriali. Un punto quest’ultimo sul quale le Camere di commercio possono dare un apporto prezioso per far nascere imprese più forti e aiutarle a diventare grandi prima“.

Oltre 5mila imprese investono sulle startup innovative

Il primo Osservatorio sui modelli italiani di Open Innovation e di Corporate Venture Capital, promosso da Assolombarda, Italia Startup e Smau, in partnership con Ambrosetti e Cerved è una ricerca presentata al recente Smau che punta a due obiettivi, condivisi nel contesto dell’Industry Advisory Board di Italia Startup, in coordinamento con il progetto Startup Town di Assolombarda: dare una prima dimensione al fenomeno del Corporate Venture Capital italiano, inteso come investimento finanziario e industriale in startup innovative italiane; individuare modelli concreti e replicabili di Open Innovation.

Ed è proprio dagli archivi di Cerved sui soci e sulle partecipazioni – considerate le partecipazioni dirette e indirette di persone fisiche e persone giuridiche fino al terzo livello – che sono stati individuati oltre 40mila soci delle 6,5 mila startup innovative iscritte al registro delle imprese.

Sono 34.963 le persone fisiche che hanno quote di partecipazione, diretta o indiretta fino al terzo livello, in almeno una delle 6.466 startup innovative iscritte alla sezione speciale del Registro delle Imprese. Gli investitori corporate sono invece 5.149, la maggior parte dei quali sotto la veste di società di capitale.

La ricerca continua evidenziando come gli investitori in CVC concentrano le loro quote in 1.901 startup innovative iscritte al Registro delle Imprese. Nelle restanti 4.565 startup la compagine dei soci è rappresentata esclusivamente da persone fisiche.

I dati di bilancio delle società (di capitale) che sono nel capitale delle start-up innovative iscritte indicano che oltre il 60% di questi investitori sono large corporate, con un giro d’affari di oltre 50 milioni di euro. Sono circa 400 le Pmi e 31 le microimprese.

Quasi la metà delle corporate che hanno investito in startup innovative operano nel campo dei servizi non finanziari (48,2%); oltre un terzo nei servizi finanziari e assicurativi (34,1%), il 5,2% nell’industria tradizionale, il 2,9% nella meccanica. Il 2,1% nella produzione di apparati hi tech.

Oltre due terzi dei soci corporate delle startup innovative iscritte hanno sede nel Nord Italia (69%).

Il Nord ospita anche la maggior parte delle startup innovative iscritte alla sezione speciale del Registro delle Imprese, ma la percentuale è significativamente inferiore (55%). Questo significa che un flusso consistente di investimenti di società del Nord vanno a beneficio di start-up che operano nel Centro-Sud.

Infatti, i dati evidenziano anche che il 59% dei soci corporate investe in startup fuori regione. “Questo dato evidenzia il superamento della logica del distretto industriale, un fenomeno che come Smau conosciamo molto bene grazie all’ormai consolidato presidio dei territori attraverso il Roadshow – spiega Pierantonio Macola, Presidente di Smau -. E’ evidente che la strategia di specializzazione intelligente a cui le Regioni sono chiamate in ambito ricerca e innovazione ha come naturale conseguenza la creazione di un mercato dell’innovazione di respiro nazionale a cui le imprese dimostrano di essere già pronte.”

La ricerca evidenzia, infine, che le imprese corporate che hanno investito in start-up innovative hanno prevalentemente optato su imprese che fanno R&D o producono software e servizi informatici: l’industria tradizionale nel 77% dei casi ha investito in startup che fanno R&D, le imprese che operano nel settore della meccanica scelgono nel 61% dei casi start-up che operano nel campo del software e dell’informatica, così come le aziende che si occupano di produzioni hi-tech (76% dei casi).

Un tribunale a tutela dei brevetti

Il Tribunale Unificato dei Brevetti porterà vantaggi per le imprese grazie ai minori costi, l’80% in meno di adesso per difendere la propria innovazione nei confronti di tutti i Paesi europei. Ma anche minori procedure: un solo brevetto unitario (da presentare in inglese, francese o tedesco), rispetto a più marchi da depositare in ogni Paese europeo con la lingua di quel Paese.

È quanto è emerso nei giorni scorsi a Milano quando Mise – Direzione Generale per la lotta alla contraffazione -, Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (UIBM) hanno promosso il punto sul Tribunale Unificato dei Brevetti.

Si va verso la nascita della nuova Corte sovranazionale specializzata nelle cause brevettuali che coinvolgono brevetti europei o unitari. Un brevetto “con effetto unitario” tutelerà verso tutti i Paesi. Il sistema informatico sarà pronto per il 2017, le scelte dei Paesi europei determineranno l’effettivo avvio.

Un avvio che all’inizio sarà graduale. Sarà di sette anni il periodo di applicazione provvisoria, in cui l’impresa potrà richiedere l’opt out dal Tribunale Unificato e scegliere che il proprio Brevetto Europeo rimanga soggetto alla giurisdizione nazionale nei singoli Stati membri Ue, come accade oggi.

Per quanto riguarda i brevetti in Italia, la Lombardia è a regione leader: sono oltre 4 mila le domande di brevetto pubblicate da EPO (European Patent Office) in quattro anni, il 29% del totale nazionale, una media di circa mille brevetti l’anno, uno ogni 10mila abitanti.

Meccanica e trasporti, chimica e ambiente sono i settori in cui la regione brevetta di più e che pesano sul totale italiano rispettivamente il 40% e il 20%. Nel 2014 la sola Milano ha depositato in Europa 365 brevetti, in media uno al giorno.