Intelligenza artificiale in Italia: presente e prospettive

L’Intelligenza Artificiale è la nuova frontiera per le imprese e questo anche grazie ai vari programmi pubblici volti a incentivare l’adozione di nuove tecnologie. In Italia il settore è comunque in evoluzione, l’Osservatorio sull’Intelligenza Artificiale ha provveduto a un censimento sulle imprese italiane che forniscono servizi nel settore offrendo anche spunti per gli investimenti futuri e sui dati per l’occupazione.

Le aziende che lavorano nel settore dell’Intelligenza Artificiale in Italia

Per capire a che punto dello stato dell’arte sono le aziende che in Italia si occupano di Intelligenza Artificiale è necessario partire dai dati reali. Dall’indagine effettuata dall’Osservatorio sull’Intelligenza Artificiale è emerso che vi sono 260 imprese che lavorano nel settore, di queste:

  • il 55% fornisce servizi in aree specifiche come Salute, Marketing & Sales, Finanza e Sicurezza Cibernetica;
  • il 25% fornisce analisi avanzate in dati strutturati e non strutturati ad esempio su interazione Uomo-IA, Computer Vision, un terzo di queste aziende sono start up.
  • 10% sono società System Integrator;
  • 5% sono società di consulenza.

Le aziende di questo settore sono di medie e grandi dimensioni.

Questa la situazione iniziale, ma ci sono molte aziende che si stanno dotando di laboratori di ricerca sull’Intelligenza Artificiale in Italia. In questo settore le aziende più attive sono quelle che operano nel settore energetico, sicurezza, aerospazio, telecomunicazioni, assicurazioni, banche, cloud e cura della casa e della persona. Questi numeri sono però ancora limitati, infatti non assicurano una crescita sufficiente rispetto a quello che è il mercato attuale. 

Come investono le aziende italiane in nuove tecnologie

Nel 2020 il 53% delle imprese medio grandi italiane dichiaravano di aver intrapreso progetti inerenti l’Intelligenza Artificiale, di queste la maggior parte si occupava di servizi manifatturieri 22%, settore bancario e finanziario 16% e infine, assicurazioni 10%. Solo il 5% di coloro che hanno intrapreso progetti inerenti l’intelligenza artificiale è rappresentato dalla Pubblica Amministrazione, che invece come si può notare nell’ultimo anno ha dovuto accelerare a causa della pandemia.

Il valore del mercato dell’Intelligenza Artificiale in Italia nel 2020 era di 300 milioni di euro, ma questo dato è in forte ripresa rispetto al 2019 quando il valore era il 15% inferiore, si tratta di dati però estremamente sconfortanti se paragonati a quelli del mercato europeo, infatti rappresentano il 3% di questo. Per avere un raffronto basti ricordare che il PIL italiano rappresenta il 12% del PIL europeo, quindi dovremmo avere dati sull’intelligenza artificiale nettamente superiori.

I servizi del mercato dell’Intelligenza Artificiale sono diretti al 77%, per un valore di 230 milioni di euro, ad aziende italiane, mentre il restante 23% è diretto ad aziende estere per un contro valore di 70 milioni di euro. Questo vuol dire che ci sono ancora ampi margini di sviluppo ed è possibile per le aziende già esistenti crescere e per chi si occupa di questo settore è possibile fare nuovi investimenti, quindi dare maggiore copertura al mercato.

Gli investimenti sull’intelligenza artificiale in Italia

Particolarmente ridotti sono gli investimenti che in Italia vengono fatti sull’Intelligenza Artificiale, ad esempio la spesa in Ricerca e Sviluppo in Italia rappresenta solo l’1,45% del Pil, mentre in Spagna il 3,7% e in Francia il 2,19%. Ciò si riflette anche sui dati relativi all’occupazione, infatti il settore offre 5.150 posti di lavoro, mentre in Spagna 8.500, in Francia 6.950 e Gran Bretagna 7.000. Questo vuol dire che investire di più nel settore dell’intelligenza artificiale può sicuramente portare alla creazione di nuovi posti di lavoro.

Non è un problema di formazione perché in Italia i ricercatori potenzialmente ci sono e ci sono anche lavoratori altamente specializzati. Nel 2019 però ci sono stati solo 739 ricercatori nel settore, contro i 2.660 della Spagna, i 2.755 della Francia e 2.974 della Gran Bretagna. Sulle capacità dei nostri ricercatori ci sono pochi dubbi, infatti sono riusciti ad avere 3.374 pubblicazioni con una produttività del 4,57% contro un indice di produttività del 2% della Spagna con soli 5.310 pubblicazioni, 1,2% della Francia con 3.350 pubblicazione. Questo implica che la Francia investe molto di più, impiega più ricercatori, ma ha risultati uguali a quelli dell’Italia e se l’Italia investisse di più sui suoi talenti, potrebbe avere risultati davvero eccellenti, non paragonabili a quelli degli altri Paesi dell’Unione Europea. Visto il numero risicato di ricercatori che abbiamo, l’Italia ha un numero di richieste di brevetti davvero alto, cioè 32.001.

Investimenti e applicazione delle nuove tecnologie

A rallentare l’Italia sono quindi gli scarsi investimenti sia del pubblico sia del privato, mentre i riconoscimenti a livello internazionale per i nostri ricercatori non mancano. I dati negativi della ricerca si ripercuotono sulle aziende, si tratta quindi di un fatto culturale, cioè l’Italia non investe in Intelligenza Artificiale, ma le aziende italiane sono restie anche ad applicare nuove tecnologie, infatti dal report emerge che solo il 35% delle aziende italiane ha adottato soluzioni di intelligenza artificiale, mentre nel resto dell’Unione Europea la media è del 43%. Le aziende italiane hanno collegato tale scarsa propensione al fatto che i costi delle nuove tecnologie sono elevati e allo stesso tempo vi sono pochi finanziamenti e incentivi pubblici al settore. A questo proposito occorre ricordare che il MISE ha stanziato 45 milioni di euro per supportare l’adozione di nuove tecnologie da parte delle aziende.

Considerati questi dati, emerge che il Programma Strategico sull’Intelligenza Artificiale per l’Italia è una sfida sul futuro e un modo per rendere le aziende italiane sempre più internazionali e in grado di reggere alle sfide del futuro incrementando l’occupazione non solo nel settore della ricerca e dello sviluppo di soluzioni tecnologiche evolute, ma anche per far in modo che le PMI adottando le soluzioni di Intelligenza Artificiale possano essere competitive.

Non resta che accogliere le sfide del futuro e per chi è interessato c’è l’approfondimento sul Programma strategico sull’Intelligenza Artificiale: linee guida.

 

 

Come saranno le aziende del futuro? Analisi e aiuti sull’industria 4.0

Più volte abbiamo trattato degli aiuti che l’Italia riserva a Piccole e Medie Imprese e sottolineato che questi sono funzionali, cioè sono diretti a determinati obiettivi e quindi non casuali. Si è visto che molti aiuti sono volti ad adeguare le imprese e i sistemi produttivi alle nuove tecnologie. In realtà non tutte le imprese italiane sono propense a sfruttare questa tipologia di aiuto. Ora cercheremo di capire perché è importante che le aziende sfruttino il più possibile gli incentivi per l’industria 4.0 perché in realtà ne guadagnano in competitività. Al termine dell’articolo inseriremo i link ai vari aiuti finora varati.

Come sarà l’industria 4.0

L’industria 4.0 applica nuove tecnologie informatiche e in particolare ICT (tecnologie dell’informazione e della comunicazione) stampa 3D, robotica, Internet of Things (IoT), big data, realtà virtuale, ed è al centro di quella che viene chiamata la quarta rivoluzione industriale.

L’impatto della quarta rivoluzione industriale è stato analizzato in forma predittiva sotto molteplici aspetti. Secondo molti esperti questa porterà un’inversione di tendenza, cioè nei decenni passati abbiamo visto delocalizzare le produzioni verso Paesi dove la manodopera aveva un basso costo con un impoverimento generale per i lavoratori interessati da riduzioni di personale. Ora si attende una tendenza opposta, cioè un ritorno e questo per motivi pratici: le nuove tecnologie non richiedono più operai a basso costo, ma operai a elevata specializzazione e questi si è disposti a pagarli e in secondo luogo la manodopera a basso costo ha, come nella maggior parte dei processi di riallocazione della ricchezza, breve durata.

L’esempio pratico è semplice: in zone povere il costo della vita è basso, lo stesso però aumenta nel momento in cui arriva il lavoro e un salario dignitoso per il posto, di conseguenza inizia l’ascesa dei salari e per le imprese non è più conveniente delocalizzare. La ricollocazione secondo gli esperti sarà dovuta anche alla ricerca di sistemi produttivi a basso impatto ambientale e quindi con una produzione vicino al consumatore evitando di far girare le merci per tutto il globo.

Impatto delle nuove tecnologie sulla produttività

Dai dati analizzati in una ricerca dell’Università di Padova è emerso che l’impatto delle nuove tecnologie varia in base al settore in cui la PMI opera, ad esempio l’impatto nel settore della moda è diverso rispetto a quello dell’automotive. In realtà proprio l’automotive sta attraversando un periodo difficile a causa della crisi dei microchip la cui penuria sta mettendo in forte crisi il settore. 

Il primo dato analizzato dall’Università di Padova è la produttività: le aziende che adottano le tecnologie 4.0 hanno avuto un incremento del 7% rispetto alle aziende dello stesso settore che non le hanno adottate. E’ stato rilevato che l’aumento di produttività non riguarda solo l’anno di introduzione di nuove tecnologie ma si dilata nel tempo, questo vuol dire che l’investimento iniziale è remunerato nel tempo. Sembra però che già dopo due anni ci sia un rallentamento della crescita. In realtà l’obsolescenza tecnica nel settore delle nuove tecnologie ha un forte impatto, ma si stanno studiando anche mezzi per ridurne l’impatto.

Un altro dato interessante sottolineato dalla ricerca condotta dall’Università di Padova riguarda la quantità di nuove tecnologie adottate. Sembra infatti che le imprese che decidono di introdurre più di due nuove tecnologie contemporaneamente non abbiano particolare giovamento da questa scelta. Il dato potrebbe essere dovuto al fatto che introdurre simultaneamente troppe novità potrebbe richiedere personale ad elevata specializzazione di cui le imprese non sono dotate al momento.
Ecco perché potrebbe essere importante agire in modo mirato e soprattutto curare la formazione costante dei dipendenti.

Per quanto invece riguarda i settori, l’introduzione di nuove tecnologie sembra favorire soprattutto le realtà aziendali a bassa tecnologia, mentre quelle che già adottano tecnologie evolute, dall’introduzione di nuove hanno vantaggi ridotti, molto probabilmente perché già lavorano con procedure all’avanguardia e quindi l’impatto è minimo.

Industria 4.0: analisi PwC

A risposte simili arriva un’indagine condotta da PwC, agenzia di consulenza operante in 158 Paesi nel mondo. PwC ha analizzato i dati della Germania e ha previsto un aumento della produttività dell’8% e lo stesso è legato alle nuove tecnologie. Secondo PwC per le imprese del settore automobilistico l’incremento sarà tra il 10% e il 20%.

PwC analizza anche l’impatto che l’introduzione massiva di nuove tecnologie avrà sull’occupazione, molti sono spaventati dal fatto che la robotica potrà ridurre il numero di lavoratori necessari in azienda. In realtà cambia la tipologia di lavoratori, infatti saranno richiesti sempre più lavoratori in possesso di numerose skills, ma questi allo stesso tempo saranno retribuiti in modo migliore perché dovranno gestire big data, dovranno utilizzare tecnologie evolute e analizzare dati complessi.

Conclusioni

Da questi dati emergono i primi consigli per le aziende:

  • cercare di innovare introducendo le nuove tecnologie in modo graduale e quindi cercando di capire quale tra quelle disponibili è più adatta al proprio settore;
  • approfittare degli aiuti e incentivi messi a disposizione;
  • curare la formazione costante dei propri dipendenti.

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Una coalizione per creare 900mila posti di lavoro in Europa

La Commissione Ue vuole agire per risolvere il problema della disoccupazione che, in Europa, è ancora molto presente.
A questo proposito, è stata varata la Grand Coalition for Digital Jobs, partnership che ha come obiettivo sette linee di azione che creeranno circa 900mila posti di lavoro.

L’iniziativa è stata presentata da José Manuel Barroso, presidente della Commissione, affiancato da Neelie Kroes, responsabile per l’Agenda Digitale, Antonio Tajani, Commissario per Industria e imprenditoria, László Andor, delegato per Occupazione, affari sociali e integrazione e Androulla Vassiliou, che si occupa di Istruzione, cultura, multilinguismo e gioventù.

Queste le parole di Barroso: “Troppi europei, soprattutto giovani, sono disoccupati. Tuttavia a volte i datori di lavoro non riesce a trovare le persone con le giuste competenze. Ciò significa che come ci si concentra sulle soluzioni per affrontare in rapida crescita della disoccupazione, nello stesso modo abbiamo bisogno di rispondere meglio alle esigenze dell’economia. Questa è una sfida che richiede un’azione concertata per la progettazione di un sistema che funzioni a beneficio di tutte le parti interessate. E che guardi in faccia la realtà, compito urgente e difficile, di fronte alla questione reale degli alti tassi di disoccupazione giovanile. I cittadini europei e le imprese sono state colpite duramente dalla crisi. E i giovani europei sono certamente i primissimi e più colpiti”.

La prima cosa da fare è, sempre secondo Barroso, creare un ponte tra il mondo dell’istruzione e del lavoro. Per questo motivo, negli ultimi anni, la Commissione si è impegnata attivamente nella promozione di varie forme di partenariato a livello europeo.

Vera MORETTI

Professionisti? Al mare col pc

Professionisti e manager non staccano mai, nemmeno in vacanza. Sarà la crisi, saranno le responsabilità, ma pare che anche in ferie chi ha un’attività o una professione non riesce a fare a meno di lavorare.

Lo sostiene una ricerca del gruppo Hays, secondo la quale il 77% dei manager italiani non smette di lavorare neanche al mare. Buona parte di loro utilizza netbook, smartphone e tablet per controllare almeno la posta aziendale (46%), i manager si dedicheranno al lavoro nel 12% dei casi e solo due professionisti su dieci intervistati si concederanno uno stacco vero dal lavoro.

Merito soprattutto delle novità tecnologiche, anche ridotte di dimensioni, con le quali si può essere come in ufficio e si possono svolgere alcune semplici operazioni giornaliere, oppure portare avanti progetti di business.

Ma cosa utilizzano maggiormente professionisti e manager? Secondo la ricerca di Hays, tra i device maggiormente utilizzati dominano gli smartphone, usati dal 75% delle persone; seguono i pc e netbook (69%) e tablet (28%).

Ma quanto durano le vacanze di questi forzati del lavoro? Nove intervistati su dieci, nonostante il periodo di crisi, non rinunciano ad almeno due settimane di ferie, come nel 2011.