Forfettario, superbonus, detrazioni, patrimoniale, le critiche dell’Ocse

L’OCSE critica l’Italia, eliminare il regime forfettario, limitare l’uso del contante e ritornare al Superbonus, ridurre detrazioni e deduzioni fiscali questi i rilievi.

Deduzioni, detrazioni limiti all’uso del contante: la strada segnata dall’Ocse

Si sa, i conti pubblici italiani sono sempre sotto la lente di ingrandimento e questa volta a dire la sua è l’OCSE, l’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico.

L’obiettivo per l’organizzazione è ridurre la pressione sui conti pubblici, in poche parole ridurre il debito pubblico italiano, problema ormai pluri-decennale. La strada per fare questo è segnata, la lotta all’evasione fiscale è il primo punto e tra i consigli vi è quello di limitare l’uso del contante e favorire i pagamenti digitali. Ricordiamo che con la manovra di bilancio del 2023 è stato eliminato il limite di 1000 euro all’uso del contante, innalzato a 5.000 euro.

L’altro consiglio è lavorare sulla base imponibile, in questo caso si propone di ridurre il ricorso a deduzioni e detrazioni fiscali che riducono la base imponibile e le imposte dovute e di superare i regimi fiscali speciali. Il riferimento è al regime forfettario che prevede una flat tax al 15% e in alcuni casi al 5%. Si ricorda che proprio con la legge di bilancio 2023 è stata estesa la platea di coloro che possono ricorrere a tale regime fiscale semplificato.

Il consiglio è “eliminare gradualmente le onerose agevolazioni fiscali prive di giustificazione economica o distributiva”

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La critica al regime forfettario è abbastanza pesante in quanto oltre a ridurre, secondo l’Ocse le entrate fiscali, va ad impattare sulla progressività del sistema, prevista dalla Costituzione.

Arriva la patrimoniale?

Arriva poi un altro consiglio, cioè spostare l’imposizione fiscale dal lavoro al patrimonio, o meglio alle successioni e ai beni immobili.

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L’ultima stoccata è sul Superbonus, il consiglio in questo caso è spostare le agevolazioni fiscali agli immobili meno efficienti dal unto di vista energetico. Il nuovo superbonus dovrebbe inoltre essere integrato con nuove misure, come finanziamenti agevolati.

Taglio pensioni consigliato dall’OCSE: quali misure in pericolo?

L’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) vuole montare troppi freni all’Italia indispettendo un po’ tutti. L’argomento riforma pensioni è il più discusso nel nostro Paese: i sindacati pretendono maggiore flessibilità sull’uscita dal lavoro, i partiti sono in parte favorevoli, il presidente Psquale Tridico dell’INPS è più cauto, Salvini rivorrebbe Quota 100, e nel frattempo cosa ci dice l’OCSE?

Il piano disastroso dell’OCSE sulle pensioni

L’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico spara a zero sulla riforma pensioni che l’Italia vorrebbe adottare. Il 31 dicembre 2021 scatta lo scalone Fornero e per molti pensionati italiani sarebbe un colpo al cuore: niente pensioni anticipate, tutti o quasi per l’accesso alla pensione di vecchiaia. A fine anno, Quota 100 introdotta in via sperimentale (3 anni) dal governo Conte I (M5S + Lega) è ormai giunta al capolinea. Nessun dietrofront è possibile e allora si lavora per qualche alternativa che l’OCSE ci boccia sistematicamente.

Con Quota 100 ormai accantonata, l’organismo europeo boccia anche le pensioni di reversibilità e Opzione Donna. Se quota 100 diventasse permanente porterebbe alla rovina i conti pubblici italiani, ma in ogni caso, un’alternativa va trovata per aumentare il livello di partecipazione al Sud al mercato del lavoro, soprattutto per quanto concerne donne e giovani. Il ministro del Tesoro Franco è convinto che i pensionati sono una categoria che può sacrificarsi ancora, al contrario degli aspiranti lavoratori.

Anche le pensioni di reversibilità vengono considerate troppo onerose per il sistema previdenziale italiano, le permanenti porterebbero a una spesa previdenziale oltre due volte quelle media europea. Via anche queste, resta Opzione Donna che consente l’uscita anticipata dal lavoro a 58 anni con almeno 35 anni di contributi, misura rinnovata puntualmente ogni anno. Ma l’OCSE ragiona solo conti alla mano senza tenere conto della situazione reale delle persone, tanto che Matteo Salvini auspica una Quota 102 oppure una Quota 41 pura. Altre ipotesi sono ancora al vaglio, nonostante l’OCSE opti per una ritorno al sistema Fornero a pieno regime.

Bocciato l’attuale RdC e maggiori tasse su immobili e successione

Il Reddito di Cittadinanza, a quanto pare così com’è non soddisfa nessuno. Se è vero che ha salvato le famiglie più povere, è anche vero che qualcuno ne ha approfittato con il governo incapace di reagire con forza e decisione. Tra l’altro, le famiglie che lo hanno sfruttato sono minori del previsto. L’OCSE propone una riduzione dell’importo del RdC per incentivare i fruitori a non adagiarsi e a cercare lavoro, e solo a queste condizioni introdurre un sussidio per i lavoratori a basse reddito. Anche qui, difficilmente se ne esce indenni.

L’OCSE auspica una riforma del Fisco con l’obiettivo di diminuire il costo del lavoro e di rendere le procedure maggiormente semplificate. A finanziare ciò, dovrebbero essere entrate fiscali più alte derivanti da un aumento delle imposte per la successione e sui beni immobili. L’intenzione sembra somigliare vagamente ad una tassa patrimoniale per le classi più abbienti. Il governo non sembra orientato soprattutto a mettere in campo una riforma fiscale che possa andare ad aumentare le tasse sulle proprietà, mentre è più propenso a trovare una gusta formale sul fronte della Riforma Pensioni. Quindi? Gli auspici dell’OCSE rimarranno tali, mai colpire i più ricchi nel nostro Paese.

Ocse e Camere di commercio insieme per il credito alle Pmi

È partita ufficialmente la collaborazione tra Camere di commercio e Ocse per supportare le imprese sul credito con la firma di un accordo ad hoc siglato ieri a Milano da Francesco Bettoni, presidente Consorzio Camerale per il Credito e la Finanza, e Sergio Arzeni, direttore dipartimento imprenditorialità, Pmi e sviluppo locale – Ocse.

L’accordo prevede per l’ Ocse la cooperazione e lo scambio di conoscenza sui nuovi strumenti finanziari per le Pmi, una maggiore discussione e partecipazione dei decisori in materia, il rafforzamento dello sforzo conoscitivo sullo sviluppo di strumenti di credito alternativi nelle imprese italiane, l’identificazione di politiche economiche rilevanti e la proposta delle buone pratiche per finanziare i bisogni delle imprese. C’è poi la disponibilità a promuovere questi studi con il coinvolgimento di ricercatori internazionali che possano focalizzare le loro tesi su questi temi.

Il credito è un elemento centrale per la competitività delle imprese ed un fattore di vulnerabilità in questo periodo di crisi – ha dichiarato Francesco Bettoni -. Questo vale particolarmente per le imprese lombarde e italiane. Le Camere di commercio, attraverso il Consorzio per il credito, aiutano le imprese con strumenti effettivi e con un orientamento verso nuove formule più innovative”.

Le imprese italiane tendono a richiedere un credito quando ormai è troppo tardi, nella speranza che arrivino nuove fatture in pagamento – ha commentato invece Sergio Arzeni -. Questo porta a difficoltà per l’impresa legate al credito e al pagamento di alti interessi. Le imprese italiane fanno un uso ancora limitato rispetto ad altri Paesi di strumenti finanziari alternativi alle banche e questo è un fattore di vulnerabilità accentuato dall’attuale crisi. Si tratta di dati confermati dal rapporto Ocse Financing SMEs and entrepreneurs 2015, che presenteremo a Washington a metà aprile e che oggi anticipiamo in Camera di commercio”.

Inversione di marcia per il Pil italiano

Le previsioni di crescita stimate nei mesi scorsi riguardanti l’Italia hanno subito un brusco arresto, e un conseguente aggiustamento per difetto da parte dell’Ocse.
Nel dettaglio, è stata pronosticata una recessione del Pil dello 0,4%, contro il +0,5% di pochi mesi fa, perciò si registra una diminuzione di 0,9 punti.

Ma le brutte notizie non sono arginate al solo anno in corso, poiché per il 2015 è previsto un calo di un intero punto percentuale, ovvero un aumento totale dello 0,1% a fronte del +1,1% del 6 maggio scorso.
Questi dati negativi ancorano il Belpaese all’ultimo posto delle grandi economie avanzate che fanno parte del G7.

Nessuno, ad eccezione di Regno Unito e Canada, ha saputo migliorare la propria condizione, tanto da persuadere l’Ocse a definire l’economia globale in crescita “a ritmi moderati e discontinui”.

Ciò, comunque, non sembra riguardare nemmeno gli Stati Uniti, che segnano ritmi di espansione solidi e in aumento del 2,1% nel 2014 e del 3,1% per il prossimo anno.
Congiuntura debole, al contrario, nel Vecchio Continente, dove si pensa ad un aumento dello 0,8% per il 2014 e dell’1,1% nel 2015.

Tra i Paesi del G7, la Germania si assesterà a +1,5% sia quest’anno che il prossimo, mentre in Francia si registrerà + 0,4% sul 2014 e +1% sul 2015.
In Giappone è atteso +0,9% quest’anno e +1,1% il prossimo, e in Gran Bretagna rispettivamente +3,1% e +2,8%.

Vera MORETTI

Le retribuzioni italiane tra le peggiori in Europa

Il valore reale delle retribuzioni italiane continua a scendere ma poco possono fare i datori di lavoro.
Il colpevole principale, infatti, è il Fisco, sempre più “vorace” con gli stipendi dei cittadini e principale fautore della ulteriore crescita del cuneo fiscale.

Tutto ciò è stato illustrato nel Taxing Wages, rapporto annuale dedicato alla tassazione delle retribuzioni dall’Ocse.
Ciò che è emerso è che nel 2013 il cuneo fiscale in Italia è salito al 47,8%, contro una media del 35,9%

Le condizioni peggiori sono quelle relative ai lavoratori single, mentre sembra andare un po’ meglio per le famiglie medie, se monoreddito con due figli a carico, per le quali il cuneo fiscale si è fermato al 38,2%.
In termini relativi, però, per questo nucleo la situazione è addirittura peggiore: la differenza con la media dell’Ocse, infatti, è ben più profonda (26,4%) e solo quattro Paesi fanno peggio del nostro.

In ogni caso, la differenza di retribuzione è netta a tutti i livelli, poiché i lavoratori italiani sono tra i più penalizzati all’interno dei Paesi a economia matura.
Per fare un esempio, nella fascia più alta di reddito il cuneo fiscale sale al 53,2%, il terzo più alto in assoluto nei Paesi dell’Ocse.

Stessa situazione per le diverse tipologie familiari dei lavoratori: la famiglia con due figli e due redditi sconta un cuneo del 40,2% (contro una media del 28,3%), il single con due figli del 28,4% (contro una media del 17,2%).
La conseguenza è che, l’anno scorso, la retribuzione media italiana è scesa dello 0,1% in termini reali, calando al 19esimo posto della graduatoria generale in termini di potere d’acquisto.

Vera MORETTI

Reddito medio in calo dal 2007

La crisi, in atto ormai da qualche anno, ha colpito non solo le imprese, che in molti casi hanno dovuto chiudere i battenti, causa la mancanza di liquidità e la difficoltà sempre più concreta di accesso al credito, ma anche le famiglie medie e il loro reddito.

Se, infatti, si pensava che le problematiche del Paese non avessero permesso ai cittadini di incrementare i propri guadagni, la realtà è ben diversa, e purtroppo in peggio.

L’Ocse, nel rapporto annuale sugli indicatori sociali, ha infatti reso noto che il reddito annuale della famiglia media italiana è calato di 2.400 euro tra il 2007 e il 2012, più del doppio della media della zona euro, che si aggira intorno a 1.100 euro.

Il motivo di questo calo vertiginoso dipende soprattutto dal “deterioramento del mercato del lavoro,soprattutto per i giovani“.
Oltre alle difficoltà del lavoro per i giovani ad avere un impatto importante sulla vita delle persone è anche la “debole protezione per chi ha problemi lavorativi“: nel 2011, il 13,2% ha dichiarato di non potersi permettere di comprare cibo a sufficienza (contro il 9,5% nel 2007) e il 7,2% di aver rinunciato a far ricorso a delle cure mediche per motivi economici.

Vera MORETTI

Prestiti ancora in calo a novembre

In pauroso calo, ancora una volta, i prestiti che le banche hanno concesso a famiglie ed imprese.
Il mese di novembre, infatti, come ha confermato Abi, ha segnato un ulteriore passo indietro, registrando un preoccupante -4% ad una percentuale già in caduta libera.
Si tratta del peggior dato dal giugno 1999, che ha peggiorato il già negativo 3,7% di ottobre.

Ocse, inoltre, certifica che, sempre nel mese di ottobre, la dinamica dei prestiti alle imprese non finanziarie è risultata pari a -4,9% (-4,2% il mese precedente; -2,8% un anno prima).
In lieve flessione la dinamica tendenziale del totale prestiti alle famiglie (-1,3% ad ottobre 2013, -1,1% il mese precedente; -0,1% ad ottobre 2012).
La dinamica dei finanziamenti per l’acquisto di immobili, è risultata ad ottobre 2013 pari al -1,1% (-1,1% anche il mese precedente; +0,2% ad ottobre 2012).

Abi ha anche fatto presente che nel terzo trimestre 2013 è ripresa la contrazione degli investimenti fissi lordi, con una riduzione congiunturale annualizzata pari a circa il 2,2% (0% nel secondo trimestre).
In peggioramento sono risultati anche altri indicatori riferiti all’attività delle imprese: l’indice destagionalizzato della produzione industriale è diminuito su base annua ad ottobre 2013 di -1,1%.

Sempre nel terzo trimestre del 2013 si è registrata una significativa diminuzione della domanda di finanziamento delle imprese legata agli investimenti.

Ocse, inoltre, ha rilevato che in Italia, tra il 2011 e il 2012, la pressione fiscale, misurata
come rapporto tra introiti fiscali e Pil, è cresciuta di 1,4 punti percentuali, arrivando al 44,4%.
Si tratta di un aumento superiore alla media Ocse (0,5 punti) e inferiore solo a quelli registrati in Ungheria (1,8) e Grecia (1,6) tra i Paesi membri dell’organizzazione parigina.

La pressione fiscale italiana era prima scesa dal 42% nel 2000 al 40,6% nel 2005, poi risalita al 43,2% nel 2007, riscesa al 43% nel 2011 e risalita al 44,4%.
Nel 2011, ultimo anno per cui esistono dati comparabili per tutti i Paesi membri, il dato italiano del 43% era di quasi 9 punti percentuali superiore alla media Ocse. Il nostro Paese era quinto per pressione fiscale tra i membri dell’organizzazione, dietro Danimarca (47,7%), Svezia (44,2%), Francia (44,1%), Belgio (44%) e Finlandia (43,7%).

Vera MORETTI

Dirigenti PA: gli italiani sono i più pagati

Forse le Pubbliche Amministrazioni italiane non riescono a saldare i debiti che hanno nei confronti delle imprese a causa degli stipendi troppo alti riservati ai loro dirigenti.
Si tratta di un paradosso, ovviamente, ma quello che risulta, invece, reale, è che i dirigenti della nostra PA sono quelli meglio pagati, tra tutti i Paesi Ocse.

Sembra, infatti, che i fortunati percepiscano, in media, una retribuzione di 632 mila dollari l’anno, ovvero tre volte di più rispetto alla media degli altri Paesi, dove la media si ferma a
232 mila dollari.
Al secondo posto, dopo l’Italia, c’è la Nuova Zelanda, dove i dirigenti guadagnano 400 mila dollari all’anno, e al terzo il Cile.
Il distacco con Francia e Germania, rispettivamente quarta e quinta, è ampio, poiché si fermano entrambi intorno a 250 mila dollari.

Perdono il primato invece i dirigenti italiani di secondo livello della pubblica amministrazione, anche se, con 176 mila dollari l’anno, si collocano comunque ben sopra la media Ocse di 126 mila, anche se vengono nettamente superati dagli americani che portano a casa circa 250 mila dollari l’anno.
Retribuzioni più alte rispetto a quelle degli italiani anche per i dirigenti di Olanda, Francia e Belgio.

Risultano sottopagati i funzionari italiani della pubblica amministrazione con 69 mila dollari l’anno contro una media Ocse che sfiora i 90 mila dollari.
Anche per questa fascia primato ai dirigenti degli Stati Uniti con 160 mila dollari l’anno, oltre 100 mila dollari anche per i funzionari pubblici di Belgio, Danimarca, Olanda e Spagna.

Dal rapporto Ocse, inoltre, emerge che i dipendenti pubblici hanno una incidenza inferiore rispetto alla media Ocse, poiché essi rappresentano il 13,7% del totale degli occupati contro il 15,5% della media dei paesi Ocse.
Nei paesi scandinavi i dipendenti pubblici sono circa il 30% del totale degli occupati, in Francia superano il 20% e in Gran Bretagna sono il 18%.
Anche gli Stati Uniti superano l’Italia: ogni 100 occupati 15 lavorano nella pubblica amministrazione.

Vera MORETTI

Processi civili troppo lunghi: Italia maglia nera

Tra i primati negativi dell’Italia, si aggiunge anche quello di “maglia nera” tra i 34 Paesi Ocse per quanto riguarda la durata dei processi civili: ben 8 anni prima di arrivare al terzo grado di giudizio, contro una media di “soli” 778 giorni.

Proprio questa lungaggine dei processi penalizza, di fatto, lo sviluppo economico del Paese, che dimostra di avere una giustizia civile troppo lenta e non all’altezza dell’Europa, anche nei confronti degli investitori, ai quali non sono garantiti “rispetto dei contratti e la certezza del diritto di proprietà“.

Ciò che manca, secondo l’Ocse, non sono le risorse ma una gestione efficiente dei tribunali, che migliorerebbe con una maggiore informatizzazione: “Molti Paesi non hanno ancora offerto servizi online, come la possibilità per gli avvocati di seguire i casi via web. Investimenti nell’informatizzazione dei tribunali sono correlati a una più alta produttività dei giudici“.

Tra i Paesi che, nel 2010, hanno fatto registrare le migliori performance, c’è il Giappone, con una lunghezza media del primo grado di 107 giorni, e l’Italia fanalino di coda con 564 giorni.

Dall’analisi Ocse: “La lunghezza media di un processo in sede civile, al termine del terzo grado di giudizio, e’ stata di 788 giorni, con la Svizzera, più virtuosa, con solo 368 giorni e l’Italia, fanalino di coda, con quasi otto anni di durata. Dai dati raccolti dall’Ocse, non emerge un legame tra la percentuale di PIL spesa per la macchina della giustizia e le performance del sistema: Paesi con gli stessi stanziamenti mostrano infatti una durata dei processi molto diversa tra loro. L’organizzazione cita a esempio Paesi come “Italia, Repubblica Slovacca, Svizzera e Repubblica Ceca che stanziano circa lo 0,2% del PIL per finanziare il sistema giustizia, ma mentre in Svizzera e in Repubblica Ceca la media della durata di un processo e’ di 130 giorni, il dato aumenta di 2,7 volte per la Repubblica Slovacca e di quattro volte per l’Italia“.

Vera MORETTI

Pil ancora in discesa in Italia

Il Pil italiano è stato ritoccato, ancora per difetto, dall’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico: la previsione per il 2013 è di una contrazione di 1,8 punti percentuali, che vanno a sommarsi al -2,4% del 2012.

Dall’ultimo Economic Outlook: “La recessione italiana si trascinerà nel 2013 con gli effetti dell’inasprimento di bilancio e delle condizioni del credito che zavorrano l’attività“.

Una ripresa, seppur lieve, è attesa per il 2014, quando il prodotto interno lordo salirà, o almeno si spera, dello 0,4%. Per l’Eurozona si prevede un -0,6% nel 2013 e un +1,1 nel 2014.

Rispetto alle stime di un mese fa, dunque, le previsioni sono scese ulteriormente, a causa delle perdite nel settore bancario, anche se sembra in arrivo un leggero miglioramento dalla liquidazione dei debiti pregressi della PA nei confronti delle imprese.

Sono invece più ottimistiche le previsioni sui conti pubblici, soprattutto relative al deficit, stimato ora perfettamente in linea con i parametri europei sia quest’anno che il prossimo.
Ora per il 2013 l’Ocse stima un disavanzo di bilancio al 3% del Pil, con un abbassamento al 2,3 sul 2014. Quasi invariate invece le attese sul debito pubblico: lieviterà dal 127% del Pil nel 2012 al 131,7 nel 2013 e al 134,3 per cento nel 2014.
Per quanto riguarda la disoccupazione, per il 2013 l’Ocse stima un aumento all’11,9%, mentre sul 2014 è atteso un ulteriore e netto incremento al 12,5.

Vera MORETTI