Grassi: “Ridicola l’obbligatorietà del Pos sopra i 30 euro”

«Ridicolo» e «paradossale» sono questi i termini coi i quali il presidente di Federarchitetti, Paolo Grassi, si riferisce all’obbligatorietà per i liberi professionisti del POS per le transazioni sopra i 30 euro. In questa nostra settimana di approfondimento in merito alla norma che entrerà in vigore per gli studi professionali e le imprese dall’1 luglio prossimo, abbiamo incontrato il massimo esponente del sindacato nazionale degli architetti liberi professionisti e componente di Confedertecnica, che nei mesi scorsi considerava il provvedimento «un tributo del Governo alle banche».

Dott. Grassi, l’opinione fortemente negativa di Federarchitetti sull’obbligatorietà per i liberi professionisti del POS è cosa nota.
Certamente. Il limite del contante entro i 30 euro appare ridicolo e paradossale, se rapportato alla copertura di “spese documentabili” anche di una sola colazione. L’uso del POS poteva eventualmente essere incluso come strumento aggiuntivo e facoltativo. L’obbligatorietà costituisce una forzatura a beneficio del sistema bancario e un costo aggiuntivo che si somma alle diseconomie proprie nell’esercizio professionale causate dalle inefficienze del sistema pubblico ed è un inutile appesantimento burocratico-procedurale. Appare paradossalmente improprio, ma significativo, l’invito degli Ordini professionali, in quanto referenti istituzionali, nell’indicare non vincolante la normativa ormai in vigore.

Il provvedimento entrerà in vigore con la nobile causa di combattere l’evasione fiscale. Quali misure alternative all’obbligatorietà del Pos si potrebbero attuare per combattere l’eventuale sommerso?
Molte altre, non c’è dubbio. Per esempio, per prima cosa, garantire l’esercizio professionale ai soli liberi professionisti con partita IVA ed eliminare le forma di doppio lavoro dei dipendenti pubblici. Le misure alternative sarebbero decine…

Il mercato delle libere professioni è davvero una giungla nella quale la parola d’ordine è fregare?
No, ma occorre resettare le attuali norme sugli affidamenti dei LL.PP. imperniate su attestazioni di merito su parametri di dimensione economica e strutturale, con effetti di progressiva decimazione dei professionisti in grado di soddisfare tali parametri e introdurre procedure maggiormente aperte con inclusione del sorteggio in sede di selezione finale, eliminando valutazioni discrezionali e clientelari per definizione. Sarà fondamentale anche attuare forme di mobilità entro e tra le pubbliche amministrazioni al fine di evitare forme di complicità consolidate tra professionisti ed uffici tecnici.

Jacopo MARCHESANO

Federarchitetti scrive al CNAPPC

Paolo Grassi, presidente di Federarchitetti, ha scritto, a nome della sua Associazione, una lettera a Leopoldo Freyrie, presidente del Consiglio Nazionale degli Architetti.

Il motivo di questa lettera è l’apparente indifferenza, da parte del CNAPPC, nei confronti dei sindacati e una chiusura verso coloro che potrebbero migliorare un regolamento non privo di criticità.
Trattandosi di un’intera categoria, Grassi ha ritenuto opportuno rivolgere le sue rimostranze al presidente dell’ordine degli Architetti.

Ciò che maggiormente indispone Federarchitetti è il silenzio da parte del CNAPPC, che viene interpretato come indifferenza nei confronti dell’intera categoria, ma soprattutto nei confronti di “un reale bisogno di contribuire a migliorare l’imposizione di un “balzello”, forse il peggiore, che calerà come una mannaia su tutti noi in un periodo disastroso per i liberi professionisti. Non si comprende la logica dei due pesi e due misure: scopriamo infatti che il CNAPPC pretende la concertazione quando le iniziative sono altrui ma ignora il confronto quando l’iniziativa è propria”.

Questo atteggiamento viene definito contraddittorio, in particolare se si pensa che il CNAPPC era intenzionato ad avviare “un progetto di sinergia e partecipazione con organismi ed associazioni sindacali attraverso un proficuo confronto su tematiche di comune interesse”.

Conclude la lettera di Grassi: “Oggi è sempre più tempo di rispetto per i diversi ruoli, di apertura al confronto e alla concertazione, di sinergia e partecipazione, lo chiede la società, lo chiedono i liberi professionisti, lo chiedono i nostri dipendenti e collaboratori. Pertanto, con al presente, Federarchitetti -SNALP rinnova la RICHIESTA urgente di aprire, nel più breve tempo possibile, un Tavolo di concertazione, riservandosi ogni altra azione di salvaguardia della libera professione e di tutela dei liberi professionisti nelle sedi opportune”.

Vera MORETTI

Riforma degli ordini, i dubbi di Federarchitetti

Federarchitetti prende in mano carta e penna e scrive una missiva al Ministero della Giustizia, alla Commissione Giustizia della Camera e ai capigruppo dei partiti, a firma del Segretario Nazionale Maurizio Mannanici e del Presidente Nazionale Paolo Grassi, per esprimere tutte le proprie riserve sul testo di riforma degli ordinamenti professionali.

Federarchitetti ritiene infatti inadeguato il testo che, non riconoscendo le peculiarità del comparto tecnico e contraddicendo i principi cardine delle direttive comunitarie sulla necessità di emarginazione dei vincoli nell’esercizio delle professioni, ne tradisce gli obbiettivi fondanti di rafforzamento del ruolo in ambito culturale e strutturale condizionandone il decollo sul mercato internazionale.

Nelle linee generali della Riforma prevale infatti un disegno che disconosce un effettivo processo democratico, dove, ad un eccesso di controllo e sanzioni non si interfacciano momenti di confronto con le rappresentanze sindacali dei liberi professionisti, ignorando ogni legittimo diritto alla tutela di quest’ultimi. Ulteriori procedure di controllo vengono estese al tirocinio ed alla formazione, assoggettate a logiche avulse da ogni concetto di scelta meritocratica nel riconoscimento del mercato della committenza pubblico-privata nel corso dell’attività, ma a logiche di selezione subordinate alla prevalenza di requisiti economici e temporali.

I percorsi ipotizzati dalDecreto, comportano l’assoggettamento del contesto libero professionale ad un ruolo di emarginazione con gravi conseguenze per lo stato sociale e culturale del Paese.

In particolare si evidenzia:

1. le forme di tirocinio devono prevedere un periodo di almeno 2/3 svolto e certificato presso gli studi professionali;

2. una formazione continua deve essere aperta, anche supportata da finanziamenti, e svolta da Enti di formazione accreditati presso le Regioni e promossi dalle Associazioni e Sindacati professionali, con il controllo degli Ordini, per una trasparente distinzione di ruoli: soppressione di forme di credito formativo e copertura con prevalente attività svolta presso gli studi professionali.

3. copertura assicurativa obbligatoria limitata ai soggetti aventi responsabilità presso la committenza pubblica o privata, ed attiva in relazione alla prestazione
professionale;

4. determinazione dell’onorario non d’imperio, ma in contraddittorio con le rappresentanze dei professionisti e comunque in forma preventiva e rapportato, anche, ai costi determinati dall’applicazione del CCNL degli studi professionali;

5. processi disciplinari svolti in contraddittorio con le rappresentanze professionali per garantire adeguate forme di tutela del professionista;

6. netta e chiara separazione fra esercizio della libera professione e svolgimento di compiti professionali in Enti pubblici, o formativi nelle Università, con criteri di contenimento delle forme di consulenza a casi di eccezionale rilevanza specialistica.

7. contenimento del numero degli Ordini a massimo due organismi, (capoluogo e restanti Province), al fine di adeguarne le strutture al sostegno dei professionisti nelle procedure tecnico-amministrative anche per l’attività in Paesi esteri.

In via collaterale, Federarchitetti, esprime contrarietà al provvedimento sanzionatorio previsto a carico degli studenti fuori-corso, bisognevole di più articolati approfondimenti. Un regime, di epurazione culturale, oltre a risultare contraddittorio in un sistema universitario che supporta scarsamente gli studenti, comporta la contrazione di una preparazione specialistica, abbandonando gli studenti, non coperti economicamente dalle famiglie, in aree forzate di disoccupazione o ad accrescere i bacini del precariato: i dati europei contraddicono una tale impostazione, essendo l’Italia un Paese con un basso rapporto di laureati.

Ben più produttivo sarebbe il ricorso, da parte degli Atenei, ad un incremento di iniziative di sostegno, anche per studenti con famiglie a carico, fuori sede o lavoratori, con corsi idonei a consentire loro il proseguimento degli studi, invece di scoraggiarne il prosieguo, fatto salvo l’effettivo impegno dello studente.