Pensione con contratto di espansione, per uscita 5 anni prima nel 2021 comunicazione all’Inps entro il 2 settembre

C’è tempo fino al 2 settembre prossimo per l’invio della comunicazione all’Inps per la stipula dell’accordo azienda-lavoratori-sindacati rientrante nelle pensioni del contratto di espansione. La comunicazione è relativa ai prepensionamenti che avverranno entro la fine del 2021, con decorrenza della pensione prevista a partire dal 1° dicembre prossimo. La scadenza, dunque, riguarda le aziende che vogliano utilizzare il meccanismo del prepensionamento, che consente ai lavoratori di uscire anticipatamente di cinque anni.

Contratto di espansione, come uscire 5 anni prima rispetto alla pensione di vecchiaia o anticipata?

Le pensioni previste dal contratto di espansione consentono ai lavoratori di uscire anticipatamente di 5 anni sia rispetto ai 67 anni richiesti per la pensione di vecchiaia che ai 37 anni e 10 mesi di contributi necessari per la pensione anticipata. La misura, già in vigore dal 2019, nel tempo ha subito modifiche soprattutto per quanto riguarda il requisito dimensionale dell’azienda datrice di lavoro. Infatti, inizialmente il meccanismo riguardava solo le aziende con almeno 1.000 unità lavorative. Le successive modifiche normative hanno abbassato il minimo a 250 unità lavorative (legge di Bilancio 2021) fino ad arrivare a 100 addetti con il decreto Sostegni bis di Mario Draghi.

Contratto di espansione, cosa serve per andare in pensione 5 anni prima?

Il contratto di espansione, già in vigore dal 2019, ha visto nel tempo modificare i requisiti di uscita, soprattutto quelli riguardanti l’azienda datrice di lavoro. Inizialmente potevano accedere alla misura le aziende con almeno 1.000 unità lavorative. La legge di Bilancio 2021, ha fissato il requisito dimensionale minimo a 250 unità lavorativa, con ulteriore riduzione a 100 unità del decreto Sostegni bis di Mario Draghi. Serve l’adesione volontaria del lavoratore, l’accordo sindacale e la presentazione della lista dei lavoratori in uscita con la misura all’Inps.

In cosa consiste la comunicazione Inps per le pensioni del contratto di espansione?

Per l’uscita anticipata con il contratto di espansione la legge prevede l’accordo sindacale. Tale accordo è da siglare nella sede territoriale del ministero del Lavoro alla presenza dei rappresentanti dell’azienda e dei sindacati stessi, nazionali o aziendali. La scadenza del 2 settembre delle pensioni rientranti nel contratto di espansione riguarda proprio la firma degli accordi sindacali dei lavoratori da mandare in pensione con relativa comunicazione all’Inps. L’adesione dei lavoratori è volontaria. La scadenza si desume dalla circolare Inps numero 48 del 24 marzo del 2021 e dal messaggio Inps numero 2419 del 2021.

Contratto di espansione e cessazione del lavoro

Infatti, per l’adesione alle pensioni con uscita 5 anni prima, la circolare 48 dell’Inps ha stabilito che la cessazione del rapporto di lavoro, sulla base del consenso dei lavoratori, debba avvenire sempre nell’ultimo giorno del mese. La decorrenza della prestazione pensionistica inizia a partire dal giorno successivo (primo giorno del mese), senza soluzione di continuità.

Contratto di espansione, da quando decorre la pensione nel 2021?

Di conseguenza, relativamente alle uscite del 2021 l’ultima data di recesso del rapporto di lavoro è stata fissata al 30 novembre. L’assegno di pensione, invece, decorre dal 1° dicembre. Tuttavia, la domanda di accesso all’esodo, secondo il messaggio Inps 2491 del giugno scorso, ha come scadenza non oltre i tre mesi precedenti al 1° dicembre. Dunque, calcolando i 90 giorni precedenti, risulta la scadenza per la comunicazione all’Inps dell’accordo entro il 2 settembre prossimo.

Pensione 2022: senza una riforma quali modi restano per accedere?

Quali saranno le alternative per andare in pensione nel 2022 in assenza di una riforma e nell’anno della fine della sperimentazione della quota 100? Ecco dunque la descrizione di quelli che sono, ad oggi, le possibilità di uscita del prossimo anno. Oltre alla pensione di vecchiaia, i lavoratori prossimi alla pensione potranno scegliere tra le alternative della pensione anticipata, Ape sociale, quota 41 dei lavoratori precoci, isopensione, opzione donna e contratto di espansione.

Pensione di vecchiaia, i requisiti di uscita del 2022

La classica formula di pensione, quella di vecchiaia, anche nel 2022 manterrà inalterati i requisiti di uscita. Per andare in pensione anche l’anno prossimo servirà l’età anagrafica di 67 anni unitamente ad almeno 20 anni di contributi, sommati anche presso più gestioni previdenziali, Inps e Casse professionali. Quest’ultimo passaggio è possibile grazie a una delle misure adottate negli ultimi anni, ovvero il cumulo contributivo. La pensione di vecchiaia assicura una prestazione della quale beneficiano tutti i lavoratori dipendenti e autonomi iscritti all’Assicurazione generale obbligatoria (Ago), agli aderenti alla Gestione separata Inps e ai lavoratori aderenti ai fondi pensione esclusivi e sostitutivi dell’Assicurazione generale obbligatoria.

Pensione anticipata, anche nel prossimo anno requisiti contributivi invariati

Per chi ha un alto numero di anni di contributi avendo iniziato a lavorare in giovane età, è possibile sperare nella pensione anticipata. Anche per il 2022 i requisiti contributivi rimarranno invariati (e lo saranno fino al 2026). Per l’uscita anticipata occorrono 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne. Non vi è differenza tra lavoratori dipendenti del settore privato o pubblico e nemmeno per gli autonomi.

Quota 100 nel 2022 solo per chi matura il diritto di pensione entro il 31 dicembre 2021

La quota 100 terminerà la sperimentazione triennale al 31 dicembre 2021. Tuttavia,  i contribuenti che abbiano maturato o matureranno i requisiti entro la fine di quest’anno potranno scegliere di uscire nel 2022 o anche negli anni successivi. Occorre, dunque, maturare l’età minima di 62 anni entro il 31 dicembre prossimo unitamente ad almeno 38 anni di contributi. La possibilità di differire l’uscita anche nel 2022 dipende dal fatto che il diritto al pensionamento anticipato con quota 100 rimane “cristallizzato”.

Quota 100, diritto cristallizzato, ma valgono le finestre mobili di 3 o 6 mesi

Conta dunque il momento in cui si maturano i requisiti della misura. Invariato rimane, invece, il meccanismo delle finestre mobili. L’introduzione della misura nel 2019 ha previsto una finestra di 3 mesi per i lavoratori del settore privato e di 6 mesi per quelli del pubblico. Ciò significa che dal momento in cui si può inoltrare la domanda di pensione a quello in cui effettivamente si inizia a ricevere l’assegno mensile passano 3 o 6 mesi.

Ape sociale, uscita per la pensione dai 63 anni ma attenzione ai requisiti richiesti

Verrà confermato ancora l’anticipo pensionistico Ape sociale, la misura di pensione anticipata che consente ai lavoratori di uscire a partire dai 63 anni. Tuttavia, è necessario prestare attenzione ai requisiti richiesti. La misura, fin dall’inizio, è stata ideata per andare incontro a determinate categorie di lavoratori in condizioni disagiate dal punto di vista economico e sociale. E, pertanto, è necessario rientrare tra i disoccupati, tra gli inabili con almeno il 74% per invalidità o tra i caregivers, ovvero tra coloro che si occupano dell’assistenza di un familiare in condizione di disabilità. Gli anni di contributi minimi sono 30 o 36 a seconda delle condizioni individuali.

Pensioni, l’Ape sociale potrebbe essere potenziata

Proprio la pensione Ape sociale è una delle misure deputate a essere potenziate per il 2022. In particolare, l’uscita a 63 anni per le persone in condizioni lavorative di disagio potrebbe riguardare più categorie rispetto a quelle attuali dei lavoratori impiegati in attività usuranti. Attualmente, le categorie previste sono in numero di 15 e vi rientrano, a titolo di esempio, gli infermieri per la sanità e le maestre e gli educatori per la scuola. Tuttavia, una delle due Commissioni istituite dall’allora ministro del lavoro Nunzia Catalfo, potrebbe procedere a includere nuove categorie lavorative tra gli usuranti, mansioni precedentemente escluse.

Precoci con quota 41, la pensione è una corsa a ostacoli tra i requisiti

Non è una ‘quota 41 per tutti‘ la misura di pensione anticipata prevista dalla normativa attuale per i precoci. Si tratta, piuttosto, di una misura che implica il possesso di specifici requisiti per lasciare prima il lavoro. Innanzitutto occorrono 41 anni di contributi previdenziali, dei quali almeno uno versato prima dei 19 anni. Nel raggiungimento dei requisiti sono validi anche i periodi di lavoro all’estero riscattati e i periodi riscattati per omissioni contributive.

Pensioni precoci, come si calcolano i contributi per la quota 41?

Inoltre, i 41 anni di contributi possono essere stati versati anche in maniera non continuativa, ma è necessario (e anche matematico) che i lavoratori precoci debbano avere l’anzianità contributiva anche prima del 1996. Infine, per andare in pensione è necessario rientrare in una delle categorie tutelate dall’Ape sociale (disoccupazione, caregivers, disabilità). La maturazione di tutti i requisiti permette al contribuente di uscire indipendentemente dall’età anagrafica.

Con l’isopensione si può andare in pensione fino a 7 anni prima

Tra le possibilità di andare in pensione prima dei 67 anni richiesti per la pensione di vecchiaia c’è l’isopensione. Si tratta di una formula di prepensionamento che può essere attivata dai datori di lavoro, con costi unicamente a carico dell’azienda. Il risparmio in anni di uscita da lavoro arriva fino a 7 per gli esodi collocati entro la fine di novembre del 2023 (dal 2024 l’isopensione si potrà fare per un massimo di 4 anni di anticipo). Dunque con l’isopensione si può uscire anche a 60 anni, ma è necessario l’accordo sindacale per favorire l’uscita dei lavoratori aziendali.

Come viene calcolato l’assegno di pensione con l’isopensione?

Con l’isopensione, l’azienda riconosce al lavoratore in uscita un assegno dello stesso importo della pensione maturata fino al momento dell’uscita. Inoltre, il datore di lavoro assicura anche una contribuzione previdenziale piena calcolata sulla media delle retribuzioni degli ultimi due anni di lavoro. Nel periodo di isopensione, quindi fino al raggiungimento della pensione di vecchiaia, è possibile svolgere qualsiasi lavoro da dipendente o da autonomo. Cosa che non è possibile nel periodo di anticipo con la quota 100: è possibile cumulare la pensione con redditi da lavoro purché siano occasionali, non alle dipendenze e dal valore lordo massimo di 5.000 euro annuali.

Pensioni con opzione donna, uscita dai 58 anni anche nel 2022

La misura di pensione anticipata per le lavoratrici nota come “Opzione donna” è stata confermata per tutto il 2021 dalla scorsa legge di Bilancio. Per il 2022 la misura potrebbe registrare una ulteriore proroga. Anzi, è possibile che l’Opzione donna diventi proprio strutturale, almeno da quanto trapela sulle intenzioni del governo Draghi. In ogni modo, i requisiti richiesti sono l’età di 58 anni per le lavoratrici alle dipendenze e 59 per le autonome. Inoltre, sono necessari 35 anni di contributi. Tuttavia, in tema di futuro assegno mensile, è necessario che le lavoratrici accettino il ricalcolo al 100% della pensione con il meccanismo contributivo. Ciò comporta un taglio che, mediamente, si attesta tra il 20 e il 30% e dura per tutta la vita da pensionate.

Pensione anticipata, le possibilità del contratto di espansione

Infine, tra le misure che consentiranno ai lavoratori di andare in pensione anticipata nel 2022 ci sarà anche il contratto di espansione. La formula prevede il prepensionamento con 5 anni di anticipo, sia che si punti a uscire prima rispetto alla pensione di vecchiaia (62 anni anziché 67 anni), sia che l’obiettivo diventi quello di anticipare cinque anni di contributi rispetto alla pensione anticipata. Il meccanismo, dunque, permettere ai lavoratori di andare in pensione con 37 anni e 10 mesi di contributi. Rimane in vigore l’anno di sconto per le donne (36 anni e 10 mesi di contributi).

Contratto di espansione, cosa serve per andare in pensione 5 anni prima?

Il contratto di espansione, già in vigore dal 2019, ha visto nel tempo modificare i requisiti di uscita, soprattutto quelli riguardanti l’azienda datrice di lavoro. Inizialmente potevano accedere alla misura le aziende con almeno 1.000 unità lavorative. Con la legge di Bilancio 2021, il requisito dimensionale minimo è stato abbassato a 250 unità lavorativa, ulteriormente ridotto a 100 unità con il decreto Sostegni bis di Mario Draghi. Serve l’adesione volontaria del lavoratore, l’accordo sindacale e la presentazione della lista dei lavoratori in uscita con la misura all’Inps.

Neutralizzare contributi dannosi per la pensione: come funziona?

La riduzione dello stipendo, il ricorso alla cassa integrazione e i periodi di disoccupazione possono ridurre i contributi previdenziali. Come conseguenza, ne potrebbe risentire l’importo della futura pensione, ma è possibile neutralizzare i contributi svantaggiosi. Focus, dunque, sui contributi, l’elemento principale nel calcolo della pensione. Alcuni periodi contributivi infatti sarebbe meglio escluderli dal calcolo della pensione, come ad esemio i contributi figurativi.

Chi rischia l’assegno di pensione ridotto per i ‘contributi dannosi’?

La neutralizzazione dei contributi dannosi per la pensione futura riguarda, in primo luogo, i lavoratori che rientrano nel sistema previdenziale retributivo. La medesima situazione, invece, non si verifica se il lavoratore ricade nel mecacnismo previdenziale contributivo, con inizio di contribuzione a partire dal 1° gennaio 1996. La motivazione risiede proprio nel calcolo della pensione. Per il contribuente del regime retributivo, infatti, incidono principalmente gli stipendi percepiti negli ultimi cinque o dieci anni di lavoro.

Futura pensione in diminuzione per chi perde il lavoro prima dell’uscita

Ciò equivale a dire che, negli anni precedenti l’uscita da lavoro per la pensione, i contribuenti del sistema retributivo, in corrispondenza di stipendi più bassi, si vedrebbero calcolata la futura pensione sulla base di salari in diminuzione, anziché in aumento. Questa relazione è tanto vera quanto più penalizzante risulta per i lavoratori che perdono il proprio lavoro e percepiscono l’assegno di disoccupazione. A fronte di retribuzioni ridotte corrisponderà una pensione futura in diminuzione.

Contributi dannosi per il calcolo della pensione futura: i riferimenti normativi

I passaggi normativi rigurdanti la disciplina della neutralizzazione dei contributi “dannosi” ha radici molto indietro nel tempo. Inizialmente la questione è stata affrontata dall’articolo 37 del decreto del Presidente della Repubblica numero 818 del 26 aprile 1957. Infatti, nell’articolo si fa riferimento ai periodi da escludere in modo che non concorrano al calcolo della pensione nel quinquennio di riferimento, ovvero i periodi di:

  1. assenza facoltativa dal lavoro;
  2. lavoro subordinato all’estero;
  3. servizio militare;
  4. malatttia.

La sterilizzazione dei contributi penalizzanti

I successivi provvedimenti legislativi con la legge numero 297 del 1982 e il decreto legislatio numero 503 del 1992, nonché gli interventi della Corte costituzionale, sono andati nella direzione del riconoscere ai lavoratori, anche autonomi, la facoltà di sterilizzare gli eventuali contributi penalizzanti. In tal senso, è possibile non farli rientrere nel calcolo della futura pensione purché vengano accreditati una volta maturato il requisito contributivo richiesto per la pensione anticipata o per quella di vecchiaia.

Quali contributi si possono neutralizzare e in quali limiti?

Fatta la premessa del momento in cui si può attivare la sterilizzazione dei contributi penalizzanti, la legge riconoscere il meccanismo per un massimo di 260 settimane di contributi. Il limite fa riferimento ai periodi:

  • di rioccupazione con uno stipendio inferiore a qello che si percepita prima;
  • alla disoccupazione indennizzata.

Non vi sono limiti, invece, per la neutralizzazione dei seguenti contributi:

  • quelli riguardanti periodi figurativi di integrazione dello stipendio;
  • i periodi di contribuzione volontaria.

Domanda di neutralizzazione dei contributi penalizzanti

Spetta al lavoratore l’iniziativa di fare richiesta di neutralizzazione dei contributi penalizzanti. In particolare, la richiesta deve essere presentata all’Inps nel caso in cui il lavoratore ravvisi una decurtazione della pensione. In particolare, una volta raggiunti i requisiti della pensione di vecchiaia o della pensione anticipata, l’eventuale ed ulteriore montante di contributi accreditato può essere neutralizzato se dal calcolo dell’accredito risulti un nocumento sull’assegno di pensione.

Contributi da neutralizzare: il caso della retribuzione inferiore

Sul caso dei contributi da neutralizzare a causa di una retribuzione inferiore che possa produrre un assegno di pensione decurtato, è intervenuta l’Inps con la circolare numero 133 del 1997 e con il messaggio 12002 del 2006. La circolare, che si rifà alla sentenza della Corte Costituzionale numero 264 del 1994, recita: “In base ai principi enunciati dalla Corte Costituzionale con la sentenza numero 264, l’esclusione dal calcolo della pensione dei periodi di retribuzione ridotta non necessari ai fini del perfezionamento dell’anzianità contributiva minima è finalizzata a evitare un depauperamento del trattamento pensionistico causato dallo svolgimento di un’attività lavorativa meno retribuita nell’ultimo quinquennio di lavoro”.

Il calcolo delle 260 settimane ai fini della confronto dei contributi

Ciò premesso, la circolare Inps specifica che: “La diminuzione della retribuzione deve essersi verificata nell’ultimo quinquennio di contribuzione, e cioe in coincidenza con il periodo di riferimento (le ultime 260 settimane di contribuzione) o nel corso di esso”. Al verificarsi di queste condizioni, l’applicabilità della sentenza numero 264 nel caso di cambiamento dell’attività lavorativa nell’ultimo quinquennio di contribuzione, necessita di “prendere a riferimento la retribuzione settimanale media percepita nell’anno di cessazione della precedente attività, calcolata sulla base delle retribuzioni percepite per tale attività, e metterla a confronto con la retribuzione media settimanale percepita nello stesso anno, calcolata sulla base delle retribuzioni percepite in relazione alla nuova attività lavorativa”.

Periodi da escludere dal calcolo della pensione

La circolare Inps detta, dunque, disposizioni in merito ai periodi da escludere dal computo della pensione. Infatti, come poi specificato dalla stessa Inps con il messaggio 12002 del 2006, “deve essere escluso dal computo della retribuzione pensionabile e dell’anzianità contributiva tutto il periodo di lavoro svolto a partire dal cambiamento di attività ovvero, in caso di riduzione retributiva avvenuta nell’ambito dello stesso rapporto di lavoro, tutto il periodo di lavoro svolto a partire dall’anno solare in cui è iniziata tale riduzione. In ogni caso non possono essere escluse dal computo più di 260 settimane di contribuzione”.

Contributi dannosi in caso di disoccupazione indennizzata

Sui contributi dannosi in caso di disoccupazione indennizzata è intervenuta la Corte costituzionale con la sentenza numero 82 del 2017. Nel caso di pensione retributiva non si conta il periodo di disoccupazione, se dannoso. Ovvero deve essere possibile, per il lavoratore, eslcudere i periodi in cui si sono percepiti contributi per disoccupazione.

La sentenza della Corte costituzionale sui periodi di disoccupazione

I periodi di disoccupazione andrebbero ad abbassare l’assegno pensionistico. La sentenza della Corte costituzionale ha stabilito, dunque, l’illegittimità del comma 8 dell’articolo 3, della legge 297 del 1982. Il provvedimento, infatti, non permetteva al lavoratore, che già avesse matrato il diritto alla pensione, di scorporare il periodo non lavorato coperto da disoccupazione.

Integrazione salariale ai fini della pensione nel retributivo

Non è soggetto al vincolo delle 260 settimane il caso dell’integrazione salariale. La circolare Inps numero 158 del 1996 prende in esame il lavoratore che percepisce, nell’ultimo periodo antecedente la decorrenza della pensione, il trattamento di integrazione salariale. In particolare, l’Inps stabilisce che: “La liquidazione dell’assegno pensionistico risulta determinata in misura sensibilmente più ridotta rispetto a quella che sarebbe derivata tenendo conto dei soli contributi obbligatori già versati e sufficienti, all’atto dell’ammissione all’integrazione salariale, a far conseguire il trattamento pensionistico di anzianità al raggiungimento dell’età pensionabile”.

Esclusione dei periodi di integrazione salariale

La circolare Inps disponde che “nei casi in cui nel periodo utile per il calcolo della retribuzione pensionabile, e cioè nelle ultime 260 settimane di contribuzione antecedenti la decorrenza della pensione, siano compresi periodi di contribuzione per integrazione salariale, la contribuzione per integrazione salariale non deve essere considerata a nessun effetto”.  Ne consegue che le pensioni con decorrenza posteriore al 31 dicembre 1992 devono essere calcolate senza tener conto dell’integrazione salariale.

Periodi di contribuzione volontaria

Rientrano nella casistica dei contributi dannosi anche quelli versati volontariamente dei quali parla l’Inps nella circolare 127 del 2000. In particolare, il ricalcolo della pensione e, dunque, la neutralizzazione dei contributi dannosi riguarda:

  • le pensioni a carico dell’assicurazione obbligatoria dei lavoratori dipendenti;
  • i lavoratori autonomi per il cumulo di contribuzione.

Il versamento dei contributi volontari, effettuato nell’ultimo quinquiennio di contribuzione, deve aver comportato una riduzione della pensione maturata sulla base dei contributi versati nella vita lavorativa.

Pensione quota 100 dopo il 2021: il diritto è cristallizzato, come si esercita?

I contribuenti che raggiungeranno i requisiti anagrafici e contributivi per la formula di pensione anticipata quota 100 nel corso del 2021, o che li abbiano raggiunti negli anni precedenti, possono accedere alla misura anche nel 2022. In tal caso, la domanda di pensionamento va presentata nel prossimo anno. Il chiarimento arriva direttamente dal decreto legge che ha istituito il meccanismo di uscita anticipata risalente a inizio 2019.

Requisiti della quota 100: uscita dai 62 anni con 38 anni di contributi

La precisazione è particolarmente importante per la circostanza che le pensioni nella formula della quota 100 termineranno la loro sperimentazione il 31 dicembre 2021. Ciò significa che, a partire dal 1° gennaio 2021, non potranno andare in pensione con quota 100 i contribuenti che matureranno, nel prossimo anno, 38 anni di contributi all’età minima di 62 anni. Ma nel 2022 potranno andare in pensione con quota 100 i contribuenti che i requisiti li hanno raggiunti entro il 31 dicembre 2021.

Quota 100, requisiti da raggiungere entro il 31 dicembre 2021 altrimenti si subirà lo ‘scalone’

Per chi maturerà i requisiti nel 2022, in assenza di nuove misure previdenziali o di incompatibilità con i meccanismi alternativi di uscita attualmente in vigore, si prospetta un’attesa di 5 anni per andare in pensione. I contribuenti in questa situazione dovranno attendere, infatti, i 67 anni della pensione di vecchiaia o continuare a lavorare fino a raggiungere almeno 42 anni e 10 mesi di contributi per la pensione anticipata. Si tratta del cosiddetto “scalone” previdenziale.

Pensioni quota 100: domanda 2022 con i requisiti maturati nel 2021

Sulla base di quanto chiarito dall’articolo 14 del decreto legge 4 del 2019, i lavoratori che perfezionano i requisiti per la quota 100 nel periodo tra il 2019 e ail 2021 possono conseguire la prestazione previdenziale anche successivamente. Nello specifico, in qualsiasi momento successivo all’apertura della cosiddetta finestra. Il decreto legge, poi convertito nella legge 26 del 2019  (“Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e pensioni”), specifica quanto segue: “Il diritto alla ‘pensione quota 100’ acquisito nel triennio 2019-2021 potrà essere esercitato anche successivamente al 31 dicembre 2021 e l’età anagrafica dei 62 anni non sarà ‘indicizzata’ alla cosiddetta ‘speranza di vita’”.

Pensioni anticipate a quota 100 e finestre mobili

Peraltro, nella scelta di uscita con quota 100 e di posticiparne la domanda pur avendo già maturato i requisiti, è necessario considerare le finestre mobili. La pensione anticipata che matura a partire dai 62 anni unitamente ad almeno 38 anni di contributi prevede una finstra di tre mesi. Ciò significa che per la decorrenza della pensione occorre attendere 90 giorni dalla maturazione del requisito.

Finestra mobile della quota 100 nella Pubblica amministrazione e scuola

Per i lavoratori della Pubblica amministrazione, invece, la finestra è di 6 mesi. Fanno eccezione i dipendenti del comparto scuola per i quali varia la decorrenza delle pensioni a quota 100. Infatti, tale decorrenza è fissata al 1° settembre dell’anno in cui raggiungono i requisiti. Pertanto, se i dipendenti scuola dovessero maturare la quota 100 entro la fine del 2021, devono aver già inoltrato le dimissioni entro il 7 dicembre 2020. Il rimando della presentazione della domanda di quota 100 farebbe trascorrere anche il periodo di finestra mobile.

Quota 100: il requisito anagrafico dei 62 anni rimane invariato alla speranza di vita

Lo stesso decreto legge 4 del 2019 ha escluso, inoltre, la possibilità che il requisito anagrafico dei 62 anni possa innalzarsi per la variazione della speranza di vita. In realtà, i requisiti anagrafici delle pensioni sono rimasti stabili negli ultimi anni. La pensione di vecchiaia è fissata a 67 anni e non subirà variazioni anche nei prossimi anni.

‘Cristallizzazione’ requisiti di uscita delle pensioni anticipate

La pensione anticipata con 42 anni e 10 mesi di contributi (per gli uomini) e di 41 anni e 10 mesi (per le donne) rimarrà invariata fino al 2026. E’ stato lo stesso decreto 4 del 2019 a bloccare il requisito dei versamenti richiesti per l’uscita senza considerare l’età anagrafica. Indipendentemente da quanto stabilito dal decreto legge 4 del 2019, l’età della pensione non sarebbe comunque variata parallelamente agli altri meccanismi di pensionamento.

Pensioni quota 100 e non cumulabilità con i redditi da lavoro

E’ importante sottolineare che il rinvio della pensione a quota 100 al 2022, pur con la maturazione dei requisiti nel 2021, deve essere attentamente valutato nel caso si continui a lavorare. Infatti, lo stesso articolo 14 del decreto 4 del 2019 disponde il divieto di cumulo dei redditi da lavoro con la pensione a quota 100. Nel dettaglio, la pensione con quota 100 è incumulabile con redditi da lavoro, da dipendente o da autonomo. Fa eccezione il reddito derivante dal lavoro autonomo svolto occasionalmente nel limite dei 5.000 euro lordi annui.

Quando inizia e finisce il divieto di cumulo pensione-lavoro della quota 100

Il limite del cumulo dei redditi si applica nel periodo che intercorre dalla data di decorrenza della pensione a quota 100 e la data di maturazione del requisito anagrafico della pensione di vecchiaia. Dunque tale limite, secondo i requisiti attuali, incombe fino al compimento dei 67 anni di età, indicizzabile alla speranza di vita.

Coefficienti di trasformazione, come influiscono sull’assegno di pensione?

Il calcolo delle pensioni del meccanismo contributivo implica un equilibrio tra il montante dei contributi che si sono versati durante la vita lavorativa e l’importo della pensione attesa. Questa equivalenza necessita, dunque, dell’applicazione di coefficienti di trasformazione, cioè di parametri che, moltiplicati per il montante dei contributi rivalutati, determinano l’assegno di pensione maturato in corrispondenza dell’età dell’uscita da lavoro.

Prestazione pensionistica e assegno futuro di pensione legato alla speranza di vita

Il coefficiente di trasformazione delle pensioni implica anche una componente aleatoria, dipendente dalla speranza di vita attesa all’età di uscita da lavoro. L’aumento della speranza di vita, e dunque il numero di anni sul quale spalmare la futura pensione, determina una conseguente riduzione della prestazione pensionistica. Viceversa, una speranza di vita in diminuzione implica (come sta avvenendo a causa della Covid) un assegno pensionistico più elevato.

Sistema pensionistico ed equilibrio dei coefficienti di trasformazione

Il sistema previdenziale contributivo si basa essenzialmente sul coefficiente di trasformazione per determinare, in maniera equa, il futuro assegno di pensione. Un aumento o una diminuzione accentuati della speranza di vita determinerebbe uno squilibrio finanziario direttamente proporzionale al numero, rispettivamente maggiore o minore, di assegni mensili. In linea di massima, il sistema previdenziale si può equilibrare agendo su tre fattori:

  • innalzando il valore dei contributi;
  • aumentando l’età di uscita per il pensionamento;
  • diminuendo i coefficienti di trasformazioni e quindi riducendo il valore del mensile di pensione.

Riequilibrio del sistema previdenziale

L’aumento del valore dei contributi è una soluzione impraticabile data la pressione alla quale è sottoposta, al giorno d’oggi, la previdenza italiana. Pertanto, la revisione periodica dei coefficienti di trasformazione, oltre ad agire sull’età del pensionamento, rappresenta il meccanismo tramite il quale il sistema previdenziale provvede al riequilibrio. Ovvero all’equilibrio tra i contributi versati, l’età di uscita per il pensionamento e la rata della prestazione previdenziale.

Coefficienti di trasformazione, più si anticipa la pensione più sono bassi

Analizzando i coefficienti di trasformazione si può notare che, fin dalla loro introduzione nel 1995, i parametri sono più bassi quanto più bassa è l’età di uscita per il pensionamento. Contrariamente, più si esce a un’età avanzata, più i coefficienti sono elevati. Dunque, una prima osservazione porta a concludere che più si beneficia di meccanismi di pensione che fanno abbandonare prima il lavoro e minore sarà l’assegno futuro di pensione. Ciò dipende sia dal minor numero di anni di contributi versati (ad esempio 38 anni, quanti ne richiede la quota 100 rispetto ai circa 43 della pensione anticipata), ma anche dal coefficiente di trasformazione. Che, all’età di 62 anni, quella minima della quota 100, fa corrispondere un indice più basso dei 67 anni richiesti per la pensione di vecchiaia.

Coefficienti di trasformazione, diminuiscono a ogni aggiornamento

La seconda considerazione che si può fare sui coefficienti di trasformazione è quella secondo la quale gli indici sono decrescenti nel tempo. Ovvero, i valori dei coefficienti diminuiscono a ogni revisione che, attualmente, si fa ogni due anni. Considerando l’età di uscita dei 67 anni, quella per la pensione di vecchiaia, nel periodo dal 1995 al 2009 il coefficiente di trasformazione era pari a 6,136%. Da notare che fino al 2009, il coefficiente di trasformazione dai 65 anni in su era sempre lo stesso. Attualmente, l’Inps determina il coefficiente sulla base dei dati demografici Istat dai 57 ai 71 anni di età.

Qual è l’attuale coefficiente di trasformazione per le pensioni di vecchiaia?

Con i valori in vigore dal 1° gennaio 2021, chi va in pensione a 67 anni ha un coefficiente pari a 5,575%, ancora più basso del 5,604% del biennio precedente, ovvero il 2019-2020. Considerando l’età minima per la quota 100, i 62 anni, l’attuale coefficiente è pari a 4,770%, meno del precedente aggiornamento (4,790% del 2019-2020) e infinitamente inferiore a quello del 1995-2009 pari a 5,514%.

Coefficienti di trasformazione, aggiornamento periodico

La costante diminuzione dei coefficienti di trasformazione a ogni aggiornamento può portare i contribuenti a uscire da lavoro alla prima data utile possibile. Da un lato, infatti, è vero che più si esce tardi e più il coefficiente di trasformazione è alto. Ma, dall’altro lato, è altrettanto vero che il coefficiente diminuisce ogni due anni, cioè ad ogni aggiornamento. per ciascuna età di uscita. E i requisiti di uscita, ovvero l’età minima richiesta o i contributi minimi versati, sono sempre più in aumento. La riforma delle pensioni di Elsa Fornero del 2011 aveva previsto il ricalcolo dei coefficienti dapprima ogni tre anni e poi, dal 2019, ogni due. E, di conseguenza, anche una diminuzione del mensile di pensione a una rotazione più elevata.

Esempio di calcolo dei coefficienti di trasformazione

La relazione tra coefficienti di trasformazione, aspettativa di vita e montante contributivo può essere spiegata con un esempio. Ammettiamo un contribuente che, nella vita lavorativa, abbia accumulato 280 mila euro di montante contributivo. È interessante verificare di quanto è diminuita la pensione del contribuente nel tempo a parità di età di uscita, ovvero a 67 anni. Innanzitutto, è indispensabile verificare le variazioni della speranza di vita, mediamente di 77,88 anni nel periodo 1995-2009 e di 83,25 nel 2019-2020 (calcolo pre-Covid). Per continuare a crescere, secondo le stime demografiche, a quasi 86 anni nel 2040 e a quasi 88 anni nel 2060.

Coefficienti di trasformazione, come influiscono sul mensile di pensione

In costante diminuzione risulta il coefficiente di trasformazione a 67 anni per i quattro periodi considerati. Nel 1995-2009 risulta pari a 6,136%, nel 2019-2020 è del 5,604%, nel 2040 corrispondente a 5,202% e nel 2060 pari a 4,994%. Considerando le 13 rate annuali di pensione e il montante di contributi di 280 mila euro per tutti e quattro i periodi considerati, a una pensione di 1.332 euro del 1995-2009 corrisponde un assegno mensile di 1.207 euro del periodo 2019-2020. Nell’esempio, il montante contributivo di 280 mila euro deve essere moltiplicato per il coefficiente di trasformazione corrispondente all’anno e all’età di uscita (6,136% del 1995-2209). Il risultato va diviso per 13 mensilità per ottenere il mensile di pensione (1.332 euro). Ulteriormente in diminuzione la pensione mensile nel 2040 (pari a 1.120 euro) e nel 2060 (1.076 euro).

Quanto incide la speranza di vita sulle pensioni?

Come si può notare dall’esempio, dunque, le pensioni sono mediamente più basse a parità di montante contributivo versato. E, come facilmente intuibile, questo dipende da più fattori. In primo luogo da una speranza di vita sempre crescente e quindi su un numero di anni più elevato per spalmare la vita da pensionato. L’attuale situazione di alta mortalità tra i pensionati per la Covid rappresenta, statisticamente, un evento eccezionale che ha ridotto la speranza di vita anche di anni. Ad esempio, in alcune zone della Lombardia, si sono persi mediamente cinque anni di aspettativa di vita. E nelle altre parti d’Italia, in attesa di dati più aggiornati, la perdita si attesta su uno, due o anche tre anni. Ma, passata l’emergenza, la speranza di vita tornerà a crescere e a ristabilirsi a livelli pre-Covid presumibilmente a partire dal 2025-2026.

Con la speranza di vita in calo si bloccherà l’età di uscita per la pensione?

In secondo luogo, la diminuzione della speranza di vita potrebbe incidere, nei prossimi anni, anche sul mancato aggiornamento dell’età di uscita per la pensione. Presumibilmente, l’età dei 67 anni per la pensione di vecchiaia potrebbe non subire variazioni anche nel prossimo biennio, nel 2022-2023. Anziché aumentare di 3 mesi come avrebbe dovuto essere seguendo le stime demografiche prima della Covid.

Perché le pensioni diminuiscono sempre?

Quanto è presumibile possa avvenire per l’età di uscita delle pensioni, con un blocco per almeno il prossimo biennio, potrebbe succedere anche ai coefficienti di trasformazione. Ovvero che la diminuzione della speranza di vita sulla quale si basa la determinazione dei coefficienti possa subire uno stop nei prossimi anni e per un periodo limitato, in conseguenza di quanto sta avvenendo per l’emergenza Covid. In ogni caso, con il tornare a crescere della speranza di vita anche i coefficienti di trasformazione torneranno a diminuire conseguentemente. E a determinare assegni di pensione sempre più ridotti a parità di anni di contributi versati e di età di uscita.

Pensione Enasarco, quanti contributi servono?

Quanti sono gli anni di contributi, i requisiti, le condizioni e le combinazioni per raggiungere la pensione di vecchiaia o la pensione anticipata Enasarco? Gli agenti e i rappresentanti di commercio devono verificare il possesso di requisiti che sommino l’anzianità contributiva, l’età anagrafica e il raggiungimento di una “quota” in corrispondenza dell’anno nel quale si voglia uscire da lavoro.

La riforme delle pensioni Enasarco a partire dal 2013 fino al 2021

Come per le pensioni di altre gestioni previdenziali, anche la Fondazione Enasarco ha modificato le regole per andare in pensione negli ultimi anni. Con l’entrata in vigore dell’ultimo regolamento, a partire dal 1° gennaio 2013 i requisiti sono cambiati progressivamente, fino agli ultimi parametri richiesti a partire dal 2019 al termine del regime transitorio.

La pensione di vecchiaia o ordinaria Enasarco

Nell’anno 2021 i rappresentanti e gli agenti di commercio maturano i requisiti per la pensione di vecchiaia o ordinaria Enasarco al raggiungimento dei 20 anni di contributi. Inoltre, devono aver raggiunto un’età anagrafica minima che, sommata alla contribuzione, dia come risultato una “quota” minima richiesta per andare in pensione. Nel 2021 per andare in pensione ordinaria l’agente deve raggiungere la quota 92 e l’età minima di 67 anni.

Pensioni Enasarco, come si raggiunge la quota?

Ciò significa che all’età minima dei 67 anni, per poter andare in pensione l’agente deve aver maturato almeno 25 anni di contributi. Per le donne, invece, la quota minima prevista per il 2021 è pari a 91 con l’età minima di uscita di 65 anni. Ciò equivale a dire che gli anni di contributi minimi devono essere pari a 26, oppure l’uscita può essere garantita da una combinazione tra età anagrafica e contributi maggiori.

Pensione di vecchiaia Enasarco: quali sono i requisiti a partire dal 2022?

Tuttavia, i requisiti di uscita per le pensioni di vecchiaia Enasarco sono in continua evoluzione negli anni. Se per gli agenti uomini la quota 92 sarà richiesta fino al 2024, con l’età minima di 67 anni e un numero di anni di contributi pari a 20 anni, per le donne salirà ancora la quota e l’età minima. Infatti, le contribuenti Enasarco nel 2022 dovranno raggiungere la quota 92. L’innalzamento dipende dell’aumento dell’età di uscita minima a 66 anni, fermo restando i 20 anni di contributi minimi.

Pensione di vecchiaia Enasarco donne: come cambiano i requisiti di uscita fino al 2024

La quota 92 sarà in vigore fino al 31 dicembre 2023, mentre dal 1° gennaio 2024 è previsto un ulteriore aumento dei requisiti per le lavoratrici. Infatti, le donne che svolgano lavoro di agente o di rappresentante di commercio avranno l’equiparazione dell’età minima di uscita a quella degli uomini dal 2024, quando l’età anagrafica richiesta sarà pari a 67 anni, fermo restando la quota 92.

Alternativa alla pensione di vecchiaia Enasarco: la pensione di vecchiaia anticipata

L’alternativa alla pensione ordinaria o di vecchiaia Enasarco consiste nel raggiungere i requisiti della pensione di vecchiaia anticipata. In base a quanto previsto dal Regolamento Enasarco, a partire dal 1° gennaio 2017 l’agente di commercio può uscire in anticipo al raggiungimento di un’età minima di 65 anni unitamente a 20 anni di anzianità contributiva. La quota richiesta per la pensione anticipata è pari a 90, limite minimo che a partire dal 2021 è stato stabilito anche per le donne agenti unitamente all’età minima sempre di 65 anni.

Requisiti di uscita della pensione anticipata Enasarco e tagli

La pensione anticipata Enasarco comporta, in ogni modo, un taglio dell’assegno pensionistico. Infatti, il Regolamento ha stabilito un assegno di pensione ridotto del 5% per ogni anno di anticipo rispetto ai requisiti ovvero alla quota, della pensione di vecchiaia. Tuttavia, la pensione anticipata consente di maturare l’uscita da lavoro uno o due anni prima, con la quota 90 o 91 al posto della quota 92. Pertanto, un agente che nel 2021 compia 65 anni essendo nato nel 1956, potrà andare in pensione con la quota 90 se ha maturato 25 anni di contributi.

Combinazioni per maturare la pensione anticipata Enasarco

Con gli attuali requisiti di uscita, si possono stabilire le combinazioni richieste per la pensione di vecchiaia anticipata Enasarco. All’età di 65 anni unitamente a 25 anni di contributi, un agente o un rappresentante di commercio matura la pensione anticipata con quota 90 e una decurtazione, per sempre, del 10%. All’età di 66 anni sono sufficienti 24 anni di contributi per raggiungere quota 90, sempre con la decurtazione del 10%. Nel caso in cui, ai 66 anni di età si unissero 25 anni di contributi, raggiungendo quota 91, la decurtazione si fermerebbe al 5%.

Decorrenza della pensione di vecchiaia anticipata agenti e rappresentanti Enasarco

La pensione di vecchiaia anticipata Enasarco decorre dal primo giorno del mese susseguente a quello nel quale si è presentata la domanda di pensionamento. Conseguentemente l’importo della pensione viene calcolato con specifico riferimento alla data di presentazione della domanda stessa.  Inoltre è importante sottolineare che l’inoltro della domanda on line, anche tramite i patronati, deve avvenire non prima del compimento dell’età minima di 65 anni. Si rischierebbe, altrimenti, il respingimento della domanda stessa.

Esempio di presentazione della domanda di pensione anticipata Enasarco

Pertanto, un agente di commercio che raggiunga l’età di 65 anni il 30 agosto 2021 dovrà inoltrare la domanda non prima del 30 agosto. Ad esempio, all’età di uscita di 65 anni, unitamente ai contributi pari ipoteticamente a 25 anni, l’agente potrà raggiungere la quota 90. A questa quota corrisponderà una decurtazione del 10% (differenza di quota, 92 – 90 = 2 x 5% = 10%).

Pensioni Enasarco, come inviare domanda di uscita ordinaria o anticipata

Sia la pensione ordinaria di vecchiaia Enasarco che la pensione anticipata, ma anche la trasformazione di invalidità in vecchiaia e il supplemento di pensione devono essere richieste mediante domanda da inoltre on line. L’invio cartaceo è previsto solo per le pensioni dei superstiti e per le pensioni di inabilità e di invalidità. In alternativa, gli agenti e i rappresentanti di commercio possono avvalersi dei servizi del Patronato Enasarco che provvede all’invio di domanda di pensionamento all’Ente previdenziale. Avvalersi del patronato è gratuito.

 

Riscatto laurea agevolato: quanto conviene per la pensione?

Quali sono i vantaggi o gli svantaggi, sia per l’età di pensionamento che per l’importo della pensione, con il riscatto della laurea? In particolare, ci si riferisce al riscatto degli anni universitari con pagamento agevolato e a chi convenga questa operazione. Innanzitutto è importante determinare il costo del riscatto della laurea.

Riscatto della laurea per la futura pensione, quanto costa?

Il regime agevolato del costo inerente al riscatto della laurea deriva dal decreto numero 4 del 2019. Con il sistema agevolato si pagano, nel 2021, 5.264,49 euro per ogni anno di laurea da riscattare. Non sono da conteggiare gli anni di “fuori corso”. Dunque il massimo costo che si deve sostenere, nel 2021, per riscattare la propria laurea è di 26.322,45 euro per corsi di 5 anni e 21.057,96 per corsi di 4 anni.

Rateizzazione del costo del riscatto di laurea

Le cifre indicate per riscattare gli anni universitari possono essere rateizzate, senza l’applicazione degli interessi, fino a un massimo di dieci anni. Da un rapido costo, preferendo la rateizzazione dell’importo per tutti e dieci gli anni, il riscatto della laurea ai fini della futura pensione costerebbe 220 euro al mese per le lauree di cinque anni e 175 euro mensili per quelle di quattro anni. Il contributo annuale, tuttavia, può essere dedotto al 100% dall’imponibile fiscale. Se non si riuscisse più a pagare o si volesse interrompere il pagamento, la quota maturata fino a quel momento rimarrebbe valida ai fini dello sconto sull’età della pensione.

Riscatto agevolato della laurea, chi può richiederlo?

Il riscatto agevolato della laurea (con i calcoli tradizionali si potrebbe arrivare anche a cifre di 80mila euro), secondo quanto prevede il comma 6 dell’articolo 20, del decreto-legge numero 4 del 28 gennaio 2019, è un sistema riservato ai lavoratori che si collocano nel sistema contributivo della pensione. Si tratta, nello specifico, di chi abbia iniziato a lavorare e a versare contributi a partire dal 1° gennaio 1996.

Il riscatto agevolato della laurea per la pensione anche ai lavoratori pre 1996

Successive modifiche e interpretazioni del decreto 4 del 2019 hanno allargato la possibilità di riscatto agevolato della laurea anche a chi abbia contributi entro il 31 dicembre 1995. In questo caso, però, è necessario optare per il ricalcolo con il metodo contributivo degli anni di contributi previdenziali. È in ogni modo necessario che gli anni di contributi versati prima del 1996 siano:

  • meno di 18 anni;
  • che almeno 15 anni di contributi siano stati già versati alla data di richiesta del riscatto laurea;
  • che almeno cinque anni di contributi siano stati versati a partire dal 1996.

Pensione con riscatto laurea, cosa non vale?

I periodi universitari che non possono essere riscattati consistono in due tipologie:

  • gli anni di iscrizione fuori corso;
  • i periodi già coperti da contribuzione obbligatoria o figurativa.

Come si richiede il riscatto agevolato della laurea?

La richiesta di riscatto della laurea può essere fatta online. Nello specifico è necessario accedere con il Pin del sito dell’Inps o rivolgersi al Caf per inoltrare la pratica. Dopo la presentazione della domanda, l’Inps verifica i documenti depositati e i requisiti vantati. L’Istituto previdenziale accerta anche il versamento di almeno un contributo previdenziale obbligatorio. Al termine delle verifiche, l’Inps invia i bollettini Mav da pagare insieme al provvedimento di accoglimento della domanda.

Come si paga il riscatto agevolato della laurea

Il pagamento dell’onere del riscatto della laurea avviene con l’utilizzo dell’Avviso di pagamento pagoPa. Per accedere al portale dei pagamenti è possibile utilizzare il proprio codice fiscale con il numero della pratica indicato nel provvedimento inviato dall’Inps.

Convenienza del riscatto laurea per la futura pensione

Ammettiamo che un contribuente, nato a febbraio del 1979, abbia conseguito una laurea di quattro anni nel 2004 e voglia riscattare il titolo di studio. Inoltre, il contribuente lavora dal 2006 in maniera continuativa. Sulla base dei dati in possesso, il lavoratore andrebbe in pensione con la vecchiaia nel 2048. Con gli aumenti previsti nel tempo dell’aspettativa di vita, l’età pensionabile slitterebbe a 69 anni.

Pensione anticipata contributiva con il riscatto laurea

Per un contribuente del sistema contributivo (con inizio dei versamenti dal 1° gennaio 1996 in poi) l’alternativa alla pensione di vecchiaia è la pensione anticipata contributiva. Si raggiunge a 64 anni di età (salvo gli adeguamenti della speranza di vita nel tempo) e con 20 anni minimi di contributi versati. Inoltre, il primo importo della futura pensione deve essere di 2,8 volte quello della pensione sociale. Nel caso preso in esame, il lavoratore andrebbe in pensione con questo meccanismo nel 2045.

Pensione anticipata con i requisiti della riforma Fornero

Con i requisiti della riforma Fornero per la pensione anticipata mediante versamento di 42 anni e 10 mesi di contributi (41 anni e 10 mesi per le donne) la prima data utile per il pensionamento risulterebbe più avanti rispetto alla pensione di vecchiaia. Pertanto, questa possibilità non sarebbe conveniente. Anche riscattando la laurea, la prima data utile sarebbe nel 2046, meno conveniente della pensione anticipata contributiva a 64 anni che rimarrebbe la soluzione più praticabile per l’uscita prima da lavoro.

Importo della futura pensione con il riscatto della laurea

In merito all’importo della futura pensione, poiché il contribuente versa un onere per il riscatto della laurea, l’importo previdenziale futuro risulterebbe più elevato rispetto a quello di una pensione senza riscatto. Questo risultato deriva dal fatto che l’onere per riscattare la laurea va a determinare un incremento del montante contributivo della vita lavorativa del contribuente.

Simulatore pensioni Inps: come funziona

Il sito istituzionale dell’Inps mette a disposizione un servizio gratuito per simulare quale sarà la propria pensione futura, ovvero quanto si andrà a prendere di pensione nel momento in cui terminerà la propria attività lavorativa. Il calcolo si fonda su tre elementi della normativa previdenziale, ovvero l’età, la storia lavorativa e la retribuzione (o reddito).

La mia pensione futura Inps: a chi è rivolto il servizio

Possono usufruire del servizio “La mia pensione futura”:

  • i lavoratori che abbiano contributi versati al Fondo pensione dei lavoratori dipendenti;
  • i lavoratori che abbiano contributi versati alla Gestione Separata Inps;
  • gli iscritti alla Gestione dirigenti di aziende industriali;
  • i lavoratori che abbiano versato contributi ad altri fondi amministrati dall’Inps.

Cosa permette di sapere il simulatore delle pensioni Inps

Il simulatore delle pensioni Inps permette di:

  • controllare i versamenti fatti all’Inps e di comunicare all’Istituto previdenziale eventuali periodi di contribuzione che mancano tramite la funzione di segnalazione contributiva;
  • conoscere la data nella quale presumibilmente maturi la pensione di vecchiaia o quella anticipata;
  • stimare l’importo della pensione futura senza tener conto dell’inflazione (funzione “a moneta costante”);
  • ottenere il tasso di sostituzione, ovvero il rapporto tra l’ultimo stipendio percepito e la prima rata di pensione.

Pensione futura, prevedere scenari di variazione della propria retribuzione

Con il servizio della futura pensione dell’Inps è possibile prevedere anche variazioni della propria situazione lavorativa futura o dell’economia nel medio e lungo termine. Le previsioni sono particolarmente indicate per i contribuenti più distanti dall’uscita da lavoro e si basano sulla possibilità:

  • di ipotizzare la sospensione del lavoro, ovvero di inserire la data nella quale si prevede di interrompere l’attività lavorativa;
  • di modificare le previsioni sul Prodotto interno lordo futuro. Ad esempio, modificare le previsioni dell’1,5% di Pil all’1% di incremento nel medio e lungo periodo;
  • di modificare l’andamento della propria retribuzione o del reddito annuale con valori da 0 a +5%;
  • di scegliere il fondo sul quale basare la propria simulazione.

Costruire la futura pensione confrontando diversi scenari

Per i contribuenti più indecisi sulla data del pensionamento, è possibile modificare i parametri della simulazione. Ad esempio, si può:

  • calcolare la futura pensione verificando l’incidenza di retribuzioni diverse. Si può, in altre parole, modificare la retribuzione dell’anno in cui si utilizza il servizio e verificare l’andamento percentuale annuo;
  • si può verificare cosa succede se si posticipa la data presunta del pensionamento (quanto si guadagna di pensione se si rimane ancora a lavoro?);
  • modificare entrambe le variabili, retribuzioni e data di uscita da lavoro, che possono essere combinate per verificare la soluzione più conveniente.

Come accedere e utilizzare il servizio Inps ‘La mia pensione’

Per poter utilizzare il servizio online La mia pensione è necessario andare sul sito dell’Inps nella sezione “Prestazioni e servizi – La mia pensione futura: simulazione della propria pensione” e scorrere alla voce “Accedi al servizio”. In alternativa, non appena si apre la pagina Inps, è possibile direttamente l’accesso dalla sezione “Vai a MyInps”. L’autenticazione è possibile combinando il codice fiscale con il Pin rilasciato dall’Istituto previdenziale, con l’identità Spid almeno di secondo livello, con la Carta di identità elettronica 3.0 (Cie) oppure con una Carta nazionale dei Servizi (Cns).

Come calcolare la pensione futura: caso concreto sul sito Inps

Dopo aver fatto l’accesso e confermato le informazioni sulla privacy, la prima pagina del servizio Inps per il calcolo della pensione futura riepiloga la posizione contributiva fino al giorno dell’accesso da parte del richiedente mediante l’estratto conto previdenziale. Per andare avanti, è necessario selezionare nella parte in basso la casella nella quale si dichiara di aver preso visione della propria situazione contributiva.

Come funziona il simulatore delle pensioni Inps?

La pagina successiva è quella di maggiore interesse per il calcolo della pensione futura. Infatti sono presenti due specchietti, corrispondenti alle presunte uscite da lavoro con la pensione di vecchiaia o con la pensione anticipata. In corrispondenza delle due colonne sono presenti anche gli importi mensili lordi delle pensioni previsti con il meccanismo di uscita prescelto (vecchiaia o anticipata). Ulteriore informazione presente per le due formule di pensione è quella dell’ultima retribuzione rispetto al reddito lordo stimato (pensione lorda futura). Dal rapporto di questi due valori il sistema restituisce il tasso di sostituzione, ovvero a quanto ammonta la pensione futura rispetto all’ultimo stipendio percepito a lavoro.

Quale sarà l’importo della pensione futura rispetto all’ultimo stipendio?

Il valore del tasso di sostituzione lordo indicato in corrispondenza della pensione di vecchiaia è normalmente più alto dello stesso valore iscritto nella pensione anticipata. Questo andamento si può spiegare con il meccanismo di calcolo delle pensioni che tiene conto sia degli anni di contributi versati che dell’età di uscita effettiva da lavoro. Infatti, con la pensione di vecchiaia, attualmente a 67 anni, si dovrebbe accumulare un numero di anni di contributi più alto della pensione anticipata.

Pensione di vecchiaia o pensione anticipata, quale conviene?

La pensione anticipata è maturabile, con le attuali regole previdenziali, per gli uomini con 42 anni e 10 mesi di contributi e per le donne con 41 anni e 10 mesi. Inoltre, il coefficiente di trasformazione è variabile in base all’anno di uscita: più è alta l’età, maggiore è l’indice di calcolo delle pensioni. Proprio il coefficiente concorre, insieme al Prodotto interno lordo, a trasformare il montante dei contributi versati in pensione futura.

Pensione futura: quanto incidono retribuzioni e Pil?

I valori indicati nella pagina della pensione futura, tuttavia, sono indicativi della situazione attuale proiettata nel futuro, ipotizzando crescite costanti della retribuzione e del Prodotto interno lordo. Un calcolo più realistico si può ottenere inserendo un valore del Pil più basso e, sicuramente, più in linea con l’andamento attuale dell’economia. Inoltre, si presume che il lavoro che si svolge abbia un andamento, in termini delle ultime retribuzioni percepite, di crescita fino alla pensione. Il valore, dunque, può essere modificato a seconda della propria situazione per renderlo più aderente al reale andamento retributivo.

Come modificare la retribuzione nel calcolo della pensione futura Inps?

Proprio in previsione di variazioni della retribuzione è possibile, nella parte bassa della pagina, modificare il reddito di partenza della simulazione. Dunque per migliorare la precisione della proiezione della futura pensione, si potrebbe inserire l’attuale retribuzione annuale lorda se diversa o in previsione differente rispetto a quella per la quale l’Inps ha già fatto la sua previsione. Le retribuzioni inerenti agli anni futuri verrebbero costruite a partire dal valore di retribuzione annuale indicato, con i consueti criteri di crescita delle retribuzioni stesse e dell’andamento del Prodotto interno lordo.