In Abruzzo l’imprenditoria rosa si fa in tre

di Alessia CASIRAGHI

La crescita è donna, almeno in Abruzzo. La Regione ha stanziato un fondo di intervento a favore dell’imprenditoria femminile, con un plafond da oltre 3 milioni di euro destinati alla aspiranti imprenditrici.

Il progetto è stato denominato, non a caso, La crescita è donna”: si tratta di un’ iniziativa promossa nell’ambito degli interventi previsti dal Piano Operativo 2009/10/11 del Fondo Sociale Europeo 2007/13.

L’iniziativa in rosa prevede tre diversi piani di intervento:

  • più imprenditrici, destinato alle aspiranti imprenditrici
  • più professioniste, rivolto alle titolari di imprese già avviate con possibile ruolo di “mentors”
  • Voucher Family, che prevede invece un sostegno ad hoc alle donne lavoratici allo scopo di favorire la conciliazione tra lavoro e famiglia

Lo scopo del progetto “La crescita è donna” è finalizzato a valorizzare il ruolo delle donne nell’economia della Regione Abruzzo, tenendo conto però anche dell’impatto che la crescita regionale può avere sull’industria nazionale e sulla crescita del Pil italiano.

“L’aumento del Pil in Italia può essere un obiettivo possibile solo se saremo capaci di portare la professionalità e l’entusiasmo delle donne nel perimetro del mercato del lavoro, della produzione, delle professioni – ha commentato l’assessore al Lavoro della Regione Abruzzo Paolo Gatti – consideriamo indispensabile l’apporto delle donne alla crescita del sistema Italia e del sistema Abruzzo”.

Migliorano Pil e conti pubblici

di Vera MORETTI

Buone notizie per quanto riguarda i conti pubblici: nei primi 9 mesi del 2011 si è registrata la migliore performance dal 2008.

Lo dice l’Istat che, dati alla mano, presenta un rapporto deficit/Pil pari al 2,7% nel terzo trimestre dell’anno scorso, ed un totale nei primi nove mesi del 2011 del 4,3%, che nello stesso periodo, ma nel 2010, si era assestato al 4,6%.

Questi dati fanno emergere, dunque, un miglioramento anche del saldo primario, risultato positivo e pari a 6,615 miliardi di euro, +2,148 miliardi rispetto all’anno precedente, con un rapporto saldo/Pil di 1,7%. E dopo dieci trimestri che avevano accumulato dati negativi, si tratta sicuramente di una bella novità.

In questo scenario, sono aumentate, sempre nello stesso periodo, le entrate totali, che, in termini tendenziali, sono a +1,4% e un’ incidenza sul Pil pari a 43,7%, in lieve riduzione rispetto al 2010, quando era stato del 43,8%, ma comunque soddisfacente.
Le entrate correnti hanno poi registrato, sempre nel terzo trimestre 2011, un aumento dell’1,4%, come conseguenza di una riduzione delle imposte dirette dell’1,2% e di un aumento, invece, di imposte indirette (+4%), contributi sociali (+1,6%) e entrate correnti (+1,1%).
Le entrate in conto capitale sono risultate in aumento del 2,8%, le imposte in conto capitale sono cresciute del 2,7% e le altre entrate in conto capitale del 2,9%.

Le anticipazioni riguardanti il quarto trimestre 2011 segnano, per il mese di novembre, una discesa del tasso di crescita annuo dei prestiti al settore privato, arrivato quindi a 3,5% contro il 4,2% di ottobre.
Lo comunica l’Abi precisando che il rallentamento ha riguardato sia i prestiti alle famiglie (3,9% contro il 4,3 di ottobre) sia quelli alle società non finanziarie (4,4% dal 5,3 di ottobre). Quanto alle sofferenze, l’Abi comunica che, a novembre, il tasso di crescita sui dodici mesi delle sofferenze è rimasto invariato rispetto al mese precedente al 22,1 per cento.

Pressione fiscale alle stelle anche nei prossimi anni

di Vera MORETTI

La pressione fiscale, già alle stelle, rischia di aumentare in maniera esponenziale nei prossimi anni e soffocare definitivamente il Paese.

E’ quanto emerge dai dati elaborati dall’ufficio studi del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, CNDCEC, determinati da una revisione al ribasso del PIL.

Le previsioni parlano di un aumento che nel 2012 arriverà a 45,5%, nel 2013 supererà il 46% e nel 2014 sfiorerà il 47%. Nel 2012 sarà già al 45,54%.

Anche se finora la soglia della pressione fiscale non era mai salita oltre il 43%, si era fatta abbondantemente sentire sui cittadini, i quali non riuscivano a trarre benefici circa qualità ed efficienza del servizi pubblici e del welfare. Ma se questi dati saranno confermati, la situazione diventerà quantomai critica, con una possibilità di crescita pari a zero.

Le nuove entrate fiscali aggiuntive previste dalla manovra del Governo Monti, dunque, rischiano di danneggiare ulteriormente l’Italia, contrariamente a quanto si auspicava.

Ma la situazione rischia di essere ancora più nera. I commercialisti, infatti, spiegano che questi dati sono stati calcolati alla luce di previsioni di crescita del Pil, ipotizzando un tasso di crescita nominale dell’1% sul 2012, del 1,5% sul 2013 e del 2% sul 2014. Ma se la manovra confermerà le previsioni, bisognerà rivedere tali dati in difetto.

Allarme Confcommercio: Italia già in recessione

Variazioni congiunturali negative su Pil e consumi sono attese già tra il terzo e il quarto trimestre 2011. La recessione per l’Italia è già alle porte, o meglio ha già girato la chiave della serratura. Secondo le stime di Confcommercio, che ha effettuato un’indagine sui consumi degli italiani in vista del Natale, già nel 2012 sono attese variazioni negative sul Pil (- 0,6%) e sui consumi degli italiani(- 0,3%). Per il 2013 si prevede un lievissimo rialzo del prodotto interno lordo dello 0,3%. Le precedenti stime di Confcommercio per il 2012 si attestavano invece sul +0,3% per il Pil e un +0,4% per i consumi.

La recessione è già cominciata. Il calo tendenziale (-0,5%) e congiunturale (-0,8%), rilevati a ottobre 2011 sarebbero, secondo Confcommercio, la “spia” di un probabile avvio, nel terzo trimestre, di una fase di contrazione dei consumi delle famiglie la cui entità non sembra trascurabile e che sarebbe destinata a proseguire anche nella prima parte del 2012. L’associazione ci tiene a precisare che si tratta per il momento di valutazioni ancora “grezze e approssimative”, ma quel che è certo è che con l’aumento delle tasse, la reintroduzione dell’Ici e il maggior sgravio fiscale destinato a incombere sulle famiglie, gli italiani spenderanno meno. Le maggiori imposte comprimeranno infatti il reddito disponibile e l‘occupazione non crescente, il clima sfiducia e la contrazione del potere d’acquisto faranno il resto.

“Le difficoltà sono evidenti. Ma speriamo che le vendite possano reggere perché regge ancora il clima di fiducia delle famiglie – ha affermato il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli. – Quello che ci preoccupa è il nuovo consistente calo dei consumi, che tra settembre e ottobre ha di fatto azzerato gran parte del recupero registrato nei mesi estivi, e il permanere, a livello nazionale e internazionale, di uno scenario di emergenza“.

Alessia CASIRAGHI

Manovra, verso una correzione da 20-25 miliardi

Cominciano a filtrare le prime cifre sulla manovra correttiva cui sta lavorando il governo Monti per raggiungere il pareggio di bilancio nel 2013. Una manovra sulla quale pesa la revisione al ribasso del pil. Facendo riferimento al calo dello 0,5% nel 2012 previsto dall’Ocse, la correzione necessaria salirebbe dai 13-15 miliardi previsti inizialmente a 20-25 miliardi. Secondo indiscrezioni, al momento si starebbe lavorando sulla parte bassa di questa forchetta.

In tutto questo, arrivano segnali anche dalla politica, sempre meno indifferente di fronte ai propri enormi e ingiustificati costi. Secondo quanto riporta un comunicato congiunto di palazzo Madama e Montecitorio, il presidente del Senato Renato Schifani e il presidente della Camera Gianfranco Fini, si sono infatti incontrati assieme ai rispettivi Collegi dei Questori con il ministro del Lavoro e delle politiche sociali, Elsa Fornero, e hanno comunicato al governo di voler procedere entro la fine dell’anno a una radicale modifica della disciplina in tema di assegni vitalizi.

Dal 1° gennaio 2012 sarà introdotto il sistema di calcolo contributivo, in analogia con quanto previsto per tutti i lavoratori. Tale sistema opererà per intero per i deputati e i senatori che entreranno in Parlamento dopo tale data e pro rata per coloro che attualmente esercitano il mandato parlamentare.

Sempre dal 1° gennaio 2012, i parlamentari che avranno terminato il mandato percepiranno il trattamento di quiescenza non prima del compimento dei 60 anni di età per chi abbia esercitato il mandato per più di una intera legislatura, e al compimento dei 65 anni per coloro che abbiano versato i contributi per una sola intera legislatura. Un po’ alla volta qualcosa si muove…

d.S.

La stretta via per la banda larga

Ormai è un dato di fatto: Internet è un motore economico di straordinaria potenza, capace di creare posti di lavoro e ricchezza. Attraverso il web qualsiasi impresa può aprirsi a nuovi mercati, altrimenti inaccessibili, e recuperare così competitività. Certo, questo richiede uno sforzo di modernizzazione considerevole, ma il gioco vale sicuramente la candela.

Fin qui, tutti d’accordo. Ma esattamente quanto incide Internet sulla crescita economica di un Paese? Oggi, grazie ad un recente studio condotto dal colosso svedese Ericsson, in collaborazione con la società di consulenza Arthur D. Little e la Chalmers University of Technology, abbiamo numeri e dati certi a nostra disposizione.

Nello specifico, l’indagine in questione ha misurato il rapporto tra la velocità di connessione a banda larga e il PIL in 33 paesi dell’OCSE, tra cui l’Italia: secondo quanto emerso, a un raddoppio della velocità online corrisponde un aumento del Prodotto Interno Lordo pari allo 0,3%, oltre un settimo del tasso annuale di crescita medio fatto registrare dagli stati membri dell’organizzazione nell’ultimo decennio.

Gli effetti economici positivi che Internet è in grado di produrre sono stati suddivisi in tre gruppi: diretti, ossia nel breve termine (per esempio, nuovi posti di lavoro per realizzare le necessarie infrastrutture); indiretti, quando l’orizzonte temporale si dilata (maggiore efficienza complessiva a livello produttivo); indotti, derivanti cioè dall’introduzione di servizi di pubblica utilità d’avanguardia e modelli di business innovativi (telelavoro).

L’Italia purtroppo non brilla in nessuna di queste tre categorie. Anzi, da questo punto di vista, la situazione negli ultimi anni è andata progressivamente peggiorando.

Secondo un rapporto redatto dalla società di consulenza McKinsey in occasione del G8 dello scorso maggio, infatti, il digital divide che ci separa dalle maggiori potenze mondiali è preoccupante: solo per fare un esempio, negli ultimi quindici anni i posti di lavoro creati da Internet nel nostro paese sono stati 700mila, contro 1 milione e 200mila in Francia. Anche per quanto riguarda la penetrazione della fibra ottica i dati non sono incoraggianti: alla fine del 2010 con 348mila abbonati l’Italia figurava al penultimo posto nella classifica europea, davanti solo alla Turchia.

Nonostante i numerosi appelli alle istituzioni, gli investimenti nella banda larga sono stati finora insufficienti. L’ultima doccia fredda è arrivata con la nuova bozza della legge di Stabilità: i 770 milioni derivanti dall’asta per le frequenze 4G, che originariamente sarebbero dovuti andare alle telecomunicazioni, sono stati invece dirottati verso la Pubblica Istruzione e il Tesoro.

Senza una decisa inversione di tendenza, l’Italia rischia di restare al palo. E con l’attuale congiuntura economica sfavorevole, nessuno può permettersi di tenere spento un motore economico potente come Internet.

Manuele Moro

Giovani Confindustria: nel 2012 Pil a quota zero

Debito pubblico al 120%, disoccupazione giovanile al 27% e una previsione negativa (0%) per quanto riguarda la crescita del Prodotto Interno Lordo per il prossimo anno. E’ quanto emerge dall’assemblea dei giovani di Confindustria in corso in questi giorni a Capri.

Ma “in 20 anni, nel tempo di una sola generazione, possiamo raddoppiare la ricchezza, raddoppiare il Pil” ci tiene ad affermare Jacopo Morelli, Presidente dei giovani industriali ”è questa la nostra scommessa di imprenditori”. Anche se il giovane Presidente di Confindustria junior non nasconde l’amarezza e la delusione per la classe politica italiana attuale “non abbiamo invitato politici nazionali sul palco, perchè la politica deve passare, a questo punto, dal dire al fare, dagli annunci all’azione”.

Secondo Morelli c’è bisogno di manovre forti e convincenti, di leader politici “che sappiano spiegare, convincere e agire: l’unica prova concreta della leadership è la capacità di guidare”.

Lo scorso giugno era stato proprio il Presidente dei giovani di Confindustria ad avanzare quattro proposte al Governo: ridurre le aliquote fiscali per i giovani e le donne, abbassare il cuneo contributivo per chi entra nel mercato del lavoro, detassare le nuove imprese e abolire il valore legale dei titoli di studio. Dove sono finite queste proposte di riforma? “Le aspettano i Giovani Imprenditori e, ancora di più, il Paese, per ricominciare a crescere” conclude Morelli. Niente retorica o dibattiti politichesi però: “è un obiettivo che si raggiunge con l’azione, non con la retorica e continui dibattiti. E’ questa la scelta. Tra interesse generale o piccoli particolari, tra sviluppo o declino”.

Alessia Casiraghi

Spesa pubblica, l’accusa della CGIA

Un’altra, impietosa fotografia della spesa pubblica italiana scattata dalla CGIA, che in uno studio ha ecidenziato come tra il 2000 e il 2010 questa sia aumentata, al netto degli interessi sul debito, di 141,7 miliardi di euro (l’importo riferito al 2000 è stato rivalutato al 2010), pari al +24,4%. L’anno scorso, la spesa ha raggiunto quota 723,3 miliardi di euro: in rapporto al Pil, sempre nel 2010, le uscite pubbliche dello Stato hanno raggiunto il 46,7%, +6,8 punti rispetto a 10 anni prima. Sempre nel 2010, infine, lo Stato ha speso 11.931 euro per ogni cittadino italiano: 1.875 euro in più rispetto al 2000.

La parte del leone (se così si può dire…) la fanno le spese correnti, riconducibili per la maggior parte agli stipendi dei dipendenti del pubblico impiego e alle prestazioni sociali: 93,2% del totale della spesa pubblica. Secondo la CGIA, i redditi dei dipendenti del pubblico impiego sono aumentati del +12,9%, i consumi intermedi (manutenzioni, affitti, energia elettrica, acqua, gas, materiale di consumo, etc.), sono cresciuti del 24,9%, gli acquisti di beni e servizi da destinare ai privati (medicinali, apparecchiature sanitarie, etc.) sono lievitati del +34,6%, le prestazioni sociali hanno fatto segnare un +24,6%.

Tagliente l’analisi di Giuseppe Bortolussi segretario della CGIA di Mestre: “Il trend di crescita registrato dalle uscite pubbliche nell’ultimo decennio dimostra che è necessario invertire le politiche di bilancio sin qui realizzate. Non è più possibile agire prevalentemente sul fronte delle nuove entrate per riportare in ordine i nostri conti pubblici. Bisogna, invece, intervenire sulla spesa pubblica improduttiva. In questi giorni sentiamo echeggiare, dopo che i cittadini hanno subito in questi ultimi mesi una raffica di nuove tasse ed imposte, la possibile introduzione di una patrimoniale o, come ha suggerito la Banca d’Italia, il ripristino dell’Ici sulla prima casa. Se ciò si verificasse, darebbe luogo ad un ulteriore aumento del carico fiscale che deprimerebbe ancor più la capacità di spesa delle famiglie italiane che già oggi si trovano in una situazione di estrema difficoltà”.

Clicca qui per scaricare il documento della CGIA.

In Europa i costi del lavoro sono più elevati

Il tasso di occupazione, e della disoccupazione, di un Paese, non dipende solo dalla discrepanza tra domanda ed offerta, ma anche da una serie di altri fattori e, tra questi, non è da sottovalutare il costo che implica, per un’azienda, assumere un dipendente.

Non si tratta solo di erogare lo stipendio mensile, perché nella busta paga, oltre alla retribuzione netta, appaiono le trattenute fiscali e previdenziali, oltre al Tfr, trattamento di fine rapporto, che il datore di lavoro ha l’obbligo di versare quando la collaborazione si interrompe.

Prima di assumere nuova forza lavoro, quindi, ogni impresa deve prendere in considerazione l’entità dei costi che deve sostenere. E in parecchi casi, soprattutto in Europa, tali costi sono molto elevati.

Nel vecchio continente, infatti, i salari lordi, ovvero i costi del lavoro, sono più altri che altrove e, facendo una stima più dettagliata, la Svizzera è in testa a questa particolare classifica, poiché la retribuzione lorda mensile è di 4.650,5 euro, per un Pil procapite annuo pari a 47.182,2 euro. Al secondo posto c’è un Paese membro dell’Unione europea, la Danimarca, dove le buste paga del lavoratori sono, sempre considerando la cifra lorda, di 4.332,8 euro, con un Pil pro capite di 41.141,6 euro. Al terzo posto, il Lussemburgo, con uno stipendio medio di 4.255,9 e un Pil di 78.935,4 euro, molto più elevato rispetto a quello dei primi due Paesi della classifica in virtù del numero di abitanti.

Al quarto e al quinto posto troviamo, rispettivamente, Norvegia, con una cifra lorda di 4090,6 euro e un Pil di 57.142,6, il che lascia intendere una retribuzione netta molto elevata. Dietro la nazione scandinava, ecco l’Irlanda, dove la paga mensile di un lavoratore è in media di 3.938,4 euro e il Pil di 35.659, anche se, in questo caso, considerando che si tratta di rilevazioni risalenti al 2009, la situazione potrebbe essere molto cambiata. Ricordiamo, a questo proposito, che l’isola celtica è stata colpita pesantemente dalla crisi globale, con un conseguente aumento del debito pubblico triplicato in pochi anni.

Questi dati, provenienti dalla Commissione economica per l’Europa delle Nazioni Unite (UNECE) e della Commissione statistica dell’Onu (UNSD), dimostrano come, tra i primi posti, non ci sia nessuna potenza economica europea, la prima delle quali, la Francia, si trova in decima posizione, dove i salari lordi sono in media di 2.902,3 euro e il Pil pari a 29.905,3 euro.

I cugini d’Oltralpe sono seguiti dal Regno Unito, che comprende Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda del Nord, dove imprese e enti pubblici sborsano in media 2.850,8 euro per la retribuzione dei loro dipendenti al lordo delle trattenute. Rispetto ai “rivali” transalpini, anche il Pil pro capite è più basso e ammonta a 25.562,3.

La maggiore potenza economica europea, la Germania, si trova al dodicesimo posto della graduatoria. In proporzione al reddito pro capite, piuttosto elevato, 29.399 euro annui, il costo del lavoro è relativamente basso: ogni dipendente percepisce in media uno stipendio lordo 2.686,1 euro al mese.

E l’Italia? In base ai dati dell’Onu rilevati nel 2009, il nostro Paese occupa la quindicesima posizione della classifica. I salari lordi sono in media di 2.321,2 euro al mese. I costi del lavoro sono quindi inferiori rispetto agli altri Paesi più industrializzati d’Europa. Ma il dato sul reddito pro capite annuo, pari a 25.598,6 euro, dimostra che anche la retribuzione netta è piuttosto bassa. Ciò significa che i costi che le imprese italiane devono sostenere per pagare i dipendenti sono alquanto elevati.

E da ciò si potrebbe spiegare anche l’alto tasso di disoccupazione e l’esercito dei lavoratori in nero, circa 3 milioni, nel nostro Paese.

Vera Moretti

Nautica e Fisco battono bandiera italiana

“Battiamo Bandiera Italiana”: con questo slogan, scritto sulle magliette di Anton Francesco Albertoni, presidente di Ucina, e di tutti i componenti del consiglio direttivo, è stato inaugurato il 51° Salone Nautico Internazionale di Genova.

Uno slogan accattivante e di effetto è stato scelto da Confindustria Nautica che, con questa nuova campagna di comunicazione, vuole sottolineare l’importanza di un settore trainante dell’economia italiana, che dà lavoro a 90mila addetti, oltre a contribuire fortemente al Pil nazionale. L’industria nautica, infatti, rappresenta la quinta forza del Paese in quanto ad export, e possiede un bagaglio di conoscenze e competenze rinomato in tutto il mondo.

Il presidente di Ucina ha sottolineato: “Battiamo Bandiera Italiana perché siamo un settore dell’eccellenza manifatturiera del nostro Paese, uno dei pochi che ancora produce qui e che quindi dobbiamo fare di tutto per difendere. Perché i diportisti continuino a scegliere il tricolore sulla poppa delle loro barche come gesto di orgoglio e di appartenenza“.

Per questo, la circolare dell’Agenzia delle Entrate del 29 settembre è stata accolta con approvazione, dal momento che ha introdotto regole chiare riguardo le attività commerciali di noleggio con equipaggio e locazione senza equipaggio di barche da diporto.

Cosa significa ciò? Il regime di non imponibilità previsto dalla Ue per il comparto marittimo – e già valido per il noleggio – si estende anche alla fornitura di accessori e alle dotazioni di bordo e si applica alle unità in trasferimento e alle prove a mare. Queste direttive sono rivolte non solo alle unità iscritte al Registro Nazionale ma anche a quelle destinate al charter. Per questo, i benefici previsti per il noleggio sono estesi anche alla locazione.

Fisco e mondo della nautica, dunque, instaurano un canale di dialogo che dà la possibilità di conoscere con chiarezza il perimetro normativo entro il quale i diporti possono muoversi e, di conseguenza, prendere provvedimenti nei confronti di chi non osserva le leggi. L’approvazione per questa novità è stata dimostrata anche nel corso del convegno Nautica e fisco, un patto per la competitività, dove le ragioni del settore sono state messe a confronto con le argomentazioni dell’Amministrazione finanziaria, rappresentate da Arturo Betunio, direttore Normativa dell’Agenzia delle Entrate.

Vera Moretti