Concorso documentarista Camera dei Deputati: scadenza e requisiti

È stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il bando di concorso per documentarista alla Camera dei Deputati. Le domande possono essere presentate fino al giorno 28 luglio 2022. Ecco i requisiti e come candidarsi.

Concorso Documentarista Camera dei Deputati: posti disponibili

È stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il giorno 28 giugno 2022 il bando di concorso per documentarista della Camera dei Deputati con indirizzo giuridico ed economico, i posti disponibili sono 65 e c’è tempo fino alle ore 18:00 del 28 luglio per poter presentare la domanda.

La stessa deve essere presentata esclusivamente per via telematica all’indirizzo https://concorsi.camera.it/. Il codice di concorso è 08.

I 65 posti sono così divisi: 50 posti per indirizzo giuridico e 15 posti per indirizzo economico.

Ciascun candidato può partecipare ad uno solo degli indirizzi.

Requisiti per concorso Concorso Documentarista Camera dei Deputati

Per poter partecipare sono richiesti dei requisiti, oltre alla cittadinanza italiana, è necessario non avere superato i 40 anni di età, limite che si intende superato alla mezzanotte del giorno del compimento del 40° anno.

Inoltre per poter partecipare è necessario che il candidato abbia i requisiti di onorabilità generalmente richiesti per poter partecipare ai concorsi, quindi nessuna condanna penale o richieste di misure di applicazione di pene.

Possono partecipare coloro che hanno una laurea triennale o titolo superiore in materie giuridiche ed economiche.

Come presentare la domanda per il concorso documentarista alla Camera.

Per poter partecipare al concorso è necessario avere uno SPID ( codice di identità digitale), lo stesso è necessario per poter inoltrare la domanda. Occorre effettuare tramite il sistema PagoPa il versamento di 10 euro per la tassa di concorso. In qualunque momento, prima della scadenza dei termini per presentare la domanda, è possibile rinunciare alla partecipazione al concorso andando a modificare la domanda inizialmente prodotta, ma non ci sarà comunque restituzione della tassa di segreteria.

Le prove d’esame

Per entrambi i profili ( economico e giuridico) sono previste: una prova preselettiva, tre prove scritte e un colloquio orale.

La prova selettiva consiste in un questionario comprendente 60 quesiti a risposta multipla con correzione informatizzata. La prova preselettiva per entrambi i concorsi verte su Costituzione e Regolamento della Camera dei Deputati. Il punteggio massimo per questa prova è di 60 punti con riconoscimento di un punto per ogni risposta esatta e sottrazione di 1 punto per ogni risposta multipla o errata e di 0,8 punti per ogni risposta non data.

Superano la prova selettiva i candidati che per l’indirizzo giuridico si sono collocati nelle prime 300 posizioni e per l’indirizzo economico nelle prime 90 posizioni, naturalmente anche punteggi ex equo.

Le prove scritte

Per quanto invece riguarda le prove scritte sono per l’indirizzo giuridico prima prova 2 quesiti:

  • uno sulla storia d’Italia dal 1848 ad oggi;
  • uno a scelta del candidato tra diritto amministrativo e diritto civile ( tempo 4 ore).

Seconda prova a carattere teorico- pratico e consiste nella redazione di un appunto o una sintesi su una questione concernente il diritto costituzionale. La prova sarà effettuata su supporto digitale con base precostituita. Tempo 4 ore.

La terza prova consiste nella redazione in lingua inglese senza ausilio di vocabolario di un testo di carattere giuridico (tempo 3 ore).

Per quanto invece riguarda l’indirizzo economico, la prima prova scritta sarà formata da due quesiti. Il primo concernente l’economia politica e il secondo la Costituzione. La seconda prova scritta invece sarà a carattere teorico-pratico e consiste nella redazione di un appunto o una sintesi su una questione concernete la politica economica. La terza prova scritta sarà come per l’indirizzo giuridico in inglese.

Le prove scritte sono valutate in trentesimi e sono ammessi all’orale coloro che hanno una media di 21/30 e non hanno riportato in nessuna prova un punteggio inferiore a 18/30.

Si passa quindi all’orale consistente in un colloquio sulle materie di concorso. In questa fase viene anche valutata la conoscenza della lingua inglese.

Le materie della prova orale sono per l’ indirizzo giuridico:

  • Storia d’Italia dal 1848 ad oggi;
  • Diritto costituzionale, parlamentare, dell’Unione Europea;
  • Diritto privato o diritto amministrativo;
  • Lingua inglese;

Per l’indirizzo economico:

  • Storia d’Italia dal 1848 ad oggi;
  • Diritto costituzionale o diritto parlamentare;
  • Economia politica;
  • Politica economica;
  • Statistica;
  • Lingua inglese.

Altri concorsi

Per ulteriori opportunità di lavoro leggi:

Il Ministero per la Transizione Ecologica (MiTE) cerca esperti. Candidatire entro il 4 luglio

Concorso OSS con licenza media: requisiti. Scadenza 11 luglio

Il governo Renzi e le prime misure economiche

Dopo tanti proclami, per Matteo Renzi è arrivato davvero il momento di fare. Specialmente nel campo delle misure economiche e sul fronte della spesa pubblica, il governo Renzi è atteso da scelte importanti.

Tra le principali misure ci sono il taglio ai costi della politica, la riforma elettorale, la riforma del fisco, la scuola e novità per lavoro e imprese. L’aumento della tassa sulle rendite finanziarie dal 20 al 25% sarà la prima misura che Renzi e l’esecutivo adotteranno.

L’aumento della tassazione sulle rendite finanziarie era già previsto nel Jobs act, presentato da Renzi a dicembre 2013, prima che stravincesse le primarie del Pd. Il piano di lavoro del nuovo governo parte dalla necessità di allargare le tutele economiche e sociali per i lavoratori e di introdurre un reddito minimo garantito per chi dovesse perdere il posto di lavoro, oltre che dalla necessità di creare occupazione. L’obiettivo è quello di avere 200mila occupati in più nei settori di punta dell’economia.

Del piano per il lavoro faranno parte gli incentivi alle assunzioni degli under 30, ma solo per le aziende che prima non licenziano. Queste assunzioni dovrebbero essere defiscalizzate e ulteriormente agevolate nel caso di lavoratori impiegati nei settori dell’innovazione e della ricerca; l’impresa pagherà solo i contributi previdenziali.

L’esecutivo Renzi punta poi a ridurre Irap e Irpef sui redditi da lavoro; l’ipotesi è quella di una riduzione di un punto delle prime due aliquote: quella del 23% che si paga ora fino al 15mila euro, e quella del 27% che si versa fino a 28mila euro. L’impatto sarebbe su tutti i cittadini, ma il dato importante è che con queste due aliquote pagano le tasse 34 dei 41 milioni di contribuenti che presentano la dichiarazione dei redditi ogni anno. Il problema è il costo elevato di questa misura necessaria: circa 5 miliardi di euro.

Governo Renzi e politiche economiche: il manifesto

E alla fine l’Italia ha il nuovo governo Renzi. Il segretario del Pd dà una spallata a Letta e al suo esecutivo, schiera la propria squadra di ministri e si appresta a governare. O almeno a provarci. Noi di INFOIVA guardiamo con attenzione a questa nuova avventura e aspettiamo di vedere quali saranno le misure in campo economico che il governo prenderà per tentare di rimettere in piedi l’Italia.

Le cose da fare sono poche e chiare e noi la pensiamo esattamente come Alberto Alesina e Francesco Giavazzi, che sul Corriere del 21 febbraio hanno scritto un editoriale che Renzi e i suoi dovrebbero stampare, appendere nei loro uffici e applicare passo passo. Ve lo riproponiamo qui sotto, perché per noi è un manifesto. Voi che ne dite?

Il nuovo governo dovrà dimostrare (e in tempi brevissimi) di aver chiare quali sono le priorità e di essere determinato nell’affrontarle. Se saprà farlo tranquillizzerà i mercati e potrà rinegoziare i vincoli europei. Perché una rinegoziazione è inevitabile se si vuol far ripartire la crescita.

Quali siano i problemi dell’Italia lo sappiamo da tempo: un debito pubblico enorme, una recessione che sembra non finire mai, banche che prestano col contagocce, una disoccupazione soprattutto giovanile elevatissima, una tassazione asfissiante, una burocrazia che impone oneri immensi alle imprese, e infine i costi della politica. La difficoltà non è dunque individuare le cose da fare, ma metterle in fila e poi affrontarle con determinazione.

La prima è annunciare stime di crescita credibili. Le previsioni del governo uscente sono più ottimiste di quelle delle organizzazioni internazionali, inclusa la Commissione europea. Il governo prevede un aumento del prodotto interno lordo (Pil) dell’1% nel 2014 e dell’1,7% nel 2015. Il consenso internazionale è 0,5% nel 2014 e poco sopra l’1% nel 2015.

Da che numeri parte il nuovo governo? Le previsioni di crescita sono cruciali perché costituiscono il punto di partenza per un piano credibile di riduzione del rapporto debito-Pil. Per avviare tale riduzione è necessario compiere tre passi: ridurre la spesa pubblica e le imposte, far ripartire la crescita e vendere aziende e immobili oggi posseduti da Stato, Comuni e Regioni.
Per rilanciare la crescita, servono due interventi immediati. Primo: provvedimenti per allentare la stretta creditizia. È difficile tornare a crescere se non riparte l’offerta di credito all’economia. Lo si può fare anche con l’aiuto della Bce, come spiegavamo il 9 febbraio (nell’editoriale E ora le banche non hanno scuse ). A ciò deve aggiungersi un’accelerazione del pagamento dei debiti della pubblica amministrazione nei confronti delle imprese. Il governo uscente ne ha saldati 22 miliardi su circa 100: troppo pochi.

Seconda cosa da fare: provvedimenti per ridare competitività alle imprese. La leva principale è una riduzione immediata e consistente del cuneo fiscale, finanziata con una combinazione di tagli di spese (immediate e future) e, se necessario, con imposte meno dannose delle tasse sul lavoro.

Per portare gli oneri sociali a carico delle imprese al livello tedesco bisogna ridurli di 23 miliardi. 9-10 miliardi si possono reperire tagliando i sussidi alle imprese: 4 miliardi il primo anno, altri 5-6 nei due successivi. Un altro miliardo, o due, tagliando i costi della politica, come suggerito in uno studio di Roberto Perotti pubblicato su www.lavoce.info. I rimanenti 8 miliardi vanno reperiti dalla spending review : il commissario Cottarelli ritiene che sia un obiettivo raggiungibile già quest’anno. Altre risorse possono arrivare dalla revisione del costo di alcuni servizi (come l’università) che lo Stato offre quasi gratuitamente a tutti, indipendentemente dal reddito.

Ridurre le imposte sul lavoro non basta. Bisogna anche riformare i contratti abolendo il muro invalicabile che separa chi ha un lavoro a tempo determinato da chi ne ha uno a tempo indeterminato. Qui il diavolo sta nei dettagli. La proposta giusta è quella di Pietro Ichino, che riprende un’idea degli economisti Olivier Blanchard (capo-economista del Fondo monetario internazionale) e Jean Tirole. Un contratto uguale per tutti, senza muri e con protezioni che crescono in funzione dell’anzianità sul posto di lavoro. Ad esempio: entro tre anni dall’assunzione un’impresa può licenziare liberamente, dal quarto anno in poi il licenziamento costa all’impresa una indennità (crescente con l’anzianità del contratto) e che finanzia (in parte) i contributi di disoccupazione.

Va abolito il principio del reintegro obbligatorio, tranne nei casi di discriminazione. In questo modo verrebbe di fatto cancellato, per i neoassunti, l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Occorre anche ridurre il peso dei contratti collettivi, e legare maggiormente il salario alla contrattazione a livello aziendale. Il segreto del successo della Germania sta principalmente nell’avere fatto questo.

La riforma del mercato del lavoro è impossibile senza una revisione degli ammortizzatori sociali. Una maggiore libertà alle imprese nella gestione della forza lavoro si deve accompagnare a tutele per chi rimane temporaneamente disoccupato.

La Cassa integrazione (Cig) va abolita. Per tutti coloro che perdono il posto – e con le risorse ora destinate alla Cig e ai corsi di formazione gestiti dal sindacato – va introdotto un sussidio di disoccupazione decrescente nel tempo che li costringa a cercare lavoro (con la possibilità, al massimo, di due rifiuti). Il sussidio deve essere esteso anche alle categorie oggi non coperte dalla Cassa.

Infine bisogna cedere aziende pubbliche e semipubbliche. Qui le priorità sono: riscrivere da zero il progetto di apertura del capitale delle Poste e impedire che la Cassa depositi e prestiti continui ad essere usata come un salvadanaio dello Stato per false privatizzazioni (vedi Ansaldo Energia) e sprechi risorse pubbliche facendo, senza saperlo fare, il mestiere del finanziatore di startup , e cioè di nuove aziende.

Ma il nuovo governo non farà nessuna di queste cose se non sostituirà radicalmente i burocrati che gestiscono i ministeri (riformando i contratti della dirigenza pubblica e allineandoli a quelli del settore privato) cominciando dalla casta dei capi di gabinetto. Per farlo ci vuole coraggio perché questi signori sono depositari di «dossier» che tengono segreti per proteggere il loro potere. Bisogna aver il coraggio di mandarli tutti in pensione. All’inizio i nuovi ministri faranno molta fatica, ma l’alternativa è non riuscire a fare nulla.