Risparmi per i figli: oltre a Pac, libretti, buoni e polizze c’è anche la pensione integrativa

Gli italiani, tradizionalmente un popolo di risparmiatori, tendono anche a lasciare qualcosa per il futuro dei propri figli. E sono vari i modi per risparmiare delle cifre. Si va dai piani di accumulo alle polizze, dai libretti di risparmio ai buoni fruttiferi postali. C’è anche la possibilità di garantire una pensione integrativa aderendo alla previdenza complementare. Vediamo dei vari modi i vantaggi e gli svantaggi considerando anche il fattore tempo, decisamente ampio, e quello delle circostanze imprevedibili.

Libretti di risparmio, liberi o vincolati

Con i libretti di risparmio si possono depositare somme in banca oppure alla Posta. Si tratta di meccanismi di deposito utilizzati molto in passato per assicurare un futuro ai figli piccoli. L’apertura di un libretto di risparmio può essere libera, senza cioè che ci siano vincoli di tempo sui prelievi, oppure vincolata. In quest’ultimo caso, le somme depositate rimangono bloccate fino a una certa scadenza.

Vantaggi e svantaggi del libretto di risparmio postale o bancario

Il vantaggio di aprire un libretto di risparmio consente ai genitori o ai nonni di poter versare anche poco per volta e senza una cadenza prefissata. Attualmente i libretti possono essere considerati vantaggiosi perché non hanno costi né per l’apertura, né per la loro gestione. Tuttavia, i tassi di interessi attuali sono molto bassi. Pertanto, questo strumento non consente di ottenere un apprezzamento considerevole di quanto investito.

Buoni fruttiferi postali: interessi tassati al 12,50%

Un occhio di riguardo hanno i buoni fruttiferi postali, consistenti in titoli emessi dalla Cassa Depositi e Prestiti. La sottoscrizione dei buoni può avvenire presso la Posta oppure attraverso il sito o l’applicazione di Poste Italiane. Sottoscrivere i buoni fruttiferi postali non comporta spese, mentre gli interessi sono tassati al 12,50%. In ottica di un investimento per i figli, determinati buoni per i minori garantiscono il 100% del capitale. La maturazione degli interessi può arrivare fino a quando il minore non compia la maggiore età. Analogamente ai libretti di risparmio, oggi i buoni fruttiferi postali garantiscono rendimenti piuttosto modesti.

Polizze assicurative

Con le polizze assicurative è possibile risparmiare per i figli indicandoli come beneficiari. Sono varie le polizze che si possono sottoscrivere. Le polizze vita rivalutabili, ad esempio, o quelle del ramo I. Entrambe le tipologie permettono la rivalutazione del capitale assicurato ogni anno oppure la rendita ottenuta dall’investimento nelle gestioni separate. Entrambe le formule, inoltre, garantiscono la restituzione del capitale. Per collegare la polizza ai fondi comuni o a indici azionari è necessario investire nelle unit e nelle index linked o nelle polizze di ramo III.

I vantaggi di investire in polizze assicurative

Pur essendo prodotti più costosi rispetto ai buoni fruttiferi postali o ai libretti di risparmio, le polizze offrono determinati vantaggi. Innanzitutto sono forme di investimento del risparmio stesso, con copertura assicurativa. I premi pagati sono detraibili per il 19% fino al tetto di 530 euro. Ulteriori vantaggi sono l’impignorabilità e il fatto che non sono soggetti all’imposta di successione.

I Piani di accumulo del capitale (Pac): si versano piccole somme per volta

Per necessità di risparmio che assicurino anche un certo utilizzo degli strumenti finanziari è possibile investire nei piani di accumulo del capitale (Pac). Chi sottoscrive i piani può procedere periodicamente a versare quote di capitale. Il vantaggio principale risiede proprio nella possibilità di versamento. Si può procedere, infatti, a versare anche piccole somme periodicamente. La particolarità del “piano”, poi, aiuta a regolare le proprie spese per arrivare a mettere da parte le somme da versare.

Costi mediamente alti per i piani di accumulo del capitale

Rispetto alle altre opzioni che abbiamo visto, proprio per la particolarità di versare di volta in volta i costi possono risultare più alti. Soprattutto se si confronta lo strumento con l’investimento effettuato in un’unica soluzione. Tra i costi si segnalano quelli di apertura del piano di accumulo, i diritti fissi sui versamenti e gli oneri nel caso in cui si proceda con la chiusura in anticipo.

Adesione ai fondi pensione: è possibile la sottoscrizione a favore dei figli

Tra le formule di accumulo di risparmio a favore dei figli rientra sicuramente l’adesione ai fondi pensione per assicurare una previdenza integrativa futura. Si tratta, è evidente, di meccanismi di risparmio dalla lunga durata il cui obiettivo è quello di garantire un assegno di pensione più soddisfacente una volta che matureranno i requisiti per l’uscita dal lavoro. Per un genitore che voglia aderire ai fondi pensione, è possibile procedere con l’iscrizione alla previdenza complementare anche a favore dei figli a carico.

Deducibilità fiscale dell’adesione ai fondi pensione

Risulta scontato che una forma di pensione integrativa potrebbe rappresentare la soluzione tra le più redditizie e utili per il futuro dei propri figli. Ma non solo. Infatti, i contributi che si versano al fondo pensione beneficiano della deducibilità fiscale fino al limite di 5.164,57 euro per ogni anno di adesione. Inoltre, sul lato dei costi, tra le tipologie di fondi pensione più risparmiose si citano i fondi chiusi.

Previdenza complementare, vantaggi e svantaggi dell’adesione per i figli

In generale, aderire al fondo pensione comporta un investimento a lungo termine, con dei vincoli. Infatti i limiti sui quali è importante informarsi risiedono nel caso in cui si debba chiedere una parte del capitale accumulato in anticipo. Ma spesso sono previste agevolazioni per anticipi relativi a spese sanitarie o per l’acquisto della prima casa. Inoltre, l’adesione alla previdenza complementare può garantire la formula di pensione anticipata chiamata Rita che consente di ottenere la rendita molto prima rispetto alla maturazione dei requisiti per la pensione.

Polizze vita miste, chiarimenti delle Entrate su imposta e imponibile

La Legge di Stabilità 2015 ha apportato delle modifiche al regime fiscale cui sono sottoposte le somme percepite dai beneficiari di polizze vita in caso di premorienza dell’assicurato.

Ora è intervenuta l’Agenzia delle Entrate che, con la circolare n. 8/E dell’1 aprile 2016, ha fornito dei chiarimenti sull’applicazione della nuova disciplina introdotta dalla Legge di Stabilità sulla fiscalità dei premi delle polizze vita.

Nello specifico, le somme percepite da polizze vita a decorrere dall’1 gennaio 2015 non godono più dell’esenzione Irpef totale, ma riguardano solo copertura del cosiddetto “rischio demografico”, ossia la differenza tra durata della vita di una persona e durata media della vita della popolazione.

Con questa precisazione, rimangono totalmente esenti Irpef esclusivamente le polizze vita “temporanee caso morte”, ovverosia quelle per le quali la copertura del rischio demografico è del 100%.

Qualora invece vi siano delle polizze vita miste, con al loro interno anche una componente finanziaria, rimane esente Irpef solo il capitale legato al rischio demografico. Per quanto riguarda la quota restante del premio, i capitali corrisposti legati a contratti di assicurazione sulla vita e di capitalizzazione sono considerati redditi di capitali per la parte corrispondente alla differenza tra l’ammontare percepito dagli eredi e quello dei premi pagati dal beneficiario.

Tutela del patrimonio: il trust

Il trust è uno strumento che non esiste nel nostro ordinamento, ma è stato accettato. In pratica, un trust italiano è regolato dalla legge estera a cui si riferisce (sono diverse le legislazioni a cui si può fare riferimento, ma bisogna sceglierne una sola, che regola interamente il trust).

Come funziona un trust? Il proprietario (disponente) di alcuni beni decide di proteggerli con un trust. Nomina un gestore (può essere anche se stesso), che amministri questi beni, e un beneficiario, che gode dei profitti come deciso nell’atto costitutivo. Può anche nominare un guardiano (protector), che sorvegli che il gestore esegua correttamente le volontà del disponente (ovviamente se il gestore è lo stesso disponente, il guardiano non serve). In pratica, c’è uno sdoppiamento della proprietà, che è in capo al gestore per ciò che riguarda l’amministrazione e in capo al beneficiario per ciò che riguarda il godimento.

Questo concetto è sconosciuto nel nostro diritto, per questo si utilizza il diritto estero (anglosassone in primis), quindi il trust è un’anomalia giuridica.

Cosa caratterizza un trust? I beni conferiti sono indistinti e non sono parte del patrimonio del gestore (trustee), ma sono a lui intestati (o ad altro soggetto definito dal gestore) ed è obbligato a gestire il trust secondo le legge e secondo quanto stabilito nell’atto costitutivo.

I beni conferiti, quindi, costituiscono un patrimonio separato dal patrimonio del  gestore, ma anche da quello del disponente (settlor) e dei beneficiari (beneficary).

Possono essere conferiti beni mobili o immobili e diritti reali di persone fisiche e/o società, ad esempio azioni, quote di società, denaro, opere d’arte, autoveicoli, arredi, sia con piena che con nuda proprietà.

Tuttavia il trust non può essere esente da azioni revocatorie fallimentari, né ledere la legittimità in caso di eredità di successione e in generale violare le norme che regolano le garanzie reali e il diritto di proprietà.

Perché allora costituire un trust? Ad esempio può essere utilizzato quando non esiste una famiglia (famiglie di fatto, coppie divorziate, conviventi, scapoli o nubili) oppure quando si vogliono tutelare terze persone.

Devono essere seguite alcune regole, per evitare il disconoscimento da parte dell’autorità fiscale: ad esempio il disponente non può designare se stesso come beneficiario e nemmeno può essere previsto in atto, così come non può modificare i beneficiari durante la vita del trust.

Esiste una normativa fiscale che riguarda tutti gli strumenti sin qui citati, abbastanza complessa, che non penso sia il caso di trattare in questa sede, anche perché non sono un fiscalista, ma che sarò ben lieto di estendere a coloro che me ne facessero richiesta.

La considerazione finale che mi permetto di fare è che, sempre, l’utilizzo di uno o più di questi strumenti deve essere fatto comprendendo quali sono le motivazioni reali che ci spingono a porre queste tutele e, sempre, avendo la visione d’insieme del patrimonio proprio e della famiglia, con l’ausilio di un consulente che non abbia niente da vendervi se non la propria professionalità.

dott. Marco Degiorgis – Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

Tutela del patrimonio: ecco il fondo patrimoniale

Il fondo patrimoniale è strettamente connesso alla famiglia: infatti, deve essere costituito per far fronte ai bisogni della famiglia e perde efficacia se la famiglia cessa di esistere (divorzio, morte di uno dei coniugi…). Deve essere costituito per atto pubblico da uno o entrambi i coniugi (o anche da un terzo, ma dev’essere accettato dai coniugi) e deve destinare uno o più beni, mobili o immobili (anche i diritti reali sugli stessi, come l’usufrutto o la nuda proprietà) e iscritti in pubblici registri, o titoli di credito e destinare i medesimi appunto ai bisogni della famiglia. Quindi non si può costituire se esiste una famiglia di fatto, in caso di separazione dei coniugi, se celibi o nubili o vedovi.

I beni conferiti nel fondo patrimoniale divengono inattaccabili dai creditori, sia per quanto riguarda un debito contratto dai coniugi esercitando l’attività d’impresa, sia per azioni di responsabilità civile e professionale riguardanti liberi professionisti, amministratori, sindaci e revisori.

La Corte di Cassazione, nel 1984, ha precisato che: “i bisogni familiari tutelati dal fondo patrimoniale non sono rappresentati esclusivamente dalle esigenze di prima necessità, ma ricomprendono anche quelle esigenze volte al mantenimento e all’armonico sviluppo della famiglia, nonché al potenziamento della sua capacità lavorativa, restando escluse solo le esigenze voluttuarie o caratterizzate da intenti meramente speculativi”. Come sempre, c’è spazio ad interpretazioni diverse su ciò che è voluttuario o speculativo.

Non è possibile vendere i beni del fondo, a meno che non sia previsto nell’atto costitutivo, e se vi sono figli minori, è sempre necessaria l’autorizzazione del giudice.

L’aggredibilità da parte del fisco non è ammessa, secondo la Cassazione, perché il debito fiscale è considerato non in relazione con le  necessità famigliari, quindi in base all’articolo 170 c.c., il fondo appunto non è aggredibile.

Il credito fiscale non ha alcuna attinenza con i bisogni della famiglia, ma sorge automaticamente quando si verificano i presupposti che determinano la nascita di un’obbligazione tributaria. Ovviamente valgono le regole generali sulla revocatoria ordinaria e su quella fallimentare (atti che arrecano pregiudizio ai creditori nei due anni precedenti il fallimento e quindi privi di effetto), così come le regole sulla fraudolenza (è reato costituire il fondo per sottrarsi al pagamento di imposte o sanzioni).

dott. Marco Degiorgis – Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

Tutela del patrimonio: il contratto fiduciario

Con il contratto fiduciario, la società fiduciaria assume l’amministrazione dei beni per conto terzi, l’organizzazione e la revisione contabile di aziende e la rappresentanza dei portatori di azioni e di obbligazioni (legge n.1966 del 23 11 1939). In pratica, nel negozio fiduciario, il fiduciante trasferisce al fiduciario la titolarità di un diritto, limitandone l’uso con accordo tra le parti, per realizzare uno scopo che il fiduciario si impegna a realizzare, per trasferire poi il diritto allo stesso fiduciario o a terzi. In parole povere, si incarica una società fiduciaria di agire per conto proprio ma in suo nome, non comparendo mai come “mandanti”.

Ad esempio, si può acquistare un’azienda, ma l’acquisto sarà siglato dalla fiduciaria. E’ uno strumento che serve a mantenere la privacy e la riservatezza, utilizzando una struttura riconosciuta e qualificata, nonché monitorata dall’autorità pubblica. E’ un filtro, ma non serve ad occultare nulla, perché se l’autorità chiede alla fiduciaria il nome del fiduciante, questa è obbligata a riferirlo, e inoltre le fiduciarie sono obbligate a rispettare la normativa antiriciclaggio. A cosa servono allora? A molte cose: sono innanzitutto un filtro, come già detto, e possono assumere funzione di trustee e protector, come vedremo parlando di trust, possono essere sia contraenti che beneficiari di polizze vita, possono gestire passaggi generazionali, possono intestarsi quote di società, di fondi, di obbligazioni, di titoli, di patrimoni.

Inoltre, la società fiduciaria è l’unico intermediario “abilitato alla compensazione delle plusvalenze e le minusvalenze di quote di società non azionarie” (per esempio le Srl) “e di redditi diversi derivanti da contratti di natura finanziaria” (come per esempio i finanziamenti e le polizze assicurative) con le plusvalenze e le minusvalenze generate da altri strumenti finanziari trattati in regime di risparmio amministrato”(art. 6 D.lgs. n. 461/1997).

Tutela del patrimonio: fondi pensione e polizze vita

I fondi pensione e le polizze vita che garanzie danno?

Partiamo dal fatto che le pensioni sono pignorabili per un quinto, pertanto anche i fondi pensione seguono la stessa sorte.

Il discorso sulle polizze è più complicato. Esse possono essere caso vita, caso morte o miste. Quelle caso vita, a scadenza, possono prevedere la restituzione del capitale più gli interessi oppure una rendita; quelle caso morte invece possono essere temporanee o a vita intera, infine le polizze miste possono avere entrambi gli elementi, caso vita e caso morte. Quindi ci sono numerose variabili possibili.

Ripararsi dai creditori con le polizze vita non dà garanzie: la prima sezione della Corte di Cassazione ha dato una lettura restrittiva all’articolo 1923, proprio con l’obiettivo di scoraggiare chi, mediante i versamenti in un prodotto assicurativo, cercasse un espediente giuridico in tal senso. La sentenza riguarda i riscatti effettuati prima che l’evento oggetto di contratto si sia realizzato.

Le somme ricevute come riscatti anticipati da parte della compagnia a favore dell’assicurato o di chi risulta legittimato a riceverle possono dunque essere aggredite dai creditori e confluire nel fallimento.

In pratica, l’impignorabilità e la non sequestrabilità delle polizze miste, caso vita e morte, index e unit linked, sono diritti inviolabili se vengono portati a termine i contratti fino al verificarsi dell’evento assicurato, altrimenti se si effettua un disinvestimento anticipato, si presuppone che siano stati sottoscritti solamente con la chiara intenzione di eludere i creditori.

Anche un’altra sentenza della Corte di Cassazione del 2008 stabilisce che solo il fine previdenziale impedisce sequestro e pignoramento della polizza. Il problema è capire esattamente cosa si intende con fine previdenziale. Ad esempio, le polizze caso vita hanno fine previdenziale? Nessuno lo ha detto chiaramente, lasciando spazio ad interpretazioni e dubbi.

E i prodotti di capitalizzazione, come index e unit? Il tribunale di Parma nel 2010, a proposito delle polizze unit e index, ha stabilito che le polizze di tipo finanziario non hanno nessun fine previdenziale e quindi sono pignorabili. Tuttavia, per avere un minimo di certezza giuridica, sarà necessario attendere una nuova sentenza chiarificatrice della Corte di Cassazione.

dott. Marco Degiorgis – Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

Gli strumenti a tutela del patrimonio

Esistono strumenti per la tutela del patrimonio, anche se sono scarsamente usati in Italia. Sono il fondo patrimoniale, il trust, i vincoli di destinazione, il contratto fiduciario, le polizze vita. Vediamoli meglio.

Il vincolo di destinazione, ex art. 2645 ter c.c. serve a sottrarre i beni dalle eventuali azioni dei creditori. Infatti li “isola”  dal patrimonio “generale” del soggetto titolare, destinandoli al “perseguimento del fine”, per il quale l’atto di destinazione è  istituito.

Questa rappresenta una rilevante eccezione all’articolo 2740 cc, secondo cui ciascun soggetto “risponde delle proprie obbligazioni con tutti i propri beni presenti e futuri”.

Il vincolo di destinazione consente di aggredire il patrimonio del soggetto-debitore, ma non i beni oggetto del vincolo, che restano così “isolati” dal patrimonio del debitore.

Il vincolo di destinazione non pone limiti sulla natura del beneficiario, che può essere sostanzialmente “chiunque”; i beni, che possono formarne l’oggetto, devono essere “immobili o mobili registrati”; infine, i “vincoli di scopo” non hanno indicazioni particolari, dovendo solo realizzare “interessi meritevoli di tutela”.

In sintesi, l’unico limite di applicazione del vincolo di destinazione è l’interpretazione dell’interesse meritevole di tutela.

L’interpretazione più restrittiva considera il fine di pubblica utilità come unico motivo valido per costituire un vincolo di destinazione, mentre quella meno restrittiva, ed anche più applicata, ritiene che sia sufficiente che lo scopo perseguito sia lecito, ovvero non contrario a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume. Altro limite è il vincolo di durata, 90 anni al massimo.

dott. Marco Degiorgis – Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis