Giovani, carini e disoccupati

 

Ma cosa devono fare i ragazzi italiani per darsi da fare? Lauree, master, stage, concorsi sembrano soluzioni inutili stando ai dati emessi dall’indice Istat in queste ore.

A maggio 2012, il tasso di disoccupazione giovanile calcolato sui ragazzi di età compresa tra i 15 ai 24 anni ha registrato un’incidenza del 36,2%, ovvero 1 ragazzo su 3 si trova senza lavoro.

“Bravo, ma hai troppa esperienza”, oppure “Sei in gamba, ma non possiamo pagarti”, o ancora, “Hai famiglia, non possiamo rispettare le tue aspettative”, quante volte ce lo siamo sentiti dire?

Turnover e stagisti: agli italiani delle Human Resources piacciono i nomi esterofili, peccato che non ne seguano anche i modelli di pianificazione delle risorse.

Gli esaminatori dei colloqui recitano sempre le solite frasi che sanno di scherzo, ed anche cercarsi un lavoro dignitoso diventa un’impresa per chi, di voglia di fare e di mettere al servizio buona volontà o conoscenze fresche di scuola.

Il risultato? Più vacanze per tutti, che se non sono un male con queste ondate di caldo ma che di certo nuocciono allo spirito di chi, sfaccendato dopo anni di studio o dopo una consapevole riflessione sulle proprie potenzialità, non vede spiragli nel suo futuro più imminente.

E non parliamo dei progetti a lungo termine…

I dati sul tasso di disoccupazione, dunque, rimangono sconfortanti, senza parlare della crisi degli over 30-40 che, per colpa della crisi, perché poco meritevoli o semplicemente “troppo formati” per vedere confermato il loro impiego, subiscono l’egemonia dei famosi Co. Co.Pro. o non si vedono rinnovato il contratto di impiego dopo mesi, se non anni di lavoro.

C’è da dire che se nulla o poco possono le piccole medie imprese nazionali, ancora meno fanno le grandi aziende, dove “essere un numero” diventa sempre più sinonimo di precarietà.

Mettere su una start up? In molti ci provano, nonostante le agevolazioni messe in atto e le difficili condizioni per accedervi.

In questo possono molto i franchising, ma al contempo fare i conti con il classico “27 del mese” diventa una responsabilità troppo alta per chi, già, ha da mettere il pane in tavola.

Certo, la provincia di Milano ha da poco proposto al governo un nuovo volano strategico per lo sviluppo economico, una nuova no tax area destinata a chi vuole intraprendere “l’impresa di mettere su un’impresa”. L’idea, non del tutto malsana, è quella di creare delle condizioni favorevoli e delle agevolazioni tributarie in favore di chiunque decida di avviare una nuova impresa nel territorio.
A sostenerla, Cristina Tajiani, assessore del Comune di Milano, il cui obiettivo è quello di creare un progetto che potrebbe ispirarne anche altri. Ma intanto?

Dal gennaio 2004 ad oggi mai la situazione era stata così grave e nonostante spread, bond, CCT, i giovani – che intanto invecchiano – continuano a rimanere inoccupati, con un aumento di 0,9 punti percentuali su aprile che segnano un record storico.

C’è da dire che, sempre secondo i dati Istat, il tasso di disoccupazione tra la popolazione nel suo complesso è scesa di -01 punti percentuali a maggio 2012, ed è la prima diminuzione, anche se lieve, del tasso di disoccupazione da febbraio del 2011. Ciononostante, per i tecnici il risultato rimane “sostanzialmente stazionario” e la disoccupazione persiste su “valori molto elevati”. Ovvero, non va niente bene.

Non che altrove le cose siano differenti: nei Paesi della zona Euro la stessa percentuale, a maggio, è salita all’11,1%, quando ad aprile era all’11% e nel maggio 2011 era al 10%.

Espatriare? Rimettersi alla canonica fuga di cervelli? “Varrebbe la pena” in Austria (dove i tassi di disoccupazione sono minimi, attestati all’4,1%), Olanda (5,1%), Lussemburgo (5,4%) e Germania (5,6%), ai massimi di Spagna (24,6%) e Grecia (21,9% il dato di marzo 2012).

In Italia, invece, il numero dei disoccupati è calato di 18mila unità ed è sceso 2.584 mila rispetto ad una base annua del 26% pari a 534mila unità che vede uomini e donne ugualmente penalizzati. E questo, per qualche animo più debole, significa dire addio a sogni di lavoro.

I lavori stagionali saranno d’aiuto? Il lavoro nobilita l’uomo ed è un diritto sancito dalla Costituzione italiana. Un articolo troppo in incipit perché qualcuno se ne ricordi a buon diritto.

 

Paola PERFETTI

Atipici o precari? La sostanza non cambia

Atipici, precari, in bilico… chiamateli come volete ma la sostanza è sempre la stessa. Un esercito di persone che, professionalmente ha un presente tutto in salita e un futuro (se c’è) tutto da decifrare. Una categoria di persone il cui identikit è stato tracciato dalla Cgia di Mestre.

In due parole: stipendio medio di 836 euro netti al mese, 15% di laureati, 46% di diplomati, quasi tutti nella Pubblica amministrazione, oltre 1 su 3 al Sud (35,18% del totale). Si tratta di dipendenti a termine involontari; dipendenti part time involontari; collaboratori che hanno contemporaneamente 3 vincoli di subordinazione: monocommittenza, utilizzo dei mezzi dell’azienda e imposizione dell’orario di lavoro; liberi professionisti e lavoratori in proprio (i partitivisti, insomma) che hanno in contemporanea i 3 vincoli di subordinazione descritti nel punto precedente.

Si tratta di oltre 3 milioni e 300mila persone e la loro retribuzione mensile media di cui sopra esclude altre mensilità (tredicesima, quattordicesima, etc.) e voci accessorie come, ad esempio i premi di produttività, indennità per missioni, etc.

La PA la fa da padrona, tra scuola, sanità, nei servizi pubblici e sociali, direttamente nella Pubblica amministrazione (Stato, Regioni, Enti locali, etc.). Gli altri settori che registrano una forte presenza di questi lavoratori atipici sono il commercio (436.842), i servizi alle imprese (414.672) e gli alberghi e i ristoranti (337.379).

A livello territoriale, come detto, il Sud ne conta il numero maggiore. Se oltre 1.108.000 precari lavorano nel Mezzogiorno (pari al 35,18% del totale), le realtà più coinvolte, prendendo come riferimento l’incidenza percentuale di questi lavoratori sul totale degli occupati a livello regionale, sono la Calabria (21,2%), la Sardegna (20,4%), la Sicilia (19,9%) e la Puglia (19,8%).

Insomma, un vero e proprio esercito con caratteristiche ben definite. E un tratto comune che, di questi tempi, non è cosa da poco: per quanto precario, queste persone un lavoro ce l’hanno