Fisco e lavoro, le proposte del CoLAP

Durante la presentazione di #RIPARTELITALIA e della #RoadmapCoLAP, il Comitato delle Libere Associazioni Professionali è intervenuto anche su fisco e lavoro, partendo da un dato incontrovertibile: la pressione fiscale che subiscono i professionisti è tra le più alte in Italia ed è stimata intorno al 60%.

La complessità delle norme fiscali e il fatto che spesso variano improvvisamente, oltre ad essere un deterrente per chi vuole intraprendere la libera professione, possono divenire una vera difficoltà di gestione e un alibi per chi intende pregiudizialmente evadere.

Il sistema de minimi oggi prevede una doppia possibilità di scelta per il solo anno 2015:

– Per i primi 5 anni fino ad un reddito di 30mila euro, imposta mista pari al 5%;

– Per redditi fino a 15mila, imposta mista pari al 15% (senza limiti di tempo di utilizzo).

Luigi Pessina consigliere CoLAP e Presidente di Ancit, ha posto l’accento su questo fatto: “La pressione fiscale è per noi insostenibile occorre trovare una soluzione per non soffocare il nostro settore, va bene il de minimi per 30mila euro di reddito, imposta mista al 10%, senza limiti di utilizzo anagrafici o temporali del regime e proponiamo una decontribuzione al 50% per i primi tre anni di attività”.

Necessarie anche – ha continuato Pessinasemplificazione degli adempimenti fiscali (abolizione dello spesometro, Black List, intrastat servizi, modello 770), stabilità e certezza nel tempo della normativa fiscale, provvedimenti che permettono un recupero fiscale e una maggiore occupabilità nel nostro settore; l’imposizione così alta rappresenta, soprattutto per i giovani un forte deterrente per l’avvio della professione”.

Gessica Rostellato, membro Commissione Lavoro della Camera dei Deputati, è intervenuta nel merito della #RoadmapCoLAP, sostenendo: “Bisogna dare dignità ai lavoratori autonomi, avviando una serie di leggi anche coraggiose per cercare di trovare un modo per semplificare il loro lavoro, permettendogli di pagare le tasse senza troppo stress. Ad esempio, parlando di burocrazia, semplificando il modello unico, molto ostico per i non addetti ai lavori, dando certezza con dati, chiari e semplici”.

Alessia Rotta, parlamentare del Partito Democratico, membro della Commissione Lavoro della Camera, riprendendo le parole della collega Rostellato, ha dichiarato: “Nella Commissione lavoro del Partito Democratico ci si occupa con accanimento dei lavoratori autonomi, per questo sin dall’inizio sono stati intrecciati proficui rapporti con il CoLAP. Il tema fondamentale è quello di rendere più evidente ciò che ancora non è stato affrontato a sufficienza dall’attività politica, come ad esempio il blocco dell’aliquota contributiva. Per queste ragioni, le mie battaglie volgono verso l’inserimento delle richieste dei Liberi Professionisti in ciascun provvedimento legislativo”.

Speriamo – ha concluso – che con la riforma della Pubblica Amministrazione a fine estate si faccia carico di tutta una serie di semplificazioni degli adempimenti nelle Regioni, incentivando un sistema di controllo e di condivisione nelle varie Regioni. Sedere nei tavoli di lavoro, per i professionisti, è molto importante per discutere e mettere la lente di ingrandimento su problematiche quali la certificazione e l’iter di accreditamento, l’armonizzazione delle norme che riguardano i Liberi Professionisti e l’abbattimento della separazione che, nella percezione comune, distingue la normazione del lavoro autonomo rispetto a quello dipendente. La composizione del CoLAP così trasversale, è per noi politici un continuo pungolo, per fare meglio e di più”.

Pressione fiscale e oppressione fiscale

Puntuale come la Quaresima, è arrivata la notizia che ogni anno purtroppo ci aspettiamo: nel 2014 in Italia è aumentata ancora la pressione fiscale. Addirittura nel quarto trimestre dello scorso anno è arrivata al 50,3%, in aumento dello 0,1% rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente.

In tutto il 2014, la pressione fiscale italiana è stata pari al 43,5%, in aumento anche qui dello 0,1% rispetto al 2013. I dati sono stati diffusi dall’Istat che ha anche sottolineato come la propensione al risparmio delle famiglie consumatrici è diminuita dello 0,3% nel 2014 e il reddito disponibile è calato dello 0,4% rispetto al trimestre precedente e aumentato dello 0,8% rispetto al corrispondente periodo del 2013.

E mentre sale la pressione fiscale e cala il reddito disponibile delle famiglie italiane, scende anche il loro potere d’acquisto: -0,5% nel quarto trimestre 2014, rispetto al trimestre precedente, anche se cresciuto dello 0,8% rispetto al quarto trimestre del 2013. E la ripresa? Sì, quella delle tasse…

La mazzata sugli immobili produttivi

Il controsenso è tutto italiano e, come al solito, riguarda tasse e imprese. Parliamo di immobili produttivi che, come dice il nome, dovrebbero essere delle strutture utilizzate per produrre beni o servizi e, di conseguenza, reddito e ricchezza. In realtà sono diventati solo limoni da spremere.

Secondo uno studio dell’Osservatorio di Cna Nazionale sulla tassazione della piccola impresa, negli ultimi 36 mesi la tassazione locale sugli immobili produttivi è aumentata di 4 miliardi e 900 milioni: dai 4,7 del 2011 ai 9,6 del 2014. La mazzata si è chiusa col botto il 16 dicembre scorso, quando le imprese hanno dovuto pagare la famigerata Iuc.

Come ben sottolinea la Cna, questo fiume di denaro che origina dagli immobili produttivi è prima di tutto sottratto agli investimenti, vista l’improduttività degli enti nelle cui casse finisce. Inoltre, ciò che più scandalizza è il fatto che l’impennata sia stata particolarmente forte proprio negli anni di crisi più difficili per le imprese italiane.

L’indagine della Cna sugli immobili produttivi è stata condotta nei 110 comuni monitorati dall’Osservatorio Cna sulla tassazione della piccola impresa e sulle seguenti tipologie di immobili produttivi: laboratorio artigiano di 350 mq, classificato nella categoria catastale C3; negozio per la vendita di 175 mq, classificato nella categoria catastale C. Ossia le due tipologie prevalenti di immobili produttivi soggette alla tassazione locale. Senza contare il fatto che, spesso, ciò che fa lievitare la tassazione è il valore catastale degli immobili produttivi anche più elevato di quello di mercato.

Lo studio della Cna arriva poi alla conclusione che nel 2015 difficilmente le imprese e gli artigiani potranno far fronte a ulteriori aumenti della tassazione sugli immobili produttivi, anche a fronte della perdita della deducibilità totale della Tasi versata su capannoni, negozi e laboratori. Ecco perché la Cna chiede di invertire la tendenza riducendo la tassazione, rendendo magari interamente deducibile l’Imu dal reddito d’impresa (ora se ne può dedurre il 20%).

In questo senso vanno anche le imprese, che sperano nella deducibilità totale dell’Imu dal reddito d’impresa e dall’Irap, così da ridurre il carico della tassazione erariale e controbilanciare in questo modo quella comunale.

Del resto, se i beni strumentali all’attività produttiva come gli immobili produttivi stessi servono a produrre reddito d’impresa, l’Imu diventa un costo legato alla produzione del reddito e la non totale deducibilità della tassa comunale determina la tassazione di un reddito d’impresa che, di fatto, non viene mai realizzato. Una stortura e un contrasto con l’articolo 53 della Costituzione, che rende questa indeducibilità incostituzionale.

La Cna ha il merito di riportare all’attenzione di chi di dovere una stortura non tanto difficile da vedere. Ma si sa che, immobili produttivi o no, quando c’è da raccattare soldi la fiscalità, locale o centrale, della Costituzione non sa che farsene. A meno che, un giorno, trovi il modo di tassare anche quella…

Pressione fiscale e tax day, i conti della Cgia

Il 16 dicembre scorso è stata una data campale per i contribuenti italiani, che fra Imu, Tari, Tasi, ritenute Irpef e imposte varie hanno versato al fisco la bellezza di 44 miliardi di euro, avendo prova di quanto può essere pesante la pressione fiscale in Italia.

I conti li ha fatti meritoriamente, come sempre, la Cgia, che ha calcolato come il versamento dell’Iva abbia garantito l’importo più cospicuo, 16 miliardi di euro; dalle ritenute Irpef dei lavoratori dipendenti sono arrivati 12 miliardi, mentre l’ultima rata dell’Imu, è costata agli italiani 10,6 miliardi. La Tasi ha portato nelle casse dei Comuni 2,3 miliardi, la Tari 1,9, mentre il versamento dell’Irpef dei lavoratori autonomi ha portato al fisco 1 miliardo. Buone ultime l’imposta sostitutiva sulla rivalutazione del Tfr e le ritenute sui bonifici per le detrazioni Irpef, con 231 e 72 milioni di euro. E poi si parla di alleggerire la pressione fiscale

Secondo il segretario della Cgia Giuseppe Bortolussi, questo vero tax day è arrivato in un periodo, quello di fine d’anno, molto delicato soprattutto per le aziende: oltre all’impegno con il fisco, in questi giorni devono corrispondere anche le tredicesime ai propri dipendenti. E con il perdurare della crisi, questo impegno economico rischia di diventare per molti imprenditori un vero e proprio stress test. Una pioggia di scadenze che potrebbe mettere in seria difficoltà molte famiglie e altrettante piccole imprese a causa della cronica mancanza di liquidità”.

Senza contare che, sempre la Cgia, ha stimato come per l’anno che si sta per chiudere, la pressione fiscale in Italia è prevista al 43,3%, un livello tra i più elevati d’Europa. “Ma la pressione fiscale reale – dice Bortolussi – vale a dire quella che grava sui contribuenti onesti, che si misura togliendo dal Pil nominale il “peso” dell’economia non osservata, si colloca appena sotto il 50%, attestandosi, secondo una nostra stima, al 49,5%: oltre 6 punti percentuali in più del dato ufficiale. Un carico fiscale spaventoso”. Una pressione fiscale “reale” che, conclude la Cgia, è giunta a questo risultato perché il Pil nazionale include anche la cifra imputabile all’economia sommersa prodotta dalle attività irregolari che, non essendo conosciute al fisco, non pagano né tasse né contributi.

Padoan: il governo ha alleggerito la pressione fiscale

Il ministro dell’Economia Padoan ha fatto quella che i latini chiamavano “excusatio non petita”, ossia una giustificazione non richiesta che era anche una “accusatio manifesta”, ossia un’evidente accusa. Dopo aver letto su Panorama le interviste del presidente della Confindustria, Giorgio Squinzi, e dell’imprenditore Fabrizio Castoldi, il quale lamentava il peso eccessivo di tasse sulla sua azienda, il ministro Padoan ha scritto al settimanale per dire che, invece, il governo ha alleggerito la pressione fiscale.

In Italia le imprese che pagano tutte le tasse ne pagano troppe – si legge nella lettera di Padoan -. La pressione fiscale sui contribuenti che si comportano lealmente con il fisco (e quindi con la comunità nazionale) è troppo alta e compromette tanto la competitività quanto la motivazione a continuare a fare impresa, creare ricchezza e occupazione“.

E, sull’Irap una delle imposte “più avversate dalle imprese”, Padoan rincara la dose dicendo che è “invisa anche ai lavoratori perché rischia di penalizzare l’occupazione. Ebbene, il governo ha cancellato (non rivisto, rimodulato, ridotto: ha cancellato) la componente dell’Irap calcolata sul costo del lavoro a tempo indeterminato a decorrere dall’1 gennaio 2015. Si tratta di un beneficio importante soprattutto per le imprese, come mi sembra che sia il caso illustrato da Castoldi, che impiegano una manodopera consistente. Secondo le stime dei nostri uffici questa misura, chiesta da tempo dal mondo imprenditoriale, consentirà un alleggerimento complessivo dell’Irap di ben il 30 per cento“.

È proprio vero che ognuno vede le cose dalla prospettiva che più gli conviene…

Pressione fiscale di record in record

Noi italiani non siamo mai contenti. Abbiamo il record mondiale della pressione fiscale e, nei prossimi anni, siamo destinati a superarlo. Lo dice l’Ufficio Parlamentare di Bilancio, secondo le cui previsioni la pressione fiscale salirà dal 43,3% attuale, confermato anche per il 2014, al 43,6% previsto sia nel 2016 sia nel 2017.

Una rilevazione che ha dato modo alla Cgia di ricordare come per il 2016 il Governo Renzi dovrà operare una razionalizzazione della spesa per 16,8 miliardi di euro, che salirà a 26,2 nel 2017 per toccare i 28,9 miliardi nel 2018. Se questi risultati non saranno raggiunti, è previsto un nuovo ritocco al rialzo dell’aliquota Iva del 2% a partire dal 1° gennaio del 2016, aumento che varrà sia per quella attualmente al 10%, sia per quella al 22%, con ulteriore aggravio della pressione fiscale.

Dal 1° gennaio 2017 la pressione fiscale si impennerà ancora perché entrambe le aliquote subiranno un altro ritocco dell’1%, mentre dal 1° gennaio 2018 aumenterà di un altro 0,5% solo l’aliquota più elevata. Alla fine del triennio 2016-2018, l’aliquota inferiore potrebbe arrivare al 13 per cento, mentre l’altra al 25,5 per cento.

Di bene in meglio, se non saranno raggiunti gli obiettivi di riduzione della spesa, dal 1° gennaio 2018 scatterà un ulteriore aumento dell’accisa sui carburanti, in modo da assicurare per quell’anno maggiori entrate nette per almeno 700 milioni.

Secco il commento del segretario della Cgia Giuseppe Bortolussi sull’aumento della pressione fiscale: “Un incremento riconducibile al progressivo aumento delle aliquote Iva che avrà inizio a partire dal 2016. Tuttavia, questo aumento di tassazione potrebbe essere evitato se il Governo riuscirà a tagliare la spesa pubblica di quasi 29 miliardi di euro. Il nostro Esecutivo si è impegnato a rispettare i vincoli richiesti da Bruxelles attraverso il taglio della spesa pubblica. Diversamente, scatteranno automaticamente gli aumenti di imposta che garantiranno comunque i saldi di bilancio. In altre parole, se il Governo non riuscirà a tagliare gli sprechi e gli sperperi, a pagare il conto saranno ancora una volta gli italiani che subiranno l’aumento dell’Iva e delle accise sui carburanti”.

Per gli italiani ancora tante tasse

La Cgia, e precisamente il suo Ufficio Studi, ha fatto i conti nelle tasche degli italiani, pensando in particolare a quanto devono spendere annualmente di tasse.

E’ emerso che ogni famiglia è chiamata a sborsare ben 15.330 euro suddivisi tra l’Irpef e le relative addizionali locali, le ritenute, le accise, il bollo auto, il canone Rai, la tassa sui rifiuti, i contributi a carico del lavoratore.
Ciò significa che ogni mese un nucleo familiare registra uscite pari a 1.277 euro solo di tasse, ovvero uno stipendio medio di un impiegato.

A questo proposito, considerando che quest’anno pesa sulla testa degli italiani anche la spada di Damocle della Tasi, Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia, ha dichiarato: “Pur essendo un Paese di tartassati i servizi che riceviamo dallo Stato spesso non sono all’altezza delle aspettative. Dalle infrastrutture alla sanità, dai trasporti all’istruzione, in molte regioni la qualità e la quantità di questi servizi è spesso inaccettabile. Nonostante la restituzione degli 80 euro ai redditi più bassi con un carico fiscale di questa portata sarà difficile rilanciare i consumi delle famiglie. Il livello di arrabbiatura raggiunto nei confronti di un fisco sempre più aggressivo e pretenzioso, ha fatto scendere ai minimi storici la fiducia dei consumatori italiani. Con gli effetti della crisi che non accennano a diminuire e un fisco sempre più esoso, i bilanci familiari rischiano di rimanere ancora in rosso, penalizzando anche quelli degli artigiani e dei piccoli commercianti che vivono quasi esclusivamente dei consumi del territorio in cui operano”.

La montagna di tasse e contributi che grava sulle spalle degli italiani emerge in maniera altrettanto evidente quando si analizza la serie storica del cosiddetto Tax freeedom day.
Sempre secondo i calcoli effettuati dall’Ufficio studi della Cgia, con una pressione fiscale che per il 2014 è destinata a toccare il record storico del 44 per cento, quest’anno i contribuenti italiani hanno lavorato per il fisco fino alla prima decade di giugno, ovvero 12 giorni in più di quanto avevano fatto nel 1995, quando, però, la pressione fiscale era inferiore di oltre 3 punti percentuali.

Continua Bortolussi: “Gli effetti legati alla rivalutazione delle rendite finanziarie, all’aumento dell’Iva, che nel 2014 si distribuisce su tutto l’arco dell’anno, all’introduzione della Tasi e, soprattutto, all’inasprimento fiscale che graverà sulle banche, compensano abbondantemente il taglio dell’Irap e gli 80 euro lasciati in busta paga ai lavoratori dipendenti con redditi medio bassi. Al netto delle modifiche che potrebbero essere introdotte nella nota di aggiornamento al Def che sarà presentata nelle prossime settimane, la pressione fiscale di quest’anno è destinata a salire di 0,2 punti percentuali rispetto al livello raggiunto nel 2013”.

Vera MORETTI

Tasse da record, al 53,2% la pressione fiscale

 

Il 53,2% registrato dal solito ufficio studi della Confcommercio è un dato impressionante, da far rimanere senza parole. Non che non lo sapessimo, ma la valutazione della pressione fiscale sul Pil supera (abbondantemente) la soglia, già di per sé drammatica, del 50% raggiunta nei mesi scorsi. Ed ecco raggiunto, come se potessimo farcene un vanto, l’ambitissimo (si capirà l’ironia, suvvia…) primo posto della classifica Ocse per il carico fiscale. Secondo gli scientifici calcoli della Confcommercio, la cifra raggiunta si ottiene sommando al reale rapporto tasse/Pil (44,1%) la percentuale (in questo caso un altrettanto impressionante 17,3%) del settore «sommerso».

«Per liberare le ingenti risorse necessarie per far ripartire l’economia – ha dichiarato Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio – bisogna realizzare subito una poderosa operazione: meno tasse e meno spesa pubblica, più riforme e più lavoro. Tagliare le tasse per favorire la crescita è un passaggio ineludibile».

E, intanto, noi paghiamo…

Le banche italiane schiacciate dalla pressione fiscale

Nel dossier consegnato da Abi al ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan è emerso che la pressione fiscale sulle banche italiane e sulle banche estere operanti in Italia è superiore almeno del 15% rispetto agli altri mercati europei.

Alla luce di questi dati, ma soprattutto in vista dell’Unione bancaria e della maggiore integrazione del mercato finanziario europeo, i banchieri chiedono che venga garantito :”un terreno di gioco livellato per le banche che operano in Italia, rimuovendo le numerose penalizzazioni che oggi contribuiscono gravemente a comprimere la redditività delle banche e, per questa via, la loro capacità di svolgere il loro ruolo di sostegno all’economia e alla crescita“.

Antonio Patuelli, presidente di Abi, ha precisato, nel messaggio contenuto nel dossier, che non sono privilegi quelli che la categoria richiede, ma, piuttosto, che non ci siano discriminazioni, neppure di natura fiscale, tra banche italiane ed europee. Questo perché “con forti difformità fiscali in Europa esploderebbero contraddizioni con ricadute gravi per economia ed occupazione“.

Tra i nodi fiscali che maggiormente pesano sulle banche c’è l’applicazione di una addizionale Ires di 8,5 punti percentuali per il periodo di imposta 2013, che ha portato l’aliquota complessiva Ires dovuta dalle banche al 36%, rispetto alla misura ordinaria prevista per le altre imprese che è rimasta ferma al 27,5%.

Dito puntato anche contro le penalizzazioni che riguardano i prodotti, ricordando che dal primo luglio di quest’anno sarà applicata la nuova aliquota del 26%, destinata a sostituire quella del 20% applicabile alla generalità dei prodotti di risparmio, con l’eccezione dei titoli di stato e di quelli ad essi equiparati ai fini fiscali.

A questo proposito, si legge nel documento: “La nuova maggiore aliquota rischia inevitabilmente da un lato, di amplificare alcune criticità dell’impianto normativo, e dall’altro, di disincentivare sempre di più l’afflusso di capitali esteri nel nostro Paese“.

L’Abi si chiede infine se non siano maturi i tempi per una vera riforma “che abbandoni il meccanismo della tassazione secca proporzionale per riportare i redditi di natura finanziaria nella base imponibile con tassazione ad aliquote progressive“.

C’è inoltre da ricordare che le banche italiane, contrariamente a quelle europee, negli anni della crisi non hanno beneficiato di aiuti pubblici, per non pesare sui contribuenti.
In Italia gli aiuti sono ammontati a 6,3 miliardi di euro, lo 0,4% del pil, cifra ben inferiore rispetto agli 83 miliardi della Gran Bretagna, 63,7 miliardi della Germania, 62 miliardi dell’Islanda e 60 miliardi della Spagna.

Nonostante la crisi, lo sforzo di ricapitalizzazione, che é volto in ultima analisi a mettersi in condizioni di poter erogare maggior credito quando qualità e quantità della domanda lo consentiranno, è stato interamente sostenuto dal settore e dai suoi azionisti: nel complesso, negli ultimi sei anni, oltre 40 miliardi di euro di incremento di capitale tra operazioni realizzate e in corso.

Vera MORETTI

Tasse sulle imprese, Italia da record

 

“La pressione fiscale sulle imprese italiane è superiore al 68%, è insostenibile – ha denunciato il segretario della CGIA di Mestre, Giuseppe Bortolussi rispetto alla media europea le nostre aziende registrano un carico di tasse e contributi pari addirittura al 24,4 punti in più”.

Dati da pelle d’oca quelli del segretario, soprattutto se confrontati con il 21,8 di scarto che ci separa dalle aziende Usa, con il 20,4 dalle aziende tedesche e con  “i 39,4 punti che scontiamo in più rispetto alle aziende canadesi e i 31,3 nei confronti di quelle del Regno Unito”.

Questi risultati sono un elaborazione di quelli pubblicati dalla Banca Mondiale Doing Business relativi al 2011, ma nel 2012 il quadro complessivo rischia di essere ancora peggiore: “E’ vero che è stata introdotta l’Ace ed è stato alleggerita l’Irap, ma con l’introduzione dell’Imu, il ritocco all’insù delle addizionali regionali Irpef, l’aumento delle accise sui carburanti e l’incremento dell’Iva, l’Italia rischia di ritrovarsi con un carico fiscale da mettere in ginocchio anche quei pochi imprenditori che non hanno ancora risentito della crisi”.

JM