Fatturazione elettronica, obbligo esteso dal 1° gennaio 2024

Dal primo gennaio 2024 cadono le deroghe all’obbligo di fatturazione elettronica per tutte le partite Iva ( o quasi). Ecco tutte le novità.

Obbligo di fatturazione elettronica esteso

L’obbligo di fatturazione elettronica nasce nel 2019. Nel 2022 lo stesso è esteso anche a coloro che sono in regime forfettario, ma con esclusione dell’obbligo per coloro che hanno un volume di ricavi o compensi inferiore a 25.000 euro. A partire invece dal 1° gennaio 2024 cade anche quest’ultimo limite o deroga e di conseguenza tutte le partite Iva devono adeguarsi alla nuova disciplina.

Questo sistema è stato introdotto al fine di contrastare l’evasione fiscale, infatti il sistema prevede che la documentazione economica sia inviata tramite il Sistema di Interscambio, questo consente all’Agenzia delle Entrate di acquisire immediatamente i dati della fatturazione e quindi con estrema precisione può essere determinato il reddito prodotto dall’impresa/professionista.

La fatturazione elettronica può essere gestita autonomamente con l’uso di software specifici oppure può essere gestita con i sistemi messi a disposizione dall’Agenzia delle entrate, ma qualunque sia il sistema adottato non cambia il risultato: la fatturazione passa attraverso il sistema di interscambio. La fattura elettronica contiene i dati fiscali del professionista/impresa che emette la fattura e del soggetto che la riceve, ad esempio il cliente dell’avvocato.

Deroghe all’obbligo di fatturazione elettronica

Si è detto che l’obbligo di fatturazione elettronica dal 1° gennaio 2024 è esteso a tutte le partite Iva, in realtà all’ultimo momento con il decreto Milleproroghe è arrivata una deroga. È fatto divieto a medici e odontoiatri l’uso della fatturazione elettronica. Il motivo è legato alla necessità di garantire la privacy dei pazienti. Di conseguenza questi professionisti devono continuare a usare, almeno per il momento, il sistema cartaceo. È allo studio un sistema che consenta anche a tali soggetti di utilizzare il Sistema di Interscambio per la fatturazione senza però mettere a repentaglio dati sensibili e super-sensibili come quelli inerenti le prestazioni mediche.

Leggi anche: Cos’è per la fatturazione elettronica il tracciato XML

Privacy: non possono essere pubblicati i dati personali di coloro che ricevono sostegni economici

Vi è mai capitato di proporre un’istanza per accedere a contributi pubblici e vedere in seguito pubblicati i nomi e gli importi? Si tratta di una situazione molto frequente negli ultimi anni e che ha portato a un’importante pronuncia. Tali comportamenti potrebbero essere illegittimi, a precisarlo è il Garante per la Privacy nell’ordinanza 197 del 2022.

La vicenda

La vicenda prende il via da un bando della Regione Toscana che in riferimento all’emergenza covid metteva a disposizione contributi in favore di soggetti in particolare condizione di svantaggio economico. Al termine della procedura la Regione ha pubblicato l’elenco dei beneficiari e degli importi. Prende il via quindi la segnalazione al Garante della Privacy della procedura in oggetto in quanto erano stati pubblicati sul sito i files in formato pdf contenenti:

  • l’elenco delle domande presentate, rettificate, finanziate e non ammesse;
  • contenevano altresì i dati sia delle persone fisiche sia delle persone giuridiche che avevano partecipato al bando;
  • indicazione dell’importo riconosciuto;
  • residenza e domicilio dei soggetti interessati.

Garante Privacy: non possono essere pubblicati dati personali che rendono il soggetto identificato o identificabile

In merito a ciò a il Garante, nell’ordinanza 197 del 26 maggio 2022, sottolinea che devono essere ritenuti dati personali “qualsiasi informazione riguardante una persona fisica identificata o identificabile (“interessato”)» e «si considera identificabile la persona fisica che può essere identificata, direttamente o indirettamente, con particolare riferimento a un identificativo come il nome, un numero di identificazione, dati relativi all’ubicazione, un identificativo online o a uno o più elementi caratteristici della sua identità fisica, fisiologica, genetica, psichica, economica, culturale o sociale»”

Sottolinea il Garante che il Regolamento 2016/679  (Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati) che regola la materia stabilisce che i soggetti pubblici possono diffondere i dati personali nel rispetto della normativa vigente e solo nel caso in cui «adeguati, pertinenti e limitati a quanto necessario rispetto alle finalità per le quali sono trattati» (art. 5, par. 1, lett. c, del RGPD)

La normativa in materia di trasparenza invece stabilisce che i soggetti pubblici possano pubblicare le graduatorie inerenti atti di concessione di sovvenzioni, tributi e sussidi se gli importi sono superiori a 1.000 euro, nel corso dell’anno solare, pur mantenendo esclusa la pubblicazione nel caso in cui i dati siano inerenti persone fisiche  e “ qualora da tali dati sia possibile ricavare informazioni relative […] alla situazione di disagio economico-sociale degli interessati» (art. 26, commi 2-4, del d. lgs. n. 33 del 14/3/2013).

Nel caso in oggetto vi era quindi comunque l’obbligo di non pubblicare i dati dei soggetti non ammessi al finanziamento al fine di non ledere la privacy.

Non si possono pubblicare dati personali se dagli atti emerge un disagio economico

La regione Toscana nelle sue difese ha sostenuto che in realtà, vista la situazione emergenziale legata alla pandemia che ha portato a una recessione economica globalizzata, visto che nel proporre la domanda gli istanti non dovevano indicare il loro reddito e neanche le perdite, ma solo la percentuale di perdita di fatturato rispetto all’esercizio antecedente al Covid, non si può ritenere che la pubblicazione degli atti sia tale da ledere i principi previsti nel RGPD. La Regione non ha quindi ravvisato motivi sufficienti per l’anonimizzazione del dati.

Il Garante non sposa la tesi della regione Toscana in quanto il bando in oggetto prevedeva il riconoscimento del contributo economico in favore di «soggetti particolarmente danneggiati a seguito dell’epidemia da Covid-19» proprio tale dicitura rende possibile affermare che coloro che sono ammessi al beneficio si trovano in una situazione di disagio economico tale da rientrare nella tutela prevista dall’articolo 26 commi 4 del decreto legislativo 33 del 2013.

Il Garante sottolinea che il divieto di pubblicare i dati è funzionale alla tutela della dignità, dei diritti e delle libertà fondamentali dell’interessato al fine di evitare che i soggetti interessati soffrano l’imbarazzo della diffusione di tali informazioni. Nel caso in oggetto l’Amministrazione pur avendo provveduto a eliminare i dati rendendoli anonimi ancor prima della pronuncia, viene comunque applicata una sanzione.

Puoi leggere l’intero provvedimento scaricandolo qui GarantePrivacy-9789564-1.1

Diventare investigatore privato: requisiti e prospettive future

Tra i professionisti sempre più ricercati vi sono gli investigatori privati, ma iniziare questa attività non è semplice infatti è previsto un percorso specifico per diventare investigatore privato o aprire un’agenzia investigativa. Inoltre vi sono limiti da rispettare nell’effettuare le indagini. Ecco sa c’è da sapere.

Cosa fa un investigatore privato?

L’investigatore privato negli ultimi anni è sempre più richiesto ed è un errore pensare che il suo ruolo sia limitato a scoprire le infedeltà coniugali. Sebbene questa tipologia di indagine sia ancora richiesta, ci sono molte altre attività ad affiancarla, ad esempio sempre più frequentemente sono le aziende a richiedere i servizi di questo professionista per scoprire la slealtà dei dipendenti, per verificare il comportamento degli assenteisti che si avvalgono frequentemente dei permessi per malattia, per “monitorare” l’attività delle aziende concorrenti, scoprire se le aziende concorrenti stanno attuando delle mosse di spionaggio aziendale, insomma deve occuparsi anche di cyber security.

Proprio in virtù di tale moltiplicità di attività, oggi un investigatore deve essere in grado di eseguire delle indagini ambientali, queste sono volte soprattutto a trovare microspie, sistemi di intercettazione e deve avere conoscenze approfondite sulla sicurezza informatica.

Queste sono solo alcune attività, ma già da questa prima descrizione si può notare che in molti casi si tratta di sofisticate indagini che richiedono anche l’uso di strumentazioni ad elevata tecnologia e di conseguenza per poter essere oggi un investigatore privato è necessario avere conoscenze di informatica di un certo tenore.

Requisiti per diventare investigatore privato o agente investigativo

Ritornando alla formazione necessaria, questa guida mira a indicare i requisiti necessari per poter essere un investigatore privato autorizzato e quindi che opera nella piena legalità.

Si possono distinguere due opportunità, cioè lavorare come agente investigativo oppure aprire una propria agenzia investigativa, per completezza vedremo entrambe queste opportunità.

Per diventare agente investigativo che opera presso un’agenzia investigativa è necessario non avere riportato condanne per delitti non colposi. Naturalmente presentandosi a un’agenzia con questo unico requisito è molto probabile che non si venga assunti, ecco perché è molto probabile che l’agenzia investigativa chieda un curriculum leggermente più elaborato e particolari qualità, tra cui una certa scaltrezza, l’abilità con strumenti informatici. Deve essere ricordato che per poter operare è necessario essere inquadrati nell’agenzia investigativa con l’applicazione del contratto nazionale, in caso contrario si può incorrere in reati come lo stalking, si può essere perseguiti per violazione della privacy, esercizio abusivo della professione e tanti altri reati che si configurano in base alle azioni effettivamente compiute.

Un investigatore privato dipendente di un’agenzia investigatoiva in media guadagna 1500 euro al mese. Naturalmente in base alle competenze, all’esperienza, alle conoscenze e all’agenzia stessa vi possono essere anche retribuzioni molto più elevate.

Come aprire un’agenzia investigativa

Per poter avere una propria agenzia investigativa il percorso è invece più complesso, infatti è necessario avere maturato un’esperienza presso un’agenzia investigativa per almeno 3 anni. L’agenzia investigativa deve però aver ottenuto l’autorizzazione da almeno 5 anni. Inoltre per maturare il requisito il lavoro deve essere stato svolto per almeno 80 ore mensili.  Inoltre è necessario avere una laurea in giurisprudenza, scienze politiche, criminologia, scienze delle investigazioni o laurea equipollente. L’aspirante titolare di agenzia investigativa deve seguire un corso di perfezionamento teorico-pratico. Naturalmente anche in questo caso è necessario non avere riportato condanne per delitti non colposi.

Coloro che sono in possesso di questi requisiti possono inoltrare domanda alla Prefettura competente per territorio, questa dopo aver verificato il possesso dei requisiti, rilascia una licenza. L’istruttoria solitamente ha una durata di oltre 100 giorni, non si tratta quindi di una cosa particolarmente breve e al termine si ottiene una licenza ex art. 134 T.U.L.P.S. e 222 D. Leg.vo 271/89 per la difesa penale.

Inoltre è possibile ottenere una licenza per l’apertura di un’agenzia investigativa dopo avere svolto per 5 anni il servizio nelle Forze dell’Ordine e avere lasciato il servizio da almeno 4 anni (decreto del Ministero dell’Interno 269 entrato in vigore nel 2011).

Si tratta di una licenza di Pubblica Sicurezza, di conseguenza è personale e non cedibile, in poche parole non può essere venduta. Naturalmente per poter avere una propria agenzia investigativa è necessario avere una partita IVA e dei locali per la sede della stessa. Nella richiesta di licenza deve essere specificato anche se eventualmente si vuole assumere personale e vi deve essere un deposito cauzionale di 20.000 euro.

L’investigatore privato ha il porto d’armi?

L’investigatore privato, sia che agisca come dipendente di un’agenzia, sia che lui stesso sia titolare di un’agenzia investigativa, può richiedere il porto d’armi, ma non è detto che questo gli sia concesso, praticamente a lui sono richiesti gli stessi requisiti chiesti per un qualunque altro cittadino. Quindi se ti immagini come un moderno investigatore da controspionaggio stile telefilm, meglio lasciar perdere.

L’investigatore privato nell’esercizio della professione ha diversi limiti, ad esempio dietro incarico può seguire una persona e scattare foto, ma esclusivamente in luoghi pubblici e aperti al pubblico, mentre non può invadere la sua sfera personale, ad esempio attraverso microspie piazzate nell’abitazione del soggetto seguito. Non può intercettare telefonate e comunicazioni varie e deve rispettare le norme sulla tutela della privacy.

Timbrare il cartellino con la app? Sì, ma occhio alla privacy

Una delle principali questioni che le nuove tecnologie pongono nei rapporti tra aziende e lavoratori è quella della possibilità di “sorvegliare” il lavoro di questi ultimi con strumenti e app.

Specialmente il tema della geolocalizzazione assume risvolti delicati se questa tecnologia è utilizzata in maniera indebita per finalità che possono violare la privacy dei dipendenti.

Ecco dunque perché, di recente, il Garante della privacy è stato chiamato a pronunciarsi sulla richiesta di chiarimenti di due aziende che chiedevano di poter installare sugli smartphone di alcuni dipendenti una app per timbrare il cartellino da remoto.

Il Garante della privacy ha stabilito che è lecito installare app sul telefono dei dipendenti che permettano di rilevare le loro presenze giornaliere, purché l’installazione e l’utilizzo prevedano particolari limitazioni.

Nel caso specifico, si trattava di società che operano nell’ambito HR nelle quali alcuni dipendenti lavorano fuori sede o in società afferenti, per i quali è necessario monitorare le ore lavorative.

Il Garante della privacy ha stabilito che la app può essere installata solo se il lavoratore è d’accordo e se, una volta installata, quest’ultimo ha la possibilità di capire se e quando è attiva la geolocalizzazione.

Inoltre, la app potrà conservare solo informazioni relative all’entrata e all’uscita del lavoratore dall’ufficio o alla sua presenza in azienda ma nient’altro che leda la privacy degli utilizzatori, a partire dai contenuti dello smartphone e dalla posizione del lavoratore una volta timbrata l’uscita.

Siamo tutti sudditi del fisco

di Davide PASSONI

E ci voleva il Garante della Privacy per ricordarci che, più che cittadini, siamo dei sudditi? Il professor Francesco Pizzetti è infatti arrivato alla fine del suo mandato di sette anni e ha calato il carico: una bordata contro i controlli degni della Stasi che lo Stato sta mettendo in campo a danno dei contribuenti onesti per contrastare (cosa sacrosanta) l’evasione fiscale. Un discorso che non ha lasciato spazio a fraintendimenti, specialmente in passaggi come questi:  “Comprendiamo le ragioni di tutto questo, legate a un’evasione fiscale e a forme di illegalità che richiedono interventi di straordinaria efficacia. Dobbiamo però essere consapevoli che siamo in presenza di strappi forti allo Stato di diritto e al concetto di cittadino che ne è alla radice”. “È proprio dei sudditi essere considerati dei potenziali mariuoli. È proprio dello Stato non democratico pensare che i propri cittadini siano tutti possibili violatori delle leggi. In uno Stato democratico, il cittadino ha il diritto di essere rispettato fino a che non violi le leggi, non di essere un sospettato a priori”.

Eccoci qua. Finalmente qualcuno che ha avuto il coraggio di dire le cose come stanno; perché, nonostante in tanti si riempiano la bocca dicendo che sì, le piccole e medie imprese sono l’ossigeno dell’economia italiana, che i professionisti sono una risorsa per il nostro sistema produttivo, la realtà è un’altra: lo Stato e il fisco trattano chiunque non sia sottoposto a sostituto d’imposta come un sicuro, nemmeno più possibile, evasore fiscale. Ogni cittadino che ha la sventura di scommettere su se stesso per emergere tramite la sua volontà d’impresa, si vede subito additato come un mariuolo (suddito!!) e, come tale, va vessato, oltre che con una pressione fiscale assurda, con richieste e trappole di ogni tipo per vedere quanto (non “se”) evade le tasse. Ogni imprenditore che lascia allo Stato ladro e al fisco vorace due terzi di quanto guadagna , si becca pure del furfante a priori. E ci voleva Pizzetti per ricordarci che è una bastardata?

Vero che questi “interventi di straordinaria efficacia” sono resi necessari da una quantità di evasione fiscale seconda, in Europa, solo a quella che si registra in Grecia, ma ci stiamo ancora a essere trattati da sudditi-capre da uno Stato che, quando è a credito, è rigido e inflessibile, mentre quando è a debito si prende il tempo che gli pare e fa e disfa leggi e regolamenti apposta per dilazionare i propri pagamenti? Noi no. E non ci stava nemmeno quella cinquantina di imprenditori che nell’ultimo anno si è tolta la vita proprio perché evadeva talmente tanto il fisco (brutti e cattivi lavoratori autonomi…) che non aveva di che pagare i propri dipendenti. Uomini che hanno anteposto la propria dignità di imprenditori onesti – non certo di evasori – alle carognate del fisco. Uomini che, pur di non lasciare in mezzo alla strada i propri dipendenti, si sono tolti di mezzo da sé. Pensiamo anche a loro prima di sparare contro il professor Pizzetti.

Siciliotti: la privacy del segreto bancario

“E’ un’ invasione della privacy. Può essere anche giustificata, ma solo se inserita in un disegno complessivo” commenta così Claudio Siciliotti, presidente del Consiglio nazionale dell’ordine dei commercialisti e degli esperti contabili, la decisione di abolire il segreto bancario
prevista dalla manovra di Governo, e che entrerà in vigore a partire dal primo gennaio 2012.

Siciliotti ribadisce la necessità che “le novità che vengono inserite dalla nuova manovra di Governo debbano essere equamente distribuite. E devi esserci un‘idea complessiva”. Quindi si all’abolizione del segreto, ma inserito entro una prospettiva più definita e un orizzonte di interventi più mirati. La norma che prevede l’abolizione del segreto bancario è finalizzata alla lotta contro l’evasione fiscale: in questo modo infatti il fisco avrà il rendiconto annuale di tutti i conti correnti e di tutte le altre operazioni bancarie di ciascun correntista.

Abuso di potere? Eccessivo controllo da parte dello Stato? Limitazione del diritto alla privacy?Voi cosa ne pensate della misura introdotta dalla nuova manovra?