Italia, morire di tasse…

Ormai non è una novità, gli studi e le statistiche sulla pressione fiscale in Italia fioccano in maniera quasi ininterrotta. Artigiani, commercianti, industriali… da più parti e da più uffici studi arrivano dati sempre meno incoraggianti. Non si è sottratto al compito neppure il Centro studi di Confindustria, secondo il quale la pressione fiscale raggiungerà nel 2013 il valore record del 44,5% del Pil (dal 44% del 2012) e resterà molto alta anche il prossimo anno, intorno al 44,2%). Queste, almeno, le cifre della pressione effettiva, se includiamo il sommerso, questa toccherà il 53,5% nell’anno in corso e il 53,2% nel 2014. Un record ben poco invidiabile nei Paesi maggiormente industrializzati.

L’altro lato della medaglia è quello delle entrate tributarie che, sempre secondo il Centro studi, sono cresciute nel primo semestre 2013 del 4,0% rispetto allo stesso periodo del 2012. Una tendenza che viene confermata anche nei primi sette mesi dell’anno, nei quali la crescita si è attestata all’1,2% mentre, di contro, si registra il rallentamento del calo dell’Iva: per la prima volta dal dicembre 2012 si è registrato un aumento del gettito Iva pari a 291 milioni, soprattutto grazie agli effetti prodotti dal pagamento dei debiti della PA nei confronti delle Pmi.

Infatti, lo sblocco dei pagamenti in questione ha generato maggiori incassi per l’Erario, legati però alla sospensione d’imposta di cui godono i fornitori della Pubblica Amministrazione, che consente loro di versare l’Iva al momento dell’incasso e non al momento della fatturazione. In proiezione, secondo il Centro studi, i maggiori incassi per il 2013 sono quantificabili in oltre 2 miliardi, purché, naturalmente, sia pienamente erogato l’ammontare di risorse previsto.

Ah, da non dimenticare che la previsione delle entrate di quest’anno sconta il rinvio dal 1° luglio all’1° ottobre dell’aumento dell’aliquota Iva ordinaria. Nel 2014 il maggior gettito è previsto uguale, con la differenza che 600 milioni saranno utilizzati per coprire gli oneri derivanti dal decreto legge. Insomma, da qualunque parte la si giri, la pressione sarà sempre più insostenibile. Vediamo se, almeno sul lato delle imprese, la tanto sospirata riduzione del cuneo fiscale ci sarà oppure no.

Imprese: ne ammazza di più l’incertezza o la pressione fiscale?

di Davide PASSONI

Lo dicono tutti, non solo le statistiche: la pressione fiscale in Italia è a livelli vergognosi. Se nel 1960, in pieno boom economico, si attestava intorno al 23% e non è mai salita oltre il 30% fino al 1980, ormai viaggiamo abbondantemente oltre il 50% e le cose non sono destinate a migliorare.

Uno stillicidio, una crescita ininterrotta che è la pietra tombale sopra a consumi, famiglie e, soprattutto, imprese. Per queste ultime, poi, c’è il cocktail mortale che mixa insieme tasse e burocrazia. I due nemici del fare impresa in Italia sono due mostri sempre più forti che fanno chiudere le aziende e fanno terra bruciata intorno al sistema produttivo italiano.

Però, sul fronte delle imposte, c’è un altro aspetto che, a nostro avviso, è altrettanto deleterio se non ancora più mortale della pressione fiscale: l’incertezza fiscale. In Italia non si sa mai se si pagherà una tassa, quando la si pagherà, come la si pagherà. Un’impresa non può redigere un bilancio sensato e coerente perché le regole cambiano in corso d’opera, si introducono nuovi adempimenti, scattano proditorie retroattività che violano qualsiasi regola del fare impresa e del vivere civile, con un’unica certezza: le tasse aumentano.

Diteci voi, in questo quadro fiscale come è possibile fare impresa e, soprattutto, come è possibile attirare investitori stranieri in un Paese nel quale l’incertezza è la regola e l’impresa è vista come una vacca da mungere anziché un toro da addestrare ad andare alla carica degli altri mercati.

Questa settimana Infoiva cercherà di analizzare questa crescita della pressione fiscale ascoltando più voci e, soprattutto, tentando di non farsi deprimere più del lecito. Perché, comunque, fare impresa resta una missione e se si soccombe la missione è fallita in partenza.

Aumento Iva, Confcommercio: 26mila negozi a rischio

A causa del previsto aumento dell’Iva dal 21% al 22% ben 26mila negozi rischiano di sparire entro la fine del 2013.

A lanciare l’allarme è l’Ufficio studi di Confcommercio, che rivede la previsione del saldo natalità-mortalità delle imprese del commercio al dettaglio alla luce dell’aumento dell’Iva. Un aumento che riguarda circa il 70% dei consumi totali e che sarebbe una mazzate per imprese e famiglie.

Se il Governo andrà avanti con l’aumento dell’Iva, gli aggravi di imposta sui portafogli delle famiglie italiane saranno pari a 2,1 miliardi di euro nel 2013 e 4,2 miliardi nel 2014.

Secondo Confcommercio, l’aumento dell’Iva potrebbe portare 26mila imprese del settore ad abbassare una volta per tutte le saracinesche. Ecco perché il presidente dell’associazione, Carlo Sangalli, ha chiesto di “evitare un’altra calamità sui consumi“, perché la domanda “che fra investimenti e consumi, muove l’80 per cento del Pil, ora è ferma: alzare l’aliquota significa assestarle un ultimo, letale, colpo. Alle aziende in crisi serve un segnale forte è quel segnale non c’è“.

Basterà questo ennesimo grido a far suonare un campanello d’allarme nella testa del governo?

Aumento Iva, altro che entrate record!

Volete sapere che cosa succederà davvero alle casse dello Stato con l’aumento dell’Iva al 22%? Altro che recuperare quella bella cifra tra i 2 e i 4 miliardi di euro che si aspetta il governo. L’effetto sarà ben altro e la manovra rischia di essere del tutto inutile, se non addirittura dannoso per l’Erario.

Secondo il presidente di Confesercenti Marco Venturi, l’aumento dell’aliquota ordinaria Iva, previsto per l’1 luglio prossimo, potrebbe portare a una diminuzione del gettito di 300 milioni di euro. Una stima che porta Venturi e la sua associazione a bocciare l’innalzamento al 22% dell’imposta, definendolo “l’ennesimo passo falso” in materia fiscale.

Secondo Confesercenti, le stime sono state effettuate a parità di transazioni, mentre alcuni beni interessati dalla modifica dell’aliquota, hanno dei trend di vendita in calo anche del 10%, una percentuale che l’aumento dell’Iva potrebbe deprimere ulteriormente. Caso mai, secondo l’associazione l’obiettivo dovrebbe essere quello di stimolare i consumi, riportando l’aliquota ordinaria al 20%, come era fino all’agosto del 2011.

Il gettito necessario a coprire questo ammanco non dovrebbe essere trovato, come al solito, innalzando aliquote o introducendo nuove tasse, ma intervenendo su sprechi ed evasioni. In occasione dell’assemblea elettiva di Confesercenti Toscana, Venturi è stato chiaro: “Lasciate perdere l’Iva e colpite con decisione la corruzione denunciata da tempo immemorabile dalla Corte dei Conti ed il fenomeno del sommerso che inquina, con la presenza della criminalità, l’economia e la convivenza civile. In questo modo daremmo maggior respiro ai conti pubblici e più forza al valore della legalità“.

Dal 2007 ad oggi – ha proseguito Venturi, per effetto del rigonfiamento monetario dei redditi, il Fisco ha incassato ingiustificatamente 10 miliardi di euro in più di imposte, circa 530 euro a nucleo familiare. Si deve stare molto attenti a non far salire ancora la rabbia dei piccoli imprenditori, che è già da tempo ai livelli di guardia“. E ditelo a noi di Infoiva, che ogni giorno ascoltiamo questo grido di rabbia…

Su l’Iva, giù i consumi

Un’altra voce ferocemente contraria all’aumento dell’aliquota Iva al 22% previsto per luglio è quella di Comitas, l’associazione italiana delle microimprese. Secondo l’associazione il punto percentuale in più determinerà, a regime, una stangata per le famiglie italiane fino a 349 euro annui. Ecco perché Comitas ha chiesto al Governo Letta di bloccare il provvedimento, che “rappresenterebbe una disgrazia per cittadini e imprese”.

In base ai calcoli di Comitas, l’aumento dell’Iva peserà in modo particolare sui nuclei familiari composti da 5 persone, determinando a parità di consumi rispetto allo scorso anno, un aggravio di spesa pari a 349 euro su base annua. Le famiglie con 4 componenti dovranno invece beccarsi una maggiore spesa di circa 279 euro annui, contro i 209 euro di un nucleo di 3 persone.

A questi dati, secondo Comitas, è necessario aggiungere gli effetti negativi che l’incremento dell’Iva determinerà sui consumi: con tutta probabilità le famiglie reagiranno al rincaro dei prezzi riducendo gli acquisti, con un’ulteriore contrazione dei consumi compresa tra il -2,5% e il -3%.

Proprio la riduzione dei consumi aggraverebbe lo “stato comatoso” di migliaia di esercizi commerciali, che pagano il prezzo di acquisti costantemente in declino e un potere d’acquisto degli italiani che è ormai ridotto al lumicino: se non sarà evitato l’aumento dell’Iva di luglio, conclude Comitas, almeno 50mila negozi saranno costretti a chiudere i battenti entro la fine dell’anno.

d.S.

Aumento dell’Iva, il grido delle imprese

Sicuramente quello che fa più rumore mediaticamente riguardo all’aumento dell’Iva al 22% dall’1 luglio prossimo è la stangata che colpirà e famiglie, specialmente quelle meno abbienti. Non dimentichiamo però che questo punto percentuale in più sarà una maledizione anche per le imprese, già provate pesantemente dalla crisi e dalla mancanza di domanda interna.

Proprio per questo motivo imprese di tutti i settori sono scese in campo contro il detestato aumento. Dai distributori di alimentari ai giocattoli, dalla musica alle imprese del mondo agricolo e dei servizi (ossia tutti i settori merceologici i cui beni saranno colpiti dall’aumento), diverse associazioni hanno scritto al presidente del Consiglio Letta chiedendo di scongiurare l’aumento dell’Iva e dare ai consumatori e alle imprese un segnale forte di sostegno, in un momento di estrema difficoltà.

Afi, Agrinsieme, Ancc Coop, Ancd Conad, Assogiocattoli, Ceced Italia, Centromarca, Federalimentare, Federdistribuzione, Federlegnoarredo, Fimi  e Univideo sostengono che l’aumento di un punto di Iva provocherebbe un ulteriore rallentamento dei consumi deprimendo ancora di più la domanda interna, che deve al contrario essere rilanciata per far ricrescere il Pil.

Si legge nella lettera: “Le più recenti stime effettuate da centri studi e istituti specializzati indicano, a regime, l’impatto di questa misura in un aggravio di costi pari a oltre 160 euro a famiglia, fatto tanto più grave in considerazione delle 9 milioni di famiglie che versano in situazioni di difficoltà economica, di cui 5 milioni a rischio povertà”.

L’aumento dell’Iva avrebbe infatti effetti pesanti sul settore distributivo, su quello della produzione industriale, sull’agricoltura e sul mondo dei servizi, con conseguenze anche sui livelli occupazionali. Le associazioni firmatarie auspicano che il Governo, pur in una situazione di difficoltà nel recuperare risorse, trovi una soluzione definitiva a questo difficile problema, dando così un chiaro segnale ai consumatori italiani e alle imprese che hanno ancora la volontà di investire in questo Paese”. Dura farsi ascoltare…

Iva killer. Prime vittime le famiglie, poi le imprese

Chi pagherà l’aumento dell’Iva al 22%? In prima battuta le famiglie e, conseguentemente, le imprese e l’intero sistema produttivo italiano. È quanto ipotizza la Cgia di Mestre, secondo la quale se il Governo non riuscirà a scongiurare l’aumento, gli aggravi di imposta sulle famiglie saranno pesantissimi: 2,1 miliardi di euro nel 2013, 4,2 miliardi nel 2014.

La Cgia stima che, ipotizzando che i comportamenti di consumo delle famiglie italiane misurati secondo le rilevazioni Istat rimangano immutati, per un nucleo costituito da 3 persone l’aggravio medio annuo sarà di 88 euro. Nel caso di un nucleo familiare di 4 persone, l’incremento medio sarà invece di 103 euro.

Visto che per il 2013 l’aumento dell’Iva interesserà solo il secondo semestre, per l’anno in corso gli aumenti di spesa saranno la metà: 44 euro per la famiglia da 3 persone e 51,5 euro per quella da 4.

Quali saranno i principali beni e servizi a rincarare dall’1 luglio? Ricordando che il passaggio dal 21% al 22% dell’Iva ordinaria non inciderà sulla spesa dei beni di prima necessità come alimentari, sanità, istruzione, casa (ai quali si applica l’Iva al 10% o al 4%, o non si applica affatto), la Cgia stima che saranno vino e birra tra le bevande; e poi carburanti, riparazioni dell’auto, abbigliamento, calzature, mobili, elettrodomestici, giocattoli e computer.

Ecco perché, secondo la Cgia, i rincari che peseranno di più sulle famiglie italiane si verificheranno quando si farà il pieno all’auto o la si farà riparare (33 euro all’anno per una famiglia di tre persone, 39 euro per 4 persone), si acquisteranno capi di abbigliamento e calzature (18 euro all’anno per una famiglia di 3 persone, 20 euro per 4) o si acquisteranno mobili, elettrodomestici o articoli per la casa (13 e 17 euro).

Secondo Giuseppe Bortolussi, segretario dell’organizzazione mestrina, “bisogna assolutamente scongiurare questo aumento. Se il Governo Letta non lo farà, corriamo il serio pericolo di far crollare definitivamente i consumi che ormai sono ridotti al lumicino con gravi ripercussioni economiche non solo sulle famiglie, ma anche su artigiani e commercianti che vivono quasi esclusivamente della domanda interna. Rispetto al 2011 la riduzione della spesa per consumi delle famiglie italiane è stata del 4,3%, una variazione negativa molto superiore a quella registrata nel biennio 2008-2009, quando, al culmine della recessione, i consumi avevano segnato una caduta tendenziale del 2,6%“.

Iva al 22%, perché? Fisco, ovvero quando il buon senso finisce in un cassetto

di Davide PASSONI

Siamo ancora tutti qui a chiederci perché. Perché il governo ha deciso di portare famiglie e imprese al collasso innalzando di un punto percentuale l’Iva. Una tagliola che scatterà tra poco più di un mese, se non ci dovessero essere clamorosi ripensamenti e retromarce da parte dell’Esecutivo.

Esecutivo che, a onor del vero, sembra voler trovare una copertura alternativa per i soldi che dovrebbe incassare dall’aumento dell’imposta. Si parla di 2 o 3 miliardi, ma al momento l’orientamento è quello di lasciare che scatti l’Iva al 22%. Semplicemente perché i soldi in alternativa non ci sono.

Del resto, se nella campagna elettorale prima e subito dopo la formazione del governo poi si è tanto parlato di Imu (tra abolizione e sospensione), sulla necessità di evitare la mazzata dell’Iva nessuno si è mai pronunciato. E i risultati si vedono ora, con lo spettro del 22% che si avvicina sempre di più.

E allora torniamo all’inizio. Perché? Perché quando si tratta di imposte e fisco, in Italia il buon senso viene sempre lasciato nel cassetto? A nessuno sfugge il fatto che la crisi bastarda nella quale ci dibattiamo è frutto anche e soprattutto di un crollo di domanda interna e di consumi, che come in domino perverso porta con sé crollo della produttività e dell’offerta, crollo del potere d’acquisto delle famiglie, crisi di liquidità per le imprese. Bene, e allora perché a chi dovrebbe decidere dei destini fiscali sfugge il fatto che aumentare l’Iva significa deprimere ulteriormente i consumi e aumentare la spirale recessiva che sta portando il Paese al dissesto?

Noi di Infoiva non siamo dei geni, ma lo abbiamo capito. Perché usiamo il buon senso di chi tutti i giorni parla con chi lavora, produce e… si ritrova con un pugno di mosche. Questa settimana vedremo di capire di più su questa maledizione dell’Iva, sperando ma non facendoci illusioni che l’aumento possa in qualche modo saltare, anche all’ultimo. Dopotutto, c’è chi ancora crede a Babbo Natale…