Acquisto casa con Iva: quando è necessario e quali aliquote?

Acquistare casa prevede non solo il pagamento del prezzo della stessa, ma anche una serie di oneri fiscali. Gli stessi dipendono dal regime della vendita. La principale differenza è tra acquisto casa con Iva o acquisto senza Iva. Vediamo ora quando è necessario acquistare casa con Iva e quali sono le imposte legate a tale opzione.

Acquisto casa con Iva: quando si verifica?

La regola generale è che l’acquisto di casa non prevede l’applicazione dell’Iva, ma vi possono essere dei casi in cui è necessario assoggettare l’atto di compravendita anche a tale tassazione. I casi sono espressamente previsti dalla legge e sottolineati all’interno del dossier dell’Agenzia delle Entrate: Guida per l’acquisto della casa: le imposte e le agevolazioni fiscali aggiornato a gennaio 2022.

Nel dossier viene specificato che è dovuta l’Iva per l’acquisto di fabbricati a uso abitativo nel caso di cessione da imprese, ma solo nel caso in cui:

  • la cessione è effettuata da imprese costruttrici o che si occupano di ripristino se il fabbricato viene ceduto entro 5 anni dall’ultimazione della costruzione o dall’intervento di ripristino. Oppure nel caso in cui la vendita avvenga dopo i 5 anni, ma il venditore abbia scelto di assoggettare la vendita a tale regime;
  • in secondo luogo l’Iva è dovuta per le cessioni di fabbricati abitativi destinati ad alloggi sociali nel caso in cui il venditore scelga di sottoporre la vendita a tale regime.

In entrambi i casi visti, la scelta di sottoporre a Iva la cessione deve essere espressa nell’atto di vendita o nel contratto preliminare.

A quanto ammonta l’Iva per l’acquisto di casa?

I casi sono diversi a seconda della tipologia di acquisto. Vediamo prima l’Iva applicata in modo ordinario.

Se l’acquisto riguarda un fabbricato risultante nelle categorie:

  • A/1: abitazioni di tipo signorile, ubicate in zone di pregio con caratteristiche costruttive, tecnologiche e rifinitura di livello superiore a quello dei fabbricati di tipo residenziale;
  • A/8: abitazioni in ville, cioè fabbricati con presenza di parchi, giardini, edificate in zone urbanistiche destinate a tale tipologia di abitazione o in zone di pregio e con caratteristiche costruttive e rifiniture du quelità superiore a quelle ordinarie;
  • A/9: castelli, palazzi di eminenti pregi artistici o storici;

si applica l’Iva ordinaria al 22%. Per la cessione di fabbricati di categorie diverse rispetto alle 3 indicate, l’Iva è applicata al 10%.

In questi casi deve comunque essere versata l’imposta di registro in misura fissa a 200 euro, inoltre devono essere pagate l’imposta ipotecaria e l’imposta catastale in misura fissa ciascuna a 200 euro.

Acquisto casa con Iva e agevolaziono prima casa

Diverso è il caso in cui l’acquisto viene effettuato con le agevolazioni previste per la prima casa. In questo caso l’Iva è ridotta al 4% mentre restano identiche imposta di registro, imposta ipotecaria e imposta catastale.

Per effettuare l’acquisto come prima casa è necessario che siano presenti dei requisiti oggettivi e soggettivi.

I requisiti oggettivi riguardano i requisiti dell’immobile deve trattarsi di abitazione in categoria catastale:

  • A/2: abitazione di tipo civile;
  • A/3: abitazione di tipo economico;
  • A/4: abitazione di tipo popolare;
  • A/5: abitazione ultra-popolare;
  • A/6: abitazione di tipo rurale;
  • A/7: abitazioni in villini;
  • A/11: abitazioni e alloggi tipici del luoghi.

Le agevolazioni viste spettano anche per le pertinenze e ciò anche se l’acquisto delle stesse viene effettuato in un secondo momento, ad esempio l’acquisto del box auto, è però importante che il vincolo pertinenziale sia previsto all’interno dell’atto di acquisto.

Requisiti soggettivi per agevolazioni prima casa

Dal punto di vista soggettivo è necessario che l’acquirente abbia la residenza nel Comune in cui è ubicato l’immobile che si vuole acquistare. In alternativa è necessario dichiarare all’atto di acquisto che si intende trasferire la residenza nel Comune nel quale si acquista l’immobile nell’arco di 18 mesi.

Si intende soddisfatto il requisito della residenza anche nel caso in cui l’acquirente nel Comune in cui è ubicato l’immobile svolga il suo lavoro, ad esempio abbia uno studio professionale, oppure nel caso in cui nel Comune il datore di lavoro esercita la propria attività.

Inoltre l’acquirente non deve essere titolare di diritti reali su beni immobili nello stesso Comune in cui si trova quello che vuole acquistare. Infine, non deve essere titolare, neanche in comunione con altro soggetto, di un immobile sull’intero territorio nazionale che sia stato acquistato con i benefici previsti per la prima casa. Il requisito si intende comunque soddisfatto e quindi si può acquistare con i benefici previsti per l’acquisto della prima casa, se l’immobile è oggetto di vendita nell’arco di un anno dal nuovo acquisto. L’impegno a vendere deve essere espressamente previsto già nell’atto di acquisto della nuova abitazione o nel contratto preliminare.

Ricordiamo che acquistando casa con Iva non è possibile ottenere i vantaggi dell’acquisto con calcolo dell’imposta di registro con il metodo prezzo valore. Per saperne di più, leggi l’articolo: Metodo prezzo-valore per calcolo dell’imposta di registro nell’acquisto di casa

Contratto di affitto transitorio: si può spostare la residenza?

Si può trasferire la residenza presso un’abitazione presa in locazione transitoria? La risposta è affermativa ma è necessario che vengano rispettate alcune condizioni che fanno capo alla tipologia di contratto di affitto e alla scadenza del periodo pattuito. Pertanto, è opportuno partire dal concetto di residenza e dalla motivazione che spinge a stipulare un contratto di affitto di durata limitata.

Cos’è la residenza?

Secondo quanto disciplina l’articolo 43 del Codice civile, la residenza è il luogo nel quale la persona ha dimora abituale. La norma prevede anche il caso in cui si tratti di un’abitazione non di proprietà, ma presa in affitto. Dunque, si può trasferire la residenza, ma il nocciolo della questione è per quanto tempo.

Perché si ricorre a un contratto di affitto transitorio?

Sui contratti di natura transitoria è opportuno far riferimento alla legge numero 431 del 1998 sulla disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili a uso abitativo. Infatti, l’articolo 5 dispone che “è legittima la stipula di contratti di locazione di natura transitoria anche di durata inferiore ai limiti previsti dalla legge (e, dunque, il riferimento è alle formule 4 + 4 o 3 + 2) per soddisfare particolari esigenze delle parti.

Il contratto di affitto transitorio: cos’è e durata

La questione dunque si pone proprio per la durata limitata del contratto di affitto transitorio. Si tratta di un contratto di locazione a uso abitativo con una durata massima fino a 18 mesi. Tuttavia, come dispone la legge numero 431 del 1998, la durata limitata rispetto a un contratto standard di affitto 4 + 4 o 3 + 2 deve essere giustificata da una determinata situazione, riguardante o l’inquilino o il proprietario, che può essere dovuta:

  • alla mobilità ricadente sulla professione che si svolge;
  • a esigenze di studio;
  • alla tipologia di contratto di lavoro come ad esempio apprendistato;
  • a periodi di formazione professionale;
  • alla situazione di ricerca di soluzioni professionali.

Documentazione delle esigenze di affitto limitate da giustificare

L’esigenza di ricorrere a un contratto di affitto di tipo transitorio per le motivazioni sopra riportate deve essere giustificata e documentata. In tal caso si fa ricorso a una specifica dichiarazione che può essere riconducibile sia al conduttore, ovvero a colui che va in affitto, che al locatore, ovvero a chi affitta l’immobile.

Durata di un contratto transitorio di affitto

Nella scelta di traferire la residenza verso un’abitazione presa in affitto con contratto transitorio è pertanto importante la durata. A tal proposito è opportuno ricordare che il contratto di affitto non può avere durata inferiore a un mese. Dall’altro lato, la durata non può essere superiore ai 18 mesi. In entrambi i casi, per periodi di affitto inferiori a un mesi o superiori ai 18, la clausola del contratto è nulla.

Registrazione del contratto di affitto

Ulteriore fattore inerente il contratto di affitto, da tener presente ai fini del trasferimento della residenza, è la registrazione del contratto. Infatti, il locatore ha 30 giorni di tempo per provvedere a registrare il contratto di affitto. Della registrazione, il locatore deve darne comunicazione al conduttore ed eventualmente all’amministrazione del condominio entro i successivi 60 giorni.

Contratto di affitto transitorio: si può stabilire la residenza nell’abitazione presa in affitto?

Con le dovute premesse riguardanti il contratto di tipo transitorio e le motivazioni che ne giustifichino l’adozione per l’affitto, si può affermare che è possibile stabilire la propria residenza nell’abitazione presa in locazione, anche se transitoriamente. L’immobile preso in affitto diventa, dunque, il luogo in cui la persona sceglie di avere la dimora abituale, ai sensi di quanto dispone l’articolo 43 del Codice civile. La legge, a tal proposito, non prevede  alcuna altra condizione.

Fino a quando si può mantenere la residenza in un’abitazione presa in affitto?

Il trasferimento della residenza nell’abitazione presa in affitto significa, dunque, che la residenza stessa coincide con l’abitazione abituale del conduttore. In tal senso, il trasferimento della residenza si configura non come scelta, ma come come conseguenza giuridica naturale a una situazione di fatto. A tal proposito, il conduttore può mantenere la nuova residenza nell’abitazione presa in affitto fintantoché il suo contratto di locazione mantenga il suo valore legale.

Residenza senza casa: quando è possibile?

La residenza è il luogo in cui la persona ha la dimora abituale, ossia non occasionale e quindi dove non abita solo in periodi dell’anno sporadici, anche se in quel luogo vi si può abitare in maniera discontinua. In Italia la residenza può essere solo una e riferita a un solo Comune e rappresenta un requisito fondamentale e necessario in diversi ambiti, dall’iscrizione alle liste elettorali, al rilascio della carta di identità, del permesso di soggiorno e della tessera sanitaria, alla possibilità di usufruire dei servizi sanitari, socio-assistenziali e abitativi, erogati dagli enti di una determinata località. Per richiedere la residenza sono previsti dei requisiti minimi volti a dimostrare di essere stabilmente presente nei locali adibiti ad abitazione.

Ma come funziona la residenza per chi non ha casa?

In linea generale, esistono dei requisiti minimi per ottenere la residenza anagrafica. In riferimento all’immobile, il richiedente deve dimostrare di trovarsi stabilmente nell’abitazione principale. Quindi, i requisiti sono rappresentati dall’agibilità e abitabilità dell’immobile, dalla presenza di luce, acqua, un letto, una cucina essenziale. Spetta alla polizia municipale accertarne la sussistenza, ma l’ultima parola tocca all’ufficiale dell’anagrafe informato dello stato della casa.

Tuttavia, possono esserci persone che non hanno una casa in Italia, proprio perché sprovvista dei requisiti essenziali. Solitamente, si tratta di persone che versano in grosse difficoltà economiche, pertanto, vivono in spazi pubblici o in dormitori notturni, o ancora in appositi ostelli utilizzati per persone senza casa. Queste location rappresentano alloggi temporanei o concessi in casi di supporto eccezionale.

Eppure, ci sono persone senza casa per scelta. Si tratta di persone che girano in molti luoghi diversi, magari perché sono artisti, lavorano con spettacoli viaggianti, o sono commercianti e artigiani ambulanti.

Ai fini anagrafici, l’ISTAT definisce una persona senza casa colei che non abbia una dimora abituale in alcun Comune, condizione necessaria per l’accertamento della residenza, oltre a non avere una normale abitazione.

Residenza senza casa

L’iscrizione anagrafica è un diritto soggettivo per tutti i cittadini italiani e stranieri, anche se non sono comunitari, ma con regolare permesso di soggiorno. Per le persone che non hanno una casa si utilizza il criterio del domicilio in luogo di quello di residenza. Per domicilio, il diritto privato italiano intende il posto in cui la persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi.

Qualora dovesse venire meno anche questo parametro, la residenza della persona senza casa viene stabilita nel Comune di nascita. Lo riferisce la legge del 15 luglio 2009 n.94 all’articolo 3 che ha modificato l’articolo 2 della legge del 24 dicembre 1954 n. 1228:

“La persona che non ha fissa dimora si considera residente nel Comune dove ha stabilito il proprio domicilio. La persona stessa, al momento della richiesta di iscrizione, è tenuta a fornire all’ufficio anagrafe gli elementi necessari allo svolgimento degli accertamenti atti a stabilire l’effettiva sussistenza del domicilio. In mancanza del domicilio, si considera residente nel Comune di nascita”.

A questo punto, la residenza viene stabilita in una via che in realtà non esiste ma che assume un valore giuridico in quanto fissata nel Comune di nascita dell’individuo. Il primo Decreto Ministeriale del 6 luglio 2010 del Ministero dell’Interno, in attuazione alla legge sulla sicurezza pubblica n. 94 del 15 luglio 2009, stabilisce che i Comuni devono evidenziare la posizione anagrafica delle persone senza fissa dimora nell’Indice nazionale delle anagrafi (Ina).

Domicilio e residenza: differenza

E’ bene sottolineare, che la residenza trova riferimento con l’abitare, con la vita privata della persona, mentre il domicilio fa riferimento alla sede di affari e interessi, il luogo dove svolge la vita professionale. Non sempre sono distinti, ma per i motivi sopracitati, è palese che residenza e domicilio possono divergere.

Sulla base di quanto appena precisato, solitamente, le comunicazioni relative al lavoro giungono al domicilio della persona, mentre le comunicazioni personali arrivano nel Comune di residenza.

Dichiarazione iva 2010 : Le novità del Quadro VE

All’interno del Quadro VE relativo alla determinazione del volume d’affari, quest’anno il rigo VE30, dedicato all’indicazione delle operazioni non imponibili che concorrono alla formazione del plafond degli esportatori abituali (esportazioni ed altre operazioni non imponibili), è suddiviso in più campi, per consentire già all’interno del rigo stesso un dettaglio delle operazioni effettuate.
E’ stato, inoltre, introdotto un nuovo campo all’interno del rigo VE36, nel quale vanno riportate le operazioni effettuate nell’anno, ma con Iva esigibile negli anni successivi (c.d. “Iva ad esigibilità differita”). Il nuovo campo è relativo alle operazioni effettuate con Iva ad esigibilità differita ex art. 7, D.L. n. 185/2008 (c.d. Decreto anticrisi), ovvero le cosiddette operazioni con “Iva per cassa”.

Come noto, l’art. 6, comma 5, secondo periodo, D.P.R. n. 633/1972 riporta un elenco puntuale di operazioni (tra cui ad esempio quelle effettuate nei confronti dello Stato e di altri enti pubblici o di enti ospedalieri), ordinariamente assoggettate ad Iva ma con esigibilità differita, per le quali, cioè, l’Iva diviene esigibile non al momento di effettuazione dell’operazione , ma al momento di effettivo pagamento del corrispettivo.
Con il Decreto anticrisi , è stata prevista la possibilità di applicare l’Iva ad esigibilità differita anche alle cessioni di beni e prestazioni di servizi effettuate nei confronti di soggetti che agiscono nell’esercizio di impresa, arte o professione. Tale disposizione si applica solo se il soggetto che effettua le operazioni:

• rispetta il limite di volume d’affari previsto pari a € 200.000;
• non si avvale di regimi speciali Iva;
• non effettua operazioni nei confronti di soggetti che assolvono l’Iva con il meccanismo del reverse charge.

Il cedente/prestatore può esercitare la facoltà di applicare l’Iva ad esigibilità differita ex art. 7, D.L. n. 185/2008 per ogni singola fattura, inserendone in calce l’apposita dicitura; nella redazione della dichiarazione Iva va, dunque, prestata attenzione alla possibile coesistenza di fatture con Iva ad esigibilità differita ex art. 6, comma 5, D.P.R. n. 633/1972 e di fatture con Iva “per cassa” ex art. 7, D.L. n. 185/2008.

Dichiarazione IVA 2010 : Le novità del Quadro VO

All’interno del Quadro VO riservato alle opzioni e revoche, è da segnalare l’introduzione della casella “revoca” anche per il rigo VO33 relativo ai contribuenti che, pur avendo i requisiti di contribuenti “minimi” ex art. 1, commi 96-117, Legge n. 244/2007, hanno optato per il regime Iva ordinario e che poi hanno revocato tale scelta dal 2009.


Termini e modalità di presentazione

Da ultimo, si ricorda che la dichiarazione Iva/2010 deve essere presentata, esclusivamente in via telematica, entro il 30.09.2010, direttamente o tramite intermediario abilitato.
Quest’anno, la presentazione della dichiarazione Iva in forma autonoma entro il mese di febbraio 2010 esonera dalla presentazione della comunicazione annuale Iva.

Dichiarazione iva 2010 : Le novità del Quadro VF

Il Quadro VF relativo alle operazioni passive e Iva ammessa in detrazione è stato rimodellato rispetto a quello dello scorso anno, inglobando anche le informazioni destinate ad essere indicate nel soppresso Quadro VG. Il Quadro VF è, infatti, ora suddiviso in 4 sezioni:

sezione I: Ammontare degli acquisti effettuati nel territorio dello Stato, degli acquisti intracomunitari e delle importazioni;

sezione II: Totale acquisti e importazioni, totale imposta, acquisti intracomunitari, importazioni e acquisti da San Marino;

sezione III: Determinazione dell’Iva ammessa in detrazione, suddivisa in tre sottosezioni;

sezione IV: Iva ammessa in detrazione.

Dichiarazione iva 2010 : Le novità del Quadro VA

Il Quadro VA relativo alle informazioni sull’attività è stato ridotto a due sole sezioni:

sezione I, contenente i dati analitici generali;
sezione II, contenete i dati riepilogativi di tutte le attività esercitate.

Talune informazioni che prima erano richieste nel Quadro VA, infatti, sono ora riportate in altri quadri del modello Iva, come ad esempio la ripartizione del totale acquisti ed importazioni ora presenti nel rigo VF24.

Nel Rigo VA1 è stato introdotto un nuovo campo denominato “Riservato al soggetto non residente che ha operato mediante stabile organizzazione e rappresentante fiscale o identificazione diretta”.

Come detto, infatti, a partire dal 26.09.2009, le imprese estere con una stabile organizzazione in Italia possono operare solo mediante questa e non possono più nominare un rappresentante fiscale o identificarsi direttamente. In conseguenza di ciò, dopo tale data, esse potevano assumere questi comportamenti:

estinguere la partita Iva del rappresentante fiscale o quella relativa alla identificazione diretta;
far confluire, nella liquidazione Iva di settembre 2009 (effettuata il 16 ottobre 2009), il saldo Iva della posizione estera in quello della stabile organizzazione in Italia;
presentare un’unica dichiarazione Iva 2010 con un frontespizio e due moduli:
– uno per la stabile organizzazione;
– uno per il rappresentante fiscale o per l’impresa estera identificata direttamente.

La nuova casella 6 contenuta nel rigo VA1 deve essere barrata nel modulo relativo alla posizione Iva del rappresentante fiscale o dell’impresa identificata direttamente.
Sempre all’interno del Quadro VA, non è più richiesta l’indicazione dei maggiori corrispettivi (imponibile ed imposta) derivanti dall’adeguamento agli studi di settore, ma è richiesto solo il dato relativo all’adeguamento ai parametri.
I dati relativi all’adeguamento da studi di settore sono ora chiesti direttamente nei quadri RE, RG ed RF del mod. UNICO 2010.
Per quanto concerne i contribuenti che nel 2010 adottano il regime fiscale agevolato dei “contribuenti minimi” di cui all’art. 1, commi 96-117, della Legge n. 244/2007 (Finanziaria 2008), il modello IVA 2010 prevede ora uno specifico rigo, VA14.

Qui il contribuente dovrà barrare la casella per comunicare che si tratta dell’ultima dichiarazione Iva che precede l’applicazione del regime dei minimi. Nel campo 2 deve essere indicato l’importo della rettifica Iva già detratta, operata in base all’art. 19-bis 2 del Decreto Iva (DPR 633/1972).

Dichiarazione iva 2010 : Le novità del frontespizio

Le prime novità sono presenti già nel Frontespizio. In particolare:

• è stata eliminata la parte relativa alla residenza anagrafica ed al domicilio fiscale dei soggetti residenti;
• è stato eliminato il campo “codice fiscale attribuito per la stabile organizzazione”, in passato destinato ai soggetti non residenti che operavano nel territorio dello Stato sia mediante la stabile organizzazione, sia mediante l’identificazione diretta; per effetto dell’art. 11 del D.L. n. 135/2009, infatti, a partire dal 26.09.2009 non è più consentito a tali soggetti avere una duplice posizione Iva in Italia e, quindi, essi possono operare solo tramite la stabile organizzazione;
• è stato introdotto il nuovo riquadro “sottoscrizione organo di controllo” per la sottoscrizione della dichiarazione da parte dell’organo di controllo contabile; si ricorda che la compilazione del riquadro è prevista in caso di utilizzo in compensazione di un credito Iva di importo superiore a € 15.000.