Credito assistito da prelazione: perché è importante per le imprese?

Perché le imprese dovrebbero scegliere di stipulare solo rapporti di credito assistito da prelazione? Scopriamolo insieme

Credito assitito da prelazione: perché è importante per le imprese?

Le attività imprenditoriali sono caratterizzate dalla presenza di fornitori che generalmente mettono a disposizione materie prime, beni e servizi e da clienti che, invece, comprano i servizi e i beni. A loro volta tali beni sono oggetto di trasformazione per poi arrivare all’utente finale. Si tratta di una sorta di catena che qui abbiamo estremamente semplificato. Nella maggior parte dei casi i fornitori non ricevono immediatamente i pagamenti, li ricevono posticipati. Sono però molti a temere gli effetti della crisi economica o semplicemente temere un eventuale fallimento del proprio debitore, o manovre truffaldine, e non manca chi ha perso centinaia di migliaia di euro proprio a causa delle difficoltà economiche affrontate dai propri clienti che non riescono a loro volta a far fronte agli impegni economici. Cosa succede in tali casi?

Spesso si riesce a recuperare qualcosa in seguito a lunghe procedure di esecuzione forzata/ fallimento, ma in concorrenza con altri creditori. Ciò che molti non sanno è che i creditori di un determinato assetto imprenditoriale, in forma di impresa, società di persone, società di capitali, cooperativa e forme varie che può prendere un’attività economica, non sono tutti uguali perché ci sono quelli assistiti da prelazione.

Meglio dire fin da subito che il credito con prelazione non è molto comune nel mondo dell’impresa perché richiede determinate forme, può mettere in imbarazzo il debitore a cui si chiede, che potrebbe preferire rivolgersi ad altri fornitori, perdendo così un cliente. Nonostante ciò, i creditori con prelazione/privilegio esistono. A questo punto è bene chiarire: come si diventa creditoreassistito da causa di prelazione?

I creditori delle imprese, ma non solo, possono essere distinti in due categorie: i creditori chirografari e i creditori privilegiati, o assistiti da privilegio e creditori assistiti da causa di prelazione.

Le norme del codice civile da tenere in considerazione

Le norme da tenere in considerazione sono prevalentemente presenti nel codice civile che, all’articolo 2740, stabilisce: Il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri. Le limitazioni della responsabilità non sono ammesse se non nei casi stabiliti dalla legge.

Segue l’articolo 2741 il quale espone un principio importante, cioè il principio di uguaglianza tra debitori: I creditori hanno eguale diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore, salve le cause di prelazione.

Cause di prelazione: privilegio, pegno e ipoteca nel codice civile

Siamo quindi giunti al nodo principale: il creditore assistito da prelazione può rifarsi in via principale rispetto ai creditori generalmente definiti chirografari. In caso di esecuzione forzata sui beni del debitore dovrà avere soddisfazione prima il creditore assistito da causa di prelazione e in seguito gli altri, cioè i chirografari, che potrebbero a quel punto trovare un patrimonio incapiente.

L’articolo 2741 parla di 3 tipologie di causa di prelazione, le più conosciute sono pegno ed ipoteca, queste due forme cadono su beni mobili e immobili determinati, ad esempio la banca che iscrive l’ipoteca sull’immobile, oppure un creditore che inserisce nel contratto il pegno dei gioielli del debitore oppure di macchinari utilizzati all’interno dell’impresa.

Il privilegio è meno conosciuto, ma molto importante, infatti cade anche esso su beni mobili e immobili del debitore, ma si tratta di una garanzia riconosciuta dalla legge a determinati soggetti. Il privilegio può essere generale se ricade indistintamente sui beni del debitore, mentre è speciale se vi è un legame tra il bene e il soggetto creditore, ad esempio i beni in custodia.

Il primo privilegio o meglio il più conosciuto è il credito alimentare riconosciuto a determinati soggetti, possono essere i genitori, i figli. Non mancano però altre forme. Ad esempio nel caso di vendita di macchinario, il privilegio viene riconosciuto per legge in favore del venditore per le somme non corrisposte relative all’acquisto dello stesso bene. Quindi il fornitore che vende una macchina all’impresa X, nel caso in cui l’impresa stessa non dovesse pagare, potrà rivalersi su tale bene. In caso di deposito, il soggetto che deve ricevere i canoni per la locazione dei locali del deposito e la custodia del beni stessi, può rivalersi sui beni oggetto di deposito nel caso in cui il proprietario non dovesse pagare i canoni spettanti.

Cosa succede però se su un bene ci sono più cause di prelazione?

Si tratta di un caso molto frequente e proprio per questo il legislatore ha previsto una sorta di piramide o graduation e la stessa si trova nell’articolo 2777 del codice civile.

I primi a trovare soddisfazione sono i crediti per le spese di giustizia che prevalgono quindi su tutti gli altri. I crediti di giustizia sono preferiti ad ogni altro credito anche pignoratizio e ipotecario.

Seguono i crediti previsti dall’articolo 2751 bis del codice civile , all’interno di questo articolo troviamo però un’altra scaletta. Eccola:

i crediti sono così disposti in ordine di preferenza:

  • le retribuzioni dovute sotto qualsiasi forma, tra cui anche le indennità per la cessazione del rapporto di lavoro e i crediti previdenziali e assicurativi e crediti per il risarcimento dei danni ai lavoratori per licenziamento nullo, annullabile o inefficace;
  • I compensi ai professionisti;
  • le provvigioni derivanti dal rapporto di agenzia;
  • i crediti del coltivatore diretto;
  • i rapporti di credito delle società cooperative agricole e dei loro consorzi per i corrispettivi della vendita dei prodotti;
  • i crediti delle imprese fornitrici di lavoro temporaneo.

Per quanto riguarda i beni mobili, il pegno è preferito al privilegio previsto dall’articolo 2751 bis del codice civile, tranne nel caso delle spese di giustizia che, come detto, prevalgono su tutto, mentre tra ipoteca e privilegio, prevale il privilegio sempre. Questo implica che se io, creditore X godo di un’ipoteca sull’immobile di Y, su questo stesso immobile dovranno trovare soddisfazione prima i soggetti visti nell’articolo 2751 bis e solo successivamente io creditore X.

Tutti coloro che hanno un credito non assistito da queste tipologie di cause di prelazione sono definiti creditori chirografari e trovano soddisfazione dei loro diritti solo dopo tutti costoro.

Simulatore pensioni Inps: come funziona

Il sito istituzionale dell’Inps mette a disposizione un servizio gratuito per simulare quale sarà la propria pensione futura, ovvero quanto si andrà a prendere di pensione nel momento in cui terminerà la propria attività lavorativa. Il calcolo si fonda su tre elementi della normativa previdenziale, ovvero l’età, la storia lavorativa e la retribuzione (o reddito).

La mia pensione futura Inps: a chi è rivolto il servizio

Possono usufruire del servizio “La mia pensione futura”:

  • i lavoratori che abbiano contributi versati al Fondo pensione dei lavoratori dipendenti;
  • i lavoratori che abbiano contributi versati alla Gestione Separata Inps;
  • gli iscritti alla Gestione dirigenti di aziende industriali;
  • i lavoratori che abbiano versato contributi ad altri fondi amministrati dall’Inps.

Cosa permette di sapere il simulatore delle pensioni Inps

Il simulatore delle pensioni Inps permette di:

  • controllare i versamenti fatti all’Inps e di comunicare all’Istituto previdenziale eventuali periodi di contribuzione che mancano tramite la funzione di segnalazione contributiva;
  • conoscere la data nella quale presumibilmente maturi la pensione di vecchiaia o quella anticipata;
  • stimare l’importo della pensione futura senza tener conto dell’inflazione (funzione “a moneta costante”);
  • ottenere il tasso di sostituzione, ovvero il rapporto tra l’ultimo stipendio percepito e la prima rata di pensione.

Pensione futura, prevedere scenari di variazione della propria retribuzione

Con il servizio della futura pensione dell’Inps è possibile prevedere anche variazioni della propria situazione lavorativa futura o dell’economia nel medio e lungo termine. Le previsioni sono particolarmente indicate per i contribuenti più distanti dall’uscita da lavoro e si basano sulla possibilità:

  • di ipotizzare la sospensione del lavoro, ovvero di inserire la data nella quale si prevede di interrompere l’attività lavorativa;
  • di modificare le previsioni sul Prodotto interno lordo futuro. Ad esempio, modificare le previsioni dell’1,5% di Pil all’1% di incremento nel medio e lungo periodo;
  • di modificare l’andamento della propria retribuzione o del reddito annuale con valori da 0 a +5%;
  • di scegliere il fondo sul quale basare la propria simulazione.

Costruire la futura pensione confrontando diversi scenari

Per i contribuenti più indecisi sulla data del pensionamento, è possibile modificare i parametri della simulazione. Ad esempio, si può:

  • calcolare la futura pensione verificando l’incidenza di retribuzioni diverse. Si può, in altre parole, modificare la retribuzione dell’anno in cui si utilizza il servizio e verificare l’andamento percentuale annuo;
  • si può verificare cosa succede se si posticipa la data presunta del pensionamento (quanto si guadagna di pensione se si rimane ancora a lavoro?);
  • modificare entrambe le variabili, retribuzioni e data di uscita da lavoro, che possono essere combinate per verificare la soluzione più conveniente.

Come accedere e utilizzare il servizio Inps ‘La mia pensione’

Per poter utilizzare il servizio online La mia pensione è necessario andare sul sito dell’Inps nella sezione “Prestazioni e servizi – La mia pensione futura: simulazione della propria pensione” e scorrere alla voce “Accedi al servizio”. In alternativa, non appena si apre la pagina Inps, è possibile direttamente l’accesso dalla sezione “Vai a MyInps”. L’autenticazione è possibile combinando il codice fiscale con il Pin rilasciato dall’Istituto previdenziale, con l’identità Spid almeno di secondo livello, con la Carta di identità elettronica 3.0 (Cie) oppure con una Carta nazionale dei Servizi (Cns).

Come calcolare la pensione futura: caso concreto sul sito Inps

Dopo aver fatto l’accesso e confermato le informazioni sulla privacy, la prima pagina del servizio Inps per il calcolo della pensione futura riepiloga la posizione contributiva fino al giorno dell’accesso da parte del richiedente mediante l’estratto conto previdenziale. Per andare avanti, è necessario selezionare nella parte in basso la casella nella quale si dichiara di aver preso visione della propria situazione contributiva.

Come funziona il simulatore delle pensioni Inps?

La pagina successiva è quella di maggiore interesse per il calcolo della pensione futura. Infatti sono presenti due specchietti, corrispondenti alle presunte uscite da lavoro con la pensione di vecchiaia o con la pensione anticipata. In corrispondenza delle due colonne sono presenti anche gli importi mensili lordi delle pensioni previsti con il meccanismo di uscita prescelto (vecchiaia o anticipata). Ulteriore informazione presente per le due formule di pensione è quella dell’ultima retribuzione rispetto al reddito lordo stimato (pensione lorda futura). Dal rapporto di questi due valori il sistema restituisce il tasso di sostituzione, ovvero a quanto ammonta la pensione futura rispetto all’ultimo stipendio percepito a lavoro.

Quale sarà l’importo della pensione futura rispetto all’ultimo stipendio?

Il valore del tasso di sostituzione lordo indicato in corrispondenza della pensione di vecchiaia è normalmente più alto dello stesso valore iscritto nella pensione anticipata. Questo andamento si può spiegare con il meccanismo di calcolo delle pensioni che tiene conto sia degli anni di contributi versati che dell’età di uscita effettiva da lavoro. Infatti, con la pensione di vecchiaia, attualmente a 67 anni, si dovrebbe accumulare un numero di anni di contributi più alto della pensione anticipata.

Pensione di vecchiaia o pensione anticipata, quale conviene?

La pensione anticipata è maturabile, con le attuali regole previdenziali, per gli uomini con 42 anni e 10 mesi di contributi e per le donne con 41 anni e 10 mesi. Inoltre, il coefficiente di trasformazione è variabile in base all’anno di uscita: più è alta l’età, maggiore è l’indice di calcolo delle pensioni. Proprio il coefficiente concorre, insieme al Prodotto interno lordo, a trasformare il montante dei contributi versati in pensione futura.

Pensione futura: quanto incidono retribuzioni e Pil?

I valori indicati nella pagina della pensione futura, tuttavia, sono indicativi della situazione attuale proiettata nel futuro, ipotizzando crescite costanti della retribuzione e del Prodotto interno lordo. Un calcolo più realistico si può ottenere inserendo un valore del Pil più basso e, sicuramente, più in linea con l’andamento attuale dell’economia. Inoltre, si presume che il lavoro che si svolge abbia un andamento, in termini delle ultime retribuzioni percepite, di crescita fino alla pensione. Il valore, dunque, può essere modificato a seconda della propria situazione per renderlo più aderente al reale andamento retributivo.

Come modificare la retribuzione nel calcolo della pensione futura Inps?

Proprio in previsione di variazioni della retribuzione è possibile, nella parte bassa della pagina, modificare il reddito di partenza della simulazione. Dunque per migliorare la precisione della proiezione della futura pensione, si potrebbe inserire l’attuale retribuzione annuale lorda se diversa o in previsione differente rispetto a quella per la quale l’Inps ha già fatto la sua previsione. Le retribuzioni inerenti agli anni futuri verrebbero costruite a partire dal valore di retribuzione annuale indicato, con i consueti criteri di crescita delle retribuzioni stesse e dell’andamento del Prodotto interno lordo.

Filiera moda, ecco chi guadagna di più

Mentre partono oggi a Milano le sfilate della Fashion Week, la filiera moda si interroga sul proprio futuro e fa i conti con il proprio presente. Un presente fatto anche e soprattutto di numeri buoni, come quelli dell’export, degli occupati e delle retribuzioni; dati che, nel caso della filiera moda, riservano piacevoli sorprese.

I dati in questione sono stati elaborati rapporto JobPricing relativo a “Le professioni della moda” e parlano di un fatturato 2014, per la filiera moda e tessile, di 52,4 miliardi (+3,3% anno su anno), di un valore dell’export di 28,5 miliardi (+3,9% anno su anno) e, soprattutto, di un numero di addetti che, in un periodo di crisi come quello che stiamo attraversando, non è da disdegnare: 48.590 imprese della filiera moda (-1,6% anno su anno) che danno lavoro a 411mila persone (-0,3%).

Dati molto interessanti sono quelli che il rapporto JobPricing ha estrapolato riguardo alle retribuzioni nell’ambito della filiera moda. Una filiera che viene distinta in “Moda e Lusso” e “Tessile, Abbigliamento e Accessori”. Nel primo dei due comparti, secondo Job Pricing, la retribuzione annua lorda media sfiora i 30mila euro (28.990 +1,1% rispetto alla ral media in Italia), nel secondo si attesta a 26.550, con uno scarto più sensibile rispetto alla ral media italiana: -7,2%.

Il rapporto si è premurato poi di analizzare le retribuzioni a seconda dei vari profili professionali impiegati nella filiera moda e tessile. Relativamente ai profili più specifici, JobPricing rileva che figure operative come la sarta o l’addetto al telaio non hanno retribuzioni stellari: 22.768 euro/anno lordi per la prima, 21.087 per il secondo. Va meglio a un fashion stylist (26.621 euro/anno lordi) o a un disegnatore tessile (39.890), per non parlare del direttore creativo, che se la passa decisamente bene con 68.746 euro/anno lordi).

Spostandosi sulle figure professionali della filiera moda impiegate sul punto vendita, secondo JobPricing un visual merchandiser percepisce 32.183 contro i 35.258 di uno store manager, mentre tra le figure “d’ufficio” il direttore qualità arriva addirittura a 114.386 euro/anno lordi, il responsabile magazzino prodotti a 35.849, un addetto stampa a 33.240.

La conclusione del rapporto è che, nella filiera moda, i dirigenti percepiscono una retribuzione tra le più alte di tutto il mercato del lavoro italiano, mentre quelli della filiera tessile si piazzano ben sotto, solo al 15esimo posto.

Busta paga sempre più povera

Siamo abituati a parlare e a sentir parlare degli effetti che la crisi ha sull’andamento della macroeconomia, ma non sempre ci fermiamo a riflettere su quanto incide nella vita di tutti i giorni e, soprattutto, sulle retribuzioni. In sostanza, quali sono gli effetti della crisi economica sulla busta paga degli italiani?

A questa domanda ha provato a dare una risposta l’Osservatorio JobPricing, costruito in collaborazione con il sito di Repubblica.it. E ha provato a darla basando la propria analisi sui dati forniti dai lettori del quotidiano in merito alla propria busta paga.

Si tratta quindi di dati parziali, che non rivestono un valore statistico rilevante ma che aiutano a capire come, dall’inizio della crisi (2008) a oggi, la contrazione dell’economia non abbia influito negativamente solo sull’occupazione ma anche sulla busta paga di molti di noi.

Secondo l’osservatorio, negli ultimi 7 anni gli stipendi più penalizzati dalla crisi sono stati quelli agli estremi opposti della catena produttiva: gli operai hanno perso quasi 1.700 euro di potere d’acquisto complessivo e i dirigenti si sono trovati un totale di quasi 6mila euro in meno in busta paga.

I livelli intermedi come quelli degli impiegati hanno tenuto botta (-254 euro), mentre una ai quadri è andata decisamente peggio: -4mila euro e più.

Nel realizzare la propria indagine, JobPricing ha preso come base la Ral nella parte fissa, calcolando la perdita del potere d’acquisto sull’inflazione Istat per i beni ad altra frequenza d’acquisto. Il risultato: busta paga sempre più povera, grazie alla crisi.

Col nuovo millennio la busta dei dipendenti è rimasta al palo

Aumenti pressochè inesistenti nelle busta paga dei dipendenti nei primi 10 anni del nuovo millennio. Le retribuzioni medie reali nette dal 2000 al 2010, infatti, sono aumentate solo di 29 euro, passando da 1.410 a 1.439 euro (+2%). E’ quanto emerge dalle tabelle contenute nella relazione annuale di Bankitalia. Risultati su cui pesa, ovviamente, la crisi economica e gli interventi che hanno toccato in particolare gli statali. Su cui, per il momento, sembra scampato il pericolo di un taglio delle tredicesime.

Dai dati emerge inoltre che il gap tra Centro-Nord e Sud-isole non arresta la sua corsa: l’incremento è stato del 2,5% contro lo 0,7%. In termini reali, al Centro-Nord si è passati da 1.466 euro del 2000 a 1.503 euro del 2010, con un aumento di 64 euro; mentre nel Mezzogiorno le retribuzioni passano da 1.267 euro a 1.276 euro, con una crescita di soli 9 euro. Rispetto alla media nazionale, le retribuzioni si attestano a un +4% per i lavoratori del Centro-Nord e -10,1% per quelli di Sud e isole, mentre 10 anni dopo di arriva a +4,4% e -11,3%.

I grafici mostrano anche gli effetti negativi che la crisi ha avuto sulle retribuzioni; secondo le rilevazioni condotte con cadenza biennale, emerge che nel 2006 le retribuzioni medie arrivavano a 1.489 euro, due anni dopo (con l’inizio della crisi) erano scese a 1.442 euro, e nel 2010 la situazione era ulteriormente peggiorata, arrivando a 1.439 euro. La riduzione in termini reali, in quattro anni, è stata di 50 euro (-3,3%).

In generale, la crisi ha influito sulle buste paga di tutti i lavoratori dello stivale: nel Centro-Nord del paese la riduzione è stata di 46 euro (-2,9%), mentre nel Sud e isole il taglio è stato di 56 euro (-4,2%). Le differenze restano notevoli anche tra i due sessi; con gli uomini che sono passati da 1.539 euro a 1.586 euro (+47 euro), e le donne, che partivano da 1.220 euro e sono arrivate e 1.253 euro (+35 euro).

Tra il 2008 e il 2010, le retribuzioni reali mensili pro capite dei lavoratori a tempo pieno, al netto di imposte e contributi sociali, spiega Bankitalia, sono cresciute dello 0,8% (2% per le donne). Nello stesso periodo, la quota dei lavoratori a bassa retribuzione è salita di tre decimi di punto percentuale, al 9,4%. Palazzo Koch spiega che, proprio a causa dell’espansione del part-time, le retribuzioni nette medie per il totale dei lavoratori dipendenti sono diminuite dello 0,2%, riflettendo esclusivamente il calo del Mezzogiorno.

Stipendi sempre più magri, fisco sempre più vorace

Non lo dicono solo le tasche vuote alla fine della terza settimana. Ora lo conferma anche l’Ocse nel suo rapporto “Taxing Wages 2011”: il fisco pesa sempre più sugli stipendi dei lavoratori italiani e fa scivolare il nostro Paese dal 22esimo al 23esimo posto per salario netto, con una media di 25.160 dollari per lavoratore senza senza figli a carico.

Un dato che non è solo minore della media Ocse (27.111 dollari) ma è molto distante da quello che caratterizza Paesi come, a crescere, Francia (29.798 dollari), Germania (33.019) e Gran Bretagna (38.952). Un divario che c’è anche con le retribuzioni degli stessi lavoratori in Paesi dalle economie più critiche della nostra come Spagna (27.741 dollari) e Irlanda (31.810).

Ma lo scandalo viene dal cuneo fiscale, ossia il peso delle tasse sulle retribuzioni per i lavoratori senza figli: il dato è infatti arrivato al 47,6%, (dal 47,2% del 2010). Un aumento che ci pone al sesto posto della classifica sulla pressione fiscale sul lavoro nell’Ocse, dietro a Belgio (55,5%), Germania (49,8%), Ungheria e Francia (49,4%) e Austria (48,4%). Dati molto più alti della media Ocse, pari al 35,3% (+0,3% sull’anno precedente) e anche oltre la media europea che è del 41,5%.

Per i lavoratori con due figli a carico la situazione è differente, ma il peso fiscale resta sempre elevato in Francia (42,3%), Belgio (40,3%) e Italia (38,6%).

Del resto, la tendenza complessiva vede un appesantimento del cuneo fiscale in quasi tutte le economie Ocse (dovuto all’aumento delle imposte sul reddito), tranne che negli Usa, dove è sceso dello 0,9% grazie alla riduzione dei contributi di sicurezza sociale. Insomma, si guadagna forse di più ma si pagano più tasse ovunque. Evviva la crisi!

Marzo 2012: Contratti collettivi e retribuzioni

Alla fine di marzo 2012 i contratti collettivi nazionali di lavoro in vigore per la parte economica corrispondono al 67,4% degli occupati dipendenti e al 61,8% del monte retributivo osservato. Nel mese di marzo l’indice delle retribuzioni contrattuali orarie registra una variazione nulla rispetto al mese precedente e un incremento dell’1,2% rispetto a marzo 2011. Nel primo trimestre del 2012 la retribuzione è cresciuta dell’1,3% rispetto al corrispondente periodo del 2011. Con riferimento ai principali macrosettori, a marzo le retribuzioni orarie contrattuali registrano un incremento tendenziale dell’1,7% per i dipendenti del settore privato e una variazione nulla per quelli della pubblica amministrazione. I settori che a marzo presentano gli incrementi tendenziali maggiori sono: tessili, abbigliamento e lavorazione pelli (2,9%), chimiche, comparto di gomma, plastica e lavorazioni minerali non metalliferi e quello delle telecomunicazioni (2,7% per tutti i comparti). Si registrano, invece, variazioni nulle nell’agricoltura, nel credito e assicurazione e in tutti i comparti appartenenti alla pubblica amministrazione. A marzo, per l’insieme dei contratti monitorati dall’indagine, non è stato ratificato definitivamente alcun accordo. Alla fine di marzo la quota dei dipendenti in attesa di rinnovo è del 32,6% nel totale dell’economia e del 12,3% nel settore privato. L’attesa del rinnovo per i lavoratori con il contratto scaduto è, in media, di 27,0 mesi tanto nel totale che nell’insieme dei settori privati.

Applicazioni contrattuali del mese in corso
L’indice orario delle retribuzioni contrattuali a marzo è rimasto invariato rispetto al mese precedente, nonostante l’applicazione di due clausole contrattuali.

Andamento settoriale 
Nel mese di marzo, a fronte di un aumento tendenziale medio dell’1,2%, i settori che presentano gli incrementi tendenziali maggiori sono: tessili, abbigliamento e lavorazioni pelli (2,9%), chimiche, comparto di gomma, plastica e lavorazioni minerali non metalliferi, settore delle telecomunicazioni (per tutti e tre i comparti incrementi del 2,7%), energia e petroli, estrazione minerali (entrambi aumenti del 2,6%). Si registrano, invece, variazioni nulle per l’agricoltura, il credito e assicurazione e per tutti i comparti della pubblica amministrazione.

Copertura contrattuale 
Nel mese di marzo non si sono osservate né scadenze, né rinnovi contrattuali. Alla fine di marzo risultano in vigore 42 accordi, che regolano il trattamento economico di 8,8 milioni di dipendenti; ad essi corrisponde il 61,8% del monte retributivo complessivo. Nel settore privato l’incidenza è pari all’84,3%, con quote differenziate per attività economica: la copertura è del 93,5% per il settore agricolo, del 98,4% per l’industria e del 69,3% per i servizi privati. In totale, i contratti in attesa di rinnovo sono 36 – di cui 16 appartenenti alla pubblica amministrazione – relativi a circa 4,3 milioni di dipendenti (circa tre milioni nel pubblico impiego). A partire da gennaio 2010 tutti i contratti della pubblica amministrazione sono scaduti e rimarranno tali in ottemperanza alle disposizioni della legge 122/2010 all’art. 9 comma 7 che stabilisce il blocco delle procedure contrattuali e negoziali relative al triennio 2010-2012. L’indice delle retribuzioni contrattuali per l’intera economia, proiettato per tutto l’anno sulla base delle disposizioni definite dai contratti in vigore alla fine di marzo, registrerebbe nel 2012 un incremento dell’1,4%. Proiezione dell’indice Con riferimento al semestre aprile 2012-settembre 2012, in assenza di rinnovi, il tasso di crescita dell’indice generale sarebbe pari all’1,4%, con valori lievemente inferiori nei mesi di giugno (1,3%) e settembre (1,2%) Nell’interpretare questi risultati si deve tenere conto dell’incidenza dei contratti scaduti o in scadenza.

Tensione contrattuale
Per l’insieme dell’economia, nel mese di marzo la quota di dipendenti in attesa di rinnovo è pari al 32,6%, invariata rispetto al mese precedente e in diminuzione rispetto a un anno prima (37,8%). In media, i mesi di attesa per i lavoratori con il contratto scaduto a marzo 2012 sono 27, in deciso aumento rispetto a marzo 2011 (15,2). L’attesa media calcolata sul totale dei dipendenti è di 8,8 mesi, anch’essa in crescita rispetto a un anno prima (5,7). Con riferimento al solo settore privato la quota dei dipendenti in attesa di rinnovo è pari al 12,3%, i mesi di attesa per i dipendenti con il contratto scaduto sono 27, mentre l’attesa media è di 3,3 mesi considerando l’insieme dei dipendenti del settore. L’andamento di tali indicatori, che consentono di monitorare la tensione contrattuale per l’intera economia, è presentato nelle successive figure, che riportano la quota di dipendenti con contratto scaduto e la durata (in mesi) della vacanza contrattuale, sia per coloro che attendono il rinnovo (indicatore specifico), sia per l’insieme dei dipendenti appartenenti al settore di attività economica di riferimento (indicatore generico).
Lo rende noto l’Istat.

Fonte: agenparl.it

Burocrazia: ma quanto mi costi?


Piccole e medie imprese costrette a fare i conti con una burocrazia sempre più cara e severa. Secondo le stime della Cgia di Mestre il peso degli obblighi contributivi in materia di lavoro, ambiente, privacy, sicurezza sul lavoro e prevenzione incendi peserebbe sulle azienda per una cifra che raggiunge quota 23 miliardi di euro l’anno. Il settore che incide maggiormente sui bilanci delle pmi resta comunque quello del lavoro e della previdenza sociale.

Qualche dato? Fra tenuta dei libri paga, comunicazioni legate alle assunzioni o alle cessazioni di lavoro, denunce mensili dei dati retributivi e contributivi, retribuzioni e autoliquidazioni le piccole e medie imprese italiane si vedono sfilare dalle tasche 9,9 miliardi di euro l’anno.

“Se con un colpo di bacchetta magica fossimo in grado di ridurne il costo della metà – ha sottolineato il segretario della Cgia di Mestre, Giuseppe Bortolussi – libereremo 11,5 miliardi di euro all’anno che potrebbero dar luogo, almeno teoricamente, a 300.000 nuovi posti di lavoro”. Il macigno della burocrazia costringe le imprese a diffidare dalle nuove assunzioni, paralizzando e ostacolando la crescita del nostro sistema economico.

A gravare sul bilancio delle pmi per un valore di 3,4 miliardi di euro l’anno, sono inoltre le spese inerenti alla salvaguardia dell’ambiente: autorizzazioni per lo scarico delle acque reflue, impatto acustico, la tenuta dei registri dei rifiuti e le autorizzazioni per le emissioni in atmosfera sono voci con cui bisogna confrontarsi a fine anno.

Il conto della burocrazia si fa sempre più salato se si guarda alle altre voci in bilancio:

2,8 miliardi di euro per gli adempimenti amministrativi (dichiarazioni dei sostituti di imposta, comunicazioni periodiche ed annuali Iva)
2,2 miliardi di euro per la privacy
1,5 miliardi di euro per la sicurezza sul lavoro 1,4 miliardi di euro per la prevenzione incendi
1,2 miliardi di euro per gli appalti
600 mila euro per la tutela del paesaggio e dei beni culturali

In Italia gli stipendi più bassi d’Europa

Un lavoratore italiano guadagna in media la metà che un dipendente in Germania, Lussemburgo e Olanda. Lo dicono i dati nell’ultimo rapporto diffuso da Eurostat “Labour market Statistics”, prendendo come riferimenti gli stipendi lordi annui del 2009: il Bel Paese si piazza al 12° posto nell’area euro, più in basso di Irlanda, Grecia, Spagna e Cipro.

“In Italia abbiamo salari bassi e un costo del lavoro comparativamente elevato. Bisogna scardinare questa situazione, soprattutto aumentando la produttività” ha commentati il Ministro del Lavoro, Elsa Fornero, che si è detta però fiduciosa sulla possibilità di un’intesa sulla riforma del lavoro e del temuto articolo 18.

Ma veniamo ai dati emersi dall’indagine Eurostat: il valore medio dello stipendio annuo in Italia per un lavoratore di un’azienda dell’industria o dei servizi (ovvero con almeno 10 dipendenti) è pari a 23.406 euro.
In Lussemburgo il medesimo valore medio si attesta a quota 48.914 euro, in Olanda 44.412 euro e in Germania a 41.100 euro. L’Italia è prima solo su il Portogallo (17.129 euro l’anno).

Il rapporto diffuso da Eurostat amplia lo sguardo anche sui dati di crescita delle retribuzioni lorde annue dell’Eurozona: l’avanzamento per l’Italia risulta però tra i più ridotti. Dal 2005 al 2009 il rialzo è stato del 3,3%, molto distante anche dai dati sulla crescita riportati da Spagna ( +29,4%) e Portogallo (+22%).

Una buona notizia per l’Italia, arriva quantomeno dalle differenze di retribuzioni tra uomini e donne, quello che Eurostat chiama “unadjusted gender pay gap”. Ma si tratta solo di un’illusione: l’Italia, con un gap tra uomini e donne attorno al 5% è di gran lunga sotto la media europea, pari invece al 17%, risultando seconda solo alla Slovenia.

Istat: retribuzioni +1,4%

Nel terzo trimestre 2011 l’indice destagionalizzato delle retribuzioni lorde per unità di lavoro equivalenti a tempo pieno (Ula), al netto della cassa integrazione guadagni (cig), registra, nel complesso dell’industria e dei servizi, un incremento dello 0,3% rispetto al trimestre precedente.

La variazione rispetto al terzo trimestre del 2010, misurata sull’indice grezzo, è pari a +1,4%. E’ quanto rileva l’Istat.

Fonte: adnkronos.com