Si fa presto a dire Start Up innovativa, ma cos’è e come funziona?

Tutti abbiamo sentito parlare almeno una volta di Start Up innovativa e di agevolazioni e incentivi per questa tipologia di “impresa”, ma cos’è esattamente una Start Up? Cercheremo di dare una risposta esaustiva a tale quesito.

Cos’è una Start Up innovativa

La prima cosa da dire è che in realtà non esiste una definizione univoca di tale tipologia di società, ecco perché è arduo il compito, il legislatore italiano spesso collega benefici e incentivi a tale tipologia di impresa, ma poi non fornisce una definizione e in molti casi nella disciplina delle agevolazioni indica le caratteristiche che deve avere per poter beneficiare di un determinato aiuto. Sarebbe forse il caso di procedere a una definizione giuridica univoca.

La Start Up è un’organizzazione temporanea che ha come obiettivo creare un business model ripetibile e scalabile, questa la definizione data da Steve Blank e generalmente accolta. Lo startupper invece è un professionista che fonda, o aspira a fondare, un’impresa innovativa volta a una crescita veloce, replicabile, sostenibile e scalabile. Deve essere sottolineato che si ritiene una fase temporanea, questo non vuol dire che l’impresa cessa di esistere dopo breve, ma che essa si trasforma un qualcosa di stabile e che ha caratteristiche ordinarie.

Caratteristiche di una Start Up

Una Start Up deve essere scalabile, replicabile, temporanea, innovativa.

Per scalabilità di una start up si intende un’impresa che è capace di crescere in breve tempo in modo esponenziale anche basandosi su poche risorse.

Il modello di business adottato deve essere replicabile, quindi deve poter essere riproposto nel tempo in diverse aree geografiche e in diversi archi temporali, quindi un modello validato che può essere utilizzato nuovamente e garantisce con un buon margine di probabilità successo.

L’altra caratteristica è la temporaneità, quindi una crescita veloce, immediata e la trasformazione della stessa in una grande azienda.

Infine c’è l’innovazione, cioè proporre qualcosa che sul mercato non è ancora presente.

Ad esempio Scalapay nasce come una Start Up perché fornisce un servizio innovativo, cioè la possibilità di pagare a rate a interessi zero prodotti disponibili sugli e-commerce e in breve tempo nel settore è diventato un vero guru, ma oggi non può essere considerata più una start up, si può dire che tale fase sia conclusa. Il modello di business creato è stato inoltre replicato da molte altre aziende.

Avviare un’attività simile non è semplice, è necessario in primo luogo avere un’idea innovativa, ma si deve anche essere capaci di pianificare e studiare tutti i dettagli, fare previsioni sul futuro che siano attendibili. La scarsa propensione a curare i vari dettagli porta il 90% delle start up a fallire dopo pochi anni e questo perché non si riesce ad andare oltre la fase iniziale e trasformare il progetto in qualcosa di stabile.

Come ottenere le agevolazioni

Si è detto che in Italia sono disponibili agevolazioni varie per le Start Up innovative, ma affinché ci si possa iscrivere nel registro delle imprese con tale qualità è necessario avere dei requisiti.

  • In primo luogo la domanda per poter accedere alle agevolazioni per start up deve essere presentata entro 60 mesi dalla costituzione dell’impresa stessa;
  • la sede deve trovarsi in Italia oppure in uno degli Stati Membri dell’Unione Europea;
  • dal secondo anno di attività il valore totale della produzione, come approvato nel bilancio, non deve essere superiore a 5 milioni di euro;
  •  non deve distribuire utili o aver distribuito utili;
  • non deve nascere dalla fusione, scissione societaria, vendita di un ramo di azienda o di un’azienda;
  • le spese di ricerca devono essere uguali o superiori al 15% del costo o del valore totale della start up ( quindi vi deve essere una percentuali di costi elevati in ricerca);
  • più dei 2/3 di collaboratori o dipendenti deve essere in possesso di laurea magistrale oppure devono avere per almeno 1/3 la qualifica di dottori di ricerca/ricercatori;
  • titolarità di un brevetto, diritto di licenza o di un programma registrato avente comunque ad oggetto un’invenzione industriale, biotecnologia, semiconduttori, nuove varietà vegetali, elaboratori.

Queste sono le caratteristiche rilevate dai vari bandi, ma ulteriori requisiti possono essere richiesti, così come ad alcuni di essi si può derogare.

In Italia tra i programmi volti ad aiutare le start up c’è Smart & Start per le imprese ad alto valore tecnologico 

Tra gli approfondimenti è possibile trovare: Fondo Nazionale Innovazione per supportare Start Up Innovative  

Cosa sono gli incubatori di Start Up e come funzionano

 

Intelligenza artificiale in Italia: presente e prospettive

L’Intelligenza Artificiale è la nuova frontiera per le imprese e questo anche grazie ai vari programmi pubblici volti a incentivare l’adozione di nuove tecnologie. In Italia il settore è comunque in evoluzione, l’Osservatorio sull’Intelligenza Artificiale ha provveduto a un censimento sulle imprese italiane che forniscono servizi nel settore offrendo anche spunti per gli investimenti futuri e sui dati per l’occupazione.

Le aziende che lavorano nel settore dell’Intelligenza Artificiale in Italia

Per capire a che punto dello stato dell’arte sono le aziende che in Italia si occupano di Intelligenza Artificiale è necessario partire dai dati reali. Dall’indagine effettuata dall’Osservatorio sull’Intelligenza Artificiale è emerso che vi sono 260 imprese che lavorano nel settore, di queste:

  • il 55% fornisce servizi in aree specifiche come Salute, Marketing & Sales, Finanza e Sicurezza Cibernetica;
  • il 25% fornisce analisi avanzate in dati strutturati e non strutturati ad esempio su interazione Uomo-IA, Computer Vision, un terzo di queste aziende sono start up.
  • 10% sono società System Integrator;
  • 5% sono società di consulenza.

Le aziende di questo settore sono di medie e grandi dimensioni.

Questa la situazione iniziale, ma ci sono molte aziende che si stanno dotando di laboratori di ricerca sull’Intelligenza Artificiale in Italia. In questo settore le aziende più attive sono quelle che operano nel settore energetico, sicurezza, aerospazio, telecomunicazioni, assicurazioni, banche, cloud e cura della casa e della persona. Questi numeri sono però ancora limitati, infatti non assicurano una crescita sufficiente rispetto a quello che è il mercato attuale. 

Come investono le aziende italiane in nuove tecnologie

Nel 2020 il 53% delle imprese medio grandi italiane dichiaravano di aver intrapreso progetti inerenti l’Intelligenza Artificiale, di queste la maggior parte si occupava di servizi manifatturieri 22%, settore bancario e finanziario 16% e infine, assicurazioni 10%. Solo il 5% di coloro che hanno intrapreso progetti inerenti l’intelligenza artificiale è rappresentato dalla Pubblica Amministrazione, che invece come si può notare nell’ultimo anno ha dovuto accelerare a causa della pandemia.

Il valore del mercato dell’Intelligenza Artificiale in Italia nel 2020 era di 300 milioni di euro, ma questo dato è in forte ripresa rispetto al 2019 quando il valore era il 15% inferiore, si tratta di dati però estremamente sconfortanti se paragonati a quelli del mercato europeo, infatti rappresentano il 3% di questo. Per avere un raffronto basti ricordare che il PIL italiano rappresenta il 12% del PIL europeo, quindi dovremmo avere dati sull’intelligenza artificiale nettamente superiori.

I servizi del mercato dell’Intelligenza Artificiale sono diretti al 77%, per un valore di 230 milioni di euro, ad aziende italiane, mentre il restante 23% è diretto ad aziende estere per un contro valore di 70 milioni di euro. Questo vuol dire che ci sono ancora ampi margini di sviluppo ed è possibile per le aziende già esistenti crescere e per chi si occupa di questo settore è possibile fare nuovi investimenti, quindi dare maggiore copertura al mercato.

Gli investimenti sull’intelligenza artificiale in Italia

Particolarmente ridotti sono gli investimenti che in Italia vengono fatti sull’Intelligenza Artificiale, ad esempio la spesa in Ricerca e Sviluppo in Italia rappresenta solo l’1,45% del Pil, mentre in Spagna il 3,7% e in Francia il 2,19%. Ciò si riflette anche sui dati relativi all’occupazione, infatti il settore offre 5.150 posti di lavoro, mentre in Spagna 8.500, in Francia 6.950 e Gran Bretagna 7.000. Questo vuol dire che investire di più nel settore dell’intelligenza artificiale può sicuramente portare alla creazione di nuovi posti di lavoro.

Non è un problema di formazione perché in Italia i ricercatori potenzialmente ci sono e ci sono anche lavoratori altamente specializzati. Nel 2019 però ci sono stati solo 739 ricercatori nel settore, contro i 2.660 della Spagna, i 2.755 della Francia e 2.974 della Gran Bretagna. Sulle capacità dei nostri ricercatori ci sono pochi dubbi, infatti sono riusciti ad avere 3.374 pubblicazioni con una produttività del 4,57% contro un indice di produttività del 2% della Spagna con soli 5.310 pubblicazioni, 1,2% della Francia con 3.350 pubblicazione. Questo implica che la Francia investe molto di più, impiega più ricercatori, ma ha risultati uguali a quelli dell’Italia e se l’Italia investisse di più sui suoi talenti, potrebbe avere risultati davvero eccellenti, non paragonabili a quelli degli altri Paesi dell’Unione Europea. Visto il numero risicato di ricercatori che abbiamo, l’Italia ha un numero di richieste di brevetti davvero alto, cioè 32.001.

Investimenti e applicazione delle nuove tecnologie

A rallentare l’Italia sono quindi gli scarsi investimenti sia del pubblico sia del privato, mentre i riconoscimenti a livello internazionale per i nostri ricercatori non mancano. I dati negativi della ricerca si ripercuotono sulle aziende, si tratta quindi di un fatto culturale, cioè l’Italia non investe in Intelligenza Artificiale, ma le aziende italiane sono restie anche ad applicare nuove tecnologie, infatti dal report emerge che solo il 35% delle aziende italiane ha adottato soluzioni di intelligenza artificiale, mentre nel resto dell’Unione Europea la media è del 43%. Le aziende italiane hanno collegato tale scarsa propensione al fatto che i costi delle nuove tecnologie sono elevati e allo stesso tempo vi sono pochi finanziamenti e incentivi pubblici al settore. A questo proposito occorre ricordare che il MISE ha stanziato 45 milioni di euro per supportare l’adozione di nuove tecnologie da parte delle aziende.

Considerati questi dati, emerge che il Programma Strategico sull’Intelligenza Artificiale per l’Italia è una sfida sul futuro e un modo per rendere le aziende italiane sempre più internazionali e in grado di reggere alle sfide del futuro incrementando l’occupazione non solo nel settore della ricerca e dello sviluppo di soluzioni tecnologiche evolute, ma anche per far in modo che le PMI adottando le soluzioni di Intelligenza Artificiale possano essere competitive.

Non resta che accogliere le sfide del futuro e per chi è interessato c’è l’approfondimento sul Programma strategico sull’Intelligenza Artificiale: linee guida.

 

 

Programma strategico sull’intelligenza artificiale: linee guida

Sebbene in forte ritardo rispetto agli altri Paesi dell’Unione Europea, anche l’Italia si è dotata di un Piano Strategico sull’Intelligenza Artificiale, lo stesso ha durata triennale 2022-2024. Ecco cosa comporta.

Cos’è il Piano Strategico sull’Intelligenza Artificiale

La prima cosa da fare nel trattare l’argomento è delimitare il campo e quindi capire di cosa si parla quando si fa riferimento all’Intelligenza Artificiale. In base al Piano, la IA consiste in applicazione di “modelli digitali, algoritmi e tecnologie che riproducono la percezione, il ragionamento, l’interazione e l’apprendimento”. Nel piano Strategico si ricorda che nel prossimo futuro l’intelligenza artificiale fornirà il sostegno per una maggiore produttività, sviluppo tecnologico e attività analitiche in tutti i settori.

L’obiettivo di dotarsi di un Piano strategico sull’Intelligenza Artificiale è del 2019, ma nei fatti non è arrivato fino al novembre 2021. Inizialmente doveva lavorare allo stesso solo il MISE, nel tempo sono però stati coinvolti anche altri Ministeri e in particolare quello per la Innovazione Tecnologica e della Transizione Digitale e il Ministero dell’Università e Ricerca.

Il Piano intende:

  1. rafforzare le competenze ed attrarre talenti;
  2. aumentare i finanziamenti per la ricerca (in realtà ad oggi non sono stati ancora correttamente individuati i fondi anche se notevoli risorse potrebbero arrivare dal PNRR che come sappiamo sarà vigente fino al 2026);
  3. incentivare l’adozione dell’Intelligenza Artificiale sia nel settore pubblico sia in quello privato.

Il piano comprende 24 policy suddivise in questo modo:

  • 5 sui talenti e le competenze (policy A);
  • 8 sulla ricerca (policy B e C);
  • 11 sulle applicazioni (policy D e E).

Il programma strategico sull’intelligenza artificiale prevede una cooperazione rafforzata tra i vari dipartimenti universitari e centri di ricerca, mentre si è rinunciato al progetto iniziale che prevedeva la realizzazione di un centro ricerca.

I progetti del Piano stragegico sull’Intelligenza Artificiale

Tra i progetti più importanti vi è la previsione di un aumento dei dottorati di ricerca con l’obiettivo di attrarre in Italia i migliori ricercatori del mondo, naturalmente l’ambito specifico della ricerca è inerente l’intelligenza artificiale, ciò anche al fine di favorire il rientro dei cervelli (Policy C2). Si ricorda che il rientro dei cervelli è favorito anche da un particolare regime fiscale, per conoscere i dettagli leggi l’articolo:

Rientro dei cervelli: agevolazioni fiscali fino a 11 anni dal rientro.

Il programma prevede l’implementazione dei corsi sulle materie STEM (science, technology, engineering and mathematics ) e di rafforzare le competenze digitali. Si punta alla istituzione di nuove cattedre di ricerca sull’intelligenza artificiale e una migliore collaborazione tra mondo accademico e della ricerca, industria, enti pubblici e società. Inoltre sono previste misure volte ad aiutare le aziende nel Piano di Transizione 4.0, le misure sono volte sia ad aiutare le aziende già presenti sul mercato, sia quelle di nuova apertura.

Se vuoi conoscere il Piano di Transizione 4.0 leggi l’articolo: Piano di Transizione 4.0 per Ricerca e Sviluppo: come accedere

Il Piano Strategico IA e la Pubblica Amministrazione

Naturalmente il Piano Strategico sulla Intelligenza Artificiale non poteva trascurare la Pubblica Amministrazione interessata da tante novità negli ultimi anni e alla ricerca di competenze sempre più ad elevata specializzazione. In questo caso le risorse saranno concentrate sullo sviluppo di sistema per la gestione dei Big Data, si tratta di un progetto essenziale, infatti ad oggi circolano in rete dati sensibili e supersensibili, trattati con l’uso delle nuove tecnologie e questo anche grazie a una Pubblica Amministrazione sempre più digitale (Policy E5). Diventa quindi essenziale fare in modo che tutti questi dati siano protetti e allo stesso tempo possano essere conservati correttamente senza particolari problemi.

Un segno del cambio di passo nella Pubblica Amministrazione è nella possibilità di ottenere online i certificati che solitamentei cittadini richiedevano presso il proprio Comune di residenza. Se vuoi conoscere quali puoi avere e come ottenerli, leggi l’articolo:

Certificati anagrafici gratuiti e online dal 15 novembre 2021. Guida

La Pubblica Amministrazione non viene coinvolta nel Piano Strategico sull’Intelligenza artificiale solo in riferimento alla gestione dei big data, ma anche tramite il rafforzamento dell’ecosistema GovTech in Italia che mira a introdurre bandi periodici per supportare le Start Up che decidono di applicare la IA (Policy E2).

Per quanto riguarda la Pubblica Amministrazione nella policy denominata A3 è prevista l’attuazione di tre cicli di dottorato rivolti in modo specifico alle esigenze della Pubblica Amministrazione.

Dottorato Nazionale in Intelligenza Artificiale

Il Piano Strategico sull’Intelligenza Artificiale ha una struttura complessa basata anche sull’istruzione, infatti a supporto di esso è stato creato nel 2021 il Dottorato Nazionale in “Intelligenza Artificiale” (PhD-AI.it) si tratta di uno dei percorsi più complessi a livello mondiale, coinvolge oltre 50 soggetti tra università, enti di ricerca e organizzazioni di ricerca. Si tratta di 5 corsi di dottorato federati, ognuno con un’area di specializzazione diversa:

  1. salute e scienze della vita;
  2. agroalimentare e ambiente;
  3. sicurezza e sicurezza cibernetica;
  4. industria 4.0;
  5. società.

Il dottorato ha già visto l’erogazione di 200 borse di studio con un budget di 16 milioni di euro.

Infine, per coordinare tutte le strategie viene creato il Gruppo di Lavoro Permanente sull’Intelligenza Artificiale.

I Punti deboli del Sistema Italia nell’applicazione della IA

Il Piano Strategico sull’Intelligenza Artificiale elenca anche quelli che sono considerati i punti deboli del Sistema Italia. In particolare si ricorda che vi è un’eccessiva frammentarietà della ricerca, una incapacità di attrarre talenti, su questo punto si ribadisce che in Italia vi è un’adeguata capacità di formare nuovi talenti, ma vi è una difficoltà ad attrarre talenti dall’estero e a trattenere i giovani ricercatori italiani.

Viene sottolineato anche il significativo divario di genere, infatti solo il 19,6% dei ricercatori di IA sono donne. Su questo specifico punto è possibile leggere l’articolo:

Imprenditoria femminile e gender gap digitale nell’industria 4.0.

Infine, il documento ribadisce che in Italia vi è una limitata capacità di registrare brevetti.

Nel Piano Strategico sull’intelligenza artificiale non mancano criticità, la più importante è lo scarso coinvolgimento delle PMI nello stesso. Il Piano Strategico sull’Intelligenza Artificiale, infatti per essere realmente efficiente deve essere attuato a tutti i livelli e in particolare in seno alle Piccole e Medie Imprese che più di altre realtà possono trovare giovamento nell’applicazione di nuovi strumenti, applicativi, protocolli di produzione. Il coinvolgimento doveva riguardare soprattutto l’aspetto della formazione in modo da rendere più semplice l’innovazione da parte delle aziende.

Un altro punto critico sono le risorse, infatti il documento nella parte finale individua i finanziamenti, ma si tratta di “possibili finanziamenti” quindi si individuano dei capitoli all’interno del PNRR, ma di fatto ancora non c’è nulla di concreto.

Piano di Transizione 4.0 per Ricerca e Sviluppo: come accedere ai fondi

La legge di bilancio 2022 rinnova fino a dicembre 2025 i crediti di imposta riconosciuti per l’acquisto di beni materiali e immateriali. Gli investimenti devono essere finalizzati a introdurre innovazioni, nuove tecnologie e per favorire la transizione delle aziende verso modelli più virtuosi anche dal punto di vista ecologico. Si tratta di varie tipologie di aiuto sotto forma di agevolazioni per l’accesso al credito e il riconoscimento di credito di imposta e che rientrano in quello che viene denominato Piano di Transizione 4.0.

Il Piano di Transizione 4.0

Il Piano di Transizione messo a punto dal Ministero per lo Sviluppo Economico sostituisce i precedenti piano Impresa 4.0 e piano Industry 4.0, ma in realtà ci sono poche innovazioni rispetto alle misure concrete messe a punto. La prima considerazione da fare riguarda gli importi, infatti questi per il 2022 risultano ridotti.

Per il 2022 sarà possibile recuperare sotto forma di credito di imposta per investimenti in beni materiali:

  • il 40% degli investimenti fino a 2,5 milioni di euro;
  • 20% per la fascia di investimenti in beni materiali di valore compreso tra 2,5 milioni di euro e 10 milioni di euro;
  • 10% nella fascia tra 10 milioni di euro e 20 milioni di euro.

Diverse sono le percentuali riconosciute per l’acquisto di beni immateriali. Per il 2022 e il 2023 l’aliquota di credito di imposta che si può ottenere è fissata al 20%, mentre per il 2024 è prevista una riduzione al 15% e per il 2025 una riduzione ulteriore al 10%.

Deve essere ricordato che gli acquisti vanno effettuati entro il mese di dicembre 2025, ma le consegne possono avvenire entro il mese di giugno del 2026.

Tra le misure che rientrano nel Piano Transizione 4.0 c’è anche la legge “Nuova Sabatini”, ma anche in questo caso è prevista una riduzione degli importi, infatti i fondi previsti sono 900 milioni di euro fino al 2027. La Nuova Sabatini prevede incentivi per l’acquisto di macchinari di nuova generazione, gli stessi sono rivolti a PMI.

Piano di Transizione 4.0: ricerca e sviluppo

Tra le misure previste per il Piano di Transizione 4.0 vi è anche un’importante svolta, infatti si possono ottenere agevolazioni e incentivi anche per la ricerca e lo sviluppo. L’obiettivo è sostenere la competitività delle aziende attraverso la ricerca, l’innovazione tecnologica e il design.

Qui la legge di bilancio 2022 prevede un sostanzioso aiuto e soprattutto dilazionato nel tempo. In particolare il Credito d’imposta per ricerca & sviluppo, innovazione e design viene rinnovato per 10 anni, fino al 2031. Le aliquote per il 2022 restano invariate rispetto al 2021 e sono:

  • 20% per ricerca e sviluppo di valore fino a 4 milioni di euro;
  • 10% per innovazione o design e ideazione estetica con costi fino 2 milioni
  • 15% per interventi volti alla transizione ecologica e con importo massimo fino a 2 milioni di euro.

Per gli anni successivi rispetto al 2022 abbiamo una riduzione, in particolare l’aliquota approvata è del:

  • 10% per ricerca e sviluppo, ma in questo caso con massimale fino a 10 milioni di euro;
  • 5% per innovazione, design ed estetica con massimale di 2 milioni di euro;
  • 10% per investimenti in ricerca per la transizione ecologica con massimale di 4 milioni di euro.

Il Ministero per lo Sviluppo Economico subordina la fruizione di questo aiuto al rispetto delle normative in materia di sicurezza sul luogo di lavoro e al corretto adempimento di tutti gli obblighi inerenti i contributi previdenziali e assistenziali nei confronti dei lavoratori. Tale aiuto è inoltre rivolto a tutte le imprese, senza limiti inerenti le dimensioni delle stesse. Non si fa quindi la distinzione tra PMI e Grandi Imprese e indipendentemente dal regime fiscale attuato. Sul sito è possibile trovare un’ampia trattazione della materia sicurezza e sugli obblighi inerenti il datore di lavoro e il lavoratore. Ad esempio:

Imprese: datore di lavoro deve convocare la riunione sulla sicurezza

La Sorveglianza Sanitaria Obbligatoria per la sicurezza sul luogo di lavoro

Spese comprese nel Piano di Transizione 4.0 per ricerca e sviluppo

Le spese che possono essere considerate relative a Ricerca e Sviluppo sono diverse. Precisa il Ministero per lo Sviluppo Economico che si può godere del credito di imposta per:

  • spese per il personale, in particolare si tratta di ricercatori e tecnici con rapporto di lavoro subordinato o autonomo impiegati in lavoro di ricerca e sviluppo;
  • quote di ammortamento e spese di locazione, spese relative a materiali mobili e software utilizzati per condurre progetti di ricerca e sviluppo;
  • spese per contratti di ricerca extra muros (ad esempio nel caso in cui la ricerca venga commissionata a laboratori indipendenti);
  • quote di ammortamento per l’acquisto di licenze, privative industriali relative a invenzioni industriali o biotecnologiche, semiconduttori, nuove varietà vegetali;
  • spese relative a consulenze (sempre nell’ambito della ricerca e dello sviluppo);
  • spese per materiali utilizzati nella ricerca.

Piano di Transizione 4.0 per design ed estetica

Si è detto che il piano di Transizione 4.0 avente ad oggetto ricerca e sviluppo può trattare anche di design ed estetica. Per sviluppo di design ed estetica si intende l’attività di ricerca volta ad innovare i prodotti dal punto di vista della forma, dell’aspetto, ad esempio colori, struttura, ornamenti) . Non ha ad oggetto aspetti funzionali dei prodotti. Anche in questo caso il credito di imposta può essere usato per spese relative a personale, contratti di ricerca extra muros, acquisto di materiali per la ricerca, consulenze e canoni di locazione.

Ricordiamo che quando si parla di credito di imposta vuol dire che chi investe ottiene un credito da utilizzare per ridurre gli importi delle imposte dovute. Per poter utilizzare il credito di imposta, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che è necessario utilizzare il modello F24 . Le aziende per poter accedere alle varie misure indicate devono naturalmente dimostrare le spese effettuate, inoltre devono fornire un relazione tecnica che indichi finalità, contenuti e risultati delle attività svolte.

Bandi Pnrr Ricerca e Università per le imprese: ecco quelli in uscita nel 2021 e 2022

Già in uscita i bandi per la Ricerca e l’Università dal Piano nazionale per la ripresa e la resilienza (Pnrr). Nell’ultima parte del 2021 sono attesi quattro avvisi per uno stanziamento di fondi pari a 4,5 miliardi di euro. Il cronoprogramma dei bandi segnerà ulteriori date di uscita nel corso di tutto il 2022.

Bandi Ricerca e Università Pnrr, perché interessano le imprese del privato?

I bandi della Ricerca e dell’Università che usciranno nell’ambito degli interventi del Pnrr saranno aperti a soggetti pubblici e privati. Il che significa che le imprese potranno agire in partenariato con i soggetti pubblici nella realizzazione dei progetti previsti dai bandi stessi. Si tratta di una sinergia tra settore pubblico e imprese del privato che punta a una ricaduta, anche se non diretta, sulle realtà aziendali. La stima è di 45-50 progetti che includeranno la partecipazione delle imprese private.

Come possono partecipare le imprese privati ai bandi del Pnrr Ricerca e Università?

La modalità con la quale le imprese saranno chiamate a partecipare ai bandi in uscita su Ricerca e Università saranno diverse a seconda del tipo di intervento. Per i bandi che prevedano la realizzazione delle infrastrutture di ricerca, le imprese potranno unirsi in consorzi. In quelli inerenti l’innovazione l’obiettivo è, invece, quello di costituire dei poli nei quali le aziende possano partecipare alle attività di ricerca insieme alle università e ai centri di ricerca stessa. Il contributo che le imprese daranno agli ambiti potrà essere finanziato fino al 49% dei costi di esercizio, compresi quelli del personale.

Bandi in arrivo di Ricerca e Università del Piano nazionale di ripresa e di resilienza: quali a dicembre 2021?

Dei bandi in uscita a dicembre sulla Ricerca e Università, quello più corposo riguarda la misura M4 C2 dei centri nazionali. L’importo totale delle risorse messe in campo dal Pnrr è di 1,6 miliardi di euro. Le imprese potranno partecipare in partenariato con enti pubblici e con atenei. Cinque sono gli ambiti di intervento di questa misura:

  • la simulazione, il calcolo e l’analisi dei dati ad alte prestazioni;
  • l’agritech;
  • lo sviluppo della terapia genica e farmaci con tecnologia a Rna;
  • la mobilità sostenibile;
  • la biodiversità.

Bandi in uscita a dicembre su ecosistemi, infrastrutture, Ricerca e innovazione nell’ambito del Pnrr

Il secondo bando del Pnrr relativo all’ambito della Ricerca e dell’Università è quello relativo alla misura M4 C2 denominata “Ecosistemi innovazione“. In tutto le risorse stanziate dal Pnrr sono pari a 1,3 miliardi di euro. Il bando mirerà alla creazione di 12 nuovi ecosistemi italiani. Il terzo bando, rientrante nella misura M4 C4, riguarderà le infrastrutture di ricerca per 1,08 miliardi di euro. Infine, l’ultimo bando di dicembre 2021 sarà quello delle innovazioni (misura M4 C2) per 500 milioni di euro. Per questi ultimi due bandi è prevista la creazione di circa 30 nuove infrastrutture.

Obiettivo parità di genere nei bandi Ricerca e Università di dicembre 2021

Tra gli obiettivi dichiarati dei bandi in uscita a dicembre 2021 sulla Ricerca e sull’Università vi è quello della parità di genere. Il 40% delle misure spetterà, infatti, alle ricercatrici. Gli stessi enti che si candideranno dovranno adottare un programma di azioni per valorizzare la parità di genere.

Bando per gli alloggi degli studenti: i bandi in arrivo

Nell’ambito del diritto allo studio arriverà anche un bando per il potenziamento degli alloggi per gli studenti. Si tratta di un bando ibrido, cioè finanziato in parte con programmi europei e in parte con risorse dello Stato italiano. In tutto le risorse che verranno stanziate per gli alloggi degli studenti sono pari a 407 milioni di euro.

Bandi Università e Ricerca con partecipazione delle imprese: quali quelli previsti per il 2022 dal Pnrr?

Il cronoprogramma della Ricerca e dell’Università previsto per il 2022 nell’ambito degli interventi del Piano nazionale di ripresa e di resilienza rimanda a marzo prossimo l’uscita di due bandi per un valore totale di circa 1,75 miliardi di euro. Nel dettaglio, si tratta della misura M4 C2 dei “Partenariati estesi” per 1,61 miliardi di euro nella quale i privati dovranno avviare, in partenariato con gli enti pubblici, almeno 10 dei 16 progetti previsti.

Quali sono gli ambiti di intervento del Pnrr con il bando Partenariati estesi?

Nel dettaglio, il bando relativo ai Partenariati estesi del Pnrr tratterà gli ambiti elencati:

  • l’intelligenza artificiale;
  • i rischi ambientali, naturali e antropici;
  • gli scenari energetici del futuro;
  • la cultura umanistica e il patrimonio culturale;
  • le scienze e le tecnologie quantistiche;
  • la cybersecurity;
  • la diagnostica e le terapie innovative della medicina di precisione;
  • le conseguenze e le sfide dell’invecchiamento;
  • le nuove tecnologie e la tutela dei diritti;
  • i modelli per l’alimentazione sostenibile;
  • la sostenibilità economica e finanziaria dei sistemi e dei territori;
  • le neuroscienze e la neurofarmacologia;
  • il Made in Italy circolare e sostenibile;
  • le telecomunicazioni del futuro;
  • le malattie infettive emergenti;
  • le attività spaziali.

Gli altri bandi del Pnrr Ricerca e Università previsti per il 2022

Sempre a marzo è prevista l’uscita del bando del Pnrr Ricerca e Università inerente i dottorati nella Pubblica amministrazione e nei beni culturali. La misura prevista è quella relativa alla M4 Ci inerente “Phd per Ricerca, Pa e patrimonio culturale” che stanzierà 144 milioni di euro. A maggio uscirà il bando della misura M4 C2 “Phd innovativi per l’impresa“, con uno stanziamento di 200 milioni di euro. Si tratta essenzialmente di dottorati di ricerca innovativi. Oltre 173 milioni di euro verranno stanziati a giugno 2022 per il bando del Fondo Italiano Scienza (Fis).

Bandi di dicembre 2022 del Pnrr Ricerca e Università

Alla fine del 2022 sono previsti bandi che andranno soprattutto a favore di studenti e giovani ricercatori. Tra un anno, infatti, è atteso il bando Prin (Progetti di Ricerca di Interesse Nazionale) per complessivi 368 milioni di euro. Nello stesso mese usciranno i bandi per gli alloggi degli studenti (misura M4 C1) per 660 milioni di euro e il bando dei progetti presentati da giovani ricercatori (misura M4 C2) per complessivi 600 milioni di euro.

Fondi per le imprese che investono in innovazione

Direttamente dal Programma operativo del Fondo di sviluppo regionale, e rimodulata dalla giunta della Regione Toscana, arrivano nuove risorse per le imprese che vogliono investire in ricerca ed innovazione, ma anche in infrastrutture e trasferimento tecnologico.

Per rispondere in maniera più efficace alle esigenze delle imprese toscane, è stato presentato il Por Creo 2007-2013, il programma operativo che declina in chiave toscana obiettivi e risorse del Fesr, con una dotazione finanziaria che ammonta complessivamente a 1.126 milioni di euro, e che nella prima fase ha già conseguito ottime performance.

A presentare l’iniziativa è stato Gianfranco Simoncini, assessore alle attività produttive: “Il Fesr si conferma una leva fondamentale per lo sviluppo e per questo ci siamo posti per i prossimi anni il problema di adeguare il programma e modificare il piano finanziario per reperire risorse aggiuntive da destinare alle imprese toscane, aiutarle a uscire più forti dalla crisi e creare le premesse per un salto di qualità del sistema produttivo nel suo insieme, consentendo la creazione di nuova e qualificata occupazione. Gli interventi che si vanno a rafforzare sono quelli dedicati al sostegno per imprese, favorendo, in particolare, i processi di aggregazione, garantendo gli strumenti di ingegneria finanziaria, incentivando la diffusione della ricerca e dell’innovazione“.

Particolare attenzione è data agli interventi strategici relativi a progetti di ricerca e sviluppo, con una rimodulazione delle risorse destinate alle infrastrutture, con lo scopo di potenziare quelle essenziali e cancellare quelle dall’attuazione lenta e macchinosa, oppure quelle ritenute superflue.

Vera MORETTI

Bando ministeriale per pmi

Le pmi che investono in Innovazione, Ricerca e Sviluppo stanno per ricevere, tramite bando ministeriale, i primi 300 milioni che serviranno a finanziare i progetti proposti.

Per essere finanziate, le proposte devono essere “di rilevanza strategica per il sistema produttivo e la competitività delle PMI”.
Il 60% delle risorse, pari a 160 milioni di euro, sono destinate a progetti proposti da microimprese, mentre il 25%, pari in questo caso a 40 milioni, andrà alle micro e piccole imprese.

Ad essere ammessi al bando:

  • Imprese che svolgono attività industriale per la produzione di beni o servizi;
  • Imprese di trasporto;
  • Imprese agroindustriali che svolgono prevalentemente attività industriale;
  • Imprese artigiane di produzione di beni;
  • Centri di ricerca con personalità giuridica;
  • Organismi di ricerca, limitatamente ai progetti congiunti.

I progetti congiunti devono essere “realizzati mediante il ricorso allo strumento del contratto di rete o altre forme contrattuali di collaborazione, come ad esempio il consorzio e l’accordo di partenariato”. Questi strumenti devono “configurare una collaborazione effettiva, stabile e coerente rispetto all’articolazione delle attività, espressamente finalizzata alla realizzazione del progetto proposto”.

Il contratto deve prevedere:
suddivisione di competenze, costi e spese a carico di ciascun partecipante;
definizione degli aspetti relativi a proprietà, utilizzo e diffusione dei risultati del progetto;
individuazione del soggetto capofila, con mandato di rappresentanza per i rapporti con il Ministero;
clausola con cui le parti, nei casi di recesso o esclusione di uno dei partecipanti o di risoluzione contrattuale, si impegnano alla completa realizzazione del progetto, con ripartizione di attività e costi tra gli altri soggetti e ricorrendo, se necessario, a servizi di consulenza.

Inoltre, le imprese devono avere sede stabile in Italia, e di conseguenza essere iscritte nel Registro delle Imprese, senza procedure concorsuali in atto e trovarsi in regime di contabilità ordinaria. Inoltre, non si deve trattare di imprese che hanno prima ricevuto e poi non rimborsato o depositato in un conto bloccato gli aiuti individuati quali illegali o incompatibili dalla Commissione europea, in regola con la restituzione di somme dovute in relazione a provvedimenti di revoca di agevolazioni concesse dal Ministero, non trovarsi in condizioni tali da risultare impresa in difficoltà così come individuata nel Regolamento GBER.

I progetti, per essere ammessi, devono riguardare attività di “ricerca industriale e di sviluppo sperimentale” finalizzate alla realizzazione di nuovi prodotti, processi o servizi oppure al notevole miglioramento di prodotti, processi o servizi esistenti tramite lo sviluppo di una serie di tecnologie quali: ICT, nanotecnologie, materiali avanzati, biotecnologie, fabbricazione e trasformazione avanzate, tecnologie spaziali, tecnologie volte a realizzare gli obiettivi sociali di Horizon 2020.

Per quanto riguarda la durata del progetto, deve essere compresa tra i 18 e i 36 mesi ed un’eventuale proroga deve essere concessa al ministero, purchè la richiesta sia motivata. Deve essere avviato dopo aver fatto domanda di agevolazione e comunque entro tre mesi dalla concessione delle stesse.
La data di avvio del progetto corrisponde a quella della prima spesa ammissibile oppure a quella dell’inizio dell’attività del personale e deve essere obbligatoriamente comunicata al soggetto gestore entro 30 giorni.

Il costo, invece, deve essere compreso tra 800mila e 3 milioni di euro mentre le spese ammissibili sono quelle destinate a dipendenti collaboratori, ma non personale amministrativo-contabile, ma anche quelle spese per strumenti ed attrezzature di nuova fabbricazione, ma limitatamente al periodo del progetto. Ammissibili anche spese per servizi di consulenza e generalmente utilizzate per il progetto di ricerca.

Il finanziamento ha durata massima di 8 anni, oltre ad un successivo preammortamento di 3 anni. L’erogazione può avvenire al massimo in 5 rate, con l’ultima a saldo totale e pari almeno al 10%.

A seconda della dimensione delle imprese, cambia la percentuale delle spese agevolate:

  • 70% delle spese per le piccole imprese,
  • 60% per le medie imprese,
  • 50% per le grandi imprese,
  • 25% per gli organismi di ricerca.

Vera MORETTI

Dalla Legge di Stabilità, fondi per Ricerca e Sviluppo

Tra i provvedimenti previsti dalla Legge di Stabilità, ce n’è uno che riguarda l’istituzione di un Fondo per il sostegno ai Programmi di Ricerca e Sviluppo.
Sono previsti, infatti, incentivi alle imprese che investono in R&S sottoforma di credito d’imposta ed esenzione IRAP per determinati soggetti e riduzione del cuneo fiscale ovvero della differenza tra quanto corrisposto dal datore di lavoro e quanto percepito dal lavoratore.

A beneficiarne saranno le aziende che realizzeranno gli investimenti ma anche quelle che si rivolgeranno a strutture di ricerca.
Sarà il Ministero dello Sviluppo Economico a decidere le modalità di applicazione degli incentivi e la selezione di coloro che potranno accedervi, oltre a stabilire l’ammontare del contributo.
Unica cosa certa è che una corsia preferenziale verrà riservata alle piccole e medie imprese.

Le spese finanziabili sono quelli relativi al personale di ricerca, ma anche riguardanti competenze tecniche, brevetti, servizi di consulenza, spese generali, costi legati a materiali e prodotti necessari per l’implementazione del progetto di ricerca e sviluppo.

In continuità rispetto a quanto stabilito dalle precedenti versioni del Fondo, sono agevolate le attività previste dalla normativa UE divise in tre macro-aree:

  • Ricerca fondamentale: lavori sperimentali o teorici volti all’acquisizione di nuove conoscenze sui fondamenti di fenomeni e fatti osservabili, senza applicazioni o usi pratici diretti.
  • Ricerca industriale: ricerca e indagini per acquisire conoscenze per mettere a punto nuovi prodotti, processi o servizi, migliorare quelli esistenti o creare componenti di sistemi complessi ai fini di ricerca industriale (esclusi i prototipi); acquisizione, combinazione, strutturazione e uso di conoscenze e capacità esistenti di natura scientifica, tecnologica e commerciale allo scopo di produrre piani, progetti o disegni per prodotti, processi o servizi nuovi, modificati o migliorati; attività destinate alla definizione concettuale, pianificazione e documentazione concernenti nuovi prodotti, processi e servizi (compresa elaborazione di progetti, disegni, piani e altra documentazione, purché non destinati ad uso commerciale).
  • Sviluppo sperimentale: realizzazione di prototipi utilizzabili per scopi commerciali e di progetti pilota destinati ad esperimenti tecnologici o commerciali, quando il prototipo è necessariamente il prodotto commerciale finale e il suo costo di fabbricazione è troppo elevato per poterlo usare soltanto a fini di dimostrazione e di convalida.

Vera MORETTI

Nasce Innovitalia, il social network dei cervelli

I social network sbarcano anche al Governo, tanto da essere promossi addirittura dai Ministeri degli Affari Esteri e Istruzione, Università e Ricerca.
Ma se state pensando a Facebook o a Twitter, vi sbagliate.

Niente cinguettii o richieste di amicizia per coloro che si trovano “nella stanza dei bottoni” ma piuttosto, uno scambio di informazioni tra aziende e mondo della ricerca, con innovazione ed internazionalizzazione come principali obiettivi.
La nuova piattaforma sociale, promossa appunto dai ministri, si chiama Innovitalia e ambisce a diventare il “Facebook dei cervelli”.

Questo nuovo social vuole valorizzare il capitale umano, culturale e professionale dei ricercatori italiani nel mondo, considerato punto di partenza per una importante partnership tra mondo della ricerca e impresa.

Inoltre, Innovitalia suggerisce aree di collaborazione per mettere in contatto l’Italia e l’Estero, anche e soprattutto per dare vita a start up innovative, o per il finanziamento di esse.
Questa nuova piattaforma offre una serie di forum, distinti a seconda tematiche affrontate, oltre ad una banca dati e una sezione dedicata a eventi, convegni, manifestazioni, programmi e opportunità professionali offerte nel settore scientifico.

Vera MORETTI

Mercato dell’Ict in calo, la parola d’ordine è innovazione

 

Il mercato italiano dell’Ict ha segnato un calo nelle vendite significativo nel 2011: per quanto riguarda le sue componenti tradizionali (hardware, software e servizi) la contrazione è stata del 3,6% rispetto al 2010, mentre sul versate It si è passati dal – 1,4% di fine 2010 al -4,1% (Tlc da – 3,0% a -3,4%) del 2011. Nel dettaglio sono stati venduti 4.559 milioni di euro di hardware (- 9%), su cui ha pesato il calo nelle vendite di PC (6.370.000, -16,2%), non compensato dal boom dei tablet (858.000 pezzi, +100,2%), mentre il software ha dato prova di maggior tenuta (4.226 milioni di euro, 1%).

I dati sono il frutto del 43mo Rapporto Assinform relativo alle performance del settore Ict nel 2011: “a fronte di un aumento medio mondiale della domanda di Ict di + 4,4%, questi risultati mettono in luce in modo drammatico le difficoltà di ripresa della nostra economia, che fa ancora troppa, estrema, fatica ad agganciarsi all’innovazione digitale come motore della crescita” ha sottolineato Paolo Angelucci, presidente di Assinform.

I trend mondiali parlano chiaro: nel resto del mondo l’informatica è salita del 2,4% e le Tlc del 5,7% nel 2011; il mercato trainante resta quello degli Usa con l’It a +3,1% (+ 5,1 nel 2010) e la Germania con + 2,3% (+ 2,6% nel 2010). Fanalino di coda in Europa la Spagna con – 5,3%. E’ importante sottolineare però che, a differenza dell’Italia, il rapporto Spesa It/Pil nel 2011 nei Paesi sopracitati è stato molto più elevato (Usa 4,2%, Francia 3,4%, Germania e Uk 3,3%), mentre l’Italia, come la Spagna, si è fermato all’1,8%. La forbice tra innovazione e Italia si va allargando, diventando sempre più ampia.

Veniamo al 2012: nel primo trimestre il mercato delle telecomunicazioni ha totalizzato 9.960 milioni di euro, con un calo del 3,1% rispetto al 2011, mentre quello dell’IT è arrivato a quota 4.085 milioni di euro, segnando una contrazione del 3,4%, per un mercato complessivo dell’ICT pari a 14.045 milioni, in calo del 3,2%. Le previsioni per il 2012 parlano di un business complessivo pari a 56.599 milioni (-2,5%) con la componente telecomunicazioni a 39.530 milioni (-2,1%) e la componente IT a 17.119 milioni (-3, 1%).

Se il calo sembra contrarsi, a ciò si aggiunge una buona notizia, almeno secondo Paolo Angelucci, presidente di Assinform: “al calo della domanda Ict tradizionale, si sta contrapponendo l’emersione di un nuovo perimetro del mercato digitale, che tende ad ampliarsi in virtù della crescita delle componenti più innovative, legate alla penetrazione del web, allo sviluppo del cloud, all’Internet delle cose, all’uso di tablet, e-reader e smartphone”. Si tratta di un settore che è il frutto della convergenza fra tecnologie informatiche e di telecomunicazione, e che nel solo 2011 è stato di 69.313 milioni di euro, con un trend negativo più attenuato, dell’ordine di – 2,2 % rispetto al 2010.

Un nuovo trend in grado di compensare le perdite subite dal mercato tradizionale dell’Ict? Sembra proprio di si: “se il 2012 vedrà, secondo le nostre previsioni, un trend delle componenti tradizionali dell’Ict ancora in discesa, anche se con velocità attenuata, dell’ordine di – 2,5% , con le Tlc a -3,1% e l’It a -2,1%, prevediamo una crescita delle componenti innovative di +6,7% continua Angelucci.

Puntare su ricerca, sviluppo e innovazione sembra l’unica soluzione per salvare il mercato: rifocalizzarsi sugli asset innovativi e rimodellarsi in maniera efficiente su quelli tradizionali; crescere dimensionalmente sfruttando tutti gli strumenti a disposizione, innanzitutto capitale di rischio e reti d’imprese, investire massicciamente in Ricerca e Sviluppo. E a proposito di Agenda Digitale e Riforme dello Stato Angelucci sottolinea come sia necessario agire su latri 5 fronti:

  • risolvere il credit crunch: per le imprese It è fondamentale, perché essendo labour intensive sono particolarmente esposte alle problematiche finanziarie
  • riforma del lavoro: non deve essere piu “tossica” dell’attuale dell’art.18 bloccando la capacità di affrontare le sfide che pone il Global Digital Market
  • appalti: è indispensabile rivisitare la materia per l’It, eliminando le gare al massimo ribasso e rispettando i tempi di pagamento
  • riformare l’in-house per eliminare distorsioni di mercato e rivitalizzare la concorrenza nell’informatica pubblica
  • introduzione del Chapter 11 italiano per permettere la ristrutturazione delle imprese

L’Italia vive ancora in una dimensione di arretratezza dal punto di vista dell’utilizzo delle tecnologie informatiche, e questo colpisce anche le piccole e medie aziende che molto spesso puntano troppo poco a innovazione e imprese digitali. Per fare qualche esempio, nel nostro Paese le imprese italiane che acquistano on-line sono meno del 20%, contro la media europea del 30%, e ancora, è bassissimo il numero delle aziende che vendono on-line, raggiungendo valori del 2%, contro il 12-13% europeo. Colpa degli acquirenti? La popolazione italiana che usa spesso Internet non supera il 54%, mentre in Europa va oltre 71%), e fra questi, la popolazione che acquista on-line è meno del 15% (Europa 40%), senza dimenticare che le famiglie italiane con accesso alla banda larga sono poco più del 53%.

Parole d’ordine: investire e innovare. Magari dandosi appuntamento al Salone Smau 2012, in programma dal 17 al 19 ottobre a FieraMilanoCity, per fare il punto all’information e communication technology.

VIENI A SMAU 2012: INFOIVA TI REGALA L’INGRESSO

Alessia CASIRAGHI