“Rinviare la Tares? Un palliativo”

di Davide PASSONI

La Tares è il nuovo spettro fiscale per imprese e privati, inutile negarlo. E intorno alla nuova tassa sui rifiuti si è scatenato più di un polverone, tanto che la maggiorazione sulla tassa sui rifiuti è stata rimandata a dicembre e non con la prima rata prevista a maggio, che rimarrà invariata. Ma che cosa pensa chi con questa tassa avrà una pesantissima mazzata? Lo abbiamo chiesto a Lino Stoppani, presidente di Fipe.

Quanto vi lasciano soddisfatti le nuove scadenze che si vanno delineando per la Tares?
L’applicazione differita della Tares è un palliativo, visto il livello degli incrementi rispetto all’Imu. Significa solo rinviare un grande problema, che almeno impedisce un ingorgo fiscale pesantissimo con l’acconto Imu e l’aumento dell’Iva. Per cui piuttosto che niente meglio piuttosto, ma continuiamo a ritenere la Tares eccessivamente onerosa se considerata in rapporto alle tasse che sostituisce; è una soddisfazione per chi ha sempre chiesto il rinvio, speriamo che questo possa servire anche a rivederla dal profondo.

Era proprio necessario, a vostro avviso, il passaggio dalla Tarsu alla Tares?
Lo smaltimento rifiuti e la salvaguardia dell’ambiente sono grandi problemi, ma non possono sempre scaricarsi sulle tasche di aziende e famiglie, lo Stato deve avere l’intelligenza e la capacità di organizzarsi in altro modo per non aggravare una pressione fiscale già insostenibile.

E quindi?
Siamo produttori di rifiuti a tutti i livelli, è innegabile. E questa produzione è cresciuta nel tempo grazie al moltiplicarsi e al diversificarsi degli imballaggi, che pesano sui costi di smaltimento. Questo ha creato grandi investimenti e anche grandi problemi, tanto che la Tares dovrebbe servire anche a trovare soluzioni per questo problema. Prima si era pensato di legare l’importo della tassa agli effettivi consumi e “ingombri” del soggetto che produce i rifiuti; oggi si va per metri quadri disponibili, numeri di persone che compongono la famiglia, tipologia produttiva dell’azienda o dell’esercizio commerciale… Insomma, penso che la Tares porterà sollievo allo Stato ma disagi e costi aggiuntivi a famiglie e aziende.

Quali sono le preoccupazioni che, come Fipe, raccogliete dai vostri associati riguardo a questa nuova tassa?
C’è grande preoccupazione da parte dei nostri associati, sia sul lato imprenditoriale sia su quello dei bilanci familiari, loro e dei loro clienti.

Le stime di rincari nel passaggio Tarsu-Tares fatte per alcune tipologie di esercizi non rischiano di creare allarmismo eccessivo?
Per gli esercizi commerciali si ragiona di cifre importanti, le stime di Confcommercio parlano chiaro: una media del 60% in più per la maggior parte degli esercizi commerciali al dettaglio, con picchi per attività tipo ristoranti, +550%, bar, +70%, stazioni di servizio +170%.

Troppo…
Le cose vanno fatte con gradualità e, soprattutto, non gravando sempre sulle tasche dei cittadini e sui bilanci delle imprese.

A suo avviso, in generale, la tassa sui rifiuti urbani – indubbiamente alta – è compensata da una qualità del servizio di pari livello?
C’è ancora molto da fare, basti pensare alle emergenze periodiche che si ripropongono in varie città italiane. Sono molti i problemi non ancora risolti legati allo smaltimento dei rifiuti, perché ci sono resistenze, pregiudizi e cattiva informazione. Siamo molto indietro anche in termini di educazione, che parte dalla famiglia, da una corretta gestione della raccolta differenziata e da tutto il resto.

Quindi paghiamo per un servizio non all’altezza?
Anche in città come Milano – parlo della mia città -, un servizio di raccolta rifiuti puntuale, efficiente e ben erogato merita di essere pagato anche a prezzi superiori agli attuali, ma con questi livello di applicazione, quando si parla di maggiorazioni di 4 o 5 volte l’importo attuale, si sono superati tutti i limiti di sopportabilità economica.

Come Fipe avete intenzione di intraprendere delle iniziative specifiche?
Ci siamo già attivati con le osserazioni di cui sopra sui tavoli del ministero dell’Ambiente e con il governo. Abbiamo avuto risposte deludenti, o perché ci hanno detto che ci sono vincoli di bilancio, o perché sono state ricevute direttive dall’Europa…

Conclusione?
Ci troveremo, dopo l’Imu, anche la Tares e che pagherà sarà, alla fine, sempre il cliente. Se, come esercizio pubblico, vedo aumentare i costi, devo aumentare anche i prezzi finali al cliente. Già facciamo fatica adesso: comprimere ulteriormente la capacità di spesa dei consumatori e aumentare una situazione fiscale già a livelli mai visti sono azioni che fanno bene alle casse dello Stato ma non al Paese.

Per gli italiani la Pasqua è low cost

Il turismo, in profonda crisi già dall’estate scorsa, non si risolleverà con le imminenti vacanze pasquali: complice il meteo, che continua a prevedere freddo e maltempo, e la crisi economica, gli italiani non hanno la voglia, né le possibilità, di “staccare la spina” e organizzare un viaggio.
Ma, in questo caso, contrariamente ai trend che avevano caratterizzato le scorse vacanze, compresi Natale Capodanno e ponti, quando almeno i ristoranti avevano registrato buone entrate, la Pasqua 2013 sarà all’insegna dell’austerity anche per il settore della ristorazione.

I viaggiatori italiani sono in calo del 20%, mentre i turisti stranieri rimangono stabili, con dati molto simili al 2012.
E se a gioire sono le città d’arte, con Roma, Firenze e Venezia in testa, le località minori sono molto lontane dal registrare il sold out. In alcuni casi, anzi, la percentuale di stanze vuote tocca il 50%.
Insomma, ancora una volta gli imprenditori del turismo rimarranno a bocca asciutta e, per il riscatto, dovranno aspettare, e sperare, ancora un (bel) po’.

Ma molti addetti ai lavoro si sono stancati di attendere una rirpesa che non sembra arrivare mai e, infatti, nei primi due mesi del 2013, secondo i dati dell’Osservatorio Confesercenti, sono state registrate chiusure pari a 4.700 unità, ripartite tra alloggi e ristorazione.

Le percentuali degli italiani in partenza fanno calare anche il fatturato, in flessione da un minimo del 30% a un massimo del 40%. La spesa media per il viaggio di Pasqua, quest’anno, si aggira intorno alle 300-400 euro per una vacanza di 4-5 giorni e di 200-300 euro per quella di tre giorni. Le famiglie interessate a una settimana di vacanza in mete a lungo raggio spenderanno fino a 8000 euro.
Ma dove andranno i fortunati che possono permettersi una vacanza? Tra le scelte crescono Messico e Namibia, mentre le grandi capitali sono state battute dalle offerte low cost ed alternative.
Una delle proposte che sta riscuotendo maggiore successo è il 2×1 delle Crociere: con 399 euro si parte, alla faccia della crisi e delle spese folli.

Per quanto riguarda il turismo in entrata, il calo previsto varia dal 10 al 15%, con una spaccatura dal punto di vista delle mete: tengono le città d’arte mentre molte località balneari e prettamente turistiche, abituate ad inaugurare la stagione proprio a Pasqua, si sono viste costrette a rimandare l’apertura.

Vera MORETTI

Insalate Italiane, fast food del benessere

La pausa pranzo, si sa, deve essere veloce ma, al tempo stesso, salutare e gustosa.
Se così non fosse, infatti, come si potrebbe trovare le energie per affrontare l’altra metà della giornata lavorativa?

Spesso, però, non è possibile trovare in un pranzo “mordi e fuggi” qualità e gusto, almeno non contemporaneamente.
Garantire entrambi è l’obiettivo che si è posto Insalate Italiane, il primo franchising in Italia a poter essere definito come un vero e proprio Fast Food del Benessere.

La filosofia del network è rinunciare ai grassi ma non per questo servire solo pasti dietetici.
Infatti, a fianco di un’ampia scelta di menu vegetariani, trova posto, ad esempio, la mozzarella di bufala, la stracciata molisana e le polpette del Brennero, per fare solo alcuni esempi.
Il franchising Insalate italiane è anche bar e happy hour, anche se, in generale, è sempre aperto a idee nuove ed innovative.

Per questo, per chi volesse diventare franchisee del marchio, è possibile ricevere tutte le informazioni del caso collegandosi al sito Insalate Italiane.

Rossopomodoro, il franchising della pizza

Una delle tradizioni culinarie italiane, conosciuta e amata in tutto il mondo, è al centro di un franchising conosciuto e diffusissimo in Italia.
Si tratta della pizza di Rossopomodoro.

I ristoranti di questa catena, infatti, si trovano ormai su tutto il territorio nazionale, diffondendo la tradizione partenopea in tutto lo Stivale.
Ad oggi, il 70% dei locali targati Rossopomodoro sono gestiti da franchisee, anche se la selezione è molto severa e ferrea, per poter garantire ai clienti prodotti di alta qualità.

Per questo, il nuovo affiliato deve, come prima cosa, frequentare un corso di formazione, alla fine della quale, se ritenuto idoneo, riceve una certificazione che dà il via libera a gestire il locale.
La grandezza del locale deve essere di almeno 350mq, ma rigorosamente su un solo livello.

Per saperne di più, è possibile collegarsi sul sito di Rossopomodoro.

Crisi: colpiti anche i ristoratori. Ecco le testimonianze

Clientela in calo in media del 30%, contro una media nazionale che si attesta al -40%, prezzi immutati dal 2011 e consumi in caduta. Pare che anche la Madonnina si sia messa a digiuno. Almeno stando alle interviste video che abbiamo raccolto in giro per Milano dove i ristoranti soffrono la crisi: prenotazioni in calo, clientela che opta per menù sempre più ‘light’, soprattutto per il portafogli, e incassi che scendono vertiginosamente rispetto allo scorso anno. Ma che cosa ne pensano i ristoratori? Abbiamo attraversato la città, dai Navigli a Brera, per chiederlo direttamente a loro.

Il risultato? La cena fuori è ormai un lusso per la maggior parte dei milanesi, soprattutto quando ci si avvicina alla fine del mese. Anche nella scelta del menù, i clienti optano sempre meno per carne e pesce e rinunciano spesso al vino. Le conseguenze sul settore gastronomico e della ristorazione sono inevitabili: personale in calo di almeno 2 unità,  incassi abbattuti in media del 30% e una torta da spartire sempre più piccola. Con qualche eccezione, dovuta soprattutto alla posizione favorevole e al passaggio di turisti. Ma qual è la ricetta da proporre al Governo per superare la crisi? Ce lo dicono i ristoratori in queste interviste.

 

 

Alessia CASIRAGHI

Crisi o non crisi, gli italiani non rinunciano ai pasti fuori casa

Secondo i dati di una ricerca Fipe-Confcommercio su ‘Europa al Ristorante‘ presentata al Salone alimentare ‘Sapore’ a RiminiFiera, gli italiani non rinunciano ai pasti fuori casa, negli ultimi dieci anni i consumi sarebbero cresciuti così tanto da far salire l’Italia sul podio europeo (+6,5 miliardi di euro). Quella del nostro Paese sembra una tradizione: la colazione fuori casa, il pranzo in ristorante, la pizza nel weekend sono abitudini alle quali difficilmente possiamo rinunciare. E’ così  che l’Italia passa da 0,44 a 0,50 euro (+13,6%) nella spesa a bar e ristoranti rispetto ad ogni euro speso in consumi alimentari domestici.

Nell’aumento pari a 21 miliardi di euro dei consumi fuori casa in dieci anni secondo la ricerca l’Italia ha contribuito per il 31,6%. Molto di più sono cresciuti in Europa i consumi alimentari in casa, pari a 37 miliardi. La spesa per gli alimentari rimane comunque una fonte di spesa importante: 882 miliardi di euro in Ue, pari al 13,1% della domanda complessiva pari a un quinto del budget complessivo di spesa dei cittadini europei.

Il commento della Fipe: “In definitiva per l’Italia il mercato alimentare fuori casa è stato, è e sarà l’àncora di salvezza per molte imprese della filiera“. D’altronde l’Italia gode di una rete di ristorazione molto sviluppata, sfiora 1,5 milioni di unità (Francia, Italia e Spagna – è insediato poco meno del 50% del totale e l’Italia fa la parte del leone con il 17,1%). Il rischio maggiore è che la corsa al prezzo più basso per vincere la crisi provochi una caduta in termini qualitativi che danneggerebbe l’immagine di un settore fondamentale per il nostro Paese.

M. Z.

Alcol e sicurezza stradale: bar e ristoranti dovranno mettere a disposizione dei clienti l’alcol-test.

Scatterà fra tre mesi l’obbligo per i locali la cui attività si protrae oltre la mezzanotte di tenere a disposizione dei clienti precursori per la rilevazione del tasso alcolemico e le tabelle indicative degli stessi tassi. All’osservanza di tale obbligo non sono tenuti gli esercizi che non effettuano intrattenimenti danzanti e che cessano la loro attività entro le ore 24.

La proroga di tre mesi è prevista nell’articolo 54 della nuova riforma del codice della strada nella parte in cui recita […] “per il locali diversi da quelli ove si svolgono spettacoli o altre forme di intrattenimento, a decorrere dal terzo mese successivo alla data di entrata in vigore della presente legge ”.

d.S.