Consulenti del lavoro e contratto a tutele crescenti

I consulenti del lavoro dicono la loro sul contratto a tutele crescenti introdotto dal recente Jobs Act. Come specificato nella circolare n. 1 del 2015 emessa dalla Fondazione studi dei consulenti del lavoro, il contratto a tutele crescenti costituisce, per le imprese che devono assumere, una tipologia contrattuale economicamente più conveniente rispetto all’apprendistato, purché le aziende in questione abbiano più di 9 dipendenti. Secondo i consulenti del lavoro, il contratto a tutele crescenti è applicabile anche ai dipendenti pubblici, almeno fino al momento in cui non sarà specificata la loro esclusione dal raggio di influenza della legge sul lavoro.

Siamo al quarto intervento riformatore in poco più di due anni in un settore nel quale più che le regole lavoristiche manca il terreno su cui innestare l’occupazione, che, per essere rilanciata, necessita di affiancare alle buone norme sostanziali e corposi interventi sull’economia“: queste le parole del presidente della Fondazione Studi dei consulenti del lavoro, Rosario De Luca, nella circolare in questione.

E certo – prosegue la circolare – non si potrà parlare di nuovi occupati se l’applicazione del contratto a tutele crescenti, che potrebbe risultare economicamente più conveniente di cocopro e lavoro a termine, porterà alla stabilizzazione di queste figure di lavoratori già occupati. Quelli non potranno essere considerati nuovi posti di lavoro, perché non riguarderanno gli attuali disoccupati“.

Ma va salutato con positività l’accantonamento (definitivo?) della diversificazione tra imprenditori e professionisti, che ha caratterizzato decine e decine di norme penalizzanti per gli studi professionali, perennemente esclusi da benefici e agevolazioni“, continua De Luca, che aggiunge: “Sul fronte dell’accesso non si può non sottacere che sempre il contratto a tutele crescenti è quasi più conveniente del contratto di apprendistato; situazione che può determinare il definitivo accantonamento di quello che per lungo tempo è stato il vero (se non l’unico) strumento in mano ai giovani per entrare nel mondo del lavoro“.

La circolare conclude con una constatazione quasi paradossale sulle conseguenze del contratto a tutele crescenti: “Si delinea un sistema sempre più incentrato sul rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, che va nella direzione opposta non solo delle esigenze di chi l’occupazione la crea; ma anche del volere espresso dall’esecutivo“.

Consulenti del Lavoro: ecco come semplificare la burocrazia del lavoro

La Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro ha proposto una serie di provvedimenti da seguire per riuscire finalmente a semplificare, e rendere più snello, il mondo del lavoro.

Rosario De Luca, alla guida della Fondazione Studi, ha dichiarato: “La ricetta per semplificare il lavoro c’è, basta attuarla con provvedimenti normativi. Per ora, è uno slogan di grande attualità, ma quando si passa dal dire al fare tutto diventa complicato. Per semplificare concretamente, basterebbe seguire le indicazioni dell’Osservatorio del mercato del lavoro dei consulenti del lavoro. Un punto di osservazione privilegiato del mondo del lavoro che ha come base di studio ben 7 milioni di rapporti di lavoro privati, gestiti negli studi dei professionisti, ben oltre due terzi degli esistenti. Semplificare bene si può. Basta volerlo intervenendo chirurgicamente sulle vere complicazioni burocratiche”.

Ecco i sei punti che sarebbe necessario seguire:

  • La Costituzione. E’ considerata la madre di tutte le semplificazioni. Togliere alle Regioni competenza in materia di lavoro, eliminerebbe una serie di complicazioni e intralci burocratici; oltre che far recuperare per uso collettivo una lunga serie di sperperi che esistono nella gestione della formazione professionale. Riportare allo Stato questa competenza significherebbe semplificare di colpo una serie di istituti.
  • Apprendistato. Non decolla a causa della burocrazia. Esistono infatti 20 diverse regolamentazioni, affidate alle strutture regionali, che ne impediscono un’ampia diffusione a causa delle complesse procedure. E lo strumento principale di avviamento al lavoro dei giovani non riesce a decollare.
  • Registro infortuni. Il nuovo Testo unico per la sicurezza sul lavoro ha abrogato le disposizioni che regolamentavano il registro infortuni, in quanto sostituito nella sua funzione dalla obbligatoria denuncia online. Ma dipende dalle varie Regioni normare l’abolizione dell’obbligo di vidimazione, ormai inutile adempimento ma dalla incredibile sanzione di 15.000 euro. Al momento solo Calabria, Campania, Friuli Venezia Giulia e Lombardia hanno eliminato tale l’obbligo.
  • Cassa integrazione. Anche questo strumento, risultato fondamentale in questi anni per sostenere le famiglie dei lavoratori di aziende in crisi, risente della gestione affidata alla Regioni. Vale il medesimo ragionamento fatto per l’apprendistato: 20 diverse regolamentazioni con tanto di modulistica e modalità di fruizione differenti che creano solo intralci e disguidi a cittadini che attraversano un momento di grande debolezza.
  • Formazione professionale. E’ gestita a livello regionale con assegnazione di fondi ad enti diversi per l’erogazione della formazione ai lavoratori. La casistica fa rilevare molti abusi con assoluta assenza di attività formativa. Un accentramento della gestione non potrebbe che riportare ordine e risparmio in un settore ampiamente critico.
  • Previdenza complementare. Settore ormai indispensabile in supporto alla previdenza pubblica, ma dall’utilizzo disincentivato dall’esistenza di ben 300 diversi fondi complementari e fondi sanitari. Ognuno di essi ha proprie regole per la denuncia degli importi dovuti e per l’incasso delle somme, senza peraltro poter utilizzare la compensazione con altri crediti aziendali. Un’armonizzazione del sistema porterebbe ad un aumento esponenziale dei numeri dei lavoratori aderenti.

Vera MORETTI

La burocrazia italiana allontana gli investitori esteri

Il Festival del Lavoro, di scena in questi giorni a Fiuggi, sta affrontando le problematiche che maggiormente affliggono l’Italia.
Tra le cause della crisi del mondo del lavoro c’è sicuramente la burocrazia, che tiene lontani gli investitori esteri, e che obbliga le aziende italiane ad emigrare in terra straniera.

Rosario De Luca, presidente della Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro, ha dichiarato: “Per un imprenditore internazionale il costo del lavoro, la rapidità burocratica, la stabilità amministrativa e la dinamicità del mercato sono elementi fondamentali per poter pianificare lo sviluppo della propria aziende. Tutti fattori che in Italia non si riescono a trovare e che inducono le imprese straniere a non investire in Italia e quelle italiane a delocalizzare all’estero, nei Paesi dove trovano maggiore convenienza dando così competitività ai loro prodotti“.

Per poter contrastare un ulteriore aumento del costo del lavoro occorre, dunque, una sostanziale modifica della riforma del lavoro, visto come unica soluzione in grado di alleggerire gli adempimenti della burocrazia.

Vera MORETTI

Un viaggio tra i programmi delle coalizioni candidate alle elezioni

La Fondazione Studi del Consulenti del lavoro ha voluto, in vista delle prossime elezioni, analizzare i programmi delle varie coalizioni, per prevedere quali scenari si prospettane nel futuro dei lavoratori.

Analizzando, ad esempio, quanto proposto dal Pd di Pier Luigi Bersani, uno dei principali obiettivi è quello di “modernizzare il ruolo e l’assetto degli ordini professionali, in modo da qualificare l’esercizio delle professioni, assicurare gli obblighi di corretta e trasparente informazione agli utenti, la concorrenza e la credibilità della professione nonché per tutelare l’interesse pubblico risolvendo situazioni di conflitto“.
Inoltre, si parla anche di pari opportunità alle giovani generazioni e una riforma del tirocinio, con durata e compensi equi.

Mentre, invece, né Nichi VendolaAntonino Ingroia, secondo i consulenti del lavoro, “non trattano il tema degli ordini“, il Pdl sembra voglia impegnarsi, sempre secondo la Fondazione studi, “a valorizzare le libere professioni, riconoscendone le funzioni sussidiarie di pubblico interesse“.

Per quanto riguarda le disposizioni di Mario Monti, Rosario De Luca, presidente della Fondazione, dichiara: “Risulta estremamente strano come chi dipende a doppio filo dalla Germania della signora Merkel non abbia mai letto i programmi elettorali dei partiti tedeschi. Bene, in essi non si trova uno spunto che sia uno che abbia mai messo in dubbio la valenza del sistema ordinistico germanico“.

La Fondazione si sofferma anche sul programma Fare per fermare il declino, di Oscar Giannino, del quale De Luca dice: “non si tratta qui di imporre un nuovo modello all’esercizio delle professioni che le omologhi a tutti gli altri servizi, ma al contrario di consentire a modelli diversi di contendersi sul mercato la potenziale clientela per ciò che tali diversi modelli concretamente sanno offrire e quindi per la capacità di adeguarsi al meglio, in una pluralità di forme diverse, alle esigenze, a loro volta diverse e mutevoli, di un mercato che cambia e più in generale della vita“.

Vera MORETTI

Uno Sportello Reclami contro le disfunzioni delle PA

Per combattere la “mala” burocrazia, la Fondazione Studi consulenti del lavoro ha aperto uno Sportello reclami, utile per raccogliere statistiche e studiare soluzioni alternative a quelle proposte dalle PA.

A presentare l’iniziativa è stato Rosario De Luca, presidente della Fondazione, il quale ha ribadito l’intenzione, attraverso questo progetto, di migliorare e snellire gli iter burocratici. E l’individuazione delle criticità può essere un buon punto di partenza.
Si sa, dopotutto, che uno dei freni allo sviluppo è proprio la lentezza dell’azione amministrativa, che troppo spesso stenta a stare al passo con i tempi e dimostra un’inefficienza che, oggi, non è più sostenibile.

La situazione è stata confermata da De Luca, il quale ha dichiarato: “Le aziende che assistiamo segnalano l’impossibilità di fare investimenti e assumere, vista la recessione in atto. A cui si aggiunge la contrazione dei consumi dovuta anche alle politiche fiscali che disincentivano ormai anche i comuni acquisti familiari. Con questa iniziativa cerchiamo appunto di evidenziare alcune criticità della pubblica amministrazione, proponendo soluzioni idonee; anche se sarebbe compito governativo intervenire sulle disfunzioni, ma questo purtroppo non accade“.

Uno dei principali “colpevoli” di questo disservizio è l’Inps, la cui riorganizzazione interna non è in grado di supportare, né, di risolvere, le problematiche sottoposte ogni giorno dai cittadini. Si tratta di “disfunzioni che comportano giornalieri disguidi e difficoltà operative per gli studi dei consulenti del lavoro. Nonostante la pressante azioni svolta nei confronti dell’Istituto non è stato al momento possibile porvi rimedio, anche perché i canali comunicativi interni dell’Inps non risultano essere evidentemente efficaci“.

Allo Sportello reclami telematico è possibile accedere tramite il sito Consulentidel Lavoro.it, dove è possibile segnalare il disguido incontrato.

Vera MORETTI

Niente Pec per le PA

Nonostante la PEC sia diventata obbligatoria, ci sono ancora molte cose da sistemare, soprattutto per quanto riguarda la Pubblica Amministrazione.

La Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro, infatti, ha appena pubblicato i dati emersi da una recente indagine, che testimoniano una scarsa competenza in materia, e anche poca propensione ad utilizzare la posta elettronica certificata.

Su un campione di 2000 intervistati, la maggioranza, corrispondente al 54%, ritiene che la PEC sia uno strumento utile in quanto consente risparmi di costi e tempo in alternativa alle notificazioni tradizionali. Un ulteriore 22%, inoltre, crede che andrebbe reso obbligatorio quale unico strumento per le notificazioni. Solo un quarto ritiene invece si tratti di uno strumento che crea ulteriore burocrazia.

Il 91% invece dichiara che siano i professionisti coloro che utilizzano di più la PEC e questo dato è confermato dal fatto che il 94% dei consulenti del lavoro ha dichiarato di averne fatto uso nell’ultimo anno ed oltre la metà di averla utilizzata oltre dieci volte.
Mentre la PEC inviata alla pubblica amministrazione non ha sortito alcuna risposta.

A preoccupare invece il giudizio del 52% del campione secondo il quale le imprese hanno attivato la PEC solo perché obbligatoria ma non la usano.
In questo caso, i motivi che inducono ad utilizzare poco la PEC si riconducono allo scarso utilizzo della pubblica amministrazione. Il 61% dei consulenti del lavoro pensa che se la PEC non viene utilizzata è perché anche la Pubblica amministrazione non ne fa uso.
Interessante anche un ulteriore 21% dei consulenti che ritiene che la causa risieda nella scarsa pubblicità dello strumento.

Rosario De Luca, presidente della Fondazione Studi, ha affermato: “Sono dati che non sorprendono chi conosce la realtà del Paese. Non sorprendono perché è routine quotidiana dei nostri studi assistere a questi disservizi o alle omissioni segnalate. è purtroppo lo specchio della situazione italiana dove convivono il sistema ordinistico, che produce il 15% del Pil, e la Pubblica Amministrazione, che costa il 16%. Sino ad ora l’efficienza nell’erogazione dei servizi é stata per lo più garantita dalle attività sussidiarie svolte gratuitamente dai professionisti . Ma è una situazione a cui va date celere rimedio, perchè gli studi professionali non possono esistere esclusivamente per sopperire alla carenze della pubblica amministrazione. E uno dei primi interventi potrebbe proprio essere quello di rendere effettivo l’obbligo di utilizzo della Pec, dotando in tal senso gli uffici periferici che nella stragrande maggioranza al momento ne sono sprovvisti. Sarebbe un vantaggio per tutti, considerato che darebbe certezze agli utenti sempre più spesso in balia dei disservizi. Così com’é concepito al momento il nuovo obbligo appare un ulteriore inutile onere posto a carico di professionisti e imprese“.

Vera MORETTI

Per i consulenti del lavoro il futuro è chiaro

Il Congresso straordinario dei consulenti del lavoro ha offerto molti motivi di dibattito e confronto.

Tra questi, interessante è stato l’intervento di Mauro Capitanio, presidente di Fondazione per il lavoro, il quale ha voluto ricordare la bravura dei consulenti nel leggere il cambiamento della società e l’importanza di saper dare ancora più valore alla professione.

Rosario De Luca, presidente di Fondazione Studi, ha voluto essere presente, attraverso un contributo video nel quale ha illustrato il cammino percorso dalla categoria in materia di comunicazione e presenza sui media, sottolineando l’importanza di saper comunicare in modo autorevole ed efficace la propria professionalità, per poter valorizzare il proprio ruolo e soffermandosi anche sul progetto di orientamento nelle scuole e sul portale di categoria, considerato anche dai non addetti ai lavori un’importante fonte di informazione.

La seconda giornata del Congresso è stata caratterizzata dall’intervento di numerosi gruppi di giovani consulenti che hanno sottolineato l’importanza di un dialogo con i professionisti senior e con la rappresentanza dirigenziale, sia per imparare dalla loro esperienza, sia per illustrare le criticità incontrate nel loro percorso lavorativo.

Marina Calderone, a conclusione del dibattito, ha voluto porre l’attenzione sulla “importanza di appartenere a una comunità professionale che fa fronte al principio di legalità, invitando i colleghi a creare nuove sinergie per poter diventare professionisti formati e altamente qualificati in un cammino di solidarietà futura“.

Vera MORETTI

Apprendistato, questo sconosciuto…

di Davide SCHIOPPA

Paradossi di un’Italia che non vuole crescere. Non che non può, non vuole. Abbiamo uno dei mercati del lavoro più rigidi d’Europa, pur con tutta la buona volontà del ministro Fornero e della sua riforma, e quando si mettono sul piatto strumenti utili a togliere un po’ di gesso facciamo di tutto per non applicarli.

Parliamo, per esempio, del contratto di apprendistato, al quale Infoiva ha dedicato un focus nella settimana appena trascorsa. Lo abbiamo fatto proprio perché, da più parti, abbiamo letto del disappunto per la mancata o farraginosa applicazione della normativa che regola l’apprendistato e della conseguente difficoltà, da parte delle aziende, a proporre questa tipologia di contratto ai neolaureati o, comunque, ai giovani.

Abbiamo voluto vederci un po’ più chiaro, per capire quanto di vero ci sia in questo impasse e, in effetti, abbiamo constatato che sì, il problema esiste: uno strumento dalle buone potenzialità viene tarpato dalla troppa burocrazia. Ma che futuro ha un Paese così? Non che l’apprendistato sia la formula magica che risolve il problema della disoccupazione giovanile in Italia ma, chiediamo, perché non siamo capaci di fare bene una cosa dall’inizio alla fine? Perché siamo sempre il Paese delle cose fatte a metà? Ai giovani il compito di giudicarlo, quando si troveranno senza un futuro.

Leggi i risultati dello studio di Bachelor sugli annunci di lavoro per neolaureati

Leggi l’intervista al Professor Maurizio Del Conte dell’Università Bocconi

Leggi l’intervista al presidente della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, Rosario De Luca

Leggi l’intervista a Enrica Carminati, responsabile di Fareapprendistato.it

“Basta lacrime e sangue, ora produttività”

di Davide PASSONI

Apprendistato da panacea per i giovani a palla al piede del sistema? Via, non siamo drastici, il sistema è una palla al piede già di per sé, quello che manca sono regole chiare e certe. Sulle potenzialità inespresse del contratto di apprendistato, Infoiva ha sentito il presidente della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, dott. Rosario De Luca.

L’apprendistato avrebbe dovuto essere il canale d’ingresso principale dei giovani nel mercato del lavoro, ma a oggi pare fatichi ancora a decollare? Perché?
Il problema sta nella diversa e, molto spesso contorta, applicazione nelle varie Regioni italiane. Non bisogna infatti dimenticare che la competenza è stata assegnata a livello regionale e questo non è d’aiuto. La nostra Fondazione Studi ha rilevato, tramite un’indagine eseguita su un campione rappresentativo di consulenti del lavoro, che sebbene sia possibile sottoscrivere il contratto d’apprendistato in tutte le regioni italiane, si scoprono ritardi nel varo degli strumenti che dovrebbero favorirne la diffusione con la conseguente reticenza dei datori di lavoro a farne uso a causa dei costi elevati e delle difficoltà burocratiche.

Come Consulenti del Lavoro, qual è la vostra posizione rispetto a questa tipologia di contratto?
Assolutamente favorevoli, nonostante le citate difficoltà operative che di fatto ne impediscono o ne rallentano la diffusione. C’è un affannarsi nel dichiarare populisticamente che l’apprendistato è il canale privilegiato per l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro. Ma si tratta di pura teoria, non suffragata da alcun riscontro empirico, ma   accompagnata dai numerosi limiti che questo tipo di contratto comporta: dal numero massimo di apprendisti da assumere alla durata minima di 6 mesi.

Perché un’azienda dovrebbe scegliere questo tipo di contratto piuttosto che un altro? Ci sono, a suo avviso, strumenti migliori per incentivare l’occupazione giovanile?
L’apprendistato prevede agevolazioni contributive per l’azienda che lo utilizza. Però, con la riforma Fornero, i datori di lavoro possono assumere apprendisti beneficiando di detti sgravi solo se dimostrano di aver stabilizzato a tempo indeterminato una parte degli apprendisti assunti in precedenza. Purtroppo non sono rimasti molti strumenti ai giovani per entrare nel mondo del lavoro; in pratica c’è solo l’apprendistato, ma l’incompatibile e diversificata gestione regionale lo vanifica.

Pensa che il mercato del lavoro in Italia sia ancora troppo rigido, specialmente riguardo ai vincoli all’ingresso, nonostante gli sforzi del governo?
C’è ancora molto da fare  per consentire l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro. E questo problema, come gli altri, non si risolve assumendo scelte a tavolino , senza cioè riscontri concreti. I monitoraggi vanno effettuati prima di intervenire normativamente e non dopo, come invece avviene. Le nostre indagini, ad esempio, attestano che il 63% delle aziende ritiene “difficile” applicare la normativa di settore, mentre il 13% lo considera “inconveniente”.

Situazioni straordinarie come è quella attuale per le imprese, l’economia e il lavoro necessitano di iniziative e progetti straordinari: secondo voi il Paese e il governo stanno dando segnali positivi in tal senso?
Delle tante riforme fatte finora, nessuna incide efficacemente sui problemi reali del Paese che merita interventi strutturali di prospettiva. Per questo, dopo il periodo delle manovre di lacrime e sangue, è giunta l’ora della produttività e degli interventi di sostegno alle piccole aziende e ai lavoratori autonomi, che sono i veri sostenitori dell’occupazione in Italia. E questi interventi devono passare dalla madre di tutti gli interventi: la riduzione del costo del lavoro, che oggi tutti scoprono essere un problema; ma che noi danni definiamo come il freno inibitore della nostra economia.

Il male d’Italia? Non sono i liberi professionisti

I liberi professionisti, alla luce di quanto sentito e letto negli ultimi giorni, e che descriverebbe la libera professione come il vero male d’Italia, non sono stati a guardare e, anzi, hanno sentito il bisogno di difendere la propria posizione.

E’ quanto ha fatto Rosario De Luca, presidente della Fondazione Studi del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, il quale ha redatto un intervento che non vuole essere una polemica risposta a chi ha commentato in negativo la tanto agognata riforma delle professioni, ma, piuttosto, una chiarificazione del ruolo dei professionisti nel nostro Paese.

De Luca si scaglia contro le amministrazioni pubbliche, considerate tutt’altro che attendibili e precise, ma anche contro mercato dell’energia, trasporti e servizi bancari, colpevoli di aver vacillato parecchie volte, e non in tempi troppo remoti.
E poi fa esempi concreti, accompagnati da cifre e dati che non lasciano repliche: la liberalizzazione selvaggia, infatti, ha mietuto vittime illustri, come le edicole, costrette a chiudere in un numero di oltre duemila perché “rilasciare in modo indiscriminato nuove autorizzazioni per la vendita dei giornali non fa né diminuire il prezzo né aumentare il numero di copie vendute e così come è avvenuto per qualsiasi altro settore oggetto di liberalizzazioni, l’unico risultato raggiunto è quello della chiusura dei piccoli in favore dei grandi“.

Ma i numeri riguardano anche aspetti positivi, soprattutto quando De Luca si riferisce ai circa 2.300.000 professionisti iscritti ad Ordini e Collegi professionali, e che garantiscono al Paese circa il 16% del PIL.
Di questi, la maggior parte rappresenta, per l’Agenzia delle Entrate, la più ampia fetta di contribuenti, mentre gli evasori sono “nascosti” soprattutto nel settore del commercio all’ingrosso e al dettaglio (quasi il 25% del totale), delle costruzioni edili (circa il 22%), delle attività manifatturiere (11%) e solo nel 5% dei casi nel mondo delle attività professionali.

Tutto ciò contro i costi della PA, che, a quanto pare, ogni anno toglierebbe dalle casse dello Stato, almeno 50 miliardi di euro.
In questo caso, ciò che grava di più sull’economia del Paese sono non tanto i dipendenti, quanto i relativi stipendi, in particolare quelli degli alti funzionari. La spesa media per il personale e per i servizi del funzionamento dell’attività amministrativa italiana, nel quinquennio 2005/2009, è stata pari a 248 miliardi, ovvero il 16,4 % del Pil.
In Spagna, con un valore assoluto pari a 162 mld, si è attestata al 15,9% del Pil, mentre in Austria al 13,8% del Pil con un valore assoluto di 37 mld; in Germania la medesima spesa si è mantenuta all’11,5% del Pil, per un totale di 273 mld.

Un ambito, dunque, che dovrebbe collaborare alla crescita economica del Paese, in realtà sembra rallentarlo, e la colpa è da ricercarsi nella troppa burocratizzazione “dalle autorizzazioni negate ai blocchi per gli adempimenti, dalla richiesta di permessi con attese infinite agli investimenti sfumati dei troppi piani governativi“.

L’intervento di Rosario De Luca si conclude con un grande interrogativo: “Il Paese ancora galleggia tra un’economia che non riparte e riforme, spacciate per fondamentali, che puntano solo a fare cassa. E lo sviluppo? Ancora un lontano miraggio
Ritengo che il Paese abbia bisogno di serietà, di cultura, di sogni ed ambizioni per crescere e tornare a garantire un futuro ai nostri giovani. I professionisti vogliono essere protagonisti di questo cambiamento, e tutti gli altri?
”.

Nella risposta c’è la soluzione ai mali d’Italia.

Vera MORETTI