Tagli forniture gas dalla Russia: impennata dei prezzi per i carburanti

La tempesta perfetta? È molto probabilmente ciò che si sta verificando con le importazioni del gas, infatti la Gazprom ha annunciato un taglio del 40% delle forniture di gas alla Germania. Contemporaneamente c’è stato l’incendio al terminal Freeport Lng, l’unico da cui arriva la fornitura di gas liquefatto dagli USA e serviranno 90 giorni per ripristinarlo. La conseguenza sono aumenti vertiginosi dei prezzi del gas.

Perché la Russia ha ridotto le forniture di Gas all’Europa facendo aumentare i prezzi?

Che le sanzioni alla Russia per l’attacco all’Ucraina potessero ritorcersi contro l’Occidente, e in particolare contro l’Europa, era cosa nota, ma sembra che ora le cose stiano precipitando. Ci sono stati guasti tecnici al gasdotto Nord Stream che porta gas dalla Russia alla Germania, la Russia ha però sottolineato che a causa delle sanzioni i tempi per la riparazione saranno piuttosto lunghi.

Questo ha portato il gas russo a superare la soglia dei 100 euro a Megawattora al Ttf. L’aumento del prezzo è stato del 20% in corrispondenza di una diminuzione del flusso dell’ordine del 40%. Finora, nonostante gli attriti, Gazprom attraverso il gasdotto Nord Stream aveva mantenuto un flusso costante e questo aveva aiutato a calmierare i prezzi. Il guasto della linea che dalla Russia arriva alla Germania attraversando al Mar Baltico sembra ricada nella responsabilità di Siemens quindi ufficialmente la riduzione della fornitura viene addebitata a tale società che dovrebbe riparare le apparecchiature rotte. Il flusso normale del gasdotto è pari a 167 metri cubi di gas al giorno, ridotti ora a 100 metri cubi.

Nuovi aumenti dei prezzi dei carburanti: gasolio e benzina non fermano la corsa

L’aumento del prezzo del gas ha avuto ulteriori ripercussioni, infatti nella giornata di oggi subiscono un ulteriore balzo i prezzi di benzina e diesel che ormai sono costantemente sopra la soglia dei 2 euro anche in modalità self. Questo avviene nonostante il prezzo del petrolio al barile sia in leggera discesa. Il motivo deve attribuirsi alla debolezza dell’euro nello scambio con il dollaro. Il petrolio infatti viene pagato in dollaro.

Oggi il prezzo medio praticato per la benzina al self è di 2,05 euro ( qualche marchio 2,07 euro ), si risparmia scegliendo le pompe senza marchio che hanno un importo medio di 2,038 al litro.

Il gasolio a 1,98 euro al litro quindi con una leggera differenza rispetto alla benzina, generalmente il diesel è sempre costato molto meno. Rispetto a ieri il rialzo medio del prezzo dei carburanti è stato di un centesimo, ma ormai anche questo pesa ai cittadini visto che gli aumenti sono costanti e non accennano a fermarsi.

Resta particolarmente conveniente il GPL che si attesta tra 0,835 a 0,849 euro/litro, il metano invece continua ad avere prezzi alti rispetto al passato e si colloca tra 1,605 e 1,891.

Sistema Swift: cos’è, perché è importante e cosa comporta il blocco?

Negli ultimi giorni sentiamo spesso parlare di sistema Swift in relazione alle sanzioni comminate alla Russia in seguito all’invasione dell’Ucraina, ma cos’è esattamente il sistema Swift e perché è così importante?

Cos’è il codice SWIF e perché è importante?

Il codice Swift è una realtà quotidiana che riguarda ognuno di noi, ma fino a pochi giorni fa nessuno lo sapeva, oppure conosceva la sua esistenza senza però capirne utilità e funzionalità. Il termine Swift è acronimo di Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication, si tratta di una società cooperativa nata nel 1973 e che è sottoposta al controllo della BCE, Federal Reserve e la Banca Centrale Belga e altri istituti centrali dislocati in varie parti del mondo.

L’obiettivo è consentire transazioni rapidissime a livello globale e questo perché la cooperativa è impegnata nel rendere tutte le transazioni sicure e rapide attraverso controlli telematici. Il fatto che sia sottoposta a controllo di banche centrali praticamente di tutto il mondo e che sia utilizzato da 10 mila aziende e istituti finanziari per le transazioni, rende il sistema SWIFT un nodo centrale nell’economia mondiale. Ordini, acquisti, pagamenti di soggetti privati o di aziende, e quindi anche con alti volumi, passano attraverso questo sistema.

Dove trovo il codice Swift della mia banca e quando devo usarlo?

Ad ogni banca che usa il sistema Swift viene assegnato un codice da 8 o 11 caratteri denominato appunto codice SWIFT, si tratta di un codice univoco che identifica la singola banca.

  • I primi 4 caratteri rappresentano il codice bancario;
  • i successivi 2 caratteri il Paese, ad esempio per l’italia IT;
  • seguono 2 lettere o due numeri che individuano la località;
  • gli ultimi 3 caratteri sono opzionali e individuano la filiale di riferimento, in alternativa a questi sono indicate XXX ed indicano uffici centrali della banca.

All’interno di un bonifico il codice Swift viene indicato solo per i pagamenti internazionali, si tratta di una sorta di IBAN che però opera a livello sovranazionale. Proprio il fatto che l’indicazione esplicita sia richiesta solo per queste tipologie di pagamento, fa in modo che generalmente le banche segnalino al cliente tra le coordinate bancarie solo il codice IBAN, mentre non segnalano il codice Swift, che potrà comunque essere richiesto alla propria filiale nel caso in cui dovesse essere necessario utilizzarlo.

Il blocco dello Swift delle banche russe sta creando problemi alla popolazione che quotidianamente effettua pagamenti, ma l’obiettivo non è questo, o almeno non è questo il principale. Tra i cambiamenti immediati c’è stata l’impossibilità di accedere ai pagamenti attraverso i sistemi Visa e Mastercard, quindi con i pagamenti digitali bloccati si ritorna all’uso prevalente del contante.

Perché il blocco del sistema Swift si utilizza come “arma di guerra”?

Tra le transazioni che passano attraverso il sistema Swift ci sono quelle per l’acquisto di gas dalla Russia da parte dell’Europa, ma non solo, anche da parte di tutti gli altri Paesi che sfruttano le risorse energetiche di questo Paese. Affari di diversa natura intercorrono invece con gli Stati Uniti. Ne consegue che escludere la Russia dai sistemi di pagamento vuol dire tagliare di netto la fornitura economica che alimenta le casse della Russia e consente di avere armi che saranno poi utilizzate contro l’Ucraina.

Non si tratta di una decisione senza conseguenze perché questo taglio, da un lato rischia di mettere in ginocchio la Russia, ma dall’altro mette in difficoltà i Paesi che non hanno autonomia energetica, tra cui l’Italia che sicuramente per un breve periodo può garantirsi una certa autosufficienza, ma nel tempo potrebbe avere notevoli difficoltà. L’Italia dipende dal gas russo per circa il 46% del fabbisogno. Dai dati resi noti dal Ministero della Transizione Ecologica emerge che nel 2020, l’Italia ha importato quasi 66,4 miliardi di metri cubi di gas naturale, di cui il 43,3% (pari a circa 28,6 miliardi di metri cubi) dalla Russia.

Al fine però di evitare il blocco del gas proveniente dalla Siberia, la Commissione UE al tavolo Coreper che riunisce gli ambasciatori dei 27 Paesi Membri dell’Unione Europea ha proposto di escludere dal blocco dei codici Swift quello di Gazprombank cioè la banca attraverso la quale l’ENI effettua le transazioni per l’approvvigionamento del gas.

Escludere la Russia del sistema Swift non vuol dire bloccare ogni flusso di denaro, ma semplicemente costringe il colosso ad adottare circuiti lenti per le sue transazioni.

I precedenti

Deve essere ricordato che non è l’unica volta in cui si è proceduto a questa tipologia di sanzione, infatti già nel 2012 si era provveduto all’esclusione dal sistema Swift dell’Iran. L’obiettivo in quel caso era fermare il programma nucleare. Da quella decisione derivò un notevole calo di PIL dovuto proprio a questa sanzione.

Rispetto al 2012 però qualcosa è cambiato, infatti, la Cina non si è schierata, ma da sempre esprime posizioni vicine alla Russia. Entrambe queste potenze avevano provato in passato a creare un sistema analogo, tentativo poi fallito a causa delle scarse adesioni, ma ora la Cina lavora in modo assiduo alla creazione di piattaforme digitali (yuan) e crypto asset che potrebbero essere rese disponibili alla Russia, superando così anche questo ostacolo. Rispetto al blocco all’Iran c’è anche un’altra differenza e cioè il livello di operazioni internazionali eseguite che per la Russia è molto più elevato e proprio a causa di questo fattore, oltre che al bisogno di gas, si è pensato non a un blocco totale, ma parziale con salvaguardia di alcuni istituti finanziari.

Export: ecco le aziende italiane che esportano di più

L’export è un’importante risorsa per l’Italia e consente di aumentare il PIL, far conoscere le aziende italiane in tutto il mondo, ma quali sono le aziende che hanno esportato di più?

Tra i leader dell’export ci sono pochi “big”

In linea generale l’export in Italia è in costante crescita, dai dati ISTAT emerge che dal 2010 ad oggi c’è stata una crescita regolare e costante. La prima cosa da sottolineare è che molto probabilmente la maggior parte delle persone da questa classifica si aspetta di scorgere i nomi dei grandi colossi italiani conosciutissimi e invece non è proprio così. Si tratta di aziende che in Italia non sempre sono conosciutissime, ma che con il loro saper fare, la resilienza, l’impegno costante e la qualità dei prodotti, sono riuscite a farsi conoscere e di conseguenza a meritare questo ambito premio.

Il podio

Al primo posto c’è Ascot Industrial, questa azienda sicuramente sbaraglia ogni aspettativa, infatti si trova nel profondo Sud, in Sicilia o meglio a Gela ed è diretta da Michele Greca. Si tratta di un’azienda con una lunga storia alle spalle, è nata infatti nel 1986. Specializzata nella produzione di generatori elettrici alimentati a diesel e gas naturale o gas di petrolio liquefatti. Nel tempo le sue produzioni si sono diversificate e ora comprendono anche sistemi ibridi fotovoltaico/diesel e costruiti su esigenze specifiche dei clienti. Il fatturato di questa azienda è di 20 milioni e ha 74 dipendenti. Ascot Industrial è poco conosciuta in Italia perché di fatto esporta il 99,34% della sua produzione e lavora per colossi come Vodafone.

Leader dell’export nel settore meccanico

Tra le imprese che esportano di più vi è inoltre Lu-Ve che produce scambiatori di calore per il settore industriale. La società è nata nel 1985 ed è quotata in Borsa e la sua sede è in provincia di Varese.

Un’altra importante azienda del settore meccanico che esporta molto è Pedrollo specializzata nella produzione di elettropompe.

Arte culinaria in tutto il mondo

In Italia sicuramente sappiamo fare bene molte cose e l’arte culinaria di certo non ci fa sfigurare e se anche importiamo molto, ad esempio le varie catene di fast food, esportiamo altrettanto bene. Tra le società che si sono contraddistinte nelle esportazioni vi sono Italpizza, Emilia Foods, la Rustichella.

Italpizza ha la sua sede principale in provincia di Modena, non Napoli, ed è specializzata nella produzione di pizze surgelate. Produce pizze per ogni gusto di diverse dimensioni e forme, prodotti tipici come la Pinsa o la pizza alta, ci sono naturalmente anche tanti gusti. Italpizza ha una storia relativamente recente, infatti è nata nel 1991.

Emilia Foods SRL è un altro colosso del cibo pronto che nel 2020 ha registrato dati da record, nata solo nel 2013 ha un fatturato di tutto rispetto e soprattutto esporta in tutto il mondo. Produce secondi, dessert, verdure e tanti piatti pronti da riscaldare semplicemente in forno e degustare.

La Rustichella d’Abruzzo nata nel 1924, parte dalla produzione di pasta fresca artigianale, disponibile in diversi formati, ma nel tempo la produzione si moltiplica e quindi ci sono i sughi pronti, ad esempio carbonara, ma anche olio extravergine di oliva, biscotti e dolci della tradizione italiana e con tutte queste specialità non appare così strano che sia campione di export.

Sempre nel settore alimentare un posto di tutto rispetto nell’export spetta anche al limoncello Villa Massa di Sorrento.

Altri marchi dell’export

Tra i marchi molto conosciuti anche in Italia e che sono campioni di export c’è Brembo specializzata nelle produzione di componenti per veicoli e in particolare impianto frenante, ma anche i pennarelli Carioca, Manteco leader nella produzione della seta di Como conosciuta in tutto il mondo. Gli amanti del lusso possono invece fare affidamento sulla qualità e maestosità delle imbarcazioni di Absolute Yachts la cui sede è in provincia di Piacenza. Naturalmente l’Italia si contraddistingue per le sue produzioni di qualità, ecco perché tra i campioni di export c’è anche Aerospace che lavora nel settore dell’aeronautica e aerospaziale utilizzando macchinari ad elevata tecnologia.

I Paesi verso cui le industrie italiane esportano di più sono Stati Uniti, Russia, paesi dell’Unione Europea.

I dati arrivano da una ricerca condotta da Il Sole24 ore e Statista.

L’e-commerce in Russia ha superato 26 miliardi di dollari

La Russia rappresenta, per l’Italia e per il suo Made in Italy, una grossa opportunità di crescita, soprattutto ora che il mercato russo dell’e-commerce ha superato i 26 miliardi di dollari, come stimato dai dati EWDN 2017 del Russian e-Commerce Report.

Giulio Gargiullo, esperto di digital marketing in Russia, ha commentato così questo dato: “Il Made in Italy è fortemente apprezzato nella Federazione Russa ed è importante approfittare del momento favorevole dell’e-commerce russo: da un lato questo cresce costantemente, a differenza degli acquisti retail che sono stati colpiti dalla crisi, dall’altro consente alle aziende italiane di sviluppare un commercio nell’economia di Mosca che va riprendendosi già nel 2017 e, come testimoniano i dati EWDN, i russi apprezzano particolarmente gli acquisti cross-border (+26% ). Molteplici i segnali positivi nell’economia russa: la ripresa in parte del rublo, i buyer russi che tornano nei principali eventi fiore all’occhiello del Belpaese come Pitti come segnalano gli ultimi dati cpm di Mosca sull’abbigliamento e maglieria (+5%) o gli arrivi previsti al prossimo Salone del Mobile. Poi il ritorno dei russi in Italia come da dati Global Blue, secondo i quali gli acquisti tax free sono aumentati del 9% fra ottobre e dicembre 2016”.

Particolare attenzione merita il settore del lusso, che in Russia sta prendendo sempre più piede e che coinvolge ovviamente i fiori all’occhiello del nostro Made in Italy. Ma, nonostante questo, il luxury online ancora non viene preso molto seriamente, con il rischio di perdere un’ottima opportunità, considerando che proprio quello russo è il mercato principale del lusso tra i paesi emergenti.

A confermare le prospettive future è Gargiullo, che conclude così: “Il commercio online in Russia continuerà a crescere grazie all’espansione della penetrazione di internet, soprattutto quella mobile, anche nelle aree più remote. Questo verrà favorito anche dall’uso sempre maggiore di mezzi elettronici di pagamento, miglioramenti nella logistica e la diminuzione dei costi di spedizione in corso. Basti pensare che i prezzi degli immobili per magazzinaggio alla fine del 2016 sono scesi a meno del 60% dei prezzi registrati all’inizio della crisi”.

Vera MORETTI

Made in Italy, quanto è costato l’ embargo alla Russia

Abbiamo più volte ricordato come l’ embargo economico applicato dall’Ue alla Russia dal 2014 abbia danneggiato più le economie dei Paesi esportatori verso Mosca anziché quella russa. Una conferma ulteriore arriva dall’Ufficio studi della Cgia, secondo in quale le sanzioni verso la Russia sono costate al made in Italy 3,6 miliardi di euro, con un export passato dai 10,7 miliardi del 2013 ai 7,1 miliardi di euro del 2015 (-34%).

Secondo la Cgia, le regioni più danneggiate dall’ embargo sono Lombardia (-1,18 miliardi), Emilia Romagna (-771 milioni) e Veneto (-688,2 milioni) che insieme hanno totalizzato oltre il 72% del calo dell’export verso la Russia.

Analizzando i settori maggiormente danneggiati dall’ embargo verso Mosca, la Cgia ha rilevato che dei 3,6 miliardi di minori esportazioni, 3,5 vengono dal comparto manifatturiero. I settori nei quali i volumi di affari sono calati in maniera più significativa sono quelli dei macchinari (-648,3 milioni di euro), dell’abbigliamento (-539,2 milioni), degli autoveicoli (-399,1 milioni), delle calzature/articoli in pelle (-369,4 milioni), dei prodotti in metallo (-259,8 milioni), dei mobili (-230,2 milioni) e delle apparecchiature elettriche (-195,7 milioni).

Lucido e condivisibile il commento del coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeo: “Anche alla luce degli attacchi terroristici avvenuti nei giorni scorsi a Bruxelles, è giunto il momento che l’Unione europea riveda la propria posizione nei confronti di Mosca. Rispetto al 2014, le condizioni geo-politiche sono completamente cambiate. Per ripristinare la pace nell’area mediorientale e per combattere le frange terroristiche presenti in Europa, la Russia è un alleato strategico indispensabile per il mondo occidentale. Proseguire con le misure restrittive nei confronti della Russia che, ricordo, scadranno il prossimo mese di luglio, sarebbe poco oculato e controproducente”.

Sanzioni Ue alla Russia? Perde solo il made in Italy

Se con le sanzioni economiche alla Russia l’Ue ha voluto colpire il Paese di Putin, in realtà chi sta soffrendo di più sono le imprese e i comparti che in quel mercato trovavano uno sbocco privilegiato. In molti casi si tratta di interi settori del made in Italy che sono stati penalizzati dall’embargo voluto dalla comunità internazionale dopo la guerra con l’Ucraina.

A calcolare le perdite che questo sta causando al made in Italy, ci ha pensato Coldiretti, che in un proprio studio effettuato su dati Istat ha rilevato, le esportazioni del made in Italy in Russia hanno toccato il minimo da 10 anni a questa parte. Basti dire che a gennaio 2016, il nostro export verso il Paese degli zar è calato del 24% rispetto a gennaio 2015.

In termini complessivi, sottolinea Coldiretti nel proprio studio, il controvalore delle esportazioni italiane in Russia nel 2015 è stato pari a 7,1 miliardi, -3,7 miliardi rispetto al 2013, ultimo anno prima dell’introduzione delle sanzioni internazionali.

Come era prevedibile, il comparto più penalizzato per il made in Italy, e quello che più sta a cuore a Coldiretti, è quello dell’agroalimentare. L’associazione dei coltivatori diretti ricorda infatti i danni causati “dall’embargo totale in Russia per una importante lista di prodotti agroalimentari con il divieto all’ingresso di frutta e verdura, formaggi, carne e salumi ma anche pesce, provenienti da UE, Usa, Canada, Norvegia ed Australia con decreto n. 778 del 7 agosto 2014 e rinnovato per un ulteriore anno con nuova scadenza il 5 agosto 2016”.

Al di fuori del burocratese, questo blocco significa che a essere penalizzati sono soprattutto, ricorda Coldiretti, frutta, verdura, formaggi, latticini, carni e frattaglie e i settori collegati con il relativo indotto. Il tutto per una mazzata sull’agroalimentare che, si legge nello studio, “è costata direttamente all’Italia 240 milioni di euro nel 2015 per il solo settore agroalimentare”.

Moda italiana e Bric, Russia e Cina non sono morte

Nonostante una congiuntura che negli ultimi anni ha fortemente indebolito i cosiddetti Paesi Bric (Brasile, Russia, India e Cina), per diverso tempo le motrici dell’economia mondiale, su alcuni di questi continua a scommettere la moda italiana per sostenere il proprio export.

Il Brasile vive ormai da tempo una profonda recessione, l’India si barcamena ma tutto sommato è la realtà con ancora i migliori margini di crescita, la Cina ha rallentato pericolosamente la propria crescita e, con la svalutazione dello Yuan, ha messo in crisi i mercati mondiali, la Russia è fiaccata dalla sanzioni economiche internazionali a seguito della crisi con l’Ucraina. Ma la moda italiana continua a credere specialmente in Russia e Cina.

Secondo le previsioni di Prometeia e del Centro Studi di Confindustria, presentate nei giorni scorsi durante il lancio del progetto Esportare la Dolce Vita, l’export della moda italiana crescerà del 37,4% nei Paesi emergenti da qui al 2020, ma il 2016 sarà l’anno della Russia, dopo il periodo duro delle sanzioni.

In particolare, il made in Italy e la moda italiana dovrebbero tornare a crescere a Mosca a partire dal prossimo anno, sostenuti dal Progetto speciale Russia ideato da Ice, Smi (Sistema Moda Italia) e ministero dello Sviluppo economico e la crescita dovrebbe proseguire anche nel 2016.

Secondo Prometeia e Confindustria, la ripresa in Russia dovrebbe essere sostenuta dai prodotti di fascia medio-alta della moda italiana, che entro il 2020 dovrebbero portare l’export a un +26,7%, per un controvalore di 1,3 miliardi di euro. Numeri da sogno se rapportati al -13% registrato nel 2014 e al -30% del primo semestre 2015.

Sarà invece la Cina in prima persona a venire da noi e a proporre la vendita dei prodotti della moda italiana di fascia medio-alta, semplificando le operazioni di vendita e azzerando i rischi per le aziende italiane. Lo farà con una iniziativa del colosso cinese della distribuzione IFF, che sarà presentata a Milano alle aziende italiane interessate il 6 e 7 ottobre.

Il progetto in questione prevede che i prodotti della moda italiana siano esposti in 8 nuovi Fashion Center posti nelle più note strade commerciali delle città di Pechino, Shanghai, Shenzhen, Changsha, Hangzhou, Wuhan, Shengyang e Xiamen, nei quali 300 distributori cinesi selezionati da IFF esporranno i prodotti italiani per venderli sia al dettaglio sia all’ingrosso. I centri di IFF si attiveranno anche come centrali di acquisto online, utilizzando una piattaforma di eCommerce.

L’arrivo di IFF in Italia a ottobre è mirato a selezionare circa 200 aziende della moda italiana operanti nel segmento dell’abbigliamento e degli accessori, con l’obiettivo di acquistarne i prodotti della collezione autunno/inverno 2016/17. Le aziende interessate possono accreditarsi agli incontri compilando il modulo sul sito di IFF oppure inviando una e-mail a info@retaily.it, per avere anche maggiori informazioni sulla formula di affiliazione adottata.

Appuntamento ad ottobre con il Salone del Franchising di Milano

La trentesima edizione del Salone del Franchising si terrà a Milano dal 23 al 26 ottobre 2015, ospitato dalla Fiera Milano di Rho/Pero, in concomitanza con Host, la fiera dell’hotellerie e del food service, e vicina ad Expo, che sarà attivo fino al 31 ottobre.

Si può dire, quindi, che come ubicazione e sinergia questa edizione nasce entro una buona stella, allietata inoltre dal trend positivo che finalmente il settore ha raggiunto, dopo anni di stabilità dovuta anche e soprattutto alla crisi.
Il bilancio, ad oggi, è positivo per lo 0,4%, con un giro d’affari pari all’1,4% del PIL italiano, un fatturato medio per ogni catena di 23 milioni di euro e 1.200 addetti.

A fare da traino a questa lenta ma incoraggiante ripresa è stato il settore food, che segna un +6% rispetto allo scorso anno, poiché la formula del franchising viene vista come vincente per espandere il Made in Italy.
Non a caso, i negozi in franchising che sono sorti all’estero negli ultimi anni riguardano soprattutto pizzerie, gelaterie, yogurterie, pub e caffetterie, con un’attenzione particolare per mercati quali il Regno Unito, la Germania e la Francia, ma anche Cina, Emirati Arabi e Russia.

Il Salone, dunque, punterà a favorire l’arrivo di operatori professionali dall’estero ma anche l’internazionalizzazione, che già ha avuto una spinta notevole, con il 4% dei franchisor italiani proiettati verso l’estero e il 17% con progetti di carattere nazionale.

L’evento, inoltre, sarà rivolto particolarmente ai giovani, per i quali mettersi in proprio affidandosi ad un team di esperienza può rappresentare la scelta giusta per il futuro, ma anche a negozianti interessati alla formula del franchising e agli investitori di fondi o aziende, senza dimenticare i retailer e gli operatori internazionali.

Vera MORETTI

Gli stranieri tornano ad investire nel Made in Italy

Il Made in Italy sta ricominciando ad essere appetibile agli investitori internazionali.
Dopo un periodo nero, con gli investimenti ridotti all’osso, che aveva determinato, tra il 2007 e il 2013, un crollo del 58%, il 2014 ha finalmente registrato una ripresa, con un’impennata di acquisizioni di imprese italiane per un controvalore di 20 miliardi di euro.

Questi dati sono stati resi noti dal rapporto Italia Multinazionale dell’agenzia Ice, in cui, comunque, si evidenzia ancora un gap da recuperare con gli altri paesi europei.
Se, infatti, il rapporto tra investimenti esteri e Pil del nostro Paese è di circa il 20%, meno della metà rispetto alla media Ue, che è assestata al 49%.

Ma secondo Riccardo Monti, il presidente dell’Ice, questi segnali di ripresa rappresentano una rinnovata fiducia nei confronti dell’Italia.

Le premesse ci sono, e sembrano molto chiare: il 2015 è iniziato con l’acquisizione di Pirelli da parte di ChemChina, una maxi opa da 7,5 miliardi di euro, e quella del progetto urbanistico di Milano Porta Nuova, 2 miliardi di valore ora in mano al fondo del Qatar.

Ma, se questi sono investitori orientali, la maggior parte di coloro che sono interessati al Made in Italy provengono da Nord America ed Europa, circa l’85% del totale.
Ma potrebbe trattarsi di una percentuale destinata a scendere, in favore proprio dei Paesi emergenti, come Cina, India, Russia e altri Paesi asiatici, i cui investimenti sono cresciuti del 255% dal 2000 a oggi, contro il +17,5% di Usa e Ue.

Lo stesso trend si nota negli investimenti in Borsa: in 20 società nazionali quotate, è presente almeno un investitore rilevante, con più del 20% delle azioni, che arriva da Paesi Arabi, Cina e Russia.

Altri esempi illustri sono Dainese, lo storico brand di abbigliamento per motociclismo ceduto al fondo d’investimento del Bahrain Investcorp, e la casa di moda vicentina Pal Zileri venduta al fondo del Qatar Mayhoola for Investment.

A farla da padrone, comunque, rimane il settore della manifattura, che è interessato da un terzo degli investimenti. Alcuni pezzi importanti dell’industria tricolore sono, infatti, finiti in mani esperi, come la società di compressori per elettrodomestici Acc di Belluno, passata sotto il controllo dei cinesi di Wanbao Group; Mangiarotti SpA, produttore di componenti per l’industria nucleare, petrolio e gas con sede a Pannellia di Sedegliano (Udine) e stabilimento a Monfalcone, finita nel perimetro degli americani di Westinghouse.

L’interesse degli investitori, inoltre, è sempre più pressante nei confronti di Generali, dove Blackrock, colosso americano del risparmio gestito, ha in mano il 2,61% del capitale, e People Bank of China possiede il 2,2%.

C’è da dire, a onor del vero, che le imprese italiane non fanno esclusivamente la parte delle prede, poiché il saldo entrate-uscite è ancora favorevole al Made in Italy. Sono 11.325 le imprese italiane con partecipazioni all’estero per 1,537 milioni i dipendenti e un fatturato di 565,3 miliardi di euro.
Nel 2013 i maggiori gruppi manifatturieri italiani con organizzazione multinazionale hanno prodotto il 67% dei loro beni all’estero e solo il 9% del fatturato è realizzato in Italia contro il 91% all’estero.

Vera MORETTI

L’export salva la ceramica Made in Italy

La ceramica, una delle eccellenze del Made in Italy, sta risalendo la china, dopo un periodo in cui era stata registrata una pericolosa flessione.
Infatti, dopo che il 2012 si era concluso con un preoccupante segno meno, il 2013 aveva riportato i risultati agli antichi albori, chiudendo a dicembre con un incremento delle esportazioni del 4,76%.

Questo trend, che vede nell’export il vero cardine del successo di questo comparto, sta continuando anche nel 2014, anche se, per avere i dati precisi, si dovrà aspettare Capodanno.

Ad oggi, le aziende attive nel settore sono 156, con un impiego di 20.537 addetti, che nel corso del 2013 hanno prodotto 363,4 milioni di metri quadrati (-1,05%) tali da consentire vendite per 389,3 milioni di metri quadrati (+1,85%).

Per quanto riguarda, comunque, la dinamica dei mercati di destinazione, la flessione è ancora molto forte all’interno dei confini nazionali (-7,18% ), mentre le esportazioni sono in aumento del 4,76%, che contribuiscono al segno positivo definitivo delle vendite.

Considerando, infatti, solo l’export, si nota un aumento di fatturato del 5,66%, che, però, sommato al segno negativo degli scambi a livello nazionale (-6,84%), fa assestare la percentuale a +3,16%.

Importante sottolineare che per l’anno in corso gli investimenti previsti sono pari a oltre 248 milioni di euro (+10% rispetto al 2013).

Le vendite nell’Unione Europea (Italia esclusa), sono ora a 155,8 milioni di metri quadrati e pari a quasi il 52% delle vendite oltreconfine. Le esportazioni verso gli altri paesi europei extra Ue presentano una dinamica positiva sia in quantità (+1,88%) sia in valore (+1,41%).

Per quel che riguarda la situazione extra Europa, da segnalare un rallentamento nel quarto trimestre delle esportazioni verso la Russia, comunque ancora positivo il dato cumulato (+2,52% in quantità e +1,67% in valore).
Si confermano dinamiche fortemente positive negli Stati Uniti (+15,06% in quantità).

Significative crescite per i volumi di vendita verso l’Asia pari a 34,4 milioni di metri quadrati, con l’aggregato Golfo che registra un incremento del 15,5% in quantità. In crescita anche le esportazioni verso l’Africa (+14,77%) e verso Australia e Oceania (+14,28%).

Vera MORETTI