Evasione per necessità e riduzione sanzioni nel nuovo decreto fiscale

Continua la riforma del Fisco e il prossimo passo è la riduzione delle sanzioni tributarie e l’introduzione dell’evasione per necessità o sopravvivenza. Ecco cosa cambia.

Riduzione sanzioni tributarie

Il Governo aveva annunciato, tra le misure previste nella legge di delega fiscale il riallineamento delle sanzioni tributarie applicate in Italia a quelle generalmente applicate in ambito UE e di conseguenza una riduzione delle sanzioni attualmente previste. La stessa si rende necessaria anche perché la Corte Costituzionale, nella sentenza sentenza 46 del 2023 cui fa seguito un Comunicato della Corte Costituzionale datato 17 marzo 2023, ha sottolineato l’incostituzionalità del sistema sanzionatorio tributario in quanto non proporzionale. Nel caso in oggetto la sanzione tributaria applicata era molto più elevata rispetto al mancato introito fiscale.

In Italia le sanzioni tributarie oscillano tra il 120 e il 240%, proprio per questo Maurizio Leo, viceministro dell’Economia e padre di questa riforma, ha parlato di un vero e proprio esproprio. A fronte anche di una media europea al 60%, quindi molto più bassa rispetto a quella italiana.

Tra le altre misure previste vi è l’esclusione del rilievo penale nel caso in cui il contribuente raggiunga un accordo transattivo con il Fisco. Inoltre, se nell’ambito di un procedimento penale per evasione fiscale il contribuente viene assolto perché il fatto non sussiste, il giudice tributario deve tenerne in considerazione nell’ambito del processo di sua competenza.

Evasione di necessità o per sopravvivenza

Infine, si introduce l’evasione di necessità o di sopravvivenza. Il Governo intende distinguere tra chi non presenta la dichiarazione o presenta dichiarazioni false e chi, invece, presenta correttamente le dichiarazioni (Iva, Irap, Irpef) ma non riesce a versare i dovuti tributi.

In questo secondo caso si prevede un trattamento di favore. Naturalmente deve trattarsi di un’impossibilità oggettiva e sopraggiunta, ad esempio, nel caso in cui l’attività sia colpita da un particolare evento (alluvione, terremoto, incendio) e si trovi nell’impossibilità di continuare a produrre, abbia problemi di liquidità e di conseguenza non possa versare i tributi dovuti. È possibile tenere in considerazione anche ulteriori fattori, ad esempio il caso in cui il contribuente in difficoltà economica abbia preferito versare i contributi previdenziali per i propri dipendenti e non abbia invece versato le imposte.

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Sanzioni tributarie, secondo la Corte Costituzionale devono essere proporzionate

La Corte Costituzionale con la sentenza 46 del 17 marzo 2023 ha sancito un importante principio di diritto, cioè le sanzioni tributarie devono essere proporzionate soprattutto nel caso in cui emerga la volontà del contribuente di non evadere le imposte.

Omessa presentazione dichiarazione del consolidato e presentazione della dichiarazione del singolo conctribuente: il caso

A sollevare la questione di legittimità costituzionale è la Commissione tributaria provinciale di Bari (Ctp Bari) e ha ad oggetto l’articolo 1 comma 1 del decreto legislativo 471 del 1997 che statuisce : “nei casi di omessa presentazione della dichiarazione ai fini delle imposte sui redditi e dell’imposta regionale sulle attività produttive, si applica la sanzione amministrativa dal centoventi al duecentoquaranta per cento dell’ammontare delle imposte dovute, con un minimo di euro 250”.

Nel caso in oggetto il contribuente aveva omesso la presentazione della redditi relativa al regime fiscale del consolidato (regime che si applica per il calcolo dell’Ires di gruppo), ma aveva presentato nei termini la propria dichiarazione dei redditi e aveva versato, sebbene in ritardo, le imposte da lui dovute. Sebbene le imposte erano state versate in ritardo, con sanzioni ridotte grazie al ravvedimento operoso, il pagamento comunque era avvenuto prima dell’accertamento fiscale, comportamento che denota la mancanza di volontà di evadere il fisco.

Nonostante questo, l’Agenzia delle Entrate aveva inviato l’avviso di accertamento per la mancata presentazione della dichiarazione dei redditi per un ammontare di 17.637,60 e 1.256.652,00 euro corrispondenti al 120% delle imposte da versare.

Corte Costituzionale: le sanzioni tributarie devono essere proporzionate

La Commissione tributaria ha ritenuto che l’applicazione dell’articolo 1 del decreto legislativo 471 del 1997 costituisca violazione dell’articolo 3 della Costituzione per violazione dei principi di proporzionalità, uguaglianza e ragionevolezza laddove non preveda l’esenzione dall’applicazione delle sanzioni dal 120% al 240% per i contribuenti che abbiano volontariamente, e prima dell’avviso di accertamento, adempiuto al versamento delle imposte. La Corte Costituzionale sposa la teoria della Commissione Tributaria Provinciale e stabilisce che le sanzioni possono essere applicate ma solo sulla quota non ancora versata e non sull’intero importo.

La Corte sottolinea che deve trovare applicazione l’articolo 6 del decreto 472 del 1997 che statuisce: Qualora concorrano circostanze che rendono manifesta la sproporzione tra l’entità del tributo a cui la violazione si riferisce e la sanzione, questa può essere ridotta al minimo

Riduzione delle sanzioni fiscali, come sfruttare al massimo il ravvedimento

Quando non si onorano gli impegni con il Fisco, nel versare le tasse, in Italia c’è un istituto grazie al quale il contribuente può sanare la propria posizione, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, al fine di evitare dei contenziosi.

Inoltre, grazie a questo istituto, che è quello del ravvedimento operoso, il Fisco tende la mano al contribuente attraverso un’agevolazione che è rappresentata da una riduzione anche rilevante delle sanzioni applicabili.

Sia per le tasse non pagate, sia per versamenti insufficienti e per altre irregolarità fiscali. Ecco allora, al fine di beneficiare di una riduzione delle sanzioni fiscali applicabili dall’Agenzia delle Entrate, tutto quello che c’è da sapere per sfruttare sempre al massimo l’istituto del ravvedimento operoso.

Ravvedimento operoso per chi, come e quando è accessibile

Nel dettaglio, l’istituto del ravvedimento operoso è accessibile per tutti i contribuenti al fine di sanare la propria posizione con un alleggerimento delle sanzioni. Ma a patto che, per le tasse da pagare, non siano già stati emessi atti di liquidazione o di accertamento includendo pure le comunicazioni da controllo automatizzato e formale delle dichiarazioni dei redditi.

In ogni caso, precisa altresì l’Agenzia delle Entrate attraverso il proprio sito Internet, proprio sul ravvedimento operoso, l’accesso all’istituto non va a precludere, a carico dei contribuenti, l’eventuale avvio di ispezioni, di accessi, di verifiche e di ogni altro accertamento o controllo avviato o avviabile da parte del Fisco.

Come sfruttare al massimo il ravvedimento operoso attraverso una riduzione delle sanzioni

L’istituto del ravvedimento operoso permette una riduzione delle sanzioni applicate, rispetto a quelle standard, ma non incide sull’imposta dovuta. E nemmeno sulle somme dovute a titolo di interessi. In base al tipo di irregolarità, la riduzione delle sanzioni rispetto a quelle standard può variare da un quinto ad un decimo utilizzando appositi codici da riportare sul modello di versamento. L’ammontare delle sanzioni, con la relativa percentuale di riduzione, è sempre riportata nell’avviso bonario che viene recapitato dal Fisco al contribuente.

In particolare, in base al tipo di pagamento di tassa omessa o non sufficiente, e per le irregolarità fiscali, i modelli di versamento da utilizzare spaziano dall’F24 all’F23, e passando per il modello di versamento F24 Elide. In particolare, l’F24 si utilizza per Irap, per l’IVA, per le imposte sui redditi e  per le relative imposte sostitutive. Nonché per l’imposta sugli intrattenimenti.

Mentre l’F23 si utilizza per l’imposta di registro e per gli altri tributi indiretti. L’F24 Elide, invece, si utilizza, tra l’altro, per l’imposta ipotecaria e per le tasse ipotecarie. Nonché per i tributi che sono connessi alla registrazione dei contratti di affitto e di locazione di beni immobili. A livello legislativo, l’istituto del ravvedimento operoso è disciplinato ai sensi di legge dal Decreto legislativo del 18/12/1997 n. 472, in corrispondenza dell’Articolo numero 13.

Sanzioni fiscali tributarie, non ricadono sugli eredi

Gli eredi non sono obbligati a pagare le sanzioni fiscali del congiunto venuto a mancare. La Corte di Cassazione con l’ordinanza n 6500/2019 ha chiarito che le sanzioni pecuniarie amministrative previste per la violazione delle norme tributarie non si trasmettono agli eredi, visto il loro carattere afflittivo.

Le sanzioni tributarie non si ereditano

Nel caso in questione esaminato, il testatore aveva omesso o errato un versamento relativo all’IMU in relazione a un terreno edificabile. I figli del de cuius che aveva pagato l’imposta come se l’appezzamento fosse agricolo, quindi, in misura molto minore rispetto a quanto non comporterebbe l’entità del pagamento di un terreno su cui è possibile costruire hanno presentato ricorso in Cassazione opponendosi all’atto impositivo dopo che la Ctp e la Ctr Roma avevano dato ragione al Fisco. La sezione tributaria della Cassazione ha accolto il ricorso degli eredi, spiegando nella sentenza che le sanzioni amministrative previste per le violazioni delle norme tributarie hanno carattere afflittivo, quindi, da inquadrarsi nella categoria dell’illecito amministrativo di natura punitiva, disciplinato dalla legge n. 689 del 24 novembre 1981, in quanto commisurate alla gravità della violazione e alla persona del trasgressore, con la conseguenza che ad esse si applica il principio generale fissato dall’articolo 7 della legge n. 689/1982 di cui sopra, secondo il quale gli eredi non sono tenuti al pagamento della somma dovuta (Cass. civ. sez. V., 28/05/2008, n.13894; Cass. civ. sez V 15.10.2018, n. 25644)..

IMU su terreno edificabile

Sul caso del versamento dell’IMU, i giudici di Cassazione hanno confermato l’interpretazione del Fisco. Ossia, che ai fini dell’applicazione dell’IMU è da considerarsi edificabile solo se usato a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal Comune, a prescindere dall’approvazione della regione e dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo; ciò determina quella che può considerarsi una vera e propria “impennata” di valore rilevante ai fini fiscali (cfr. Cass. s.u. n. 25506/2006 cit.; Cass. sez. V n. 4952/2018).

Per tutto questo, il ricorso iniziale del contribuente è stato accolto limitatamente alle sanzioni che così non sono state pagate, tuttavia, gli eredi sono tenuti al pagamento dell’imposta chiesta dal Comune. Relativamente all’IMU, la Giurisprudenza tende a considerare l’imposta non spettante agli eredi, bensì al coniuge superstite che continua ad abitare in casa sua. Molto, dipende dallo specifico contesto. In conclusione, la Corte di Cassazione conferma che l’imposta va pagata ma che le eventuali sanzioni non sono trasmissibili agli eredi, in nessun caso.