Filiera moda alla prova della Milano Fashion Week

Si aprirà il 25 febbraio la settimana della moda donna a Milano, ormai nota internazionalmente come Milano Fashion Week. Un appuntamento irrinunciabile per gli appassionati di moda, i blogger, i buyer e soprattutto per le migliaia di imprese della filiera moda che rappresentano lo scheletro su cui i grandi brand e i grandi stilisti costruiscono le loro fortune.

Naturalmente, a farla da padrona durante la settimana è la città di Milano, che ospita la Milano Fashion Week ma svariate aziende della filiera moda, come ha rilevato la locale Camera di Commercio elaborando i dati Istat per i primi 9 mesi del 2014, 2013 e 2012.

Dall’analisi della Camera di Commercio di Milano emerge che la moda “made in Milan” piace all’estero, tanto che in due anni l’export è cresciuto del +10%, in un anno del 3%. Si è passati dai 3,6 miliardi dei primi nove mesi 2012 cubati dalla filiera moda ai 4 miliardi dello stesso periodo del 2014: quattrocento milioni in più in nove mesi.

Su base annuale, l’incremento corrisponde a mezzo miliardo in più di vendite. Su un totale italiano di 35 miliardi di export, la filiera moda di Milano pesa l’11%, mentre Firenze e Vicenza, con 3 miliardi di export ciascuna, hanno una parte importante negli scambi esteri di settore.

Il prodotti della filiera moda milanese si diffondono all’estero in due anni grazie ai mercati dell’Asia orientale e della Cina, con 200 milioni di richieste in più, in particolare dalla Cina (114 milioni in più) e da Hong Kong (89 in più). Seguono Stati Uniti (60 milioni in più) e Unione Europea (64 milioni), con la sola Francia che ha richiesto 36 milioni in più.

Interessanti i dati sulle destinazioni dei prodotti della filiera moda italiana, divisi per tipologia di prodotto. Il “made in Italy” di moda vede protagonista la Francia per i tappeti (il 14% di tutta la richiesta di tappeti italiani) e indumenti da lavoro (19%), la Germania per il tessuto non tessuto (20%), il Regno Unito per maglieria (9%) e intimo (8%), la Grecia per lo spago (5%), il Portogallo per il cuoio (5%), la Spagna per l’intimo (8%), la Repubblica Ceca per il tessuto non tessuto (6%), l’Africa Settentrionale per maglia (10%) e spago (10%), l’America del nord per i tessili (11%) e la pelle (13%), il Medio Oriente per i tappeti (11%), l’Asia Orientale e la Cina per pelle (22%), accessori (28%) e pelliccia (24%).

Le griffe tirano ancora, nonostante la crisi

Nella settimana della moda milanese, emerge un dato che spiega come, in effetti, la città della Madonnina abbia tutti i diritti di essere considerata la capitale fashion, e non solo perché quartier generale di molti grandi stilisti.

Da alcuni dati resi noti dall’Ufficio Studi della Camera di Commercio di Monza e Brianza è emerso che, crisi o no, nelle famiglie lombarde è difficile rinunciare al fashion e per far quadrare i conti ben il 53% si rifiuta di tagliare sulle spese per abbigliamento e calzature.

In questa percentuale, la maggioranza è costituita da giovani, da sempre i più affezionati a moda e griffe. Tra loro, solo il 38% riduce le spese, ma anche i più “maturi” non scherzano in quanto a glamour: solo il 43% di coloro che hanno tra i 51 e i 64 anni rinuncia ad un capo fashion.

E se si pensava che fossero soprattutto le donne a notare l’abbigliamento firmato, proprio e altrui, ecco una smentita: anche gli uomini prestano maggior attenzione a questa particolarità, tanto che, almeno a Milano, raggiungono un 29,8 %, contro il 32 % di donne fashion addicted.

Ma la moda appassiona da nord a sud, perché l’abitudine di osservare se le persone indossano o meno capi “originali” esiste anche a Roma e a Napoli, per fare un esempio, mentre in provincia ci si fa meno caso.

Nonostante questo interesse per le griffe, l’industria del falso non dà segni di cedimento, perché i modelli contraffatti fanno perdere, all’anno, 11 miliardi di Euro e 20 mila posti di lavoro.

d.S.