Se lo Stato mette in ginocchio l’edilizia

L’emorragia della piccola e media impresa della filiera edile in Italia sembra destinata a non fermarsi: imprese che chiudono, soffocate dai debiti o dall’assenza di liquidità, dalla domanda interna in forte calo, ma anche e soprattutto a causa dell’insolvenza dei ‘grossi’ creditori,  Stato e Enti locali in primis.

Ma come reagisce il settore dell’edilizia a questa crisi? Il settore dell’export e le commesse provenienti dai Paesi esteri possono almeno in parte arginare le crepe strutturali, almeno dal punto di visto economico, che ormai affliggono l’industria nostrana?

Infoiva lo ha chiesto a Massimo Trinci, segretario generale di Feneal Uil, la Federazione Nazionale Lavoratori dell’Edilizia industrie affini e del Legno.

I numeri parlano da soli: la crisi del settore edile in Italia vale 72 Ilva. Perché c’è silenzio su questa strage?
E’ una strage silente quella che sta dilaniando il settore delle costruzioni, ed è sempre stato così, ma questa volta dietro i numeri ci sono migliaia di persone, famiglie e professionalità che vengono distrutte quotidianamente. Tutto questo ha poca risonanza sui mass media rispetto a quello che accade nelle grandi industrie perché riguarda un sistema produttivo, come il nostro, estremamente frammentato, costituito da piccole e piccolissime imprese in cui in media lavorano 5 dipendenti. Globalmente nel settore ci sono 2,4 dipendenti per impresa ed, inoltre, si tratta di un lavoro temporaneo e precario dove molto spesso alla fine di una commessa le imprese licenziano i dipendenti e la cosa purtroppo fa notizia soltanto quando un imprenditore o un operaio, in preda alla disperazione, finisce per suicidarsi.

Come si riflette sul fatturato dei vostri associati questa crisi?
Parliamo di una diminuzione di operai iscritti al sistema casse edili dal 2008 al 2012 del 31% di manodopera, circa 250 mila operai che corrispondono ad una diminuzione globale del settore di circa 500 mila occupati. La diminuzione del monte salari è del 25%.

Esistono realtà più strutturate, attive anche sul mercato estero, e che in tal modo riescono a tenere a freno l’emorragia della domanda interna in Italia?
Le grandi imprese strutturate riescono a resistere alla crisi e sopravvivere proprio perché hanno un fatturato per i lavori all’estero superiore al 60% della loro attività ma purtroppo questo incide poco sulla manodopera italiana in quanto il sistema impresa è organizzato in modo tale che in maniera ridotta venga utilizzato personale italiano e specializzato, mentre la maggior parte della manodopera, per ragioni ovvie, è locale.

La crisi si riflette maggiormente sull’edilizia residenziale o anche su quella commerciale/produttiva?
L’unico settore che risente meno della crisi è quello della ristrutturazione e riqualificazione dell’edilizia residenziale.

Quanto vi preoccupa la stretta del credito che ha fatto crollare le concessioni di mutui per l’acquisto delle case?
Moltissimo, in quanto la stretta del credito non riguarda solo la concessione dei mutui ma anche e soprattutto la questione dell’insolvenza dei debiti dello Stato e degli enti locali nei confronti delle imprese. Non è più accettabile e sostenibile che lo Stato, mentre esige dai cittadini il pagamento delle tasse e dei contributi, non paghi i debiti contratti. Proprio a causa di ciò moltissime imprese sane stanno o hanno già chiuso mentre continuano a sopravvivere quelle che ricorrono al lavoro nero o utilizzano capitali di provenienza illegale.

Banche, pubblica amministrazione, politica, burocrazia: chi ha più colpe in tutto questo? Ci siamo dimenticati di qualcuno?
La colpa è indubbiamente di tutti i soggetti citati. La finanza ha monopolizzato l’economia che a sua volta governa la politica e la crisi è diventata recessione dell’economia reale. Che si voglia o no dalla crisi se ne esce insieme e solo se l’Europa comincerà a usare le risorse per finanziare lo sviluppo.

Che cosa serve secondo voi per uscire dalla palude?
Come provvedimento immediato noi crediamo che lo sblocco della legge di stabilità possa liberare subito risorse concrete, utili alle amministrazioni pubbliche sane, per pagare le imprese e finanziare nuovi e indispensabili progetti, che vanno dall’edilizia scolastica alle piccole infrastrutture. Ma per uscire dalla crisi occorrono molti altri investimenti, innanzitutto per la tutela e la salvaguardia del territorio, atti a prevenire calamità naturali e proteggere il nostro patrimonio storico-artistico dall’incuria, e poi per lo sviluppo di un piano di grandi infrastrutture. Tutto ciò non senza l’affermazione di un diverso concetto di sviluppo dell’edilizia basato su sostenibilità e qualità, e che non sia più solamente incentrato sulla costruzione di nuove abitazioni e di seconde case, come era fino al periodo pre-crisi, ma che essenzialmente sia diretto al recupero e alla riqualificazione del patrimonio edilizio esistente secondo canoni di risparmio energetico e di bioedilizia. Questo aiuterebbe non solo il settore ma tutto il Paese. Infatti la grande ricchezza dell’Italia è rappresentata proprio dal suo territorio, dalle sue bellezze naturali ed artistiche, oltre al fatto che per la sua posizione al centro del Mediterraneo lo sviluppo infrastrutturale è l’unico modo per valorizzare la sua collocazione.

 

Alessia CASIRAGHI

La crisi non risparmia l’edilizia

In questo periodo di crisi, il settore dell’edilizia non fa eccezione: l’industria delle costruzioni, negli ultimi cinque anni, ha perso mezzo milione di posti di lavoro. I dati emergono dall’Osservatorio congiunturale dell’Ance, che rileva anche 43 miliardi di investimenti in meno : dal 2008 al 2012 il settore ha perso più di un quarto (-25,8%) degli investimenti, riportandosi ai livelli della metà degli anni ’70.

A soffrire, secondo i dati Ance, sono tutti i comparti, a partire dalla produzione di nuove abitazioni, che nei cinque anni avrà perso il 44,4%, percentuale elevata anche per l’edilizia non residenziale privata con una diminuzione del -27,9% e i lavori pubblici, che registrano una caduta del 37,5%.

Ma le previsioni non sono così nere: il 2013 potrebbe essere l’anno della ripresa, con investimenti del +0,1% rispetto al 2012. Ci sono infatti, spiega l’Ance, un miliardo e mezzo di investimenti attivabili da subito per effetto del decreto sviluppo, principalmente per effetto delle detrazioni per interventi di ristrutturazione ed efficentamento energetico.

Francesca SCARABELLI

Persiste la crisi nel settore delle costruzioni

Nei giorni scorsi in occasione dell’incontro del Consiglio direttivo di Anaepa è stato presentato in anteprima il Rapporto annuale Confartigianato che contiene alcuni dati significativi del comparto delle costruzioni registrati nei primi mesi del 2011, a cura dell’Ufficio Studi Confederale.

Secondo lo studio nonostante la produzione abbia registrato una timida ripresa a marzo 2011, nel settore dell’edilizia persiste una crisi ormai triennale con una flessione dell’occupazione del 4,6% nell’ultimo biennio. La crisi colpisce in particolare le micro e piccole imprese incidendo pesantemente sull’allungamento dei tempi di pagamento dalla Pubblica Amministrazione, il triplo rispetto alla media europea, che nell’edilizia sono aumentati di 27 giorni, passando dai 90 di un anno fa ai 117 di oggi.

Il panorama del settore costruzioni presenta questa situazione:  nel 2009 le costruzioni hanno generato un valore aggiunto di 85.932,2 milioni di euro, pari al 6,3% del totale economia, nel 2010 contano 1.929.594 occupati. Le imprese artigiane registrate al primo trimestre 2011 sono 581.681 e gli occupati dell’artigianato nel 2008 sono 1.094.956.