Pensione: quando si applicano il calcolo retributivo, contributivo e misto?

Il sistema pensionistico italiano attualmente prevede tre sistemi di calcolo della pensione: contributivo, retributivo e misto. Questi si applicano a seconda del percorso assicurativo del lavoratore. Gli stessi comportano importi maggiori o minori. Vediamo ora quando si applicano.

Metodo contributivo, retributivo e misto

La prima cosa da sottolineare è che il sistema migliore per calcolare la pensione è il retributivo. Si tratta però di una misura in via di esaurimento e la data da tenere in mente è il 31 dicembre 1995. Un cosa è certa: chi ha iniziato a versare i primi contributi dopo il 1995 avrà la pensione calcolata solo con il metodo contributivo. Si tratta in genere di persone che nel 1995 avevano circa 18 anni, nati quindi nel 1977 considerando questa come età in cui si entra nel mondo del lavoro. Ci sono sicuramente persone nate prima che sono entrate nel mondo del lavoro dopo il 1995, quindi diciamo che questo è un riferimento abbastanza labile.

Il metodo retributivo: a quali categorie di pensione viene applicato?

La seconda opzione riguarda coloro che prima del 31 dicembre 1995 hanno maturato anzianità contributiva, in questo caso:

  • se gli anni di contributi sono meno di 18 (prima del 31 dicembre 1995), la pensione si calcola con il sistema retributivo per il periodo relativo e con il sistema contributivo per gli anni versati dal primo gennaio 1996 fino al momento della pensione.
  • Se gli anni di contributi versati prima del 31 dicembre 1995 sono almeno 18 c’è un trattamento di maggiore favore. In questo caso il calcolo con il sistema retributivo viene applicato per i contributi versati fino al 31 dicembre 2011.

Il metodo retributivo prevede il calcolo della pensione basandosi sulla media delle retribuzioni maturate rivalutate. In base alle indicazioni dell’INPS con il calcolo retributivo era possibile avere una pensione pari al 70% della retribuzione media percepita se si accede con 35 anni di contributi e l’80% della retribuzione media percepita nel caso in cui il lavoratore abbia maturato un’anzianità contributiva di 40 anni.

Il sistema contributivo

Il sistema contributivo, in base a quanto indicato dall’INPS, è più complesso, infatti prevede:

  • il calcolo della base imponibile annua, cioè la retribuzione annua versata dall’assicurato ogni anno;
  • si procede con il calcolo dei contributi versati ogni anno  moltiplicando la base imponibile per l’aliquota del 33% per i lavoratori dipendenti. Gli importi devono quindi essere rivalutati attraverso i dati elaborati dall’ISTAT e applicando un coefficiente di trasformazione legato all’età del lavoratore che vuole accedere alla pensione.
  • Il coefficiente aumenta all’aumentare dell’età, quindi chi cerca di accedere prima alla pensione, avrà comunque una pensione inferiore rispetto a chi accede all’età prevista per la pensione di vecchiaia.

Ricordiamo che per gli anni 2023 e 2024 non è previsto nessun adeguamento dell’età pensionabile alla speranza di vita.

Attenzione alla pensione anticipata

Il calcolo pensionistico maggiormente favorevole è quello con il sistema retributivo e naturalmente il sistema misto. Proprio per questo è bene porre attenzione, infatti alcune forme pensionistiche agevolate richiedono la rinuncia al calcolo retributivo e l’applicazione del solo metodo di calcolo contributivo, succede ad esempio con Opzione Donna, per questo solitamente si afferma che chi sceglie di andare in pensione con Opzione donna perde circa il 30% dell’assegno.

Il calcolo contributivo non si applica invece alla pensione Precoci che si calcola in modo ordinario.

Riscatto laurea per titolo ottenuto prima del 1996: si può con il costo agevolato di 5.265 euro?

Si può riscattare la laurea ai fini pensionistici per un titolo conseguito prima del 1996 richiedendo il riscatto agevolato previsto dal decreto numero 4 del 2019? La risposta è positiva. Il contribuente può riscattare la laurea pagando 5.265 euro per ogni anno di studio di laurea (escluso gli anni fuori corso). Ma è necessario conoscere i vantaggi e gli svantaggi di chi scelga questa opzione.

Riscatto laurea, si perdono le quote retributive pensione con il pagamento agevolato

Infatti, il riscatto agevolato della laurea per anni prima del 1996 comporta il passaggio del lavoratore alle regole del sistema previdenziale contributivo. Lo svantaggio, dunque, deriverebbe dalla perdita delle quote retributive per gli anni di lavoro svolti entro il 31 dicembre 1995. O addirittura fino al 2012 per i contribuenti retributivi puri, ovvero che abbiano almeno 18 anni di contributi versati prima della fine del 1995. Pertanto, alcuni periodi lavorativi verrebbero calcolati con il sistema contributivo anziché con il più vantaggioso sistema retributivo.

Conviene a un lavoratore con più di 50 anni riscattare la laurea per la pensione futura?

Si può considerare un lavoratore nato nel 1968 che lavori a tempo indeterminato da novembre del 1995 (prima dell’entrata in vigore del regime previdenziale contributivo del 1° gennaio 1996), con 4 anni di corso di laurea da riscattare prima del 1996 e con un anno di militare già riscattato. Senza il riscatto della laurea, il lavoratore andrebbe in pensione di vecchiaia nel 2037; per la pensione anticipata dei 42 anni e 10 mesi di contributi l’uscita da lavoro arriverebbe dopo la pensione di vecchiaia e dunque non sarebbe un’ipotesi da prendere in considerazione.

Quanto conviene riscattare la laurea per andare in pensione prima?

Ma riscattando gli anni di laurea, il lavoratore potrebbe andare in pensione anticipata nel 2034. Accorcerebbe dunque la propria permanenza a lavoro di tre anni rispetto alla pensione di vecchiaia. In questo caso, dunque, il contribuente farebbe bene a procedere con la richiesta all’Inps del riscatto della laurea. Tuttavia, diversa è la quantificazione del vantaggio nel pagare il riscatto stesso con le agevolazioni del decreto 4 del 2019.

Quanto costa riscattare la laurea con l’onere agevolato del decreto 4 del 2019?

Innanzitutto, la comparazione è proprio sul costo del riscatto della laurea. Con l’onere agevolato del decreto 4 del 2019, il lavoratore pagherebbe 5.265 euro per ogni anno di corso. Ma in questo calcolo tra costi e benefici bisogna misurare anche la perdita dovuta alla rinuncia delle quote retributive per un calcolo della pensione futura da fare interamente con il metodo contributivo. In alternativa, il costo del riscatto potrebbe essere calcolato con il metodo della riserva matematica. In questo caso, entrano nel calcolo fattori come il reddito che il lavoratore consegue con il suo lavoro.

Cosa bisogna sapere sul riscatto della laurea prima di inviare la domanda all’Inps?

In soccorso dei contribuenti per i dubbi relativi al riscatto della laurea, l’Inps ha previsto strumenti che consentono di fare delle stime sui vantaggi e sugli svantaggi dell’operazione. Il servizio Inps consente dunque di procedere a una stima ai fini del diritto della pensione e del calcolo di tutte le prestazioni pensionistiche trasformando gli anni di corso di laurea in anni contributivi. A tal proposito, prima di inoltrare la domanda di riscatto laurea, si può utilizzare il simulatore presente sul sito dell’Istituto di previdenza.

Simulatore Inps calcolo della pensione con o senza il riscatto della laurea

Il simulatore dell’Inps, infatti, permette di avere informazioni personalizzate e, in base a queste, ottenere risposte su:

  • il costo da pagare per riscattare la laurea;
  • la possibilità di rateizzare il costo della laurea;
  • la decorrenza della propria pensione futura con le varie opzioni di uscita, sia con il riscatto della laurea che senza;
  • di quanto beneficerà l’importo dell’assegno pensionistico futuro con il riscatto rispetto all’ipotesi che non si faccia alcun riscatto.

Tutte le risposte che fornisce il simulatore dell’Inps sarebbero di aiuto al lavoratore del quale abbiamo fatto l’esempio per procedere con la scelta.

Riscatto della laurea, quali regole è necessario seguire?

Per l’utilizzo del simulatore dell’Inps sul calcolo del riscatto della laurea e sulle varie opzione previdenziali di uscita è necessario avere qualche informazione su ciò che si può fare e ciò che non è previsto dalla normativa. Ad esempio, gli anni di riscatto sono solo quelli previsti dal corso di laurea. Non si possono aggiungere al riscatto, pertanto, periodi fuori corso.

Riscatto laurea, quali titoli si possono riscattare e per quali periodi?

Non si possono riscattare, altresì, periodi che sono già coperti dalla contribuzione obbligatoria. Si possono riscattare, invece, i diplomi universitari. Pertanto vanno bene anche i diplomi di durata dai due ai tre anni. Per i diplomi di laurea la durata deve essere compresa tra i 4 e i 6 anni. I diplomi di specializzazione, conseguiti dopo la laurea, si possono riscattare per un periodo non inferiore ai 2 anni. Si possono riscattare anche i dottorati di ricerca e le lauree triennale (oltre alla laurea magistrale e specialistica). Infine, si possono riscattare i diplomi rilasciati dagli Afam (Istituti di Alta Formazione Artistica e Musicale).

Pensione e metodi di calcolo: guida al sistema contributivo

Le pensioni dei lavoratori che hanno iniziato a lavorare e a versare contributi a partire dal 1° gennaio del 1996 sono calcolate con il metodo contributivo puro. Rispetto al meccanismo retributivo e al misto, si tratta pertanto dei lavoratori che non hanno alcuna anzianità contributiva fino al 31 dicembre del 1995. E, rispetto agli altri due sistemi previdenziali, per il calcolo della pensione con il metodo contributivo puro si prendono le contribuzioni versate e accreditate nel corso di tutta la vita lavorativa.

Pensioni con il metodo contributivo più basse del retributivo

Di conseguenza, le pensioni calcolate con il metodo contributivo sono meno generose rispetto a quelle calcolate con il retributivo. Anche il sistema misto è meno vantaggioso rispetto al retributivo proprio per la quota di contributi (la C) rientrante nel metodo di calcolo del contributivo. Essendo, per l’appunto, “mista”, tuttavia beneficia dei vantaggi del retributivo nel calcolo delle restanti quote, la A e la B. La caratteristica del sistema contributivo è pertanto che questo meccanismo fotografa esattamente quanto versato durante gli anni lavorativi.

Il montante contributivo

Per i lavoratori dipendenti, l’importo del montante dei contributi si calcola con il 33% delle retribuzioni ottenute. Per gli autonomi e le partite Iva, invece, la percentuale è più bassa. Infatti, i professionisti non assicurati presso altre forme pensionistiche versano il 25,98% nel 2021; i professionisti o collaboratori titolari di pensione o altra tutela pensionistica obbligatoria il 24%. Pagano più del 33% i collaboratori e figure assimilate senza altre forme pensionistiche obbligatorie e con contribuzione aggiuntiva Dis Coll (34,23%) e gli stessi senza contribuzione aggiuntiva Dis Coll (33,72%).

La rivalutazione dei contributi per il calcolo delle pensioni

I contributi versati annualmente durante la vita lavorativa vanno a formare il montante contributivo. Tale montante va rivalutato sulla base del tasso annuo di capitalizzazione derivante dalla variazione media sui 5 anni del Prodotto interno lordo (Pil) nominale, che l’Istat provvede a calcolare, prendendo a riferimento il quinquennio precedente l’anno da rivalutare. Fanno eccezione sia i contributi relativi alle retribuzioni percepite nell’anno di decorrenza della pensione che quelli dell’anno precedente: entrambi gli anni non vengono rivalutati.

Come si calcolano le pensioni con il metodo contributivo?

Per il calcolo della pensione, dunque, il montante contributivo ottenuto, opportunamente rivalutato secondo le regole appena esposte, va moltiplicato per i coefficienti di trasformazione. Si tratta di indici, aggiornati ogni biennio e che dipendono dall’età di uscita per andare in pensione e dalla speranza di vita, che trasformano il montante contributivo (la cosiddetta “quota C“) in pensione.

I coefficienti di trasformazioni per il calcolo della pensione

I coefficienti di trasformazione, dunque, sono indici che determinano quale sarà l’importo della pensione in base ai contributi versati. Detti coefficienti variano a seconda dell’età di uscita per andare in pensione: più è bassa l’età (ovvero più si anticipa rispetto alla pensione di vecchiaia dei 67 anni) e più sono alti. Di conseguenza, il sistema dei coefficienti di trasformazione penalizza i lavoratori che anticipano l’uscita sia per i minori anni di contributi versati che per l’applicazione di indici inferiori. Per entrambi i motivi l’importo della pensione, a parità di anni di contributi versati, risulta inferiore. Viceversa, più il lavoratore rimanda l’uscita per la pensione e maggiore risulta essere l’indice mediante il quale si moltiplica il suo montante.

Il massimale del sistema contributivo

I lavoratori ricadenti nel sistema contributivo puro versano i contributi fino a un importo massimo delle retribuzioni. Per il 2021 il massimale è fissato a 103.055 euro. L’importo rappresenta un tetto al versamento dei contributi per le retribuzioni che superano i 103.055 euro. Chi percepisce retribuzioni annue più alte, dunque, non paga i contributi sulla parte eccedente. Il massimale contributivo, tuttavia, non si applica per i lavoratori che abbiano contributi entro il 31 dicembre 1995.

Assegno di pensione con il sistema contributivo

I lavoratori appartenenti al sistema contributivo puro accedono alla pensione con gli stessi requisiti previsti per la generalità dei lavoratori. Per la pensione di vecchiaia è necessario raggiungere l’età di 67 anni e aver versato contributi per almeno 20 anni. Ulteriore requisito per andare in pensione di vecchiaia è proprio l’importo della pensione. Infatti, la prima rata pensionistica deve essere di almeno 1,5 volte superiore al valore dell’assegno sociale.

Cosa succede se non si raggiungono i requisiti per la pensione di vecchiaia nel contributivo?

Se il contribuente di 67 anni in procinto di andare in pensione di vecchiaia non raggiunge l’importo soglia sopra indicato (dunque la prima rata risulta più bassa di 1,5 volte l’assegno sociale) oppure gli anni di contributi sono inferiori ai 20 richiesti, l’assegno pensionistico slitta. In particolare, occorre attendere la pensione di vecchiaia a 71 anni di età, in presenza di almeno 5 anni di contributi effettivi.

Pensioni con il contributivo, requisiti di uscita

I requisiti anagrafici della pensione di vecchiaia e quello dei 71 anni di età sono soggetti a variazione. In particolare, sull’età incide la speranza di vita calcolata sulla popolazione dai 65 anni in su. Il prossimo adeguamento avverrà nel 2023 e sarà valido fino al 31 dicembre 2024.

La pensione di vecchiaia del contributivo si può adeguare al minimo?

Ulteriore differenza della pensione che spetta con il sistema contributivo puro riguarda il trattamento minimo. Infatti, la pensione calcolata con il metodo contributivo non può essere adeguata al trattamento minimo come avviene per altri meccanismi previdenziali. Pertanto, la rata di pensione di un lavoratore del contributivo corrisponde esattamente all’importo risultante dal calcolo illustrato in precedenza.

Pensione anticipata nel sistema contributivo

Per i lavoratori appartenenti al sistema contributivo puro c’è una specifica formula di pensione anticipata. Infatti è prevista l’uscita a 64 anni di età unitamente a 20 anni di contributi rispetto ai 67 richiesti per la pensione di vecchiaia. La condizione essenziale per agganciare questa formula anticipata di uscita è che la prima rata di pensione deve essere almeno 2,8 volto superiore all’importo dell’assegno sociale.

Pensione e metodi di calcolo: guida al sistema (misto) retributivo

Nel passato il sistema retributivo basava il calcolo della pensione sulle retribuzioni percepite dai contribuenti negli ultimi anni di lavoro. Il che significava ottenere pensioni che si avvicinavano agli stipendi e alle retribuzioni dei 5 o, al massimo, 10 anni prima dell’uscita da lavoro. Il sistema retributivo puro non è più in vigore dal 2012 perché, per gli anni di lavoro da quella data in poi, il calcolo della pensione si basa solo sul meccanismo contributivo.

Chi sono i lavoratori del sistema previdenziale contributivo o misto?

I lavoratori che hanno versato 18 anni di contributi entro il 31 dicembre 1995 rientrano nel sistema di calcolo delle pensioni “retributivo” per le anzianità maturate entro il 31 dicembre 2011. I versamenti devono essere interamente posseduti entro la fine del 1995. Non sono previsti, infatti, arrotondamenti per la maturazione dei requisiti minimi.

Quali sono i sistemi previdenziali per il calcolo delle pensioni?

Dal versamento dei contributi utili alle pensioni dipende il ricadere a uno dei meccanismi previdenziali. Oltre al sistema retributivo o misto, i lavoratori che hanno iniziato a lavorare a partire dal 1° gennaio 1996 ricadono nel sistema contributivo puro. Appartenere a uno o a un altro sistema significa vedersi calcolare la futura pensione con meccanismi diversi.

Le tre quote delle pensioni retributive

Il sistema retributivo di calcolo della pensione ha tre quote. La prima, detta “quota A“, riguarda le anzianità contributive maturate entro il 31 dicembre 1992. Per il calcolo della pensione dei lavoratori del settore privato si prendono le retribuzioni degli ultimi 5 anni, rivalutate da specifici coefficienti. Per i dipendenti del pubblico impiego, invece, la quota A è rappresentata dalla retribuzione annua dell’ultimo giorno di servizio. Diversamente, per i contribuenti iscritti alla gestione speciale dei lavoratori autonomi, e dunque i commercianti, gli artigiani, i coltivatori diretti mezzadri, le retribuzioni di riferimento sono quelle degli ultimi 10 anni.

Pensioni retributive: cos’è la quota B?

La quota B per il calcolo delle pensioni retributive riguarda le anzianità maturate dal 1993 al 2011. In questo caso, vengono prese a riferimento le retribuzioni degli ultimi 10 anni sia per i dipendenti privato che per quelli del pubblico impiego. Per i lavoratori autonomi, invece, le retribuzioni di riferimento sono quelle dei precedenti 15 anni.

Quota C delle pensioni per contributi versati dal 2012

Infine, in conseguenza della riforma delle pensioni di Elsa Fornero, la quota C delle pensioni si applica alle anzianità maturate a partire dal 2012. Per i versamenti di questi anni si applica il sistema contributivo. Ciò significa che non fa più testo il calcolo basato sulle retribuzioni degli anni precedenti, ma il montante contributivo. E, pertanto, la quota di pensione si calcola sulla base di specifici coefficienti calcolati in base all’età posseduta dal contribuente nel momento in cui accede alla pensione.

Chi sono i lavoratori ricadenti nel sistema delle pensioni misto?

Oltre al retributivo, i lavoratori più prossimi alla pensione sono quelli che ricadono nel sistema misto. Rispetto ai contribuenti del retributivo, hanno un’anzianità di versamenti inferiore ai 18 anni maturata entro il 31 dicembre 1995. Anche per i lavoratori del misto si applica il calcolo della pensione sulla base di 3 quote.

Le tre quote per il calcolo della pensione dei lavoratori del sistema misto

Nella quota A del sistema pensionistico misto il calcolo si riferisce alle anzianità contributive maturate entro il 31 dicembre 1992 con la media delle retribuzioni dei precedenti 5 anni. Per i dipendenti del pubblico impiego si prende in considerazione la retribuzione annua dell’ultimo giorno di servizio. Per i lavoratori autonomi la media di riferimento è quella degli ultimi 10 anni di retribuzioni.

Pensioni, la quota B nel sistema misto

Nel calcolo della pensione dei lavoratori del sistema misto, la quota B relativa all’anzianità contributive maturata fino al 31 dicembre 1995, il periodo di tempo di riferimento si allarga notevolmente. Infatti, per i dipendenti del settore privato le retribuzioni da considerare sono quelle percepite dal 1988 o comunque precedenti per il completamento del periodo di riferimento. Tale periodo corrisponde all’arco di tempo in cui le retribuzioni vengono prese in esame per il calcolo della pensione.

Quota B per i dipendenti del settore pubblico e autonomi nel sistema misto delle pensioni

Più avvantaggiati in questo calcolo sono i lavoratori del pubblico impiego per i quali il calcolo della quota B del sistema previdenziale misto prende in esame le retribuzioni percepite dal 1993 in avanti. Si tratta dello stesso anno applicato ai lavoratori autonomi per i quali il calcolo della quota B del misto avviene sui redditi dichiarati dal 1993 in poi, ampliati di un ulteriore arco temporale di massimo 10 anni, ovvero dal 1983.

Quota C del calcolo pensioni per i lavoratori del misto

La quota C che per i lavoratori del sistema retributivo puro parte dal 2012, per i lavoratori del sistema previdenziale misto parte dal 1° gennaio 1996. Ciò significa che ai lavoratori con meno di 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995, la pensione viene calcolata con il retributivo fino alla fine del 1995 e con il contributivo dal 1° gennaio 1996.

Quando le pensioni vengono calcolate con la quota C?

La quota C sia del sistema retributivo (per le anzianità maturate fino al 31 dicembre 2011) che per quelle del misto (anzianità contributiva fino a tutto il 1995) viene sostituita dal calcolo contributiva rispettivamente a partire dal 2012 e del 1996. Ciò comporta, dunque, regole pensionistiche diverse basate non più sulle retribuzioni, ma sui contributi.

Come si calcola la quota C con il sistema contributivo?

Il calcolo con il metodo contributivo comporta, per un lavoratore dipendente, l’applicazione del 33% della retribuzione imponibile annua percepita, compresa la tredicesima, e la si rivaluta annualmente sulla base della media di cinque anni del Prodotto interno lordo. Nel momento in cui il lavoratore va in pensione, il montante dei contributi rivalutati diventano assegno di pensione attraverso i coefficienti di trasformazione. Questi ultimi sono indici calcolati sull’età di uscita da lavoro e sulla speranza di vita a partire dai 65 anni.

Neutralizzare contributi dannosi per la pensione: come funziona?

La riduzione dello stipendo, il ricorso alla cassa integrazione e i periodi di disoccupazione possono ridurre i contributi previdenziali. Come conseguenza, ne potrebbe risentire l’importo della futura pensione, ma è possibile neutralizzare i contributi svantaggiosi. Focus, dunque, sui contributi, l’elemento principale nel calcolo della pensione. Alcuni periodi contributivi infatti sarebbe meglio escluderli dal calcolo della pensione, come ad esemio i contributi figurativi.

Chi rischia l’assegno di pensione ridotto per i ‘contributi dannosi’?

La neutralizzazione dei contributi dannosi per la pensione futura riguarda, in primo luogo, i lavoratori che rientrano nel sistema previdenziale retributivo. La medesima situazione, invece, non si verifica se il lavoratore ricade nel mecacnismo previdenziale contributivo, con inizio di contribuzione a partire dal 1° gennaio 1996. La motivazione risiede proprio nel calcolo della pensione. Per il contribuente del regime retributivo, infatti, incidono principalmente gli stipendi percepiti negli ultimi cinque o dieci anni di lavoro.

Futura pensione in diminuzione per chi perde il lavoro prima dell’uscita

Ciò equivale a dire che, negli anni precedenti l’uscita da lavoro per la pensione, i contribuenti del sistema retributivo, in corrispondenza di stipendi più bassi, si vedrebbero calcolata la futura pensione sulla base di salari in diminuzione, anziché in aumento. Questa relazione è tanto vera quanto più penalizzante risulta per i lavoratori che perdono il proprio lavoro e percepiscono l’assegno di disoccupazione. A fronte di retribuzioni ridotte corrisponderà una pensione futura in diminuzione.

Contributi dannosi per il calcolo della pensione futura: i riferimenti normativi

I passaggi normativi rigurdanti la disciplina della neutralizzazione dei contributi “dannosi” ha radici molto indietro nel tempo. Inizialmente la questione è stata affrontata dall’articolo 37 del decreto del Presidente della Repubblica numero 818 del 26 aprile 1957. Infatti, nell’articolo si fa riferimento ai periodi da escludere in modo che non concorrano al calcolo della pensione nel quinquennio di riferimento, ovvero i periodi di:

  1. assenza facoltativa dal lavoro;
  2. lavoro subordinato all’estero;
  3. servizio militare;
  4. malatttia.

La sterilizzazione dei contributi penalizzanti

I successivi provvedimenti legislativi con la legge numero 297 del 1982 e il decreto legislatio numero 503 del 1992, nonché gli interventi della Corte costituzionale, sono andati nella direzione del riconoscere ai lavoratori, anche autonomi, la facoltà di sterilizzare gli eventuali contributi penalizzanti. In tal senso, è possibile non farli rientrere nel calcolo della futura pensione purché vengano accreditati una volta maturato il requisito contributivo richiesto per la pensione anticipata o per quella di vecchiaia.

Quali contributi si possono neutralizzare e in quali limiti?

Fatta la premessa del momento in cui si può attivare la sterilizzazione dei contributi penalizzanti, la legge riconoscere il meccanismo per un massimo di 260 settimane di contributi. Il limite fa riferimento ai periodi:

  • di rioccupazione con uno stipendio inferiore a qello che si percepita prima;
  • alla disoccupazione indennizzata.

Non vi sono limiti, invece, per la neutralizzazione dei seguenti contributi:

  • quelli riguardanti periodi figurativi di integrazione dello stipendio;
  • i periodi di contribuzione volontaria.

Domanda di neutralizzazione dei contributi penalizzanti

Spetta al lavoratore l’iniziativa di fare richiesta di neutralizzazione dei contributi penalizzanti. In particolare, la richiesta deve essere presentata all’Inps nel caso in cui il lavoratore ravvisi una decurtazione della pensione. In particolare, una volta raggiunti i requisiti della pensione di vecchiaia o della pensione anticipata, l’eventuale ed ulteriore montante di contributi accreditato può essere neutralizzato se dal calcolo dell’accredito risulti un nocumento sull’assegno di pensione.

Contributi da neutralizzare: il caso della retribuzione inferiore

Sul caso dei contributi da neutralizzare a causa di una retribuzione inferiore che possa produrre un assegno di pensione decurtato, è intervenuta l’Inps con la circolare numero 133 del 1997 e con il messaggio 12002 del 2006. La circolare, che si rifà alla sentenza della Corte Costituzionale numero 264 del 1994, recita: “In base ai principi enunciati dalla Corte Costituzionale con la sentenza numero 264, l’esclusione dal calcolo della pensione dei periodi di retribuzione ridotta non necessari ai fini del perfezionamento dell’anzianità contributiva minima è finalizzata a evitare un depauperamento del trattamento pensionistico causato dallo svolgimento di un’attività lavorativa meno retribuita nell’ultimo quinquennio di lavoro”.

Il calcolo delle 260 settimane ai fini della confronto dei contributi

Ciò premesso, la circolare Inps specifica che: “La diminuzione della retribuzione deve essersi verificata nell’ultimo quinquennio di contribuzione, e cioe in coincidenza con il periodo di riferimento (le ultime 260 settimane di contribuzione) o nel corso di esso”. Al verificarsi di queste condizioni, l’applicabilità della sentenza numero 264 nel caso di cambiamento dell’attività lavorativa nell’ultimo quinquennio di contribuzione, necessita di “prendere a riferimento la retribuzione settimanale media percepita nell’anno di cessazione della precedente attività, calcolata sulla base delle retribuzioni percepite per tale attività, e metterla a confronto con la retribuzione media settimanale percepita nello stesso anno, calcolata sulla base delle retribuzioni percepite in relazione alla nuova attività lavorativa”.

Periodi da escludere dal calcolo della pensione

La circolare Inps detta, dunque, disposizioni in merito ai periodi da escludere dal computo della pensione. Infatti, come poi specificato dalla stessa Inps con il messaggio 12002 del 2006, “deve essere escluso dal computo della retribuzione pensionabile e dell’anzianità contributiva tutto il periodo di lavoro svolto a partire dal cambiamento di attività ovvero, in caso di riduzione retributiva avvenuta nell’ambito dello stesso rapporto di lavoro, tutto il periodo di lavoro svolto a partire dall’anno solare in cui è iniziata tale riduzione. In ogni caso non possono essere escluse dal computo più di 260 settimane di contribuzione”.

Contributi dannosi in caso di disoccupazione indennizzata

Sui contributi dannosi in caso di disoccupazione indennizzata è intervenuta la Corte costituzionale con la sentenza numero 82 del 2017. Nel caso di pensione retributiva non si conta il periodo di disoccupazione, se dannoso. Ovvero deve essere possibile, per il lavoratore, eslcudere i periodi in cui si sono percepiti contributi per disoccupazione.

La sentenza della Corte costituzionale sui periodi di disoccupazione

I periodi di disoccupazione andrebbero ad abbassare l’assegno pensionistico. La sentenza della Corte costituzionale ha stabilito, dunque, l’illegittimità del comma 8 dell’articolo 3, della legge 297 del 1982. Il provvedimento, infatti, non permetteva al lavoratore, che già avesse matrato il diritto alla pensione, di scorporare il periodo non lavorato coperto da disoccupazione.

Integrazione salariale ai fini della pensione nel retributivo

Non è soggetto al vincolo delle 260 settimane il caso dell’integrazione salariale. La circolare Inps numero 158 del 1996 prende in esame il lavoratore che percepisce, nell’ultimo periodo antecedente la decorrenza della pensione, il trattamento di integrazione salariale. In particolare, l’Inps stabilisce che: “La liquidazione dell’assegno pensionistico risulta determinata in misura sensibilmente più ridotta rispetto a quella che sarebbe derivata tenendo conto dei soli contributi obbligatori già versati e sufficienti, all’atto dell’ammissione all’integrazione salariale, a far conseguire il trattamento pensionistico di anzianità al raggiungimento dell’età pensionabile”.

Esclusione dei periodi di integrazione salariale

La circolare Inps disponde che “nei casi in cui nel periodo utile per il calcolo della retribuzione pensionabile, e cioè nelle ultime 260 settimane di contribuzione antecedenti la decorrenza della pensione, siano compresi periodi di contribuzione per integrazione salariale, la contribuzione per integrazione salariale non deve essere considerata a nessun effetto”.  Ne consegue che le pensioni con decorrenza posteriore al 31 dicembre 1992 devono essere calcolate senza tener conto dell’integrazione salariale.

Periodi di contribuzione volontaria

Rientrano nella casistica dei contributi dannosi anche quelli versati volontariamente dei quali parla l’Inps nella circolare 127 del 2000. In particolare, il ricalcolo della pensione e, dunque, la neutralizzazione dei contributi dannosi riguarda:

  • le pensioni a carico dell’assicurazione obbligatoria dei lavoratori dipendenti;
  • i lavoratori autonomi per il cumulo di contribuzione.

Il versamento dei contributi volontari, effettuato nell’ultimo quinquiennio di contribuzione, deve aver comportato una riduzione della pensione maturata sulla base dei contributi versati nella vita lavorativa.