Quando si viene cancellati dalla Centrale Rischi? Ecco i termini

Chi chiede un prestito e riceve un rifiuto giustificato da un’esposizione o da un debito in sofferenza segnalato alla Centrale Rischi si chiede sempre se tale segnalazione sia legittima e quando si viene cancellati dalla Centrale Rischi. Ecco una piccola guida per muoversi senza incappare in eccessiva burocrazia.

Quando si viene segnalati e quando si viene cancellati dalla Centrale Rischi

La Centrale Rischi, come abbiamo già visto, è una banca dati detenuta dalla Banca d’Italia, in essa sono segnalati i finanziamenti/prestiti eccedenti i 30.000 euro e le “esposizioni” o “sofferenze” di valore superiore ai 250 euro. Si è già detto che non c’è un criterio univoco per stabilire quando un’esposizione debba essere segnalata, la Corte di Cassazione ha stabilito che non può essere segnalato un semplice ritardo o uno scoperto in conto corrente. Le segnalazioni sono aggiornate mensilmente. L’ente creditore deve però smettere di segnalare un credito dal mese successivo rispetto a quando scende sotto la soglia dei 30.000 euro e quando il debitore sana la sua posizione. Questo però non vuol dire essere cancellati dalla Centrale Rischi della Banca d’Italia, infatti i dati saranno ancora forniti a coloro che ne facciano richiesta al fine di valutare il merito creditizio.

I dati restano disponibili per 36 mesi dall’ultima segnalazione, solo successivamente si viene cancellati dalla Centrale Rischi. Non tutti possono accedere a tali dati, ma solo i soggetti che in base alla normativa possono effettuare le segnalazioni, possono accedere ma non in modo indiscriminato, ma soltanto se hanno ricevuto una richiesta di prestito/ finanziamento. Trascorso il periodo dei 36 mesi la cancellazione dalla Centrale Rischi avviene in modo automatico, ma come cancellarsi dalla Centrale Rischi se trascorso tale termine i dati continuano a essere disponibili, oppure nel caso in cui si ritenga che la segnalazione non sia legittima? E’ bene sottolineare che le banche spesso rifiutano prestiti a coloro che sono segnalati.

Come cancellarsi dalla Centrale Rischi: contatta la banca che ha segnalato il debito

Se non si viene cancellati automaticamente dalla Centrale Rischi la soluzione più semplice e veloce è rivolgersi alla banca, o altro soggetto, che ha effettuato la segnalazione, basta recarsi semplicemente in filiale, naturalmente tale richiesta deve essere motivata. Se la banca contesta tale richiesta e quindi ritiene di non dover effettuare la cancellazione, il secondo passo è formalizzare tale istanza attraverso l’invio di un modulo per la richiesta di cancellazione dalla Centrale Rischi da inviare alla banca tramite raccomandata con ricevuta di ritorno oppure PEC.

Come cancellarsi dalla Centrale Rischi: rivolgiti all’Arbitro Bancario Finanziario

Naturalmente la banca anche in questo caso può continuare a ritenere la propria segnalazione sia conforme alla normativa e quindi non provvede a cancellare la segnalazione. A questo punto la soluzione è rivolgersi all’Arbitro Bancario Finanziario il cui compito è mediare tra clienti e banche al fine di risolvere in via stragiudiziale la questione. Deve essere sottolineato che negli ultimi anni l’attività dell’Arbitro Bancario Finanziario è stata davvero importante e risolutiva e in media i tempi di risoluzione delle controversie sono molto bassi, cioè solo 105 giorni. Infine, se neanche tale soluzione appare essere risolutiva, è possibile rivolgersi al tribunale ordinario per risolvere la questione in via giudiziale.

Deve essere sottolineato che solitamente non si arriva alle vie legali quando è necessario cancellarsi dalla Centrale Rischi per il decorso dei 36 mesi: la mancata cancellazione in questi casi è spesso un mero errore materiale. mentre è frequente il ricorso all’arbitro o al tribunale quando si ritiene che in realtà la sofferenza non dovesse essere segnalata, ad esempio perché si è trattato solo di un mancato pagamento, oppure perché il debitore non ha ricevuto il preavviso di segnalazione del proprio debito alla Centrale Rischi.

Che significa crediti passati a perdita?

Quando la riscossione dei crediti non è certa, da parte di banche e società finanziarie, questi vengono definiti come crediti in sofferenza. E questo quando il debitore si trova in una situazione tale da non poter onorare gli impegni presi contrattualmente, per esempio, con la stipula di un mutuo o con l’accensione di un prestito.

Quando invece i crediti già in sofferenza non sono più recuperabili, allora si utilizza un’altra definizione. In tal caso, infatti, si parlerà di crediti passati a perdita. Ecco allora quali sono tutti gli aspetti e le caratteristiche per i crediti passati a perdita, cosa succede e quali sono i rischi e le conseguenze per chi ha concesso il credito, e per chi invece non è riuscito a pagare il debito in tutto o magari solo in parte.

Cosa succede e che fine fanno i crediti che sono passati a perdita?

Quando il credito da in sofferenza passa a perdita, questo significa che l’intermediario, la banca o la società finanziaria, non è più in grado di recuperarlo. Con la conseguenza che, tecnicamente, il rapporto di credito tra le parti, ovverosia tra chi ha concesso il credito e chi lo ha ricevuto, si estingue in maniera anomala.

E questo perché la banca o la società finanziaria dall’operazione ha subito una perdita, mentre per chi ha ricevuto il credito, senza ripagare il debito, in futuro sarà difficile se non impossibile, specie nel breve termine, riuscire ad accedere di nuovo al credito attraverso la stipula di mutui, di prestiti e di finanziamenti spesso anche se questi risultano essere coperti da garanzie reali.

Incubo Centrale dei Rischi per le famiglie e per le imprese insolventi

Quando le famiglie e le imprese sono insolventi, o comunque il credito loro concesso non è passato a perdita, ma è in sofferenza e quindi solo di dubbia riscossione, scatterà inevitabile e inesorabile la segnalazione e l’inserimento nella CR, ovverosia nella Centrale dei Rischi che è una base di dati che è gestita dalla Banca d’Italia.

La base di dati, in particolare, è alimentata proprio dalle banche e dalle società finanziarie. Ma quando un cliente che accede al credito è segnalato nella CR? Al riguardo c’è da dire che la segnalazione in Centrale Rischi scatta solo quando l’importo che il cliente deve restituire, sia questo un’impresa o un privato cittadino, risulta essere pari o superiore alla soglia dei 30.000 euro. Pur tuttavia, se il credito concesso al cliente è in sofferenza, allora la soglia di segnalazione nella Centrale dei Rischi crolla ad appena 250 euro.

E se il cliente bancario, pur tuttavia, è segnalato in CR ritenendo che ci sia un errore, cosa fare? Al riguardo, in caso di problemi o di contestazioni relative proprio alla segnalazione nella Centrale dei Rischi, il cliente prima di tutto può inviare un reclamo direttamente all’intermediario bancario o finanziario. Ed eventualmente il cliente può pure rivolgersi al giudice ordinario, oppure può optare per sistemi di risoluzioni stragiudiziali delle controversie. E questo avviene, nel caso specifico, rivolgendosi all’ABF che è l’Arbitro Bancario Finanziario.

Stabili i prestiti a imprese e famiglie

I piccoli ma significativi segnali di ripresa dell’economia sono tanti. Nulla di trascendentale né di immediato, poiché per tornare ai livelli pre-crisi ci vorranno decenni, nella speranza di riuscire a tornarci. Però qualcosa si muove. E lo stop al calo dei prestiti a imprese e famiglie a novembre va in questa direzione.

Secondo il Bollettino mensile dell’Abi, lo scorso mese il totale dei prestiti a imprese e famiglie è rimasto invariato anno su anno (-0,03%), rispetto al -0,3% del mese precedente: miglior risultato da aprile 2012.

L’Abi mette in luce anche il buon andamento delle nuove erogazioni di prestiti bancari. Nei primi dieci mesi del 2015 i prestiti a imprese hanno fatto registrare +14% anno su anno; meglio ancora hanno fatto i mutui per l’acquisto di immobili: +94,3% anno su anno nei primi dieci mesi del 2015.

Guardando questi andamenti dal punto di vista delle banche, l’Abi sottolinea come, in controtendenza rispetto alle dinamiche dei prestiti a imprese e famiglie, siano calate a ottobre le sofferenze lorde delle banche italiane: 199 miliardi di euro dai 200,4 miliardi di settembre.

Nello stesso mese, le sofferenze nette sono passate dagli 87,1 miliardi di settembre a 87,2 miliardi e il rapporto sofferenze nette su impieghi totali è stato del 4,85% a ottobre contro il 4,84% di settembre.

Sofferenze bancarie, che sofferenza!

Ormai è una non notizia quella delle sofferenze bancarie in Italia. Infatti continuano, con la parte più consistente di prestiti non rimborsati regolarmente agli istituti di credito che è ancora una volta a carico delle imprese con 141 miliardi, contro gli oltre 35 delle famiglie e gli oltre 15 delle imprese familiari.

La situazione delle sofferenze bancarie è stata rilevata dal Centro studi di Unimpresa, che ha calcolato come, da luglio 2014 a luglio 2015, sono cresciute di oltre il 16% superando i 197 miliardi di euro: dai 169,1 miliardi di luglio 2014 ai 197,1 di luglio 2015, con un aumento di oltre 30 miliardi in un anno. E non poteva mancare, nel mazzo dei cattivi pagatori, la Pubblica amministrazione, con debiti non pagati verso le banche che, insieme a quelli delle assicurazioni e di altre istituzioni finanziarie sfondano il tetto dei 4 miliardi.

Secondo Unimpresa, le sofferenze bancarie attualmente corrispondono al 14% dei prestiti, una crescita di 2 punti percentuali rispetto al 12% di un anno fa. Peccato che, alla fine del 2010, le sofferenze bancarie ammontassero a 77,8 miliardi: il che significa avere più che raddoppiato la consistenza in quattro anni e mezzo.

Naturalmente, la situazione delle sofferenze bancarie si riflette negativamente sull’andamento dei finanziamenti alle imprese e alle famiglie. Secondo lo studio di Unimpresa, nell’ultimo anno le banche hanno tagliato i finanziamenti a entrambi i soggetti per un totale di 10 miliardi (-0,6%), mentre i prestiti di medio periodo per le aziende sono andati in controtendenza e sono cresciuti di quasi 13 miliardi (+12%) così come il credito al consumo (+12 miliardi, +20%).

Finanziamenti alle imprese giù negli ultimi 5 anni

Quando si parla di finanziamenti alle imprese in Italia, bisogna sempre fare i conti con dei dati in altalena. Qualche giorno fa, l’Abi ha parlato di una crescita dei finanziamenti alle imprese nel primo trimestre del 2015. Se invece si amplia l’orizzonte, come fa il Centro studi di Unimpresa, si registra che negli ultimi cinque anni i finanziamenti alle imprese sono calati di 36,2 miliardi (-4,28%).

Secondo Unimpresa, da marzo 2010 a marzo 2015 i finanziamenti alle imprese sono diminuiti su tutte durate: quelli a breve termine (fino a 1 anno) sono scesi di 16,7 miliardi (-5,28%), quelli a medio termine (fino a 5 anni) di 10,7 miliardi (-7,49%), quelli a lungo termine (oltre 5 anni) sono diminuiti meno, 8,7 miliardi (-2,26%) ma sono diminuiti.

A un calo dei finanziamenti alle imprese corrisponde, anche in questo caso, un aumento delle sofferenze bancarie (le rate di prestiti non rimborsate da parte delle imprese). Nello stesso periodo, infatti, Unimpresa sottolinea il balzo in avanti di queste ultime, cresciute del 207,74% e passate da 48,8 miliardi a 150,3 miliardi.

Secondo le rilevazioni di Unimpresa, le società non finanziarie hanno avuto le maggiori difficoltà a rimborsare i finanziamenti alle imprese: +223,54%, da 41,7 miliardi a 134,9 miliardi. Raddoppiate le sofferenze per le imprese familiari, passate da 7,1 miliardi a 15,4 miliardi (+115,65%).

Amaro il commento del presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi. “Le eventuali fusioni e aggregazioni – ha detto a chiosa dei dati presentati – non siano mosse o condizionate da interessi e giochi di potere, ma siano finalizzate a razionalizzare i costi e a rendere più efficiente l’industria del credito“.

Prestiti alle imprese in crescita nel primo trimestre

Sale ad aprile 2015 l’ammontare dei prestiti alle imprese da parte delle banche italiane. Secondo quanto ha comunicato l’Abi Rapporto mensile nel suo rapporto mensile relativo al mese di maggio.

Sulla base di un campione di 78 banche, che rappresentano circa l’80% del mercato italiano, l’Abi ha rilevato che i prestiti alle imprese hanno fatto segnare nel primo trimestre 2015 una crescita di circa l’8,1% sul corrispondente trimestre del 2014.

Ad aprile il totale aggregato dei prestiti alle imprese e alle famiglie ha presentato però una variazione di -0,8% su aprile 2014, -1% a marzo ma migliore rispetto al -4,5% di novembre 2013, quando era stato toccato il punto più basso. Il risultato di aprile 2015 per i prestiti alle imprese e alle famiglie è il miglior risultato dal maggio 2012.

Sul fronte dei tassi, il tasso medio sulle nuove operazioni di prestiti alle imprese è stato ad aprile del 2,34%, il valore più basso da giugno 2010. Purtroppo però come conseguenza della crisi che fatica a mollare, la rischiosità dei prestiti alle imprese e alle famiglie in Italia è cresciuta di nuovo, con le sofferenze lorde che a marzo hanno sfiorato quota 190 miliardi, dai 187,3 miliardi di febbraio 2015. Il rapporto sofferenze lorde su impieghi è il 16,6% per i piccoli operatori economici e il 16,7% per le imprese.

Nuova gelata sui finanziamenti alle imprese

Ci risiamo. Tornano a crescere le sofferenze bancarie e, parallelamente, si restringono i finanziamenti alle imprese. Secondo il rapporto mensile sul credito del Centro studi di Unimpresa, da febbraio 2014 a febbraio 2015 le sofferenze hanno superato i 187 miliardi di euro (+25,2 miliardi, per un incremento del 15,56%).

Ne hanno sofferto i finanziamenti alle imprese perché proprio le imprese sono state quelle che hanno fatto più fatica a rimborsare i prestiti alle banche per 133,1 miliardi (+16,51%). E siccome qualcosa di vero ci sarà nel detto secondo cui le banche ti danno l’ombrello quando c’è il sole e se lo riprendono quando piove, ecco che, a fronte di questa situazione, i finanziamenti alle imprese sono stati tagliati di 28,7 miliardi.

Una stangata per le aziende, che hanno visto calare sia i prestiti a breve termine di 10,7 miliardi (-3,48%) sia quelli di lungo periodo di 26,3 miliardi (-6,52%) con in calo complessivo dei finanziamenti alle imprese da 834,6 a 805,9 miliardi. Un’ennesima gelata che ha tagliato le radici di moltissime aziende e che ha spinto Unimpresa a lanciare il consueto allarme da quando è partito il credit crunch.

Secondo il presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi, “quella del credito resta una situazione gravissima e, di fronte alla sempre maggiore difficoltà, sia delle famiglie sia delle imprese, nel pagare le rate dei finanziamenti, assistiamo a un atteggiamento di superficialità da parte delle banche e anche delle istituzioni. Negli scorsi mesi i rappresentanti delle banche e quelli delle grandi industrie hanno parlato di un nuovo rapporto tra il mondo del credito e quello delle imprese, ma non se n’è fatto più nulla”.

Prestiti alle imprese, a quando la ripresa?

Anche il mese di gennaio conferma che il momento difficile per i prestiti alle imprese e famiglie non è ancora passato. Secondo il Centro studi Unimpresa, da gennaio 2014 a gennaio 2015, le sofferenze bancarie (dati Bankitalia) sono aumentate del 15% arrivando a oltre 185 miliardi di euro (+25 miliardi).

Secondo l’osservatorio di Unimpresa, la maggior parte dei finanziamenti non rimborsati arriva dai prestiti alle imprese, per un totale di 131 miliardi, e anche le cosiddette imprese familiari risultano in forte difficoltà, con un totale di insoluto che tocca i 15 miliardi.

Unimpresa rileva però che, nello stesso periodo, le banche hanno diminuito i prestiti alle imprese e alle famiglie per complessivi 30 miliardi (pari a un calo del 2%), ma i prestiti alle imprese per il medio periodo sono cresciuti di 9 miliardi.

Secondo lo studio di Unimpresa, nell’anno in esame le sofferenze sono passate dai 160,4 miliardi di gennaio 2014 ai 185,4 di gennaio 2015 (+16,6%). Di queste, la quota delle imprese è aumentata di ben il 17,3%, da 112,3 a 131,7 miliardi, mentre per le imprese familiari la crescita è stata più contenuta ma sempre preoccupante: +11,08%, da 13,6 a 15,1 miliardi.

A fronte di queste sofferenze, la stretta al credito e i tagli ai prestiti alle imprese e alle famiglie è fisiologica: nell’ultimo anno sono calati di 2,5 miliardi al mese, per un totale, da gennaio 2014 a gennaio 2015, di -30,6 miliardi (da 1.439,6 a 1.409,1).

I prestiti alle imprese sono scesi di 27,4 miliardi e del 2,13% nell’ultimo anno; sono calati quelli a breve termine per 9,8 miliardi (-3,16%) e quelli di lungo periodo di 26,5 miliardi (-6,55%). In controtendenza quelli fino a 5 anni: +8,9 miliardi (+7,50%).

Il presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi, non ha mancato di commentare questa situazione: “Quella del credito resta una situazione gravissima e di fronte alla sempre maggiore difficoltà, sia delle famiglie sia delle imprese, nel pagare le rate dei finanziamenti, assistiamo a un atteggiamento di superficialità da parte delle banche e anche delle istituzioni. Ci sono le risorse del quantitative easing della Bce e non vanno sprecate”.

Prestiti alle imprese? Meglio i titoli di stato

Come sempre accade, anche quando si parla di imprese il bicchiere si può vedere mezzo pieno o mezzo vuoto. Prendiamo i prestiti alle imprese. Secondo i dati presentati dall’Ufficio studi della Cgia, se da un lato il crollo dei prestiti alle imprese sta rallentando, dall’altro per le banche si è registrata un’impennata delle sofferenze che ha avuto sui prestiti alle imprese un riflesso negativo.

Entrando nello specifico delle cifre, da ottobre 2013 a ottobre 2014, i prestiti alle imprese hanno subito un calo di 6 miliardi (pari al -0,7%), mentre dalla fine di ottobre 2011, da quando la stretta dei prestiti alle imprese (o credit crunch) è iniziata, la stretta è di 95 miliardi di euro (-9,4%). Ebbene, nello stesso periodo (ottobre 2013-ottobre 2014) le sofferenze sono cresciute del 25,5% (29 miliardi), mentre dall’ottobre 2011 siamo nell’ordine dell’85,6 di crescita (66 miliardi).

Naturalmente, di fronte a questo scenario le banche hanno deciso di ridurre i prestiti alle imprese privilegiando gli investimenti in Bot, Btp, Cct e Ctz da ottobre 2011 a ottobre 2014 si è passati da uno stock di asset governativi di 208,6 miliardi a 414,3 miliardi. Acquistati con i soldi (255 miliardi) che la Bce ha erogato a tassi vantaggiosissimi alle banche affinché li immettessero nella economia reale. Leggi, effettuassero prestiti alle imprese.

Secondo il segretario della Cgia Giuseppe Bortolussi, “è ancora prematuro stilare un giudizio definitivo. Comunque, secondo i dati di via Nazionale riportati qualche settimana fa dalla stampa specializzata, nello scorso mese di ottobre le banche italiane hanno investito 18,4 miliardi di euro in Btp che rappresentano il 70 per cento dei 26 miliardi di euro che hanno preso in prestito dalla Bce nell’asta TLTRO del settembre scorso. Cosa che non è passata inosservata a Francoforte, visto che Mario Draghi ha annunciato che in occasione delle prossime aste i prestiti dovranno essere assolutamente erogati a famiglie e imprese. Un invito che speriamo sia seguito alla lettera dai nostri istituti di credito”.

Inutile dire che i prestiti alle imprese sarebbero la priorità per cercare di far ripartire l’economia ed evitare i fallimenti. Ma dalla Cgia sono comunque realisti. “Questa operazione non va demonizzata – conclude Bortolussi -. A seguito di questi copiosi investimenti nei titoli di Stato ci siamo riappropriati del nostro debito pubblico che 4 anni fa era per il 40,4 per cento nelle mani degli investitori stranieri; oggi, invece, tale quota è scesa al 34 per cento. Certo, a seguito della contrazione degli impieghi non sono state poche le attività che hanno chiuso i battenti. Pertanto è necessario cambiare rotta”.

Imprese, si arresta il calo dei prestiti bancari

Udite udite, finalmente una notizia. A novembre si è fermato il calo dei prestiti bancari a imprese famiglie dopo oltre 30 mesi consecutivi di discese.

Secondo quanto riferito dall’Abi (Associazione bancaria italiana) nel suo outlook mensile, la variazione annua lo scorso mese è stata nulla, contro un calo dei prestiti bancari dello 0,7% registrata a ottobre.

Quello di novembre è stato il miglior risultato dall’aprile del 2012, in quanto il totale dei prestiti a famiglie e società non finanziarie si è attestato a 1.419 miliardi di euro, mentre a novembre 2013 il calo dei prestiti bancari era stato del 4,5%.

Nel complesso, i finanziamenti – inclusi i prestiti alle Pubbliche amministrazioni – si sono attestati a novembre a 1.813,3 miliardi di euro, ancora in calo dell’1,6% anno su anno, ma meglio del -2,1% di ottobre.

Secondo l’Abi, la dinamica di ripresa dei prestiti “non è una caratteristica solo italiana, ma si registra anche a livello dell’intera area dell’euro”; nei primi dieci mesi del 2014 i prestiti alle imprese fino a 1 milione di euro sono cresciuti dello 0,2% su base annua, mettendo uno stop al calo dei prestiti bancari.

Rimane comunque aperto il doloroso capitolo delle sofferenze bancarie, che a ottobre ha toccato il nuovo record di quasi 179,3 miliardi di euro (+21,7% su base annua). In valori assoluti, l’aumento è stato di 2,4 miliardi rispetto a settembre e di 32 miliardi a fronte di un anno prima. A settembre l’incremento era stato del 22% annuo.