Dall’Europa un finanziamento per i giovani

Che fosse l’Europa a ridare speranza all’occupazione giovanile, forse non lo immaginava nessuno, ed invece è così.
All’interno del piano di ricollocazione dei giovani a livello Ue, infatti, sono 8 miliardi quelli che sarebbero da destinare alle politiche di impiego e, di questi, 128 mila sarebbero in viaggio per l’Italia.

Non si tratta che di un timido inizio, ma, come ha anche ricordato Mario Draghi, presidente della Bce, la disoccupazione giovanile rappresenta un problema serio per tutta l’Ue, ad eccezione della sola Germania, dove il tasso di disoccupazione tra i giovani tra i 15 e i 24 anni sfiora appena l’8%. Cifra irrisoria, se si pensa che in Italia siamo arrivati alla cifra record del 34,2% (con punte di molto maggiori nel Mezzogiorno) e in Spagna già si supera il 50%, mentre la media Ue si colloca attorno al 22%.

Per fare qualcosa di concreto a proposito si sta attivando Fabrizio Barca, ministro per la Coesione territoriale, al quale è stato affidato il compito di dirottare i fondi europei in favore dei giovani disoccupati.
A beneficiare degli otto miliardi complessivi (3,7 dal Fondo sociale europeo e 4,3 dal Fondo europeo per lo sviluppo regionale) saranno le regioni del Mezzogiorno, dove la disoccupazione giovanile già supera il 50%.

In primo piano sono i progetti dal carattere “privato sociale”, ovvero iniziative che coniughino lo spirito di imprenditorialità con la vocazione socio-assistenziale.
Ma non solo, perché a beneficiare di questo finanziamento saranno anche l’informatica e la famosa Agenda digitale, che, nonostante se ne parli da anni, in Italia stenta a decollare.
Un progetto mirato, inoltre, riguarda i giovani che vivono nelle zone ad alto rischio di criminalità, dove si sta pensando a progetti formativi verso gli antichi mestieri. In questo modo, oltre a creare lavoro, si riuscirebbe a salvaguardare la tradizione artigiana in via di estinzione.

Vera MORETTI

Cresce l’importazione di vino in Italia

L’andamento delle importazioni di vino in Italia, registrato per tutto il 2011, va di pari passo con le esportazioni. Se, infatti, l’export ha segnalato un incremento del 12% annuo, le importazioni sono cresciute del 14%.
Ma se in percentuale si equilibrano, il volume d’affari non è certo alla pari.
Con 300 milioni di euro, l’import non è certo a livello dei 4,4 miliardi di euro dell’export, come era prevedibile.

Ma cosa importiamo, e da chi?
Ad entrare in Italia sono soprattutto spumanti e vini sfusi.
Per quanto riguarda i primi, i prodotti chiave rimangono Champagne e Cava, con un incremento dei volumi del 18% a 120 mila ettolitri.
I vini sfusi sono cresciuti del 28% a 92 milioni di ettolitri, a fronte di un quasi raddoppio del volume importato a 2 milioni di ettolitri. Tale incremento continua nei primi 2 mesi del 2012 e proprio questo andamento sostiene le importazioni di vino, che altrimenti sarebbero scese.

I principali mercati da cui importiamo sono sempre la Francia, gli USA e la Spagna, con il Portogallo in aumento.
Tra questi mercati, quello che ha registrato la maggior crescita è stato lo spagnolo, anche se la Francia rimane quello maggiore, con nel complesso il 57% delle importazioni, contro il 20% della Spagna.

Vera MORETTI

In Italia gli stipendi più bassi d’Europa

Un lavoratore italiano guadagna in media la metà che un dipendente in Germania, Lussemburgo e Olanda. Lo dicono i dati nell’ultimo rapporto diffuso da Eurostat “Labour market Statistics”, prendendo come riferimenti gli stipendi lordi annui del 2009: il Bel Paese si piazza al 12° posto nell’area euro, più in basso di Irlanda, Grecia, Spagna e Cipro.

“In Italia abbiamo salari bassi e un costo del lavoro comparativamente elevato. Bisogna scardinare questa situazione, soprattutto aumentando la produttività” ha commentati il Ministro del Lavoro, Elsa Fornero, che si è detta però fiduciosa sulla possibilità di un’intesa sulla riforma del lavoro e del temuto articolo 18.

Ma veniamo ai dati emersi dall’indagine Eurostat: il valore medio dello stipendio annuo in Italia per un lavoratore di un’azienda dell’industria o dei servizi (ovvero con almeno 10 dipendenti) è pari a 23.406 euro.
In Lussemburgo il medesimo valore medio si attesta a quota 48.914 euro, in Olanda 44.412 euro e in Germania a 41.100 euro. L’Italia è prima solo su il Portogallo (17.129 euro l’anno).

Il rapporto diffuso da Eurostat amplia lo sguardo anche sui dati di crescita delle retribuzioni lorde annue dell’Eurozona: l’avanzamento per l’Italia risulta però tra i più ridotti. Dal 2005 al 2009 il rialzo è stato del 3,3%, molto distante anche dai dati sulla crescita riportati da Spagna ( +29,4%) e Portogallo (+22%).

Una buona notizia per l’Italia, arriva quantomeno dalle differenze di retribuzioni tra uomini e donne, quello che Eurostat chiama “unadjusted gender pay gap”. Ma si tratta solo di un’illusione: l’Italia, con un gap tra uomini e donne attorno al 5% è di gran lunga sotto la media europea, pari invece al 17%, risultando seconda solo alla Slovenia.

FACTA: mandato internazionale contro l’evasione fiscale

Si chiama Foreign Account Tax Compliance Act (FATCA) e ha riunito intorno un tavolo ben 6 Paesi: Italia, Francia, Germania, Spagna, Regno Unito e Stati Uniti. Si tratta della nuova normativa volta alla definizione di un approccio Intergovernativo per supportare e migliorare la Compliance Fiscale Internazionale.

In poche parole, la caccia all’evasione diventa intercontinentale. Lo scopo della FACTA è di attuare un approccio comune volto a “favorire la compliance fiscale internazionale e facilitare l’applicazione della legislazione fiscale a beneficio di entrambe le parti (i Paesi ndr )coinvolte”.

Il FACTA è già in vigore negli Stati Uniti dal 18 marzo del 2010, è solo dal 2012 che il Ministero dell’Economia e delle Finanze italiano ha annunciato la volontà, insieme agli altri Paesi europei, di aderire al FACTA, con lo scopo di “intensificare la lotta all’evasione fiscale internazionale”.

Dopo lo spesometro, il redditometro, in arrivo a giugno, e il nuovo database Serpico , l’Italia si mette in prima nella lotta all’evasione fiscale grazie all’accesso alla Foreign Account Tax Compliance Act, che permetterà allo Stato di ottenere la comunicazione delle informazioni da parte delle istituzioni finanziarie estere (Foreign Financial Institutions – FFIs), in relazione a conti correnti esteri, fondi di investimento e movimenti bancari.

L’ approccio intergovernativo adottato dagli Usa permetterà dunque ai 6 Paesi dell’Europa di dare il via ad uno “scambio automatico di informazioni in due direzioni”, ovvero da e verso gli Stati Uniti e l’Europa. In particolare, non sfuggiranno all’occhio vigile del fisco i conti aperti dai cittadini europei negli istituti finanziari statunitensi.

Grazie al FACTA, Italia, Francia, Germania, Spagna, Regno Unito e Stati Uniti si sono poi impegnati a collaborare sul lungo termine allo scopo di lavorare al raggiungimento di standard comuni in materia di obblighi dichiarativi e di due diligence.

I tassi d’interesse si impennano a dicembre

di Vera MORETTI

La vita reale è sempre più influenzata dalla crisi finanziaria e colpisce in modo preoccupante la routine della gente comune.

Un esempio concreto di ciò è l’aumento dei costi di finanziamento per gli immobili e i tassi di interesse dei mutui. A dicembre, infatti, secondo quanto riporta il bollettino mensile dell’Abi, i tassi di interesse sui mutui per l’acquisto di una abitazione hanno subito un aumento pari al 3,83% rispetto al 3,7% del mese precedente ed al 2,7% del dicembre 2010.

Perché questo? Pare che il motivo sia una crescita di finanziamenti a tasso fisso, passata dal 37,3% al 37,6%, ma anche l’innalzamento del costo del denaro, che va ad influire sui prestiti bancari ad imprese e famiglie.

In questa congiuntura “catastrofica”, comunque, qualcosa di positivo c’è, perché i primi 11 mesi dell’anno sono stati caratterizzati da una crescita dei prestiti bancari alle imprese di circa il 5%, un valore positivo soprattutto se lo si paragona con l’1% dell’anno prima. Ciò aveva portato, a fine novembre, ad un ammontare dei prestiti che superava i 915 miliardi di euro, quasi 43 miliardi in più rispetto a novembre 2010.

Questi dati avevano fatto salire l’Italia oltre la media euro con un +1,4% a fine novembre, superando anche i principali paesi europei come Germania, Spagna e Francia.

Anno nuovo… politica vecchia

di Vera MORETTI

La polemica che riguarda gli stipendi troppo alti dei parlamentari italiani è sempre molto viva e, alla luce di quanto emerso dal sondaggio reso noto dal presidente Istat Enrico Giovannini, verrà alimentata di nuove argomentazioni.

Pubblicati sul sito della Funzione Pubblica, i risultati offrono a noi italiani uno scenario tristemente noto, che segnala un primato che, siamo certi, non avremmo mai voluto avere: i parlamentari italiani godono delle indennità parlamentari più alte d’Europa.

I dati, però, sono “del tutto provvisori e di qualità insufficiente per una utilizzazione ai fini indicati dalla legge” perché occorre fare una media tra le indennità lorde, attestate a 11.283 Euro, e una diaria da 3.500 Euro non sembra così immediato.

L’unica, ma magra, consolazione è che le spese dei nostri deputati, per quanto riguarda collaboratori e portaborse, sono “solo” di 3.690 Euro al mese, contro i 9.100 euro al mese della Francia e i 14.700 euro della Germania, dove i collaboratori sono pagati dal Parlamento e non rientrano nelle spese di segreteria e rappresentanza come da noi.

Ma questo non serve a placare gli animi perché, dati alla mano, i parlamentari nostrani arrivano ad avere uno stipendio che supera i 16.000 Euro, record europeo, con i francesi che,al secondo posto, ricevono 13.500 Euro al mese.
La differenza la fanno le indennità, perché, se in Italia siamo a 11.283 Euro, nei Paesi Bassi si scende a 8.550, in Germania a 7.668, in Francia a 7.100, fino ad arrivare in Spagna con “solo” 2.813 Euro mensili.

Ma se si tratta di un calcolo forfettario, e se neppure la Commissione è riuscita a fare un calcolo più preciso, come sarà possibile abbassare drasticamente queste cifre? Insomma, la situazione in cui stiamo fa bene sono ai politici. Ancora una volta.

Veicoli commerciali: la crescita continua, ma ancora per poco

di Vera MORETTI

L’ACEA, Associazione europea dei costruttori di autoveicoli ha diramato i dati riguardanti le vendite di mezzi commerciali, industriali e autobus nel mese di novembre nel mercato continentale (area UE27).

Il bilancio può essere definito positivo, dal momento che sono state immatricolate 161.670 unità con un aumento dell’8,4%. Questo risultato lo si deve soprattutto a Germania, che ha registrato un personale +18.9%, Regno Unito, +18% e Francia, +5,9%.

Il totale delle unità vendute tra gennaio e novembre è di 1.769.994 unità, pari ad una crescita del 10,5% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. ACEA sottolinea che nell’Unione dei 27, dalla quale sono esclusi Malta e Cipro, i cui dati non sono disponibili, a contribuire a questa crescita sono stati soprattutto Paesi come la Francia, +9,9%, e la Gran Bretagna (+19,4%).

Nonostante ciò, comunque, bisogna ricordare che tali dati non risentono ancora dell’ondata di crisi che ha colpito anche questa fetta di mercato, ma già qualcosa si presagisce, considerando che, se la crescita nel mese di novembre era del 9%, quest’anno, nello stesso periodo, è del 10,8%, con un +1,8% che fa intendere quale potrebbe essere la tendenza per i prossimi mesi.

Più evidente è la crescita in altre zone d’Europa, con Lettonia e Lituania in testa, che registrano rispettivamente +169,6% e +105,2%. A seguire Estonia, +82,8%.
Sono andate male, invece, Grecia, – 44,8%, Portogallo, – 25,3%, Bulgaria, -8,2%, Spagna, -5,9% e Italia, -0,7%.

Considerando nel dettaglio i vari comparti, i modelli commerciali fino a 3,5 tonnellate è calato, in Italia, del 2,1%, in controtendenza con le stime europee, che parlano di un +8%.
Anche il mercato dei mezzi per merci con portata superiore a 3,5 tonnellate in Europa è ancora positivo, ma sta comunque rallentando. Nel mese scorso la crescita è stata infatti del 10,5%, mentre da gennaio a novembre l’incremento è stato del 29,7%. Per l’Italia invece novembre è in calo dello 0,4% e il consuntivo a fine novembre mostra ancora un incremento del 6,2%.
Diversa è la situazione per quanto riguarda gli autobus, che ha registrato una crescita del 29,5%, con un calo a livello europeo dello 0,9%.

Anno positivo per automazione e robotica

di Vera MORETTI

Le buone nuove ricevute dal settore dell’industria specializzata nella costruzione di macchine utensili, robot e automazione, che parlavano di un resoconto positivo per il bimestre 2010-2011, potrebbero non essere più tanto brillanti in vista delle previsioni per l’anno prossimo, quanto la crisi dovrebbe farsi sentire.

E’ quanto emerge dai dati elaborati dal Centro Studi & Cultura di Impresa di UCIMU-SISTEMI PER PRODURRE, che, dopo aver fatto sapere che, nell’anno in corso, la produzione italiana di settore è cresciuta a 5.019 milioni di euro, segnando un incremento del 19,6% rispetto all’anno precedente, non prevede lo stesso trend positivo anche per il 2012. E questo nonostante l’ottima performance delle esportazioni che, cresciute del 29,3%, hanno raggiunto quota 3.367 milioni di euro.

Ha dato buoni frutti l’export italiano di macchine utensili verso Cina, Germania, Stati Uniti, Brasile, Francia, India, Russia, Turchia, Polonia, Spagna.
Le vendite sono cresciute notevolmente in Germania, con un +62,9% che ha fruttato 228 milioni, ma anche negli Stati Uniti gli affari sono andati bene, con un +99,4 e 170 milioni di euro davvero sorprendenti. Considerando i segnali più che soddisfacenti provenienti anche da paesi come Brasile (+84,1%) a 115 milioni, Francia (+23,2%) a 105 milioni, India (+19,7%), Russia (+15%), Turchia (+85,1%); Polonia (+55,3%), Spagna (+14%), l‘anno si conclude con un bilancio molto positivo, ma, ahimè, non ottimistico rispetto al futuro. E questo non a causa dell‘indice negativo, -0,4%, della Cina, anche perché, benché in controtendenza rispetto ad altri mercati, ha fruttato all‘Italia 240 milioni di euro.

Il mercato interno non può certo vantare le stese cifre, poiché la crescita si è fermata all’11,9% e 2.761 milioni di euro, valore che denota la debolezza della domanda espressa dagli utilizzatori italiani. Il modesto incremento della domanda interna si riflette nella timida ripresa delle consegne dei costruttori sul mercato interno che, cresciute del 3,8%, non sono andate oltre quota 1.652 milioni.

Meglio le importazioni, con un +26,7% dignitoso, ma con un valore assoluto che non va oltre i 1.100 milioni, ma si tratta di dati prevedibili, dal momento che dall’analisi relativa al periodo 2008-2011, emerge che la quota di import su consumo cresce meno di un punto percentuale, passando da 39,9% a 40,2%.
Al contrario, il rapporto export su produzione ha guadagnato dieci punti percentuali, passando dal 57% del 2008 al 67,1% del 2011. Questi dati dimostrano la capacità dei costruttori di mantenere il presidio del mercato interno pur intensificando, in modo deciso, l’attività sull’oltre confine.

Ma veniamo alle previsioni per l’anno prossimo: anche se positiva, la crescita subirà un considerevole rallentamento, in particolar modo la produzione, che si dovrebbe assestare sui 5.190 milioni di euro. L’export crescerà del 4,8%, a 3.530 milioni di euro, mentre il mercato interno frenerà la sua corsa: i consumi saliranno a 2.820 milioni di euro, il 2,1% in più rispetto al 2011. Stazionarie le consegne dei costruttori sul fronte domestico che si fermeranno a 1.660 milioni di euro (+0,5%).

Per affrontare questa situazione, i costruttori stanno già prendendo provvedimenti, intensificando la quota di produzione destinata all’estero, che arriverà a 68%.