L’economia italiana (quasi) la peggiore d’Europa

La notizia non è inaspettata, ma certo neanche piacevole.

Nella bozza del World Economic Outlook, il Fondo monetario internazionale indica l’Italia, rispetto agli altri Paesi dell’UE, in ritardo per quanto riguarda l’economia, anche a causa di un calo del Pil dell’1% registrato nell’ultimo anno e una crescita, prevista per il 2013, di un misero 0,5%.

Il Belpaese non è il fanalino di coda dell’Europa, ma peggio è messa solo la Spagna (-1,5% nel 2013), mentre si raffronta alla crescita dello 0,6% in Germania e dello 0,3% in Francia.
Ai nostri livelli c’è il Portogallo, mentre peggio di noi solo Slovenia (-1,5%), Cipro (-3,1%) e Grecia (-4,2%).

Le prospettive globali “sono migliorate ancora, ma la strada per la ripresa nelle economie avanzate resta sconnessa”.
A peggiorare le cose nel nostro Paese è anche l’incertezza politica dovuta ai risultati delle elezioni.

Vera MORETTI

Rischio di declino per le imprese

E’ un dato di fatto, meno del 10 per cento delle aziende italiane riesce a superare la seconda generazione. Il tessuto imprenditoriale del nostro Paese è composto, soprattutto, da imprese familiari, dove il capo famiglia è anche a capo dell’impresa. Per ragioni anagrafiche, ad un certo punto il capo dell’impresa dovrà cedere la propria impresa o a terze persone o a qualche membro della sua famiglia. Se la cede a terzi, incassa il valore stabilito e la storia finisce lì, se la cede a un familiare… la storia spesso finisce lo stesso. Nel senso che, spesso, i familiari dell’imprenditore non sono capaci di dare continuità a quanto costruito dal fondatore dell’impresa e l’azienda chiude. Perché? Il fondatore non riesce a trasferire le sue capacità.

Come si fa? Prima di tutto, bisognerebbe capire se i suoi eredi le hanno, queste capacità. O se sono più portati per altre attività. È inutile e dannoso portare a tutti i costi in azienda una persona che invece vuole insegnare a scuola (ad esempio).

Poi sarebbe utile capire come trasferire al meglio queste capacità, possibilmente potenziandole. E nello stesso tempo come non far sentire del tutto inutile il “vecchio” fondatore.

È un’attività di coaching, se vogliamo usare un termine anglosassone di moda. In un momento così difficile per l’economia, non possiamo permetterci di perdere anche le aziende che funzionano, di perdere posti di lavoro.

Poi bisogna curare anche gli aspetti successori dal punto di vista legale e finanziario, in modo che nessun erede sia trascurato o che siano lesi i suoi diritti. Per fare tutto ciò, è necessario che un professionista abbia il quadro complessivo della situazione sotto controllo. Un notaio? No, perché si occupa di formalizzare gli aspetti legali di una successione, ma è il cliente a dovergli dire come vuol redigere un testamento, ad esempio, e di sicuro il notaio non si occupa del futuro dell’azienda.

Un avvocato si occupa della questione legale, ma non di quella aziendale. Il commercialista si occupa di aspetti fiscali e tributari dell’azienda, non certo di passaggi generazionali e successioni. Tra tutte le figure, il commercialista è colui che conosce meglio l’azienda e ha una grande responsabilità nel fornire risposte adeguate quando l’imprenditore deve mollare il timone a qualcun’altro.

Ma se il commercialista non è il professionista più adatto, sarebbe bene che indirizzasse il proprio cliente verso chi può effettivamente dare un aiuto. E’ ora insomma che i commercialisti utilizzino i consulenti patrimoniali per fornire quei servizi che loro non possono dare, nell’interesse esclusivo del cliente. E che la smettano di dire al cliente “non si può fare”, solo perché loro non sono in grado di farlo. Bisogna che ogni professionista abbia il coraggio di ammettere i propri limiti e utilizzi degli specialisti quando è il caso. Auspico un futuro di collaborazioni proficue.

dott. Marco Degiorgis – Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

Al via Siaft 2013

Manca un mese scarso all’avvio dell’edizione 2013 di Siaft, Southern Italy Agri Food and Tourism, che vedrà la partecipazione di duecentosessanta piccole e medie imprese e oltre 120 buyers internazionali provenienti da Germania, Gran Bretagna, Spagna, Polonia, Canada, Francia, Giappone.

Promosso da Unioncamere, con il supporto di Mondimpresa, cofinanziato dal Ministero dello Sviluppo economico e organizzato da 18 Camere di commercio del Centro-Sud Italia con il supporto della rete camerale estera, Siaft vuole dare la possibilità alle piccole imprese attive nei settori agroalimentare, turismo e nautica di entrare in contatto con i mercati internazionali.

All’edizione di quest’anno, la quarta, parteciperanno anche 77 imprese che non hanno nessuna esperienza di export, a parte alcuni casi sporadici.

Per permettere a tutte le pmi di orientarsi tra le varie proposte, è stato stilato un calendario che prevede incontri con i buyers internazionali:

  • Turismo: 5 aprile Napoli (in occasione della Borsa Mediterranea del Turismo);
  • Oil: 16-17 aprile Campobasso;
  • Turismo nautico: 26-27 aprile Gaeta (in occasione del Gaeta Yacht Med Festival);
  • Wine: 27-31 maggio Chieti – Cosenza;
  • Food&beverage: 27-28 giugno Frosinone.

In ottobre gli ultimi due appuntamenti del Siaft con la Fiera Anuga di Colonia (5-9 ottobre), riservata al settore agroalimentare e la Fiera TTI di Rimini (17-19 ottobre), destinata alle aziende turistiche.
Per ricevere informazioni più dettagliate è possibile rivolgersi alle Camere di Commercio territoriali.

Vera MORETTI

Caro-bollette: il triste primato dell’Italia

Da un’indagine condotta da Facile.it, il portale che mette a confronto le tariffe di assicurazioni e bollette, è emerso che l’Italia ha ottenuto un primato in Europa non molto invidiabile.

Sembra, infatti, che gli italiani debbano pagare ben il 20% in più rispetto ai cittadini degli altri Paesi UE per le bollette di luce e gas.
A fronte di una media di 1.820 euro all’anno pagati in Italia, in Paesi come Francia, Gran Bretagna, Germania e Spagna si potrebbero risparmiare ben 330 euro l’anno.

Ciò che è difficile da spiegare è che il prezzo della materia prima gas in Italia è in linea con quello pagato dagli altri Paesi europei, ma nonostante ciò è molto forte la differenza di tasse ed imposte sulla bolletta.

Nel dettaglio, per il gas paghiamo 0,31 euro ogni metro cubo di gas, contro uno 0,13 euro/mc pagato negli altri Paesi, mentre sull’energia elettrica, dove già paghiamo di più per la materia prima, aggiungiamo 0,059 euro di imposte ogni KWh, contro lo 0,042 euro/KWh degli altri Paesi considerati.

I 1.820 euro spesi in un anno sono così distribuiti:

  • circa 1.300 euro riguardano i consumi del gas, considerando un consumo annuo medio di 1.400 metri cubi: si potrebbero risparmiare ben 260 euro l’anno se entrassero in vigore le tariffe unitarie esistenti nei principali paesi europei. Il costo medio al metro cubo da noi è pari a 0,93 euro, contro lo 0,75 euro al metro cubo medio di Germania, Inghilterra, Francia e Spagna.
  • i rimanenti 520 euro, dunque, sono destinati alla luce, per un consumo annuo medio di circa 2.700 KWh: si potrebbero risparmiare 73 euro ogni anno con le tariffe unitarie in vigore negli altri Paesi considerati. Paghiamo infatti 0,191 euro per KWh, contro gli 0,164 euro per KWh spesi in media da Germania, Inghilterra, Francia e Spagna.

Ma, in sostanza, qual è il motivo di questa differenza? La spesa unitaria varia perché da noi i prezzi della materia prima gas e della quota energia della luce sono tassati maggiormente rispetto all’estero.

Ciò significa che, se il prezzo della materia prima in Italia è in linea con quanto viene pagato all’estero, sono le tasse che pesano sulle nostre bollette (ben 0,31 euro/mc in Italia, contro uno 0,13 euro/mc per gli altri Paesi).
Anche se sull’energia elettrica il prezzo italiano della quota energia è leggermente più alto rispetto alla media altri Paesi analizzati, rimane comunque troppo elevato il peso delle tasse applicate sulle tariffe (0,059 euro/KWh contro lo 0,042 euro/KWh degli altri Paesi considerati).

Paolo Rohr, responsabile della Divisione Utilities di Facile.it, ha dichiarato a proposito: “La differenza di prezzi tra l’Italia e molti altri paesi europei può essere in parte mitigata valutando le offerte del mercato libero per il gas e la luce. Attraverso il confronto delle tariffe gli utenti possono risparmiare sul prezzo della materia prima gas e della quota energia della luce, benché non possano, ovviamente, abbassare i costi addizionali e le tasse riportate in bolletta. Parliamo, ad ogni modo, di un risparmio medio di 150 euro sul gas e di 50 euro sull’energia elettrica“.

Vera MORETTI

Accordo tra cinque confederazioni professionali europee

E’ stato siglato un accordo di amicizia tra le confederazioni professionali di Italia, Germania, Spagna, Gran Bretagna e Romania che ha l’obiettivo di promuovere l’integrazione e la mobilità dei professionisti in Europa.

I rappresentanti delle cinque confederazioni (Confprofessioni, Bundesverband der Freien Berufe, Uniòn Profesional, UK Inter-Professional Group e Romanian Union of Liberal Professions) si incontreranno a Roma presso Palazzo Marini il prossimo 11 febbraio, alla presenza del vicepresidente della Commissione europea, Antonio Tajani, del vicepresidente del Parlamento europeo, Roberta Angelilli e del ministro per le Politiche europee, Enzo Moavero Milanesi.

La finalità principale del Trattato di Roma delle Professioni è di arrivare alla definizione di un coordinamento unitario per promuovere studi e analisi su tematiche di interesse comune e la produzione di documenti, raccomandazioni e osservazioni da presentare agli interlocutori pubblici e privati.

Il protocollo, quindi, potrebbe essere un importante strumento operativo per valorizzare e promuovere il ruolo e l’attività di milioni di professionisti europei.
L’intesa prevede il monitoraggio delle opportunità di finanziamento offerte dall’Unione europea, stimolando e favorendo la costituzione di partenariati transnazionali per la partecipazione di bandi di gara comunitari.

L’accordo interconfederale permetterà inoltre di promuovere azioni per facilitare la mobilità di liberi professionisti ma anche di praticanti e tirocinanti, che intendano svolgere un periodo di praticantato presso uno dei Paesi che hanno aderito al protocollo.

Ad incoraggiare l’iniziativa è stata Confprofessioni che ha saputo sviluppare una rete di relazioni con le principali Confederazioni interprofessionali degli altri Stati membri, svolgendo un ruolo di primo piano per la creazione di una rete con e per i professionisti.

Vera MORETTI

Se gli stranieri preferiscono gli spaghetti

 

Battuta d’arresto come non se ne vedevano dal 2009 per l’export italiano: secondo quanto diffuso dall’indagine Istat a settembre 2012 le esportazioni sarebbero calate del 2% rispetto ad agosto 2012 e del 4,2% su base annua. Ma a far risalire la china della crisi delle esportazioni ci pensa la buona cucina rigorosamente made in Italy: il settore dell’agroalimentare infatti avrebbe registrato, secondo Coldiretti, un aumento nelle esportazioni pari all’1,2%.

Ma vediamo nel dettaglio: la crisi dell’export si è fatta sentire sia per quanto riguarda i mercati di sbocco europei (-2,1%) sia per i mercati extra Ue (-2%). In calo sono state soprattutto le vendite di beni strumentali (-4,5%) e di prodotti energetici (-2,3%), mentre i beni di consumo durevoli hanno segnato un aumento dell’1,0%.

Rispetto a settembre 2011, la flessione delle vendite risulta accentuata per Cina (-18,8%), paesi Mercosur (-13,7), Romania (-13,6%), Spagna (-12,8%) e Germania (-10,3%), mentre aumentano i flussi verso Stati Uniti (+19,4%) e paesi ASEAN (+22,9%).

Un segnale di controtendenza, che fa ben sperare, viene invece dal settore dell’agroalimentare italiano: secondo un’analisi Coldiretti su base Istat, a settembre 2012 si è registrato un aumento nelle esportazioni pari all’1,2% per un valore totale di 2,731 miliardi.

La crescita dell’agroalimentare è dovuta ad un aumento del 5,4 % delle spedizioni di prodotti agricoli e dell`1,1 % di quelle degli alimentari e delle bevande – sottolinea Coldiretti. –  Ad aumentare sono state le esportazioni in valore dei prodotti simbolo della dieta mediterranea Made in Italy come la pasta, il vino e le conserve di pomodoro”. E se l’auspicio è quello di cavalcare il trend più che positivo del cibo made in Italy, “il valore dell`export agroalimentare è destinato a far segnare a fine anno il nuovo record con un valore delle spedizioni superiore ai 30 miliardi di euro fatti registrare lo scorso anno – stima Coldiretti. – Un risultato importante poiché l’agroalimentare svolge in realtà un effetto traino per l`intero Made in Italy all’estero dove il buon cibo italiano contribuisce in misura determinante a valorizzare l`immagine dell’Italia all’estero“.

Sul fronte importazioni, i dati registrati da Istat non sono invece per nulla positivi: la battuta d’arresto ha riguardato anche il settore import, gli acquisti sono calati del 4,2% a livello congiunturale e del 10,6% su base annua.

Segnali di forte flessione si rilevano per gli acquisti da Giappone (-35,0%), India (-30,9%) e paesi EDA (-26,0%), mentre sono in forte crescita gli acquisti dai paesi OPEC (+18,0%) e Russia (+16,7%). Gli acquisti di autoveicoli (-44,9%) sono in netta flessione.

 

Alessia CASIRAGHI

Accordo raggiunto a Bruxelles sulla vigilanza unica bancaria

Un accordo che mette d’accordo i leader delle maggiori nazioni europee: è quello che è stato siglato a Bruxelles sulla vigilanza unica bancaria, da affidare alla Bce dal 2013.
Il compromesso è stato raggiunto dopo l’ennesimo braccio di ferro tra la Francia di Hollande e la Germania della Merkel, ma l’importante è che l’obiettivo dell’intesa sul quadro legislativo sia stato centrato.

Si partirà da qui per arrivare in seguito ad una ricapitalizzazione diretta delle banche da parte del Meccanismo europeo di stabilità (Esm), come ha anche confermato il presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy: “Oggi abbiamo deciso di precisare il calendario assicurando che la Bce si è impegnata a lavorare il più velocemente possibile per un’entrata un vigore del meccanismo nel corso del 2013“.

Angela Merkel si è mostrata soddisfatta, anche se ha subito messo le mani avanti perché il meccanismo unico di supervisione bancaria diventi del tutto operativo perché, ha precisato: “la qualità è più importante della rapidità, perché l’obiettivo è una supervisione bancaria degna di questo nome“.

A questo proposito, Francois Hollande sembra concordare con la cancelliera tedesca, poiché ammette come fosse impossibile sperare in tempi più brevi, anche e non solo a causa delle divergenze tra i due Paesi. Alla fine, però, il capo dell’Eliseo ha dichiarato: “Con gli amici tedeschi, c’è stato un accordo perfetto perché Berlino ha capito, come noi, che l’unione bancaria deve avere delle tappe“.

L’ipotesi di un supercommissario europeo, che abbia anche diritto di veto sui bilanci nazionali, non è stata per ora presa in considerazione, e pare che si tratti di un’idea che non piace nasce a Mario Monti. Il nostro presidente del Consiglio si è soffermato, invece, sull’accordo raggiunto, puntualizzando che “non è possibile dire con esattezza quando potranno essere ricapitalizzate direttamente le banche in difficoltà”.

Anche il presidente spagnolo Mariano Rajoy ha usato parole soddisfatte dei risultati ottenuti durante il vertice “perché sono stati fatti progressi nel processo di integrazione europea e nell’unione bancaria, con l’accordo di avere una legislazione alla fine dell’anno per poi attuarla nel corso del 2013“.

Vera MORETTI

Ceramiche, il made in Italy che incanta l’estero

Le presenze di buyers e compratori stranieri alledizione 2012 di Cersaie ha raggiunto la quota record di oltre 30.000, ovvero il 32% del totale dei visitatori che hanno partecipato alla fiera di riferimento a livello internazionale della ceramica per l’architettura e dell’arredobagno. Numeri che trovano una perfetta corrispondenza nei dati export per il 2012 dell’industria della ceramica in Italia: circa l’80% della produzione made in Italy è destinata infatti a mercati extranazionali.

Ma qual è la geografia dei Paesi compratori delle ceramiche prodotte nei distretti industriali del Modenese e del resto d’Italia? Qual è il segreto delle ceramiche italiane apprezzate in tutto il mondo? Quanto l’export ha permesso una rinascita del settore, messo a durissima prova dalla crisi della domanda interna e dagli sfortunati eventi sismici che hanno messo in ginocchio le aziende del modenese?

Leggi i dati sull’export dell’industria della ceramica italiana

Le ceramiche italiane puntano sull’export

Oltre 2 miliardi di euro di fatturato nel primo semestre del 2012, grazie soprattutto al giro d’affari dell’export. L’industria della ceramica made in Italy reagisce con grinta alla crisi, segnando solo una leggera flessione (-0,56%) rispetto allo stesso periodo del 2011. Il risultato nasconde però luci e ombre su un comparto dell’industria nazionale che resta il principale player del settore ceramiche a livello internazionale (36,8%):  se la domanda del mercato interno, e in parte di quello Ue, ha subito un forte ridimensionamento, a farla da padrone sono i Paesi extra Ue che registrano aumenti a due cifre.

In Italia si produce, guardando ai metri quadrati, il 20,8% della quota mondiale di ceramica,  superata solo dalla Cina che ne produce il 29,5%. Le posizioni si invertono però se si guarda alla quota export: l’Italia è il principale esportatore internazionale con oltre il 36%, seguito dalla Cina, con il 20,1%, e dalla Spagna che si ferma al 14,9%.

Ma come si sono suddivise le fette di mercato interno ed export nella prima parte di 2012? Le vendite domestiche, riferite al territorio nazionale che ricoprono una fetta pari al 21,2% delle vendite totali, si sono fermate nel 2012 a 501 milioni, con una diminuzione del 16,2% rispetto al 2011. Estendendo lo sguardo al mercato Ue, che vale per il 42,4% delle vendite totali del comparto,  la flessione si arresta invece al -1,4%.

Nel dettaglio, il mercato che maggiormente ha risentito della crisi è stato quello greco (-40,9%), ma va specificato che l’export ellenico riguarda una fetta esigua del fatturato totale (1%). Maglia nera anche a Portogallo, Irlanda e Spagna, con flessioni stimate tra il -25 e il -16%. Il rigore imposto dal governo tedesco ha garantito un +9% nelle vendite del comparto ceramica in Germania che, un mercato che rappresenta una quota pari 10,5% delle vendite totali, performance positiva doppiata solo in Europa dall’Austria, che ha segnato +13,6%, ma che dispone di una fetta più esigua nella quota export (2,7%).

Estendendo lo sguardo fuori dal mercato Ue e verso i Paesi Emergenti, il dato che maggiormente colpisce riguarda l’area del Golfo Persico: il Medio Oriente segna un balzo in avanti del +43,7%, seguito a distanza solo dai mercati di Australia e Oceania, che hanno invece registrato nei primi 6 mesi del 2012 una crescita  pari al +20,3%. Ottime performance anche per il continente Africano che ha chiuso con un +16,5%, mentre al secondo posto fra i mercati più interessanti per l’export di ceramiche made in Italy si confermano il Sud America (+18,4%) e gli Usa (+17,8%).  A registrare la crescita più contenuta infine, come era facilmente prevedibile, il mercato del Far East (11,2%), principale produttore di ceramiche nel mondo.

Alessia CASIRAGHI

 

L’Ue di Draghi: come difendere i capitali privati

Nonostante la Bce non possa finanziare gli stati membri dell’Eurozona, pare che Draghi intenda stampare nuova moneta per salvare l’insalvabile, per andare incontro alle banche spagnole e forse anche italiane. Sostiene che è suo compito far funzionare la politica monetaria, anche in questo modo. In pratica, però, si creerebbe ricchezza dal nulla, semplicemente stampando carta/denaro.

Il sistema bancario compra quindi titoli di Stato, che, per ricapitalizzarsi, rivende alla Bce in cambio di denaro fresco; la Bce così si troverebbe in portafoglio titoli di Stato a rischio default, fallimento che a quel punto sarebbe a carico dei contribuenti dell’intera Unione Europea e non più dei singoli Paesi che hanno generato il debito. Chi ha più crediti, ha più da perderci, chi ha debiti ha solo da guadagnarci. Tra noi, gli spagnoli e i tedeschi, questi ultimi sono certamente i maggiori creditori.

E’ una strategia semplicistica, ma contorta: pare, però, sia questa la strada indicata da Draghi.

La Bundesbank è ovviamente contraria a questa politica, ritenendola non coerente con le prerogative della Banca centrale europea, mentre la Merkel è incredibilmente d’accordo sia con Draghi  sia con la Bundesbank!

Sarà il preludio degli Stati Uniti d’Europa, a cui Angela si sta candidando alla Presidenza? Quanti e quali Stati accetteranno di rinunciare alla loro sovranità fiscale in favore di quella europea? Quali Paesi vorranno vedersi sottratte le decisioni di spesa del gettito fiscale? Ci immaginiamo un’Italia così? Forse sarebbe auspicabile per risanare una volta tanto la situazione, ma dubito che i nostri politici rinunceranno al loro strapotere.

Sarà più probabile che si abbandoni l’Europa, reclamando a gran voce il diritto di spendere (o sprecare) come si ritiene più opportuno le entrate fiscali.

Ecco quindi sorgere un nuovo motivo di frattura nella Ue. Il problema è che chi ha debiti probabilmente non avrà molta voglia di accettare la severità dei provvedimenti Merkel, chi ha crediti invece è molto bendisposto verso questa rigidità.

Tutto ciò ha ovviamente ha a che fare con le decisioni di investimento dei risparmi e del capitale familiare, poiché un’uscita dall’Area Euro potrebbe causare riduzioni del potere di acquisto della nostra nuova moneta (un ritorno alla lira?) e dei beni reali connessi (in primis gli immobili). Se gli italiani, poco avvezzi ad un approccio comportamentale alla gestione del denaro, vorranno almeno mantenere intatto il valore del proprio patrimonio, sarà sempre più necessario il supporto di un financial planner indipendente.

dott. Marco Degiorgis – Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis