Milàn l’è un gran… coworking

di Davide PASSONI

Insieme alla Camera di Commercio di Ferrara, anche il comune di Milano si è distinto per la grande attenzione dedicata al tema del coworking. L’assessore alle Politiche per il lavoro, Sviluppo economico, Università e ricerca del comune di Milano, Cristina Tajani, spiega a Infoiva il perché. 

Come comune siete tra i primi in Italia a intuire le potenzialità del coworking: perché?
Il coworking è un ottimo strumento non solo per abbassare i costi del lavoro autonomo ma soprattutto per fare networking tra professionisti, cosa che permette, soprattutto ai giovani, di rafforzare competenze e spazi sul mercato. Milano è la città italiana con maggiore presenza di lavoratori autonomi e del terziario avanzato in cui si registra anche un numero significativo di imprese promosse da under 35. Sono soprattutto queste tipologie di professionisti ad avanzare la richiesta di spazi di lavoro condivisi. Abbiamo quindi avviato un monitoraggio delle realtà milanesi dove si pratica il coworking: realtà che, sulla base di una prima ricognizione abbiamo modo di ritenere siano già molte, almeno una trentina. Si tratta di luoghi creati proprio con lo scopo del coworking oppure di studi professionali medio-piccoli che vengono condivisi per abbassare le spese di affitto e i costi fissi. Anche sollecitati da questi operatori abbiamo quindi deciso di promuovere, in collaborazione con la Camera di Commercio di Milano, un intervento che stimoli i giovani a sperimentare il lavoro condiviso. Il bando partirà entro la primavera 2013 e prevede uno stanziamento di 200 mila euro da parte del Comune, che saranno assegnati tramite voucher da 1.500 euro destinati a giovani che intendono lavorare negli spazi della rete di coworking accreditati con il Comune.

Spesso questa formula di lavoro è associata a un’imprenditoria giovane: qual è, sul vostro territorio, la situazione dell’ occupazione giovanile? E dell’imprenditoria giovanile?
Il dato sulla disoccupazione giovanile a Milano al 20%: un dato preoccupante se confrontato con quello degli anni precedenti la crisi economica (nel 2007 era 18,6% e nel 2008 15,6%), ma è migliore rispetto al dato nazionale che si assesta oltre il 30%. Pur nelle difficoltà generali del momento Milano offre maggiori occasioni per i giovani e stiamo lavorando ad ampliarle con progetti come quelli degli incubatori di impresa destinati specificatamente ai giovani. È positivo, inoltre, constatare che il tasso di occupazione dei giovani uomini e delle giovani donne non è significativamente differente. Nelle nuove generazioni milanesi le opportunità di accesso al lavoro sono simili i tassi si divaricano intorno all’età della maternità quando molte giovani donne abbandonano il posto di lavoro e fanno fatica a ritrovarlo. Come già detto, la situazione dell’imprenditoria giovane a Milano è piuttosto dinamica anche se, per via della crisi, ha subito un certo rallentamento.

Non pensate che restringere i destinatari di questo tipo di finanziamenti, come tanti fanno, agli under 35 sia limitante? La crisi ha espulso dal mercato del lavoro molti over 40 che con il coworking potrebbero rimettersi in pista più facilmente…
Siamo impegnati ad aiutare le fasce più fragili dei lavoratori, di cui i giovani fanno parte, ma sicuramente dopo questo primo “esperimento” intendiamo allargare le possibilità di accesso al coworking anche ad altre categorie di lavoratori.

Pensa che in una tessuto produttivo come quello di Milano, dove già il coworking è una realtà da tempo, questo si possa sviluppare ed espandere in maniera convincente nei prossimi anni?
Sicuramente il coworking è destinato ad espandersi nella nostra città, perché tutti quelli che già lo stanno sperimentando ne sono entusiasti, non solo, ovviamente, per l’abbassamento di costi fissi delle loro attività ma perché grazie alla condivisione degli spazi si creano anche nuove sinergie e quindi nuovi progetti di lavoro. L’assessorato alle Politiche per il Lavoro, Sviluppo economico e Università e ricerca ha tra i suoi primi obiettivi proprio quello di sostenere le giovani imprese attraverso molti progetti, ne possiamo citare alcuni. Ne abbiamo appena avviato uno in via del tutto sperimentale, volto al recupero di spazi inutilizzati nelle periferie.

Il coworking diminuisce i costi e aumenta le idee: come comune, quali altri strumenti mettere a disposizione di imprese e professionisti per ottimizzare tempo, risorse e creatività?
Finanziando la nascita di nuove imprese e mettendo a disposizione gli spazi, lo scopo è duplice, da una parte creare lavoro e dall’altra provare a innescare positivi processi di integrazione sociale: ne sono nate, ad esempio, imprese di ristorazione artigianale prodotta da persone con disabilità, servizi di animazione per bambini, realtà di telemarketing svolto da donne sole con percorsi di disagio alle spalle. Sempre per sostenere i giovani attraverso il bando ‘Welcome Talent Business’ si sono premiati otto talenti rientrati dall’estero per aprire a Milano una nuova impresa: tra questi si sono distinti progetti legati alla sostenibilità e alle energie rinnovabili e alla valorizzazione e commercializzazione di prodotti enogastronomici di qualità del nostro territorio. Inoltre, proprio in questi giorni, è partito un altro bando dedicato al rientro di ricercatori e imprenditori nel settore agroalimentare, strategico per Milano anche in vista di Expo.

Un Hub della creatività e dell’impresa sociale

 

La definizione inglese di Hub suona più o meno così: “fulcro, elemento centrale, concentratore“.  E in questo caso, l’appellativo calza proprio a pennello. The Hub Bari è un concentrato di idee, di passione, di capacità e soprattutto di voglia di fare impresa. Spazio, persone e idee che si fondono, in una sorta di processo osmotico, o meglio collaborativo, dove ciascuno mette a disposizione il proprio talento e le proprie specialità per dar vita a progetti reali di impresa.

Un mondo di Alice? No, per scoprirlo basta andare a due passi dal mare, a Bari. Qui un pugno di ragazzi ha fondato meno di 2 anni fa questo spazio di coworking che è anche una fucina di progetti, eventi, workshop, una sorta di incubatore per il futuro. Di Bari, ma anche di tutta l’Italia.

Infoiva ha intervistato Francesco Antonacci, fondatore insieme a Diego, Giusy, Monica e Angela del progetto The Hub Bari (e almeno stavolta le quote rosa vincono!).

Quando e come è nata l’idea di dare vita a The Hub Bari?
L’idea di dar vita a The Hub Bari nasce circa 2 anni fa. Cinque ragazzi baresi, reduci da lunghe esperienze all’estero, decidono di realizzare qualcosa di realmente innovativo per la nostra società, sfruttando l’esperienza accumulata, l’entusiasmo e la voglia di mettere insieme una community di persone con idee nuove e un approccio imprenditoriale innovativo. I risultati sono stati sorprendenti, oggi The Hub Bari, dopo pochi mesi dalla sua apertura ufficiale, conta circa 65 membri e un notevolissimo numero di “fan” e sostenitori, a dimostrazione del fatto che una città come Bari aveva bisogno di uno spazio del genere, e che per fare innovazione non sempre è necessario “emigrare”.

Quali figure professionali o tipologie di imprese possono entrare a far parte del vostro HUB? Come vi si accede?
Il panorama di professionisti presenti a The Hub Bari è estremamente variegato. Noi come team non siamo alla ricerca, nè ci rivolgiamo ad un target specifico di imprenditori, cerchiamo più che altro persone entusiaste, che condividano una filosofia e un approccio socio-imprenditoriale aperto, non competitivo ma collaborativo, persone desiderose di avere un impatto positivo sulla società. Per questa ragione infatti parliamo sempre di innovazione sociale.

Coworking: che cosa significa per voi? Condividere spazi o condividere idee?
La condivisione degli spazi è un elemento essenziale, che permette a tutti di avere un posto fisico (bello) dove poter svolgere e promuovere la propria attività. La concezione di ufficio, con tanto di pareti e stanze chiuse, dove l’interazione e la socializzazione sono ridotte al minimo, a nostro avviso non può più funzionare, se non per quelle realtà imprenditoriali già avviate e con un organico importante. Il vero elemento di valore di un Hub è proprio dare un’anima allo spazio fisico. Tutte le persone che frequentano The Hub si sentono a proprio agio, non percepiscono mai questo posto come un ufficio, e sono quindi più portati ad aprirsi, a socializzare e a interagire con altri imprenditori. Con il supporto del team di hosting inoltre l’obiettivo è quello di creare sinergie tra tutti i membri e promuovere nuovi progetti imprenditoriali.

Sono soprattutto le start up a scegliere la formula del coworking o anche imprese già avviate?
The Hub per definizione si rivolge soprattutto a freelance e imprese in fase di Start-up, più flessibili, dove la necessità del poco spazio fisico per svolgere la propria attività è compensata dalla priorità di aprirsi al mondo, promuovere i propri servizi e stringere relazioni con altri professionisti per migliorare qualitativamente e quantitativamente la propria offerta.

Siete molto attivi anche sul territorio con eventi e workshop: perchè?
Siamo molto attivi innanzitutto perchè The Hub per definizione è un luogo d’ispirazione al cui interno è possibile trovare una vibrante community di imprenditori. Infatti, la maggior parte degli eventi che organizziamo sono pensati insieme ai nostri membri, questo perchè siamo uno spazio ricco di diverse competenze e professionalità e con gli eventi e i workshop cerchiamo di lanciare il più possibile i nostri hubbers. Un esempio su tutti è Business Clinic, dove un membro mette a disposizione la propria professionalità o il proprio talento condividendolo con gli altri. La grossa disponibilità di spazio ci permette inoltre di ospitare eventi esterni di diverso tipo: la libreria gradonata ha recentemente ospitato una classe di liceo che ha seguito un corso sull’imprenditoria, o ancora la sala eventi di 420 metri quadri ci ha permesso di ospitare una serie di appuntamenti importanti come Startup Weekend Bari, dedicati alle startup innovative. Il nostro obiettivo è diventare il motore pulsante del nostro territorio in ambito imprenditoriale.

La Regione Puglia ha destinato incentivi o contributi a chi dà vita a un coworking?
La Regione Puglia negli ultimi anni, con i Bandi di Principi attivi ha destinato dei finanziamenti a fondo perduto per i giovani pugliesi che volevano trasformare un’idea in progetto imprenditoriale. È chiaro che a questo bando si poteva partecipare con un’idea di impresa finalizzata all’apertura di uno spazio di coworking. Nello specifico però non ha attivato azioni o incentivi specifici destinati all’apertura di uno spazio di coworking.

In Italia, a vostro avviso, esiste una cultura di coworking o molto si deve ancora fare?
Noi crediamo che i cambiamenti avvengano piano, con il tempo: se Bari si sta dimostrando una città aperta a questo tipo di modalità di lavoro, è molto probabile che l’Italia intera sia pronta. Ma il nocciolo della questione è un altro: i tempi sono nettamente cambiati, con le trasformazioni tecnologiche, il consolidamento del web come strumento base per la maggior parte delle attività lavorative e la crisi occupazionale sono nate nuove attività, nuove professionalità sono emerse e la maggior parte di queste hanno bisogno di vivere in un ambiente stimolante, un ambiente di confronto e scambio.  In uno spazio di lavoro collaborativo e nello specifico in uno spazio come The Hub, è possibile trovare una community vibrante di imprenditori aperti allo scambio di opportunità. Non solo, il tuo vicino di scrivania è un potenziale collaboratore con cui attivare nuovi progetti di impresa oppure è il consulente a cui chiedere un consiglio sulla propria startup. Quello che crediamo importante ora, è spingere ancora di più i progetti di innovazione sociale che ci sono in Puglia o nelle regioni limitrofe, e magari farli convergere tutti in The Hub Bari. Il nostro sogno è diventare lo spazio per definizione degli imprenditori sociali, quegli imprenditori che vogliono avere un impatto positivo sul territorio e sul mondo, senza necessariamente fare del ritorno economico la base della propria impresa.

Alessia CASIRAGHI

“Sostenere il coworking per sostenere le idee”

di Davide PASSONI

Lo abbiamo scritto lunedì: la Camera di commercio di Ferrara si è dimostrata subito molto ricettiva nei confronti del fenomeno coworking, tanto da prevedere delle sovvenzioni ad hoc. Siccome a noi di Infoiva non piace limitarci a leggere e riferire ma vogliamo capire dalle persone il perché delle loro scelte e delle loro decisioni, abbiamo intervistato il Segretario Generale della Camera di commercio estense, Mauro Giannattasio, per entrare più nel dettaglio della questione.

Come Camera di commercio siete stati tra i primi in Italia a intuire le potenzialità del coworking: perché?
Quello riguardante il coworking non è un progetto a sé stante, ma si inserisce nel piano generale a sostegno dell’occupazione giovanile, avviato tre anni fa dalla Camera di commercio di Ferrara, e che segue tre direttrici fondamentali. La prima è il sostegno alle imprese che assumono o stabilizzano a tempo indeterminato giovani under 35: con questo strumento, in tre anni abbiamo avuto 206 tra stabilizzazioni e nuove assunzioni. Si tratta di 5mila euro a fondo perduto, che corrispondono grosso modo a un anno di contributi previdenziali che, di fatto, paghiamo noi al posto delle imprese; imprese che hanno risposto positivamente all’iniziativa.

Poi?
La seconda è la creazione di nuove imprese da parte di giovani under 35: sono 46 le start up nate in due anni con il nostro sostegno. Infine, la terza, è il consolidamento attraverso i Confidi delle imprese giovani già esistenti che, più delle altre, soffrono per la pesante contingenza economica. All’interno del primo e secondo punto abbiamo inserito il sostegno al coworking perché, verificando “sul campo” abbiamo constatato che sia tra gli imprenditori sia tra i giovani c’era molta attesa nei confronti di questa nuova tipologia di lavoro.

Di che cifre parliamo per il sostegno alle iniziative di coworking?
Si tratta di un contributo di circa 2mila euro a fondo perduto per ogni persona che abbia i requisiti per richiederlo: più o meno il costo annuo di una postazione. In questo modo il giovane si copre per il primo anno almeno i costi per “l’ufficio”.

Spesso questa formula di lavoro è associata a un’imprenditoria giovane: qual è, sul vostro territorio, la situazione dell’occupazione giovanile? E dell’imprenditoria giovanile?
Tra terremoto e crisi, nel nostro territorio ce n’è per tutti… Al 30 giugno 2012 la disoccupazione generale era cresciuta del 14,5% rispetto al 30 giugno 2011; del totale dei disoccupati il 48% era under 40 e il 57% donne. Al 30 settembre 2012, erano 3380 le imprese condotte da giovani, la maggior parte nel settore del turismo.

Non pensate che restringere i destinatari dei finanziamenti agli under 35 sia limitante? La crisi ha espulso dal mercato del lavoro molti over 40 che con il coworking potrebbero rimettersi in pista più facilmente…
Sì, ma era necessario che ci dessimo delle priorità. Con le risorse a disposizione, la giunta ha dovuto scegliere e ha scelto i giovani. Però, come ha sottolineato anche il presidente Roncarati, la giunta si è riservata di aprire i finanziamenti alle attività di coworking anche ai meno giovani, a seconda della risposta che avremo a questa prima iniziativa.

Pensa che in una realtà produttiva come quella del Ferrarese, fatta di artigianato e manifattura, il coworking possa attecchire in modo efficace?
Il coworking, soprattutto per come lo vorremmo intendere noi, non è solo aiutare un giovane ad aprire una postazione di lavoro e a condividerla: in tutte queste esperienze quello che conta è lo sviluppo naturale dello scambio di idee. A noi interessa che circolino le idee, perché il fatto che non circolino capitali non deve essere un alibi per le persone e le aziende per smettere di pensare, innovare, creare e svilupparsi.

Il coworking diminuisce i costi e aumenta le idee: come Camera di commercio, quali altri strumenti mettere a disposizione dei vostri associati per ottimizzare tempo, risorse e creatività?
Abbiamo un’ampia offerta di servizi per le imprese, a seconda del loro ambito di attività: per accesso credito, innovazione, internazionalizzazione, startup, reti aziendali… Aggiungiamo poi la possibilità di informare aziende e professionisti su tutti i finanziamenti erogati dai sistemi camerali e delle associazioni e si renderà conto che gli strumenti per fare impresa non mancano.

Coworking: una ricetta per coltivare talenti

 

Loro preferiscono definirlo ‘passion working space‘, perchè chi l’ha detto che il posto di lavoro deve essere per forza noioso? Sono Victor Vassallo, Fabrizio Ventre, Gianni Potti e Pieluigi Ancilotto, 4 imprenditori padovani che della loro ‘passione’ ne hanno fatto un mestiere, e, anche e soprattutto, un nuovo modo di concepire lo spazio dove nasce la creatività.

Talent Garden Padova è uno dei primi esempi ‘virtuosi’ di coworking in Italia. La ricetta è semplice:  condividere uno spazio di lavoro non significa soltanto dividersi sedie, scrivanie e bollette, ma vuole dire dare vita a un network di professionisti in grado di far circolare idee e creatività. Talent Garden nasce esattamente da questo desiderio: far convergere, nel medesimo spazio, che non è solo fisico ma anche relazionale, professionisti e freelance del mondo della comunicazione, web e digitale.

Noi di Infoiva abbiamo intervistato Victor Vassallo e Gianni Potti, i fondatori di Talent Garden Padova, che ci ha raccontato come è nata l’idea di dare vita ad un vero e proprio ‘giardino del talento‘.

Quando e come è nata l’idea di dare vita al Giardino dei Talenti?
Nella primavera del 2012 i 4 co-founder padovani hanno incrociato gli amici bresciani Davide Dattoli e Gianfausto Ferrari, che avevano dato vita, a fine 2011, al primo Tag italiano a Brescia; è stato amore a prima vista perché il progetto di coworking, o meglio di creare un vero e proprio Passion Working Space, ci è piaciuto da subito e da li a poco abbiamo iniziato a sviluppare la nostra realtà, facendo di fatto entrare Tag Padova nella prima Rete d’Innovazione d’Italia.

Quanti membri conta oggi il vostro progetto?
Gli abitanti sono 17, equamente divisi tra developer, web designer, esperti di web marketing e di comunicazione multimediale; poi ci sono una dozzina di soci perché nel nostro modello padovano abbiamo voluto condividere la partecipazione di imprenditori di settori e province diverse.

Quali figure professionali possono entrare a far parte del Giardino dei Talenti? Come vi si accede?
Tag Padova è rivolto a talenti che vogliono lavorare e fare network nei campi della comunicazione, del web e del digitale; professionisti e freelance che si occupano di comunicazione, marketing, programmazione, grafica, con un focus particolare per progetti legati a web e digitale (esperti SEO, SEM, web marketing, social media, comunicazione multimediale e strategie digitali; programmatori e sviluppatori si software e app per web e mobile; web e graphic designer).

Coworking: che cosa significa per voi? Condividere spazi o condividere idee?
La nostra è una filosofia ben lontana da quella del business center ma si basa sulla condivisione di idee, scambio, contaminazione tra individui che hanno talenti, professionalità, passioni e interessi affini e complementari.

Sono soprattutto le start up a scegliere la formula del coworking o anche imprese già avviate?
C’è un po’ di tutto, perché per noi non esiste una ricetta uguale per tutti, proprio perché il nostro modello non è tanto legato ai progetti, ma alle persone: vogliamo farle interagire tra di loro per creare quell’humus utile a far germogliare meglio possibili nuove imprese.

La Regione Veneto ha destinato incentivi o contributi a chi dà vita a un coworking?
Attualmente non ci risulta. E’ una cultura ancora tutta da trasferire qua a Padova.

In Italia, a vostro avviso, esiste una cultura di coworking o molto si deve ancora fare?
Molto si deve ancora fare, e ancor più La cultura della condivisione e del fare rete deve imporsi sul nostro mondo veneto per essere competitivi sui mercati.

E se ancora non siete convinti, il prossimo appuntamento da segnarsi con Talent Garden Padova è con Facebook Mastery, venerdì 22 Febbraio. Dove? Naturalmente a Padova.

Alessia CASIRAGHI

 

Coworking: numeri e tendenze

di Davide PASSONI

Il fenomeno del coworking è in continua ascesa nel mondo, non solo in Italia. Partiamo da qualche numero. Dal 2006 a oggi, la crescita mondiale degli spazi dedicati al lavoro condiviso è cresciuta in maniera esponenziale, raddoppiando di anno in anno. Attualmente, gli spazi di coworking a livello globale sono oltre 2mila, dei quali più di 800 solo in Europa. Emerge dal terzo sondaggio globale sul coworking condotto da Deskmag, webzine dedicata al fenomeno (CLICCA QUI PER CONSULTARLO).

La cosa interessante è anche la “morfologia” di questi spazi lavorativi. Molto spesso, infatti, le prime esperienze mondiali di coworking trovavano luogo in vecchi capannoni, edifici industriali dismessi, aree abbandonate rimesse in sesto con pochi soldi, tanto impegno e volontà. Oggi si assiste a una “riscossa” e a una “vendetta” dei luoghi di coworking, che da location “povere” si impadroniscono di uffici e centri direzionali desertificati dalla crisi; ora diventano luoghi di lavoro sociale, mettendo definitivamente in soffitta il telelavoro: comodo, utile ma poco “contaminante”.

Non è un caso, infatti, che tanti dei risultati emersi dal sondaggio di Deskmag vadano proprio nella direzione di una maggiore produttività legata alla contaminazione: la maggior parte degli intervistati sostiene che lavorare in uno spazio condiviso ha consentito loro di sviluppare nuove idee di business e creatività, oltre a permettere di focalizzarsi meglio sugli obiettivi nei tempi concessi. Facile intuire i motivi che hanno spinto gli intervistati a scegliere il coworking: atmosfera piacevole, valore della comunità, interazione con gli altri e condivisione sono al top della classifica.

Interessanti anche, in Europa, le dinamiche che hanno interessato donne e coworking negli ultimi 3 anni. Le quote rosa sono infatti cresciute costantemente (32% nel 2010, 34% nel 2011, 38% nel 2012) e l’Europa vanta la maggior percentuale di donne in coworking rispetto ad altre aree geografiche: 42%. La maggior parte dei coworker, inoltre, come ci si aspettava è composta da freelance (53-55%), ma non mancano imprenditori e persino impiegati.

Insomma, tante dinamiche da scoprire nel sondaggio Deskmag, una sola convinzione: per il coworking, the best is yet to come. E nei prossimi giorni, spazio ad alcune esperienze italiane di lavoro condiviso.

Investire nel coworking: ecco chi ci crede

di Davide PASSONI

Come ricordato nella nostra copertina settimanale, adesso che si stanno scoprendo le potenzialità del coworking in termini di “minima spesa, massima resa”, si moltiplicano i casi di bandi e finanziamenti destinati a sovvenzionare l’apertura di attività tramite questa particolare formula di lavoro.

Apripista in questo senso sono state le città di Ferrara e Milano. Se il capoluogo meneghino può vantare sul proprio territorio una presenza già significativa di spazi di coworking, nella città estense la locale Camera di commercio ha facilmente intuito le potenzialità di questa formula e ha voluto lanciare un bando pubblico destinato al suo sovvenzionamento: 2mila euro a fondo perduto per ogni giovane startupper che avvierà la propria attività imprenditoriale in coworking. Unici vincoli per i destinatari delle somme, l’essere under 35 e lo sviluppare la propria impresa esclusivamente in ambito di coworking. Un punto sul quale a Ferrara scommettono non poco, visto che questo finanziamento si inserisce in un bando la cui dote complessiva a favore dell’imprenditoria giovanile è di ben 300mila euro.

Milano invece, come ricordato sopra, ha già una piccola ma significativa tradizione nella condivisione degli spazi in coworking. Una tradizione che non è sfuggita, per fortuna, all’amministrazione comunale che ha annunciato un finanziamento di 200mila euro in voucher per stimolare la diffusione del coworking tra professionisti e imprenditori under 35. Il progetto, finanziato in buona parte dalla locale Camera di commercio, fa parte, così come a Ferrara, di una più ampia strategia di stimolo all’imprenditoria giovanile che vede anche lo stanziamento di 800mila euro dedicati ad agevolare l’accesso al credito di startupper anch’essi under 35.

In un Paese nel quale le cifre della disoccupazione giovanile sono la vera emergenza sociale del presente e dell’immediato futuro, chi decide di investire sulla propria professionalità utilizzando formule innovative e “low cost” va premiato senza se e senza ma. Se è il pubblico a farlo, onore al merito. Ma se anche qualche privato comprendesse tutte le potenzialità del coworking, siamo certi che tanti bilanci aziendali si alleggerirebbero mentre il tasso di idee e creatività dei consulenti diverrebbe per più pesante. Indovinate chi ci guadagnerebbe?

Coworking: abbassa i costi, innalza le idee. E aiuta la ripresa

di Davide PASSONI

Non c’è dubbio, la crisi che stiamo vivendo ormai da anni è una bruttissima bestia, per le famiglie e per le imprese. Non prendeteci per pazzi, però, se diciamo che anche la crisi ha i suoi aspetti positivi: visto che getta migliaia di persone in uno stato di necessità, a tante di queste, come recita il detto popolare, aguzza l’ingegno.

Ecco allora che, per far fronte al bisogno di lavorare contenendo i costi – ma non solo -, prende piede un fenomeno che per noi di Infoiva non è certo nuovo (lo abbiamo cominciato a conoscere e “studiare” nel 2011), ma che la maggior parte dei media comincia a scoprire solo ora: il coworking. Un fenomeno già diffuso da anni negli Usa e in molti Paesi europei.

Citando Wikipedia, visto che siamo digitali, “il coworking è uno stile lavorativo che coinvolge la condivisione di un ambiente di lavoro, spesso un ufficio, mantenendo un’attività indipendente. A differenza del tipico ambiente d’ufficio, coloro che fanno coworking non sono in genere impiegati nella stessa organizzazione. Attrae tipicamente professionisti che lavorano a casa, liberi professionisti o persone che viaggiano frequentemente e finiscono per lavorare in relativo isolamento. L’attività del coworking è il raduno sociale di un gruppo di persone che stanno ancora lavorando in modo indipendente, ma che condividono dei valori e sono interessati alla sinergia che può avvenire lavorando a contatto con persone di talento“.

Una definizione della quale vale la pena sottolineare due passaggi: “attrae liberi professionisti” e “sono interessati alla sinergia che può avvenire lavorando a contatto con persone di talento“. Il primo ci dice che questo nuovo modo di lavorare è fatto principalmente per coloro che compongono lo zoccolo duro dei nostri lettori, i liberi professionisti. Gente per la quale, spesso, tutto il mondo è ufficio (se non hanno uno studio loro, beninteso…) e alla quale, di conseguenza, la crisi ha poco da insegnare sotto questo aspetto. Il secondo esprime, invece, la vera essenza del coworking che, se da un lato è un risparmio in termini di costi, dall’altro è un arricchimento in termini umani e professionali. Lavorare insieme a persone che non fanno lo stesso mestiere ma che hanno voglia e necessità di condividere permette di contaminarsi, scambiarsi idee, visioni, illuminazioni e progetti. In una parola, permette di arricchirsi.

Se tu hai una mela, e io ho una mela, e ce le scambiamo, allora tu ed io abbiamo sempre una mela ciascuno. Ma se tu hai un’idea, ed io ho un’idea, e ce le scambiamo, allora abbiamo entrambi due idee“, diceva il grande drammaturgo irlandese George Bernard Shaw. E questa è l’essenza e il vero “tesoro nascosto” del coworking: la sua capacità di stimolare e mettere in moto idee, progetti, innovazione. Il suo essere non solo una risposta alla crisi in termini di costi, ma anche e soprattutto in termini di elemento di ripresa. Perché per far tornare a crescere l’economia servono sì capitali ma anche idee nuove. Forse per questo motivo, comuni, regioni, camere di commercio hanno cominciato in questo inizio del 2013 a guardare con interesse al fenomeno erogando finanziamenti, indicendo bandi, promuovendone lo sviluppo. E meno male, diciamo noi, visto che lo abbiamo scritto due righe più su: le idee nuove sono il motore della ripresa, ma senza la benzina dei capitali posso fare ben poco.