Talenti del Green si diventa

 

Green marketing, pianificazione sostenibile del territorio, project finance per ambiente ed energia. Sono solo alcune delle professioni che vedono il futuro sotto la lente del ‘green’. Cresce l’importanza della Green Economy in Italia: nel 2012 sono state circa 12 su 100, pari a oltre 184mila unità, le imprese che hanno investito in campo ambientale, almeno secondo il rapporto Green Italy 2012.

Ma il settore ‘verde’ significa soprattutto per il nostro Paese crescente dinamicità dal punto di vista occupazionale: nel 2012 infatti circa il 30% delle assunzioni non stagionali programmate dalle imprese del settore privato ha riguardato figure professionali legate alla sostenibilità.

Per una volta tanto, insomma, per l’Italia l’erba del vicino non sembra poi così verde. Ma come nascono e si formano i talenti ‘green’ del futuro?

Infoiva lo ha chiesto a Francesco Perrini, professore di Corporate Finance & Real Estate presso l’Università Bocconi di Milano, e da quest’anno direttore scientifico del Mager, il Master in Green Management, Energy and Corporate Social Responsibility.

Com’è nata l’idea di creare un Master ad hoc dedicato ai futuri professionisti della Green Economy?
L’Università Bocconi svolge attività di ricerca e di didattica sui temi della “green economy” da molti anni, prima ancora che venisse coniato questo termine. Nel 2001 i tre principali centri di ricerca sui temi dell’energia, dell’ambiente e della sostenibilità (IEFE, SPACE – ora confluito nel CRESV – e CERTeT) hanno avviato il Master in Economia e Management Ambientale (MEMA). Dopo 10 anni di ottimi risultati in termini di diplomati (più di 300) e di rapporti con aziende del settore “green”, nel 2012 la Bocconi ha deciso di accettare una nuova sfida e proporre il master in lingua inglese: Master in Green Management, Energy and Corporate Social Responsibility – MaGER. Tra qualche giorno inizierà la seconda edizione del MaGER, ma ci piace precisare che si tratta della XII edizione del nostro master. Il Mager, che si è aggiudicato il 5° posto nella classifica dello “Eduniversal best master ranking” per la categoria “Sustainable development and environmental management”, ha permesso alla Bocconi di piazzarsi davanti a importanti competitor come HEC di Parigi, l’Imperial College di Londra e Yale, sui temi della sostenibilità ambientale.

Quali sono oggi in Italia le opportunità di lavoro nel settore Green?
Se facciamo riferimento alla definizione di Green Job dell’UNEP, sono tantissime le possibilità di lavoro “verdi”:  fonti energetiche tradizionali, risorse rinnovabili, mercato delle emissioni e implementazione dei meccanismi flessibili, carbon finance, certificati verdi, project finance per ambiente ed energia e finanza sostenibile, sistemi di gestione ambientale, rapporti di sostenibilità, green marketing, pianificazione sostenibile del territorio e delle risorse ambientali, gestione dei rifiuti, corporate social responsability.

Il futuro dei vostri studenti sarà più nella grande azienda o nella piccola azienda? O meglio, saranno futuri imprenditori? In Italia o all’estero?
Guardando al passato, gli oltre 300 studenti diplomati dal Mager lavorano sia in grandi aziende multinazionali che operano nel settore energetico (Eni, Enel, Edison, E.On), della consulenza (Accenture, KPMG, PWC), del settore bancario (Unicredit) e della grande distribuzione (IKEA, Autogrill), ma anche in PMI che hanno sviluppato competenze molto specifiche e  svolgono servizi di consulenza per aziende (piccole e grandi) del manifatturiero, delle energie rinnovabili, e molte altre ancora.

Quale è la diffusione delle imprese Green in Italia?
Le imprese che fanno del sostenibile un loro punto di forza si diffondono in modo pervasivo in tutta Italia. Sono stati stilati diversi studi e classifiche, ma in linea generale,  tutti sono in sintonia nel rilevare che la concentrazione massima si ha nel Nord e nel Centro Italia.  Il rapporto GreenItaly 2012, realizzato da Fondazione Symbola e Unioncamere con il patrocinio dei Ministeri dell’Ambiente e dello Sviluppo Economico, vede la Lombardia al primo posto in quanto ad imprese che investono nelle tecnologie e prodotti verdi. Segnali positivi arrivano, però, anche dal Sud Italia, ad esempio Calabria, Basilicata e Sicilia sono prime nell’imprenditorialità bio secondo l’indice IGE 2012 realizzato da Fondazione Impresa.

Il nostro Paese è all’avanguardia nel settore Green o c’è ancora tanto da fare per migliorare?
L’Italia ha reinterpretato in chiave del tutto particolare la green economy, unendo innovazione, conoscenza, identità del territorio e la qualità del “made in Italy”, che da sempre ci contraddistingue in tutto il mondo, con eco-efficienza,  rispetto dell’ambiente, e valori etici della competitività. Ovviamente lo spazio per migliorarsi c’è sempre, ma la coesione che questo fenomeno ha creato coinvolge migliaia di piccole e medie imprese. Il rapporto GreenItaly 2012 vede segnali evidenti di “eco convergenza” nel nostro sistema: un’ impresa su quattro, infatti, investe in prodotti e tecnologie a basso impatto ambientale ed elevata efficienza energetica.

Quali sono i settori del Green in Italia che ci invidiano di più all’estero?
Senza essere esaustivo, è d’obbligo citare alcuni esempi italiani. Nella prevenzione dei rifiuti, l’esperienza del CONAI è stato in passato un esempio per molti altri paesi stranieri e continua ad essere veicolo di innovazione nella riduzione degli imballaggi. Nel settore chimico italiano abbiamo aziende votate a produzioni attente all’ambiente, che competono nel panorama internazionale: Novamont, MAPEI, Kerakoll ecc. Il settore della moda, un Made in Italy invidiato in tutto il mondo, sta dimostrando di aver intrapreso un percorso non certo irrilevante per ciò che riguarda il miglioramento della sostenibilità ambientale delle proprie produzioni. Infine, visto il territorio e i suoi prodotti, è d’obbligo citare le filiere agricole di qualità ecologica, esportate  in tutto il mondo.

Quale Paese andrebbe invece preso a modello per quanto riguarda la diffusione e la creazione di imprese Green?
Esistono numerose esperienze in diversi Paesi dove è stato possibile sostenere la diffusione e la creazione di imprese green. Un primo esempio è la “regione solare” di Friburgo, in Germania, diventata una delle aree leader al mondo per il fotovoltaico, in termini di produzione e innovazione dei prodotti: una politica industriale e territoriale che è anche una politica ambientale. Un altro esempio è la Corea del Sud dove, nel 2009, i green stimulus funds erano l’80% degli stimulus funds totali, favorendo in particolare la conversione ad una mobilità sostenibile.

Alessia CASIRAGHI

Lo dicono gli italiani: avanti con la green economy

Lo dicono anche i sondaggi, non solo i trend economici: il green fa bene all’ambiente e al sistema Paese. Una recente indagine ha infatti rivelato che l’80% degli italiani crede che si possa uscire dalla crisi economica che ci stritola, puntando sullo sviluppo delle produzioni verdi di luce e gas. Una certezza e una coscienza che nasce dalla consapevolezza e dalla conoscenza delle problematiche legate all’inquinamento e all’effetto serra, propria dell’84% degli italiani.

I numeri escono da un sondaggio commissionato dal Partito Democratico Europeo e realizzato da Ipr Marketing, che ha rivelato come l’81% del campione intervistato è consapevole del fatto che lo sviluppo produttivo dissennato e per nulla sostenibile operato dall’uomo, unitamente allo sfruttamento delle risorse ambientali operato con poca misura sono alla base della situazione critica in cui versa l’ecosistema. Ragion per cui, c’è ancora più spazio per uno sviluppo favorevole e potente della green economy.

Imprenditori sugli scudi come possibili paladini della green economy. Dal sondaggio emerge infatti che le persone hanno scarsa fiducia nella capacità delle istituzioni e della politica di promuovere iniziative legate alla green economy: il 19% degli intervistati spera nell’Europa, solo il 6% nel Governo tecnico e un ridicolo 1% ai partiti. Scollamento sempre più evidente tra popolo e politica.

Alla prova dei fatti, la quasi totalità degli intervistati è convinta che avere abitudini di consumo più sobrie aiuterebbe, oltre all’ambiente, anche l’economia e la creazione di politiche di sviluppo verdi: dall’energia ai trasporti, dall’edilizia al trattamento dei rifiuti. Insomma, se lo dice anche la gente… avanti tutta con la green economy.

Le imprese pugliesi investono nel green di piccola taglia

Per investire nella Green Economy non sempre occorre puntare a grandi progetti.
Ugualmente utile, infatti, è fare investimenti su progetti di piccola taglia, come il fotovoltaico sui tetti, il minieolico e i piccoli impianti biogas.

Questo è quanto viene consigliato alle imprese pugliesi da Giuseppe Bratta, presidente del Distretto produttivo regionale La Nuova energia.
Il distretto presieduto da Bratta raggruppa ben 300 imprese del settore, che sono state sensibilizzate riguardo alla nuova normativa e al taglio degli incentivi, nonostante il boom dei gradi parchi fotovoltaici ed eolici che ha caratterizzato la Puglia fino a poco tempo fa.

Bratta ha dichiarato: “La Regione Puglia e le aziende pugliesi che hanno operato nel settore delle rinnovabili hanno stabilito dei primati sia in termini di produzione di energia che di crescita aziendale. Questa crescita ha però comportato lo sviluppo di modelli di azienda che, a mio avviso, non sono sostenibili nel tempo. Si sono create tante imprese che hanno puntato in maniera univoca su impianti non compatibili con il territorio: mi riferisco ai grandi parchi fotovoltaici installati su terreni agricoli. Oggi questo tipo di aziende, che non si sono riconvertite alla realizzazione di progetti integrati, vivono uno stato di profonda crisi“.

Vera MORETTI

Vincere nel green? Determinazione, innovazione, specializzazione

di Davide PASSONI

Sarà un caso che la rete promossa da Assolombarda per mettere in contatto imprese operanti nel settore della sostenibilità ambientale si chiama Green Economy Network. Fatto sta che nel nome c’è una parola fondamentale usata anche dal presidente di Unioncamere Dardanello nell’intervista che ci ha rilasciato: network. Perché la rete fa la forza, anche nel green. Ne è convinto l’ing. Roberto Testore, Presidente del Consiglio Direttivo del Comitato Promotore del Green Economy Network.

Secondo il rapporto Greenitaly 2012, curato da Unioncamere e da Symbola, per l’Italia l’economia verde sta rappresentando una chiave straordinaria per sostenere la piena affermazione di un nuovo modello di sviluppo nel sistema imprenditoriale. Quali i fattori alla base di questa tendenza?
Opinione di molti è che l’attuale peggioramento economico finanziario rappresenti il fallimento del tradizionale modello economico (la cosiddetta brown economy). La green economy, riconoscendo i limiti del nostro pianeta, evidenzia i margini all’interno dei quali deve svilupparsi il nuovo modello economico fondato su un uso sostenibile delle risorse. In questo senso la green economy deve essere vista come un modello economico di sviluppo stabilmente sostenibile dal punto di vista economico, sociale e ambientale. Ma per compiere questa transizione è necessaria l’esistenza di condizioni specifiche quali un assetto normativo adeguato, politiche di sostegno e investimenti che ridefiniscano una nuova governance comune. L’accresciuta sensibilità ambientale delle imprese, legata alle potenzialità di sviluppo delle tecnologie e prodotti sostenibili, ha contribuito alla crescita degli investimenti nel settore e all’aumento dell’export verso paesi in via di sviluppo con ampi margini di crescita.

In che cosa consiste, precisamente, il Green Economy Network di Assolombarda?
Il Green Economy Network (GEN) è una rete promossa da Assolombarda per stimolare nuove alleanze tra le imprese che offrono prodotti, tecnologie e servizi per la sostenibilità ambientale ed energetica, al fine di dare visibilità alle loro competenze attraverso un ampio insieme di iniziative, tra le quali un Repertorio on-line liberamente consultabile dagli interessati.

Vi sono altre regioni che seguono il vostro modello?
Il GEN non è legato a una logica strettamente territoriale identificata con un distretto o con una regione, anche se ha il proprio baricentro centrato nell’area metropolitana milanese. Il Network come tale non ha confini e pertanto l’adesione al progetto è aperta a tutte le imprese operanti nei settori legati all’ambiente e all’energia situate nel territorio italiano e appartenenti a Confindustria. Ad oggi vi sono molte altre associazioni territoriali e di categoria in Italia che condividono le finalità del progetto da noi promosso.

Com’è la sensibilità su queste tematiche da parte degli imprenditori lombardi?
La gestione dei temi legati all’ambiente e all’energia da parte delle imprese ha assunto una valenza strategica ed è cresciuta in modo significativo negli ultimi decenni. Questa è la dimostrazione che nel nostro territorio si sta procedendo nella giusta direzione, quella di un futuro più sostenibile, in relazione anche alla grande sfida che ci vedrà impegnati tra pochi anni: l’Expo 2015. Assolombarda è impegnata da molti anni in iniziative di formazione e di comunicazione sull’ambiente rivolte alle imprese associate, ma anche ai lavoratori, ai giovani e alla comunità, promuovendo la capacità dell’industria di essere efficiente, proponendo tecnologie a più basso impatto ambientale e ad alta efficienza energetica.

Secondo i dati in vostro possesso, quante sono le imprese lombarde che operano nel campo delle energie rinnovabili e delle tecnologie green?
La stima delle dimensioni economiche del comparto delle clean tech non è un esercizio immediato perché vi sono vari studi “indipendenti” che cercano di rilevare l’ampiezza del comparto della green economy. Assolombarda ha censito e mappato le proprie associate nelle aree di competenza (le province di Milano, Lodi, Monza e Brianza) che operano nei diversi comparti della green economy e dal risultato è emerso come il questo territorio sia un contesto di rilievo per quanto riguarda le tematiche di carattere ambientali ed energetiche: circa 400 imprese attive in svariati settori (partecipanti ad oggi al progetto), con un fatturato globale di oltre 50 miliardi di euro e oltre 25.000 addetti solo in provincia di Milano.
L’indagine, inoltre, ha mostrato come le molteplici competenze nell’ambito dei diversi segmenti della green economy possano essere valorizzate incoraggiando la loro organizzazione in filiere. Questa potenzialità di aggregazione è una richiesta che emerge dalle stesse imprese, soprattutto quelle di minori dimensioni, che sottolineano l’utilità di azioni di sistema che supportino lo sviluppo, l’innovazione e l’internazionalizzazione.

Che cosa serve a un’impresa affinché il green non resti solo una moda ma diventi un asset strutturale?
Sicuramente la determinazione, così come in ogni attività imprenditoriale. Operare in un settore in forte espansione può rappresentare un’opportunità, ma sono necessarie grandi competenze e elevate capacità di innovazione e specializzazione.
Data l’attuale situazione italiana, è necessario un coordinamento tra le iniziative statali e quelle degli enti locali per far sì che ai diversi livelli istituzionali non vengano elaborati programmi contraddittori dal punto di vista dei contenuti e delle priorità. Lo stato può, ad esempio, favorire la collaborazione tra le imprese e università ed enti di ricerca, oltre a supportare le iniziative rivolte all’internazionalizzazione del business green.

Quanto può diventare anticiclico un settore come quello delle rinnovabili, in un periodo di crisi profonda come quello che stiamo vivendo?
In un contesto complesso e critico come quello attuale è difficile poter dare una risposta certa. Indubbio è che il settore delle energie da fonte rinnovabile, anche per via del sistema incentivante  promosso ed attuato presso molti paesi europei, vive un momento di importante sviluppo rafforzato peraltro dal notevole interesse degli utilizzatori finali nell’investire in questo affascinante settore. La nostra Associazione industriale ha più volte ribadito, però, come debba essere mantenuto il principio dello sviluppo delle FER secondo principi di sostenibilità economica per evitare forti anomalie, come avvenuto nel settore del fotovoltaico, e privilegiare tecnologie che portino alla sviluppo delle migliori imprese sul territorio nazionale in quanto la concorrenza di paesi esteri è molto agguerrita.

Un consiglio a un piccolo imprenditore che vorrebbe operare nel ramo “verde”
In questi periodi di difficoltà, suggerisco agli imprenditori e ai manager di essere coraggiosi, di ragionare in termini di “sistema” e di guardare oltre i confini tradizionali, ai mercati che offrono maggiori potenzialità.
Capacità di far rete e innovazione continua di prodotti, servizi e processi rappresentano elementi fondamentali soprattutto in settori ad alto contenuto tecnologico e in forte espansione.
Tutti obiettivi che il Network con le sue attività persegue da tempo, con successo e convinzione.

A vele spiegate con gli ‘artigiani sognatori’ del green

 

Una vela per navigare oltre l’orizzonte, una vela per ritornare’. E’ questo il pay off di Rewind Selection, l’azienda di Montecatini Terme che ha trasformato la passione per le vele in un’insolita miscela di ecologia, arte e design. Riutilizzare le vele usate, spesso difficili da smaltire, per dare loro l’occasione di rivivere in oggetti che ricordino il sogno di evasione del mare.

Dal sacco marinaio alla shopping bag, dalle tovagliette per la colazione ai paraventi, dalle lampade alle poltrone, tutto quello che una vela può ispirare si trasforma in un oggetto nuovo, dotato di una seconda vita.  L’arte del riciclo incontra la passione per le onde e rivela un aspetto insolito di declinazione del concetto di Green Economy. Il cotone utilizzato per creare le vele delle imbarcazioni, il dacron e il kevlar, diventa, grazie a Rewind Selection, materia prima da cui ricavare accessori unici; toccherà poi alla mano sapiente di ‘artigiani sognatori‘ dare nuova forma a quel sogno antico del mare.

Infoiva ha intervistato Antonio Masi, creatore del brand e fondatore di Rewind Selection.

Come è nata l’idea di produrre oggetti di design a partire dalle vele? Passione o coscienza green?
L’idea di produrre oggetti con il tessuto delle vecchie vele è nato frequentando l’ambiente delle regate, i cantieri, le velerie e le banchine dove si trovano vele vecchie abbandonate e destinate a rimanere tali. L’incontro con un velaio esperto di barche d’epoca, il nostro gusto, aiutato dalle mani di artigiani capaci di tradurre un pensiero in realtà, rifacendosi in particolare alla vecchia marineria, usando non solo vele vecchie , ma cime, cuoio, canvas, garrocci, bozzelli, ci ha fatto prendere coscienza che questo insieme di idee, persone e cose potevano dare vita a borse, giacche, complementi di arredo, lampade, paraventi, pareti attrezzate. Oggetti ognuno diverso dall’altro, ma tutti oggetti di design.

Moda e design: qual è la seconda vita ‘green’ che regalate alle vele?
Tutto nasce dalla passione per il mare: ridare vita a vecchie vele ha creato in noi ed in coloro che apprezzano l’arte nautica l’idea di creare dal sogno e dalla passione una coscienza green. E’ così che è nata Rewind Selection, ovvero l’arte del riciclo totale della vela e di tutto quello che gira attorno ad un “albero”.

Il Green: una moda o una vera opportunità di business?
Il green è coscienza, moda e per opportunità di business.

Che cosa significa per voi essere green? Si tratta di un discorso prettamente legato ai processi produttivi o rappresenta una vera e propria filosofia di vita?
Essere green è per noi una vera filosofia di vita che si lega a tutto quello che produciamo.

E’ più facile essere green da piccole imprese?
Se siamo piccoli è più facile essere green, anche se in Italia, come invece accade all’estero, dovrebbe crescere una coscienza sociale e politica che supporti quegli “artigiani sognatori” come noi.

Un breve identikit dell’azienda: qual è il vostro fatturato? Quanti dipendenti conta la vostra azienda?
Rewindselection non ha dipendenti, si avvale di velai con i quali collaboriamo e creiamo i nostri oggetti di design. Il nostro fatturato per il primo anno è si è attestato a circa 10.000,00 euro.

La vostra azienda è attiva anche su altri mercati oltre all’Italia? 
Rewind Selection produce esclusivamente in Toscana ed è presente in Finlandia, a Montecarlo e in Germania, presso negozi e cantieri di fama internazionale.

Alessia CASIRAGHI

“Imprese verdi, puntate a fare network”

di Davide PASSONI

Se c’è una realtà che, come poche altre, ha il polso della situazione del green in Italia, questa è Unioncamere. Non solo perché ha contribuito in maniera fondamentale alla realizzazione del rapporto GreenItaly 2012, ma perché quotidianamente si confronta con la realtà di quelle imprese che, nel nostro Paese, hanno scommesso sull’economia verde e hanno vinto. Ecco perché Infoiva ha sentito il presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello.

Secondo il rapporto Greenitaly 2012, curato da Unioncamere e da Symbola, per l’Italia l’economia verde sta rappresentando una chiave straordinaria per sostenere la piena affermazione di un nuovo modello di sviluppo nel sistema imprenditoriale. Quali i fattori alla base di questa tendenza?

Nelle analisi che abbiamo realizzato in questi anni, è emerso che quote rilevanti di imprese sia manifatturiere sia dei servizi hanno intrapreso percorsi di sostenibilità. Questo nuovo modello di sviluppo si fonda sui valori tradizionali dei territori e dei sistemi produttivi italiani della piccola impresa, fatti di qualità, innovazione, eco-efficienza, rispetto dell’ambiente. Una ricetta che oggi dimostra di saper sposare i valori etici alla competitività e che ha il grande merito di favorire la coesione tra i territori. Una coesione che coinvolge migliaia di piccole e medie imprese, sempre più spesso operanti in rete tra loro, nel dare vita a questo che è ormai un vero e proprio “laboratorio verde” dell’Italia di domani.

Come sono messe le imprese italiane in quanto a orientamento al green?
Il modello green risulta, nel tempo, sempre più diffuso nei diversi settori e nei diversi territori del Paese. Le analisi evidenziano un processo di “ecoconvergenza” nel nostro sistema, ovvero una tendenza virtuosa ad incrementare i livelli di eco-efficienza laddove gli impatti ambientali delle attività economiche appaiono più accentuati. Tranne poche eccezioni, sono infatti molti i settori manifatturieri che registrano riduzioni sul versante degli input energetici adottati, delle emissioni atmosferiche generate e dei rifiuti prodotti, sempre più riciclati: in sintesi, una eco-tendenza positiva.

Secondo i dati Unioncamere, quante sono le imprese italiane che operano nel campo delle energie rinnovabili e delle tecnologie green?
Il Rapporto GreenItaly di quest’anno quantifica in quasi 360mila le imprese (il 23,6% del totale) che hanno realizzato negli ultimi tre anni o realizzeranno quest’anno, investimenti in prodotti e tecnologie che assicurano un maggior risparmio energetico o un minor impatto ambientale. Una su quattro: non poche quindi. Inoltre,  se consideriamo le 103mila vere nuove imprese nate nel 2012, scopriamo che il 14% di esse ha già realizzato nella prima parte dell’anno o realizzerà  entro il 2013 investimenti green. Questi nostri dati, uniti a quanto ha certificato l’Ocse nel recente rapporto sull’innovazione in cui l’organizzazione afferma che nell’ultimo decennio le attività di ricerca nel campo delle tecnologie legate all’ambiente hanno sviluppato nel nostro paese una vera e propria specializzazione, dicono molto sulla situazione italiana e sulla crescente sensibilità messa in campo dal suo sistema produttivo.

Che cosa serve a un’impresa affinché il green non resti solo una moda ma diventi un asset strutturale?
Ricerca, innovazione costante, capacità di investimento, collaborazione con altre imprese nelle filiere e nelle reti.

Quanto può diventare anticiclico un settore come quello delle rinnovabili, in un periodo di crisi profonda come quello che stiamo vivendo?
Il nostro Paese si è posto degli obiettivi molto seri in materia di energia e, in particolare, di ricomposizione delle fonti di approvvigionamento. La nuova Strategia energetica nazionale dell’ottobre 2012 prevede un superamento dell’obiettivo del 17% fissato per il 2020 arrivando a una quota di copertura dei consumi finali di energia attraverso le rinnovabili pari al 20% del totale. Ciò dovrebbe portare quindi ad un ulteriore incremento del settore. Questa prospettiva se comporterà incrementi dell’occupazione e contribuirà al contenimento dei costi energetici per cittadini e imprese, potrebbe in effetti produrre un andamento anticiclico sicuramente salutare per la nostra economia.

Un consiglio a un piccolo imprenditore che vorrebbe operare nel ramo “verde”…
Guardare all’esperienza degli altri, mettersi in rete, alimentare la collaborazione con altre imprese. Nello sviluppo di comportamenti virtuosi in campo green, sia sul versante degli investimenti che dell’occupazione, abbiamo constatato che una leva sempre più utilizzata dalle imprese è quella dello sviluppo di una progettualità comune, secondo una logica di network e di integrazione di filiera. Lo dimostra il diffuso utilizzo del contratto di rete: a metà settembre di quest’anno un contratto di rete su cinque (87 dei 458 esistenti) può essere considerato “green”.

Il cuore verde delle Pmi italiane

Le piccole imprese italiane hanno sofferto maledettamente la crisi, specialmente nel 2012. Ce ne sono alcune, però, che hanno avuto la lungimiranza e le capacità imprenditoriali per attecchire in un settore che si sta invece dimostrando fortemente anticiclico: quello del green.

Sono diverse le realtà che operano in questo campo: si va dalle aziende che producono manufatti a basso impatto ambientale o soluzioni tecnologiche al servizio dell’ambiente, a quelle che realizzano i loro prodotti con materiali di recupero. Il fattore che le accomuna tutte, però, è l’andamento positivo del settore, come testimonia il rapporto GreenItaly 2012, presentato nel novembre scorso e realizzato da Fondazione Symbola e Unioncamere.

Come messo in luce dal rapporto, tante sono le declinazioni della green economy italiana: dalla chimica alla farmaceutica, dal legno-arredo all’hi-tech, dalla concia alla nautica, dall’agroalimentare all’industria cartaria, tessile, edilizia, fino ai i servizi. Oltre che ai settori delle rinnovabili, dell’efficienza energetica, del ciclo dei rifiuti e della protezione della natura.

La peculiarità della green economy italiana sta nella riconversione in chiave ecosostenibile anche dei comparti tradizionali dell’industria di punta. Il Paese ha sviluppato in maniera diffusa nelle sue imprese e nei territori una reinterpretazione della green economy del tutto particolare, che mette a fattor comune le vocazioni delle comunità con la tecnologia e la banda larga, la filiera agroalimentare di qualità legata al territorio con il made in Italy e la cultura. Nell’ultimo decennio le attività di ricerca nel campo delle tecnologie legate all’ambiente hanno sviluppato per l’Italia una specializzazione che ha avuto riflessi positivi sulla creazione di nuova occupazione: circa il 30% delle assunzioni non stagionali programmate complessivamente dalle imprese del settore privato per il 2012 è stato per figure professionali legate alla sostenibilità.

L’Italia green, secondo il rapporto GreenItaly 2012, vive una rivoluzione verde che interessa il 23,6% delle imprese industriali e terziarie con almeno un dipendente, che tra il 2009 e il 2012 hanno investito in tecnologie e prodotti green. E che attraversa il Paese da Nord a Sud, tanto che le prime dieci posizioni della classifica regionale per diffusione delle imprese che investono in tecnologie green sono occupate da quattro regioni del Nord e sei del Centro-Sud.

Le imprese della green Italy, inoltre, sono quelle che hanno la maggiore propensione all’innovazione: il 37,9% delle imprese che investono in eco-sostenibilità hanno introdotto innovazioni di prodotto o di servizio nel 2011, contro il 18,3% delle imprese che non investono green. Allo stesso modo, tra le imprese green è più forte la propensione all’export: il 37,4% di esse vanta presenze sui mercati esteri, contro il 22,2% delle imprese che non investono nell’ambiente.

Un quadro più che incoraggiante, che testimonia come il campo della green economy sia ormai arrivato oltre le mode e sia una vera terra promessa del business.

Pmi e green economy, un matrimonio che s’ha da fare. Ma niente improvvisazione

di Davide PASSONI

Un anno difficile ce lo siamo lasciati alle spalle, ma quello che è appena cominciato ha preso il via sotto il segno dell’incertezza, specialmente in ambito economico. C’è chi parla di ripresa nel secondo semestre, chi ipotizza invece un 2013 ancora con il segno meno, chi si spinge a prevedere un’economia in crescita non prima del 2014.

Insomma, un anno ancora tutto da decifrare per le piccole imprese italiane, ma con qualche piccola certezza. Una di queste riguarda alcuni settori che, nella crisi, si sono difesi e si stanno difendendo meglio di altri. Il settore del green, per esempio. Un ambito che, come ben evidenziato dal recente rapporto GreenItaly 2012, ha un alto tasso di imprese che assumono, si sviluppano, crescono a due cifre ma, soprattutto, producono innovazione e creano ricchezza in modo quasi uniforme sul territorio italiano, dal Nord al tanto bistrattato Sud, dove pare così difficile fare impresa.

Bisogna però fare attenzione a non interpretare il green in azienda solo come una moda o come un’esclusiva chiave di business. Essere green, oggi, per una piccola azienda o un laboratorio artigiano non significa solo realizzare prodotti e manufatti ecocompatibili o creati con materiali di recupero; certo, dal punto di vista del profitto questo è ciò che porta fatturato, ma che senso ha realizzare prodotti altamente ecologici quando in azienda, magari, non si effettua la raccolta differenziata, non si spengono i computer in pausa pranzo, non si utilizza carta riciclata per copie e documenti?

Durante questa settimana cercheremo di fare il punto su come è messa la Pmi green in Italia, quali sono gli ambiti maggiormente promettenti per creare un business verde di successo e, soprattutto, quali gli errori da non fare per evitare che il sogno di lavorare nel campo delle tecnologie verdi diventi un incubo con la prospettiva del fallimento. Perché, lo ripetiamo, riempirsi la bocca con il green non ha senso se non si è in possesso di una chiara idea di business.