Sviluppo Lavoro: scetticismo verso la spending review

Nei giorni scorsi il Governo ha presentato il piano di tagli alla spesa pubblica: l’Associazione Sviluppo Lavoro non può non esprimere il proprio scetticismo nei confronti di una serie di provvedimenti da troppo tempo annunciati e mai tradotti in pratica. Inoltre a pochi giorni dall’amaro traguardo dei duemila miliardi di debito pubblico è vergognoso vedere come si pensi di risolvere i problemi con questi piccoli tagli, che in ultima analisi servono a ben poco: non si può chiedere ai cittadini e alle aziende di pagare più tasse quando il Governo continua a sprecare.

Stupisce poi che le società partecipate, che spesso sono solo dei mezzi per collocare gli esclusi dalla politica o gli amici degli amici, non siano state neppure toccate, cosi come vari enti inutili che non sono stati neanche menzionati nel piano del cosiddetto “Spending review”. In una situazione che ci vede prossimi ad un nuovo, beffardo, aumento dell’IVAstupisce inoltre la mancanza di una vera e propria programmazione, che si traduca in incentivi per la piccola e media impresa italiana. Non basta infatti aumentare le tasse per rilanciare un Paese in piena recessione ed in cui l’accesso al credito bancario è sempre più difficile per gli imprenditori.

Le misure atte alla riduzione della spesa pubblica sono dunque per l’associazione presieduta da Gabriele Manconi un qualcosa che non può rappresentare insieme all’aumento delle tasse l’unico rimedio proposto dal nostro esecutivo al declino economico dell’Italia. Per uscire dalla crisi c’è bisogno assoluto di prendere provvedimenti atti a stimolare la produzione di cui al momento, purtroppo, non sembra esserci alcuna traccia.

Fonte: Agenparl.it

I partiti: “Caro Monti, meno tasse e più crescita”. Da che pulpito

di Davide PASSONI

Cosa cosa cosa“? Questa è stata la nostra reazione nell’ascoltare prima e leggere poi la risoluzione di maggioranza sul Def, approvata dall’Aula di Montecitorio e accolta dal governo, firmata da Fabrizio Cicchitto (Pdl), Dario Franceschini (Pd), Gian Luca Galletti (Udc), Benedetto Della Vedova (Fli), Silvano Moffa (PT), Bruno Tabacci (ApI), Renato Cambursano (Gruppo Misto) e Roberto Commercio (Mpa). Insomma, da tutto quello che una volta si chiamava l’arco costituzionale, fuori gli estremisti dell’una e dell’altra ala del parlamento, Lega e Idv.

Leggete questi estratti e capirete il perché del nostro stupore. “La priorità dell’azione del Governo e del Parlamento non può essere da questo momento in avanti che la crescita dell’economia nazionale, attraverso il rafforzamento della produttività totale dei fattori di sistema“. E va be’, fin qui ci siamo. Il governo deve dunque “portare avanti con determinazione” gli obiettivi di finanza pubblica, “accompagnando all’azione di riequilibrio dei conti pubblici il perseguimento dell’equità e della crescita, così da evitare che eventuali effetti recessivi indotti dalle politiche di risanamento finanziario peggiorino il deficit e il debito pubblico, vanificando i potenziali miglioramenti legati a queste stesse politiche, in vista del raggiungimento, entro il 2013, dell’obiettivo del pareggio di bilancio in termini strutturali“. Ineccepibile.

Ma il bello viene ora: “Le risorse rinvenienti dalla spending review (quale???? ndr) e dall’azione di contrasto dell’evasione e dell’elusione fiscale, da proseguire senza esitazioni mettendo a punto un piano organico di interventi – prosegue il documento – devono essere prioritariamente destinate, fermo restando l’obiettivo del pareggio di bilancio, alla riduzione della pressione fiscale sui redditi da lavoro dipendente e da impresa, ridefinendo, nell’ambito della riforma fiscale, un nuovo patto fra fisco e contribuenti“. Che cosa? Le forze politiche che appoggiano il governo Monti si sono accorte solo ora che sta facendo easattamente quello che hanno fatto loro fino a 6 mesi fa? Ovvero fare avanzi primari senza tagliare le spese ma solo aumentando le tasse? E ora che se ne sono accorte gli dicono: “Caro Monti, mi raccomando, non ammazzare imprese e famiglie con le imposte, taglia la spesa e prendi soldi da lì, mi raccomando“.

Che faccia tosta. Per quanto sia vero che l’attuale governo usi la leva fiscale più e peggio dei suoi predecessori, con quale sfrontatezza questi si permettono di dare lezioni all’esecutivo. Vero, forse siamo noi che vediamo le cose come attraverso una lente distorta. Del resto, questa è solo una risoluzione non vincolante, emessa in un clima di collaborazione e stima e accolta dal governo. E non si esaurisce qui, ci sono altri aspetti significtivi toccati. Resta però il fatto che i signori che si lasciano andare a questi consigli sono gli stessi che la spending review non l’anno mai voluta attuare, che hanno contribuito a portare la spesa pubblica fin dove è arrivata, che non mollano di un centimetro quando sono loro a doversi mettere a dieta. E giù applausi e lodi bipartisan a questo clima di reciproca responsabilità istituzionale.

A noi, in realtà, pare la vecchia storia del bue che dà del cornuto all’asino.

Confesercenti: la sfida per far ripartire il Paese

“Dobbiamo affrontare un problema urgente, sottolinea Confesercenti, riavviare il circuito della crescita: tagli coraggiosi di spesa e riduzione della pressione fiscale restano la via maestra per contrastare la recessione ed invertire un senso di marcia pericolosamente suicida.

Serve un taglio drastico di alcune voci di spesa corrente dove si annidano gli sprechi ed occorre avviare una riduzione graduale e consistente delle tasse che pesano sulle famiglie e sulle imprese, per ridare una boccata d’ossigeno all’economia e far ripartire il Paese”.

Fonte: Confesercenti.it

Spending review: se non vedo, non credo

di Davide PASSONI

Ma guarda un po’. Forse forse la tanto invocata spending review arriverà davvero. Il povero ministro Giarda era stato lasciato solo di fronte all’ingrato ma benedetto compito di analizzare la spesa pubblica italiana e capire dove e che cosa si potrebbe tagliare per ridurne la portata pachidermica. Per carità, non che dovesse partire da zero; in passato, Giarda si era già occupato del problema quando aveva avuto degli incarichi ministeriali, tanto che non si capisce come mai nelle scorse settimane dicesse che ci voleva tempo per capire dove effettuare i tagli. Che aveva fatto gli anni scorsi? E, quando non più tardi di 15 giorni fa aveva detto in una intervista alla Stampa che “dalla spending review non c’e’ da attendersi nessun tesoretto da destinare a una riduzione delle tasse, ma una razionalizzazione degli apparati delo Stato per non far crescere la spesa, raggiungere l’obiettivo del pareggio di bilancio nel 2013 e mantenerlo negli anni a venire“, ci erano letteralmente cadute le braccia.

Ora però, dopo che in queste ultime due settimane il fuoco di fila contro il ministro si era fatto più serrato, Giarda, sempre da un quotidiano, afferma che le spese dei ministeri diminuiranno di 13 miliardi tra il 2012 e il 2013, passando da 352 a 339 miliardi e che la spending review sarà presentata al Consiglio dei ministri entro fine aprile. Apperò! Un’uscita che segue di poco lo sfogo del ministro, che di fatto si era lamentato, come detto prima, di essere stato lasciato con la patata bollente della spesa pubblica nelle mani e con il pressing di Monti che, senza un taglio significativo degli sprechi di Stato, paventava il mancato pareggio di bilancio nel 2013. Dammi una task force, aveva rilanciato Giarda.

Ora, che il pareggio di bilancio non arriverà nel 2013 senza un taglio alla spesa pubblica è poco ma sicuro. Il dubbio è: ce la faranno a tagliarla davvero? Un dubbio non da poco, visto che se i dati economici continuano sul ritmo odierno, nessuno ci toglierà un’altra manovra correttiva in autunno. In mezzo tra la seconda rata e l’acconto Imu: ossia, morte sicura per il contribuente italiano.

Giarda, Grilli, ministri tutti: fatelo subito! Tagliate, tagliate, tagliate! Non ci basta sentire il ministro Severino che dice: Al Viminale via un dipendente su 10. Lo faccia! Non ci basta sentire il ministro Passera che dice: Dai tagli 100 miliardi per la crescita. Li vogliamo vedere! Non ci basta, anzi ci dà un fastidio cane sentire che tutti i partiti premono sul governo per sforbiciare la spesa pubblica: guardino in casa loro, sforbicino per primi i loro scandalosi bilanci e rinuncino ai rimborsi elettorali. Se non ora, quando, maledizione? Si impugnino davvero l’accetta e il bisturi, come dice l’inascoltato Oscar Giannino, per tagliare senza pietà o incidere con oculatezza, ma con un solo obiettivo: risparmiare.

Del resto, il dio spread continua a mangiarsi la nostra competitività ed è il primo segnale del fatto non che gli euro-cattivoni vogliono male all’Italia, ma che l’Italia vuole male a se stessa. Fino a che avremo un Paese che va a due velocità, con i contribuenti e i cittadini che hanno sempre meno e una spesa pubblica e dei partiti che vogliono sempre di più, o almeno non vogliono rinunciare a quello che hanno, il baratro tornerà ad avvicinarsi. Imprese e cittadini hanno già dato e continuano a dare: quando cominceranno a dare anche lor signori?

Cellulari salvi, ma ci ammazzano ancora con la benzina

L’abbiamo sfangata di poco, la tassa sugli sms per finanziare la Protezione Civile. Ma non c’è da preoccuparsi, il modo per trovare quei soldi lo hanno già ideato, i tecnici del ministero dell’Economia: si ritornerà ancora a ritoccare al rialzo le accise sulla benzina. E basta, su!

La tassa sugli sms per finanziare le emergenze, prevista nella bozza arrivata al preconsiglio dei ministri e saltata letteralmente a furor di tecnico, era infatti parti di un testo il quale prevedeva che, per reintegrare il fondo imprevisti del ministero dell’Economia con cui finanziare gli stati di emergenza in caso di calamità, il governo poteva aumentare l’aliquota delle accise sulla benzina fino a 5 centesimi, oltre a tassare fino ad un massimo di 2 centesimi (mica noccioline) tutti gli sms inviati “mediante telefono cellulare, computer o siti internet”. Telefonino salvo, dunque, ma non il serbatoio dell’auto.

Non ci stancheremo mai di ripeterlo: fino a quando la gente sopporterà di dover pagare di più per salvare l’Italia, mentre vede che i primi che dovrebbero pagare, i responsabili del baratro sul cui orlo continuiamo a ballare, fanno di tutto per conservare prebende, vitalizi, privilegi? Mentre la spesa pubblica non viene tagliata (anzi, ci sono ministri che dicono che va bene così, che la spesa è ferma e va tenuta ferma. Balle!) ma il potere di acquisto degli stipendi sì? Mentre le viene raccontato che l’Italia si sta riprendendo e invece, avanti di questo passo, entro l’anno ci sarà un’altra manovra economica per garantire il pareggio di bilancio nel 2013 che l’Europa ci chiede? Fino a quando? A nostro parere, ancora non per molto

IMUrtacci tua! Un altro scivolone del governo Monti

di Davide PASSONI

Ve lo ricordate tutto il polverone sollevato qualche mese fa dalla decisione del Governo Monti di far pagare l’Imu agli immobili eccelsiastici che ospitino attività con finalità di lucro? Come no… Applausi, consensi, una vera e propria beatificazione del presidente del Consiglio che, in quattro e quattr’otto, aveva dato una botta a una questione che si trascinava da decenni.

Ora la sorpresa. Scopriamo infatti che, mentre la maggior parte degli italiani aspetta con timore la scadenza del 18 giugno per capire quanto dovrà versare di acconto Imu (e ancora, crediamo, non percepisce la portata della stangata che la aspetterà a dicembre con il saldo), da questa imposta sono esentati gli edifici che ospitano le fondazioni bancarie.

Sì, abbiamo capito bene. Le fondazioni bancarie non pagheranno l’Imu per gli immobili che le ospitano. Ma come, un convitto gestito dalle suore, attività evidentemente a fini di lucro, pagherà questa imposta e le fondazioni che controllano le banche (a loro volta non proprio delle Onlus) no? Plauso e merito all’opera delle fondazioni bancarie, in sé non lucrative; ma come la mettiamo con gli istituti che controllano? Mah…

Questo governo di tecnici ci lascia ogni giorno sempre più perplessi e cominciamo a credere che certe topiche e certi errori, che violano i principi di equità ed uguaglianza dei cittadini, non siano più errori dovuti a inesperienza politica quanto degli scivoloni dovuti a disattenzione. Ma è mai possibile che anche sotto la guida dei professori la spesa pubblica stia continuando a crescere? E’ mai possibile che l’Esecutivo sostenga di non poter tagliare la spesa corrente perché non ha avuto il mandato politico per farlo? E che cosa ce li hanno messi a fare allora ‘sti professori? Se lo facciano dare da Napolitano questo mandato politico, visto che i partiti, di destra e di sinistra, lo hanno avuto per decenni e non hanno fatto nulla, per non erodere consensi elettorali.

Dimostrino, Monti e i suoi, di avere davvero le mani libere non solo per continuare a infilarle nelle tasche di chi ha già e ha sempre dato, ma anche per tagliare spesa pubblica e inefficienze, privilegi non solo della casta, fare una seria spending review (dov’è, ministro Giarda? Dov’è?) e, con le miliardate che arriverebbero da un’azione del genere, abbassare veramente le tasse alle imprese e ai cittadini. Altrimenti la ripresa ce la sogniamo. Erodere il potere di acquisto significa ammazzare i consumi, ammazzare i consumi significa ammazzare l’economia, ammazzare l’economia significa ammazzare l’Italia.

E sorridiamo amaramente quando il premier, forse ancora scosso dal jet lag del suo viaggio in Asia, dice che in Europa la fase acuta della crisi è alle spalle. Pare di sentire il suo predecessore quando a ottobre, con l’Italia sull’orlo del precipizio, parlava di ristoranti pieni, aerei stracolmi, posti di vacanza tutti esauriti. Sveglia. Il vero bubbone sotto l’ascella dell’Italia è lì, nella spesa pubblica che NON SI VUOLE tagliare. L’evasione fiscale, al confronto, è un brufolo in mezzo alla fronte: più antiestetico e più evidente, ma forse un po’ meno mortale.

Il debito pubblico? Sulle nostre spalle

di Davide PASSONI

Non vi sentite le spalle pesanti? Dai, fateci caso… Eccolo lì il peso, il macigno del debito pubblico: stando alle stime di Adusbef e Federconsumatori, il masso pesa 32mila e 300 euro per ciascun cittadino e 88mila euro per ciascuna famiglia. Da febbraio 2011 a gennaio 2012, il debito pubblico è infatti passato da 1.875,917 a 1.935,829 euro, con un aumento di 59,912 miliardi. Secondo la rilevazione, quindi, solo nell’ultimo anno l’aumento del peso per ciascuno dei 60 milioni di italiani è stato pari a 998 euro, mentre per ciascuna famiglia l’onere è salito di 2.723 euro.

E di chi è la responsabilità di questa impennata? Sorpresa delle sorprese, il sobrio Monti e il suo governo di tecnici. L’esecutivo dei professori ha il record del governo che negli ultimi 15 anni ha registrato la maggior crescita al mese del debito pubblico, pari a 15,5 miliardi.

Nel trend di crescita del debito pubblico dal 1996 ad oggi, Adusbef e Federconsumatori rilevano che il primo governo di centro sinistra (1996-2001) lo faceva crescere di 2,7 miliardi al mese. Col successivo governo Berlusconi (2001-2006) si è arrivati a oltre 3,8 miliardi/mese. Tocca poi a Prodi (2006-2008), che ha ritoccato le emissioni portandole a 3,9 miliardi/mese.

Con l’ultimo governo Berlusconi (2008-2011) l’incremento ha superato i 6 miliardi/mese. Ecco dunque che il governo Monti non lascia, anzi, raddoppia e va oltre: quasi 15,5 miliardi di euro/mese. Con un record a gennaio 2012 circa 38 miliardi di euro. A fine dicembre 2011, continuano Adusbef e Federconsumatori, il debito si attestava, infatti, a 1.897,646 miliardi di euro, in calo rispetto a novembre anche per via degli anticipi sulle dichiarazioni dei redditi 2012.

Checchè se ne dica, quindi, il governo Monti più che tagli ha messo sul piatto tasse. Va bene la crisi, va bene l’emergenza, ma fino a quando la ristrutturazione del debito si farà per via fiscale anziché tagliando la spesa e dismettendo asset importanti del patrimonio pubblico, immobiliare e non, la strada sarà sempre in salita.

Spesa pubblica, l’accusa della CGIA

Un’altra, impietosa fotografia della spesa pubblica italiana scattata dalla CGIA, che in uno studio ha ecidenziato come tra il 2000 e il 2010 questa sia aumentata, al netto degli interessi sul debito, di 141,7 miliardi di euro (l’importo riferito al 2000 è stato rivalutato al 2010), pari al +24,4%. L’anno scorso, la spesa ha raggiunto quota 723,3 miliardi di euro: in rapporto al Pil, sempre nel 2010, le uscite pubbliche dello Stato hanno raggiunto il 46,7%, +6,8 punti rispetto a 10 anni prima. Sempre nel 2010, infine, lo Stato ha speso 11.931 euro per ogni cittadino italiano: 1.875 euro in più rispetto al 2000.

La parte del leone (se così si può dire…) la fanno le spese correnti, riconducibili per la maggior parte agli stipendi dei dipendenti del pubblico impiego e alle prestazioni sociali: 93,2% del totale della spesa pubblica. Secondo la CGIA, i redditi dei dipendenti del pubblico impiego sono aumentati del +12,9%, i consumi intermedi (manutenzioni, affitti, energia elettrica, acqua, gas, materiale di consumo, etc.), sono cresciuti del 24,9%, gli acquisti di beni e servizi da destinare ai privati (medicinali, apparecchiature sanitarie, etc.) sono lievitati del +34,6%, le prestazioni sociali hanno fatto segnare un +24,6%.

Tagliente l’analisi di Giuseppe Bortolussi segretario della CGIA di Mestre: “Il trend di crescita registrato dalle uscite pubbliche nell’ultimo decennio dimostra che è necessario invertire le politiche di bilancio sin qui realizzate. Non è più possibile agire prevalentemente sul fronte delle nuove entrate per riportare in ordine i nostri conti pubblici. Bisogna, invece, intervenire sulla spesa pubblica improduttiva. In questi giorni sentiamo echeggiare, dopo che i cittadini hanno subito in questi ultimi mesi una raffica di nuove tasse ed imposte, la possibile introduzione di una patrimoniale o, come ha suggerito la Banca d’Italia, il ripristino dell’Ici sulla prima casa. Se ciò si verificasse, darebbe luogo ad un ulteriore aumento del carico fiscale che deprimerebbe ancor più la capacità di spesa delle famiglie italiane che già oggi si trovano in una situazione di estrema difficoltà”.

Clicca qui per scaricare il documento della CGIA.

Confartigianato Bologna: più attenzione alle imprese del territorio

“Diamo voce alle imprese bolognesi” è lo slogan con cui Confartigianato Bologna e le rappresentanze del mondo dell’impresa del capoluogo dell’Emilia Romagna, hanno aderito ad un’iniziativa che comprende proposte comuni rivolte al Governo.

Con questa iniziativa Confartigianato Bologna chiede ai propri associati di esprimere il loro consenso in merito con una semplice firma, e tramite una lettera inviata agli associati stessi invita a partecipare al “Progetto delle imprese per l’Italia”, un documento che raccoglie proposte comuni rivolte sì al Governo, ma anche al Parlamento e alle forze politiche.

L’obiettivo? Rilanciare la crescita dell’Italia e risanare i conti del Paese.

Le questioni da affrontare riguardano la spesa pubblica, la riforma delle pensioni, lariforma fiscale, le cessioni del patrimonio pubblico, le liberalizzazioni e semplificazioni, le infrastrutture e l’energia.

“Per questo, in linea con la filosofia di Confartigianato nazionale vogliamo rivendicare a livello locale, attraverso la sottoscrizione di un manifesto comune fra tutte le diverse rappresentanze del mondo dell’impresa bolognese, la necessità di intervenire nel più breve tempo possibile, con riforme coraggiose e significative. È il momento di costruire nuove soluzioni, diventando veri protagonisti, insieme a voi, del cambiamento e delle decisioni che riguardano il nostro paese e la nostra economia. Solo attraverso scelte concrete e profonde potremmo imprimere una svolta e un cambiamento ritenuto ormai da tutti non rimandabile, guardando avanti con un’ottica di sistema perchè insieme possiamo rimettere in moto il nostro Paese”, scrive nella lettera Gianluca Muratori, presidente di Confartigianato Bologna.

Giulia Dondoni

INT: Convegno Nazionale sul sistema Italia

Si danno appuntamento a Roma i tributaristi dell’INT – Istituto Nazionale Tributaristi in occasione del XV Convegno Nazionale sul tema: ‘Sistema Italia, cambiamento necessario‘. Il convegno si svolgerà martedì 11 ottobre salle ore 10.00 alle 15.30 presso la Sala Capranichetta di Piazza Montecitorio.

Fra i relatori il Consigliere INT Giuseppe Zambon e alcuni esponenti parlamentari come l’Onorevole Giuliano Cazzola ed il Senatore Enrico Morando. Saranno presenti anche il Presidente dell’INT Riccardo Alemanno e il giornalista Franco Stefanoni del settimanale ‘Il Mondo’, oltre ad altri rappresentanti del mondo istituzionale e professionale. Dopo il convegno è prevista l’Assemblea dei Delegati provinciali INT del centro-sud.

Sempre a Roma, lunedì 10 ottobre si svolgerà il Consiglio nazionale dell’Istituto Nazionale Tributaristi, presso l’ufficio di rappresentanza di Via Sistina, per discutere le tematiche professionali e analizzare i nuovi scenari aperti dalla riforma delle professioni.

Un momento per fare il punto su una situazione sempre più precaria per il nostro Paese” ci tiene a sottolineare il Presidente Alemanno “daremo indicazioni ai rappresentanti del Parlamento circa le priorità che riteniamo inderogabili e non più rinviabili per l’Italia: fisco, pensioni, burocrazia, spesa pubblica, professioni e giovani. Indicazioni che abbiamo già fornito nell’ambito dei Tavoli di confronto sulla riforma fiscale e che ribadiamo in ogni occasione pubblica di dibattito.”

E a proposito degli obiettivi futuri da perseguire, Alemanno precisa: “Serve determinazione, serietà e buon senso e soprattutto bisogna evitare che le richieste egoistiche e corporative dei conservatori, refrattari al cambiamento ed alla modernizzazione, abbiamo il sopravvento sulle riforme che invece servono urgentemente al Paese“.

Alessia Casiraghi