Alemanno (INT): cari politici, venite per due giorni in uno studio tributario

Provate un po’ ad avere a che fare con la fiscalità, quella vera, per almeno 48 ore e vedrete che succederà. È questo ciò che l’INT, l’Istituto Nazionale Tributaristi, vuol far capire ai rappresentanti delle istituzioni con l’iniziativa lanciata dal presidente Riccardo Alemanno: invitare rappresentanti del Parlamento e del Ministero dell’Economia e delle Finanze a passare due giorni all’interno di uno studio tributario.

Se la semplificazione degli adempimenti tributari è da sempre oggetto di dibattito e di iniziative anche legislative, è del resto evidente che nessuna di queste ha centrato l’obiettivo, a giudicare da quanto si vive quotidianamente all’interno degli studi degli intermediari fiscali.

L’iniziativa lanciata da Alemanno, che può sembrare solo provocatoria, ha invece lo scopo di evidenziare il forte disagio che si avverte nell’attività di assistenza fiscale ai contribuenti. Le novità che vengono emanate a tamburo battente, i nuovi adempimenti, i nuovi tributi accompagnati da una crisi che continua a perdurare, stanno mettendo a dura prova studi e contribuenti: i primi mediano e cercano di fare comprendere i nuovi obblighi, i secondi sono disorientati da adempimenti e spesso messi in difficoltà dai crescenti costi diretti ed indiretti della tassazione.

Ecco perché Alemanno mette i puntini sulle i: “Siamo il vero front-office del sistema tributario – dice –, la professione che ci siamo scelti e che svolgiamo al meglio delle nostre capacità e con grande spirito di servizio si è trasformata da quella di consulenti a quella di compilatori di moduli ed ‘avvisatori’ di scadenze di versamenti; tutto ciò inizia ad essere frustrante e si somma al fatto che cresce la sofferenza degli incassi ad un contemporaneo aumento dei costi di gestione dello studio“.

Vorremmo anche sfatare – continua Alemannoche l’aumento degli adempimenti di fatto favorisce i nostri studi: niente di più falso, ormai ai nostri clienti viene sempre più spesso fatturato un forfait omnicomprensivo che evidentemente non è equivalente al nostro lavoro. Se dovessimo calcolare compensi per singoli adempimenti raggiungeremmo livelli non sopportabili per l’utenza e non vogliamo contribuire all’impoverimento dei contribuenti. Detto ciò si rende necessaria una revisione profonda del sistema, ai contribuenti deve essere dato tempo di assimilare le novità che oggi non mettono solo in difficoltà aziende e lavoratori autonomi ma anche semplici cittadini privati”.

Inviteremo quindi – conclude Alemannoalcuni rappresentanti del Parlamento e del MEF a trascorrere due giorni all’interno di alcuni uffici, studi di intermediari fiscali  che chiedono solo di potere lavorare avendo certezza dei tempi e delle norme. Bisogna avere il coraggio di eliminare adempimenti non di sostituirli. So che questa è anche la volontà dell’Esecutivo di Governo e del Parlamento, ma spesso il metodo sembra andare nella direzione opposta. Se i rappresentanti delle suddette istituzioni accetteranno il nostro invito potranno toccare con mano che ciò che diciamo è la pura e semplice fotografia della realtà“.

Dalle parole ai fatti: l’INT inizierà a contattare eventuali volontari per questa singolare iniziativa, che ha come fine unico quello di contribuire a migliorare e semplificare il sistema fiscale.

La tassazione delle rendite finanziarie

Dal 1 luglio l’attuale tassazione sulle rendite finanziarie dovrebbe passare al 26%, esclusi i titoli di Stato italiani e di Paesi “white list”, che rimane al 12,5%.
Vediamo però come incide realmente la tassazione sui proventi da investimento.
Tutto dipende da quale regime fiscale avete scelto, essendo possibili quattro opzioni: dichiarativo, amministrato, gestito e polizza vita.
La grossa differenza consiste nella disparità di trattamento delle minusvalenze che derivano da OICR, quindi Fondi comuni di investimento e Etf. Infatti, se si è realizzato un valore positivo, viene considerato reddito da capitale e tassato, mentre se è negativo viene considerato reddito diverso e quindi compensabile solo con altri redditi diversi. Perchè? MIstero!
Questa, oltretutto non è una norma di legge ma una prassi bancaria. Pura follia!
Attenzione, perché molte banche non inseriscono la vostra posizione a credito, derivante da minusvalenze da OICR, in automatico, come tutti credono e come sarebbe logico, ma solo dietro richiesta del cleinte, oppure dovete essere voi stessi (nel caso abbiate l’home banking) a caricarvi tutte le minusvalenze nel dossier relativo ai redditi diversi. Se non lo fate, non potrete mai compensare nulla con eventuali redditi diversi generati, perché le minusvalenze da OICR semplicemente non risulteranno.
Pazzesco!
La tabella 1 chiarisce quali sono redditi da capitale e quali redditi diversi:


Facciamo ora riferimento alle tabelle seguenti, nelle quali sono evidenziati regimi fiscali diversi, per un investimento di 100.000 euro, in 10 anni, totalmente investito in OICR, con rendimento medio lordo del 6,5 e con il 55% di operazioni in utile e il 45% di operazioni in perdita.

Nella tabella 2, abbiamo tre soluzioni: con il risparmio amministrato, è evidente che tutti i crediti fiscali che derivano da operazioni in perdita, se non vengono recuperati nei 4 anni successivi da utili da redditi diversi, diventano una ulteriore tassazione. Portano quindi la fiscalità reale al 47%. E’ possibile ottenere utili da redditi diversi, ma questo significa utilizzare prodotti a rischio più elevato e che probabilmente non sono adatti all’investitore in fondi. Inoltre non è certo che questi utili si ottengano, generando quindi ulteriori perdite e crediti fiscali.

Nell’ipotesi del risparmio gestito, invece, le minusvalenze sono compensate direttamente con le plusvalenze e non generano quindi nessun credito fiscale, abbassando la tassazione reale di 18 punti, 29%.
Nell’ultima soluzione prevista, quella della polizza vita, la tassazione è differita sino al riscatto della polizza. Ciò significa che si è tassati, sul netto come per il risparmio gestitio, solo quando si preleva del denaro (in parte o tutto), con un peso fiscale del 27%, meno del risparmio gestito per via dell’imposta di bollo differita. Se invece il capitale polizza va ai beneficiari, perché si verifica l’evento (la dipartita dell’assicurato) questi non pagheranno nessuna imposta, perché esente e l’ammontare sarà escluso dall’asse ereditario, quindi non pagherà neppure imposte di successione. Totale della tassazione 3%, cioè la sola imposta di bollo.
E’ stata volutamente omessa dalla trattazione l’ipotesi del regime dichiarativo, perché in questo caso è il contribuente che deve farsi carico di indicare, nella dichiarazione dei redditi, tutte le operazioni in utile e in perdita, e pagare quindi le imposte solo sulla differenza e in base alla propria aliquota marginale.
Potrebbe forse essere conveniente, ma bisogna valutare e sopratutto non sbagliare la rendicontazione delle operazioni.
Quale regime scegliere, quindi? Dipende da molti fattori e non esiste una risposta univoca, di sicuro la tassazione è superiore al 26% e ci vuole l’aiuto di un esperto per dipanare la matassa.

LEGGI LA PRIMA PARTE

 Dott. Marco Degiorgis – Life Planner / Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

Crisi, 3 aziende su 5 destinate al fallimento

Un’agonia senza fine che vede protagoniste moltissime – troppe –  aziende italiane impegnate nella lotta alla sopravvivenza. Dall’esito di un sondaggio promosso dal centro studi Unimpresa, svolto prendendo in considerazione un cospicuo campione di 130mila imprese, risulta che nei prossimi 4 mesi 3 aziende su 5 prevedono il fallimento.

I problemi sono diversi: difficoltà con le banche per la concessione di credito, difficoltà nel rispettare scadenze e adempimenti fiscali, ritardi dei pagamenti della pubblica amministrazione, mancati incassi da clienti privati, impossibilità di pianificare investimenti, scarsa flessibilità nel gestire l’occupazione. Una serie di problematiche che hanno un denominatore comune, la crisi economica.

Nel 62,2 % dei questionari quello che emerge è il medesimo scenario: il baratro, la chiusura per le aziende, il licenziamento per i lavoratori, la disperazione delle famiglie. Ad essere additato come la concausa del possibile e papabile fallimento da parte delle imprese, oltre ai problemi con gli istittui di credito, sono le tasse.

La tassazione che soffoca ogni forma di attività, impedisce la sopravvivenza, figuriamoci lo sviluppo delle nostre imprese, e oltre a superare del 50% il tetto massimo, prevede per le aziende termini e adempimenti tributari difficili, se non impossibili da rispettare. Altro fattore allarmante è il ritardo nel pagamento  da parte di Stato centrale ed enti locali.  Anzitutto per lo stock da 90-100 miliardi di debiti della pubblica amministrazione che non viene sbloccato da amministrazioni centrali e locali, come recentemente denunciato dalle banche, a causa dello stallo nel meccanismo di certificazione dei crediti vantati dalle imprese.

Altra fonte di apprensione per le imprese è lo stop agli investimenti. Le nuove regole varate lo scorso anno dal Governo tecnico non hanno migliorato la situazione e non hanno risposto alla esigenza di maggiore flessibilità chiesta dai datori di lavoro.

Eloquenti le parole di Polo Longobardi, presidente di Unimpresa che sostiene che “la  situazione sia da allarme rosso. La massa di imprese che alzano bandiera bianca si estende a vista d’occhio giorno dopo giorno e non si vede una via d’uscita. Le imprese sono stremate e il fallimento, in taluni casi, è inevitabile. Al Governo di Enrico Letta abbiamo posto più volte l’esigenza di varare riforme serie, volte a dare speranza agli imprenditori e pure alle famiglie. Per rimettere in moto l’economia, e quindi per far ripartire l’occupazione, si deve dare impulso al credito e vanno tagliate le tasse”.

Sempre secondo il parere di Longorbardi “senza la liquidità delle banche e senza un abbattimento drastico della pressione fiscale il nostro Paese non ha futuro ed è destinato a morire”.

Francesca RIGGIO

Condòmino, vendi energia da fotovoltaico? Per te è reddito d’impresa

Avete un impianto fotovoltaico sul tetto del vostro condominio e rivendete parte dell’energia che producete? Occhio! Configura infatti un’attività commerciale abituale e imponibile la produzione di energia solare ceduta alla rete dai condòmini. Questo è quanto emerge dalla risoluzione 84/E del 10 agosto scorso, che chiarisce i dubbi sollevati dal Gestore dei servizi energetici (Gse) riguardanti le modalità di tassazione degli impianti con potenza superiore ai 20 kW.

Una situazione non nuova. Le ipotesi per cui la vendita di energia generata da impianti fotovoltaici è considerata attività commerciale erano infatti già state individuate dalla circolare 46/E del 2007 nelle produzioni superiori ai 20 kW o nei casi in cui l’energia prodotta, anche se inferiore a tale livello, viene ceduta totalmente alla rete del Gse.

Una cosa che è necessario chiarire è qual è il soggetto da tassare. Il condominio, rappresentando una particolare forma di entità di carattere amministrativo, non può configurarsi come soggetto che svolge l’attività di produzione e vendita dell’energia. La risoluzione evidenzia che, anche in presenza del solo accordo verbale di esercitare un‘attività commerciale, o con un comportamento idoneo a dimostrare l’intenzione di stipulare tale accordo, si può individuare una società di fatto. A prescindere quindi dalle modalità con cui si conclude l’intesa, è identificato un contratto sociale con la presenza dell’elemento oggettivo – il conferimento di beni e servizi finalizzato alla formazione di un fondo comune – e quello soggettivo, la comune intenzione di unirsi al fine di conseguire proventi. Restano esclusi dalla società di fatto i condòmini che non hanno approvato la decisione e che non traggono vantaggio dall’investimento.

La società di fatto che gestisce un impianto di produzione di energia è dunque un soggetto commerciale, deve emettere fattura al Gestore per l’elettricità immessa in rete e il Gse deve operare nei suoi confronti la ritenuta del 4%. Anche ai fini dell’Iva, la società tra i condòmini si manifesta dunque come autonomo soggetto d’imposta ed è tenuta alla presentazione delle dichiarazioni fiscali.

Riporto delle perdite fiscali: novità per i soggetti Ires

Modifiche di rilievo per la norma relativa al riporto delle perdite fiscali in seguito all’introduzione del comma 9 dell’articolo 23 del DL 98/2011.
 
Il legislatore è intervenuto su due fronti: eliminando il limite temporale alla riportabilità delle perdite realizzate in un periodo d’imposta; introducendo un tetto quantitativo consentendo che le perdite possano essere utilizzate in diminuzione del reddito imponibile di ciascun periodo d’imposta in misura non superiore all’80% dell’ammontare (precedentemente non sussisteva alcuna limitazione).

In virtù delle modifiche subite dall’art. 84 del Tuir, le perdite delle società di capitali potranno essere compensate in un periodo successivo in misura non superiore all’80% del reddito di quel periodo: se la perdita è inferiore all’80% del reddito, la compensazione potrà avvenire integralmente; se viene superata tale soglia, il 20% dell’imponibile deve essere assoggettato a tassazione e la parte di perdita eccedente deve essere riportata in avanti per un eventuale utilizzo successivo.

La parte delle perdite che eccede l’80% degli utili e che non può essere dedotta nell’esercizio, può essere invece riportata negli anni successivi senza alcun limite. Nessun cambiamento invece per le perdite realizzate nel primo triennio di attività: continueranno a essere illimitatamente riportabili in misura piena, come avveniva in precedenza.

Aumento delle tasse locali del 138%. Per la Cgia di Mestre è allarme

Il presidente della Cgia di Mestre Giuseppe Bortolussi lancia l’allarme: tra il 1995 e il 2010 la tassazione a livello locale è aumentata del 137,9%. In termini assoluti, le entrate fiscali delle Amministrazioni locali (Comuni, Province, Regioni) sono passate da 40,58 miliardi a 96,55 miliardi di euro.

A fronte di un incremento delle entrate del 6,8% occorre fare i conti con un incremento importante della tassazione locale. L’aumento della tassazione locale, commenta Giuseppe Bortolussi segretario della CGIA di Mestre è il risultato del forte decentramento fiscale iniziato negli anni ’90. L’introduzione dell’Ici, dell’Irap e delle addizionali comunali e regionali Irpef hanno fatto impennare il gettito della tassazione locale che è servito a coprire le nuove funzioni e le nuove competenze che sono state trasferite alle Autonomie locali.

Bortolussi prosegue: “La situazione dei nostri conti pubblici ha costretto lo Stato centrale a ridurli progressivamente, creando non pochi problemi di bilancio a tante piccole realtà amministrative locali che si sono difese aumentando le tasse locali. I fortissimi tagli imposti dalle manovre correttive di luglio e di Ferragosto rischiano di peggiorare la situazione e di demolire lo strumento che in qualche modo poteva invertire la tendenza, ovvero il federalismo fiscale“.

Proroga scudo fiscale : Certificazione crediti della pubblica amministrazione

PROROGA “SCUDO FISCALE” – Decreto Milleproroghe art. 1 c. da 1 a 3 e 7
Come e’ noto, l’art. 13-bis del DL n. 78/2009, convertito dalla Legge n. 102/2009, aveva riproposto la disciplina dell’emersione delle attività detenute all’estero, conosciuta come “scudo fiscale”, che consentiva ai residenti in Italia detentori di attività all’estero in violazione delle disposizioni sul c.d. “monitoraggio fiscale”, di sanare la loro posizione fiscale consegnando entro il 15.12.2009 ad un intermediario abilitato (banca, SIM, Poste, ecc.) la dichiarazione riservata e i denari necessari per il versamento dell’imposta straordinaria del 5% delle attività indicate nella dichiarazione stessa.
Ora il Decreto Milleproroghe dispone la proroga dello “scudo fiscale” con la fissazione di due diverse misure dell’imposta straordinaria dovuta per la definizione della sanatoria:
– la prima pari al 6% per le operazioni di rimpatrio / regolarizzazione perfezionate entro il 28.2.2010;
– la seconda pari al 7% per le operazioni di rimpatrio / regolarizzazione perfezionate dall’1.3 al 30.4.2010.
– l’ampliamento, al doppio della durata (da 4 anni a 8 anni), dei termini di accertamento ai fini IVA e II.DD. nei
confronti dei contribuenti che detengono investimenti o attività finanziarie all’estero in violazione degli obblighi del
c.d. “monitoraggio fiscale”; in tal modo l’Amministrazione finanziaria potrà avvalersi del nuovo termine di 8 anni, in luogo dei precedenti 4, per l’attività di accertamento delle attività detenute in Stati c.d. “paradisi fiscali” in violazione degli obblighi di “monitoraggio fiscale”, sia ai fini IVA che delle imposte dirette, basata sulla presunzione di cui al comma 2 del citato art. 12 in base al quale tali disponibilita’ “ ai soli fini fiscali si presumono costituite, salva la prova contraria, mediante redditi sottratti a tassazione”.
Raddoppiano anche i termini di accertamento delle violazioni relative al “monitoraggio fiscale” ex art. 4, DL n. 167/90 e quindi derivanti dall’errata/omessa compilazione del quadro RW del mod. UNICO.

CERTIFICAZIONE DEI CREDITI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE (Decreto Milleproroghe art.1 c. 16)
Il Decreto Milleproroghe estende al 2010 il meccanismo per cui, su istanza del creditore di somme dovute per somministrazioni, forniture e appalti, le regioni e gli enti locali possono certificare se il relativo credito sia certo, liquido ed esigibile, anche al fine di consentire al creditore la cessione pro soluto a favore di banche o intermediari finanziari riconosciuti dalla legislazione vigente.
Tale cessione ha effetto nei confronti del debitore ceduto, a far data dalla predetta certificazione, che può essere a tal fine rilasciata anche nel caso in cui il contratto di fornitura o di servizio in essere escluda la cedibilità del credito medesimo. Per le modalità operative vale sempre il D.M. 19.5.2009.

Cosa devono ricordare le società di capitali : Distribuzione delle riserve di utili

Per i dividendi 2008 corrisposti nel 2009 il Legislatore, avendo ridotto la tassazione Ires dal 33% al 27,5%, ha previsto l’incremento della percentuale da sottoporre a tassazione in capo ai percipienti dal 40% al 49,72%, limitatamente alle partecipazioni qualificate delle persone fisiche nonché a quelle detenute da imprese non soggette ad Ires (società di persone ed imprenditori individuali).
Quindi, per fare un esempio, il privato che riceve 100 di dividendo dovra’ dichiarare nella Dichiarazione Unico un reddito solo di 49,72, assoggettandolo alla normale sua Irpef marginale. Il complemento a 100, cioe’ 50,28, non viene piu’ tassato per compensare l’Ires 27,5% gia’ pagata dalla societa’.
È rimasta, invece, invariata al 5% la tassazione dei dividendi percepiti dalle società di capitali, così come la tassazione sui dividendi “non qualificati” percepiti da persone fisiche, per i quali rimane fermo l’obbligo di tassazione alla fonte a titolo d’imposta nella misura del 12,5%.
Occorre ricordarsi alcune regole, prima di tutto la priorità nella distribuzione: i dividendi distribuiti si considerano prioritariamente formati con utili prodotti dalla società fino all’esercizio 2007. Ciò significa che è necessario “consumare” per primi gli utili formati fino all’esercizio 2007, sui quali la società ha corrisposto l’IRES al 33% e ai quali corrisponde la tassazione in capo al socio qualificato nella misura del 40%. Solo ad esaurimento di tali utili si potrà procedere alla distribuzione di quelli formatisi a decorrere dall’esercizio 2008, sui quali la società ha corrisposto l’IRES nella misura del 27,5%, con tassazione in capo al socio qualificato nella misura del 49,72%.