Lavoro straordinario: concorre alla formazione del TFR?

Le ore di lavoro straordinario possono concorrere a formare l’imponibile per il Trattamento di fine rapporto (TFR)? E, in analoga situazione, i premi di produttività senza la percentuale agevolata del 10% valgono per il TFR? Per rispondere a queste domande è necessario rifarsi alla natura della prestazione come disciplinata dal Codice civile e al contesto lavorativo nel quale si svolgano ore di straordinario e si percepiscano premi.

Cos’è il Trattamento di fine rapporto?

Il Trattamento di fine rapporto è definito dall’articolo 1320 del Codice civile. Nella situazione di cessazione del rapporto di lavoro, “il prestatore di lavoro ha diritto a un trattamento di fine rapporto. Tale trattamento si calcola, sommando per ciascun anno di servizio, una quota pari e comunque non superiore all’importo della retribuzione dovuta per l’anno stesso divisa per 13,5. La quota è proporzionalmente ridotta per le frazioni di anno, computandosi come mese intero le frazioni di mese uguali o superiori a 15 giorni”.

Come si calcola il Trattamento di fine rapporto (TFR)?

Il Codice civile dispone, dunque, anche come si calcola il TFR. Pertanto, per ogni anno di attività prestata a un datore di lavoro, è necessario dividere la retribuzione annua per 13,5. Lo stesso calcolo può essere fatto moltiplicando la retribuzione annua per il 7,41%. Il risultato costituisce l’accantonamento della quota di TFR per l’anno preso in considerazione e al quale fa riferimento la retribuzione.

Esempio di calcolo del TFR

Facendo un esempio, se la retribuzione annua è di 20.000 euro lordi, il calcolo del TFR inerente l’anno di lavoro è pari a 1.481 euro lordi. Il risultato costituisce l’accantonamento del Trattamento di fine rapporto per l’anno al quale si riferisce la retribuzione.

Retribuzione utile ai fini del calcolo del TFR

Per comprendere pienamente se il lavoro straordinario rientra nel calcolo dell’imponibile utile ai fini del Trattamento di fine rapporto è necessario verificare cosa rientra nella retribuzione. Sempre l’articolo 2120 del Codice civile specifica che la retribuzione annua “comprende tutte le somme, compreso l’equivalente delle prestazioni in natura, corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro, a titolo non occasionale e con esclusione di quanto è corrisposto a titolo di rimborso spese”.

Lo straordinario rientra nel calcolo del Trattamento di fine rapporto?

Da quanto deriva dall’articolo 2120 del Codice civile, il lavoro straordinario rientra nella retribuzione utile ai fini del Trattamento di fine rapporto se viene svolto in maniera continuativa. Diversamente, lo straordinario non rientra se viene svolto in maniera occasionale.

Esempi di calcolo TFR con lavoro straordinario in busta paga

È il caso, ad esempio, di un dipendente che svolga lavori su turni, con la conseguenza di un frequente ricorso al lavoro straordinario. Le maggiorazioni che ne derivano nella busta paga concorrono a formare il TFR. Nel secondo caso, per straordinari svolti in via occasionale, figurano ore di straordinario pagate in busta paga ma queste non concorrono alla formazione dell’imponibile per il Trattamento di fine rapporto.

E i premi di produttività concorrono al calcolo del TFR?

I premi di produttività, soggetti a normale tassazione, concorrono sempre all’imponibile per il calcolo del Trattamento di fine rapporto. Si tratta, infatti, di una parte della retribuzione che non può definirsi “occasionale” e che esula dal concetto delle prestazioni meramente “a titolo non occasionale” di cui parla l’articolo 2120 del Codice civile.

Quali sono le voci della busta paga che rientrano nel calcolo del TFR?

È possibile, pertanto, fare un resoconto delle voci della busta paga che devono essere incluse nel calcolo dell’imponibile per il Trattamento di fine rapporto. Oltre allo stipendio base, rientrano:

  • il lavoro straordinario svolto in maniera non occasionale;
  • i premi di anzianità o di fedeltà;
  • le ferie non godute;
  • le festività non godute;
  • i premi di rendimento individuale;
  • la quota retributiva, pari al 50%, delle trasferte;
  • il lavoro all’estero;
  • le indennità di alloggio;
  • il lavoro svolto in maniera non occasionale di notte, nei festivi e durante le domeniche.

Cosa non rientra nel calcolo dell’imponibile per il TFR?

Dal calcolo dell’imponibile ai fini del calcolo del Trattamento di fine rapporto devono essere escluse le seguenti voci:

  • i rimborsi delle spese;
  • le liberalità che il datore di lavoro concede ma che non sono connesse al rapporto di lavoro. Si tratta, dunque, di compensi e premi relativi a occasioni particolari, che non hanno la caratteristica della continuità, come ad esempio il cinquantenario dell’azienda;
  • di conseguenza, ogni compenso corrisposto in maniera occasionale non rientra nel calcolo del TFR.

TFR e divorzio: quando l’ex coniuge ha diritto a una quota?

Il TFR, o liquidazione, è l’agognato Trattamento di Fine Rapporto molto agognato dai lavoratori e versato al termine del rapporto di lavoro, anche se può ora essere liquidato in busta paga su scelta del lavoratore. Ciò che molti non sanno è che ci sono diversi casi in cui in seguito a divorzio è comunque necessario versare una quota di TFR all’ex coniuge. Ecco i casi.

TFR e divorzio: la normativa vigente

Il Trattamento di Fine Rapporto, o liquidazione, costituisce una quota differita dello stipendio e il lavoratore la incassa al termine del rapporto stesso, sia in caso di licenziamento, sia in caso di pensionamento. L’articolo 12 bis della legge 898 del 1970, inserito nel 1987, prevede che “il coniuge nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e in quanto sia titolare di assegno ai sensi dell’articolo 5, ad una percentuale dell’indennità di fine rapporto percepita dall’altro coniuge all’atto della cessazione del rapporto di lavoro anche se l’indennità viene a maturare dopo la sentenza.        Tale percentuale è pari al quaranta per cento dell’indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio.”

La ratio della disciplina è riconoscere al soggetto economicamente più debole, che storicamente è la donna, una sorta di ricompensa o risarcimento per l’impegno solitamente profuso nell’accudimento della famiglia.

Requisiti per ottenere la quota di TFR

Il diritto del coniuge a percepire una quota del TFR nasce solo se la liquidazione si riscuote dopo il passaggio in giudicato della sentenza di divorzio. Emerge dall’articolo 12 bis che, affinché maturi il diritto per l’ex coniuge di percepire il TFR, è necessario in primo luogo che non sia passato a nuove nozze e in secondo luogo che percepisca un assegno di mantenimento periodico, solitamente la periodicità è mensile.

A tale proposito capita spesso che il coniuge, che in teoria avrebbe diritto a percepire l’assegno di mantenimento, preferisca una liquidazione una tantum al momento del divorzio stesso, in questo caso non vi è il diritto a percepire una quota di TFR. Un’altra piccola nota da sottolineare è che si fa riferimento solo alle nuove nozze del coniuge che avrebbe diritto a percepire il TFR, mentre non rileva il fatto che sia passato a nuove nozze il lavoratore. Inoltre non maturano il diritto al TFR i figli. Una piccola nota a questo punto è necessaria: sempre più spesso il giudice in sede di divorzio riconosce il diritto all’assegno di mantenimento per il coniuge economicamente più debole solo per brevi periodi, esortandolo quindi ad affrancarsi economicamente dall’ex coniuge, ciò incide sul diritto alla quota di TFR.

A quanto ammonta la quota di TFR per il coniuge divorziato

La quota di liquidazione spettante all’ex coniuge è del 40%, da calcolare però esclusivamente sull’ammontare maturato nel periodo in cui la coppia era ancora unita in matrimonio, comprendendo però anche la fase di separazione. Di conseguenza non basta la separazione di fatto, né giudiziale per far cessare il diritto di maturare la propria quota di TFR. Questo implica che, se anche il TFR viene percepito molti anni dopo la cessazione del matrimonio, l’ex coniuge comunque partecipa, ma solo per la quota maturata nel periodo del matrimonio stesso. Si tratta quindi di un assegno che spesso è di piccolo importo, soprattutto se il matrimonio è stato di breve durata.

Va sottolineato che l’ex coniuge non ha diritto a percepire una quota di TFR se lo stesso è oggetto di liquidazione prima della cessazione degli effetti civili del matrimonio, di conseguenza se il coniuge A riscuote il TFR nel periodo della separazione, il coniuge B non può poi pretendere le somme. Lo stesso principio si applica se si riscuote il TFR ancor prima della separazione giudiziale. Nel caso in cui la liquidazione del TFR avvenga nel periodo della separazione giudiziale, prima del divorzio, il coniuge nella fase di divorzio può chiedere che l’assegno di mantenimento sia adeguato alle nuove somme riscosse o che gli sia liquidata una quota.

Anticipi di TFR e divorzio

Un’altra questione che ha creato dubbi interpretativi riguarda il caso in cui il lavoratore abbia chiesto nel corso del rapporto di lavoro degli anticipi del TFR (ricordiamo che i casi in cui si può ottenere l’anticipo sono limitati, ad esempio per l’acquisto dell’abitazione o per spese sanitarie). La giurisprudenza in questo caso ha stabilito che su tali somme l’ex coniuge non può vantare diritti, quindi il calcolo di quanto gli spetterebbe si effettua esclusivamente sulle somme effettivamente percepite al momento della cessazione del rapporto di lavoro per dimissioni/pensionamento. Questa interpretazione è univoca nel caso in cui l’anticipio sia chiesto in costanza di matrimonio, se invece l’anticipo si ottiene dopo il divorzio, l’ex coniuge potrebbe vantare diritti anche su tali quote, infatti la giurisprudenza nel tempo non ha mostrato costanza nel dirimere la questione.

TFR e divorzio: cosa succede se il lavoratore muore prima di riscuoterlo

Si ricorda che il TFR non va perduto in caso di morte del lavoratore, bene, anche in questo caso l’ex coniuge ha diritto ad ottenere la sua quota dello stesso, ciò anche in concorrenza con l’attuale coniuge che eredite la rimanente parte. Inoltre per l’ex coniuge titolare dell’assegno di mantenimento, è previsto che vi sia anche il diritto alla pensione di reversibilità anche in concorrenza con il coniuge attuale. E’ bene rammentare che in caso di morte il TFR si divide tra figli e coniuge e in alcuni casi parenti entro il terzo grado, ciò anche se gli stessi non abbiano accettato l’eredità (art 2122 del codice civile).

L’ex coniuge come può ottenere il TFR?

Sia chiaro, nel momento in cui il datore di lavoro liquida il TFR al lavoratore, è estraneo ai rapporti di coniugio ed ex coniugio e di conseguenza semplicemente liquida il Trattamento di Fine Rapporto al lavoratore. E’ altrettanto vero che, nella maggior parte dei casi, nessun lavoratore una volta ottenute le somme, chiama l’ex coniuge per avvertirlo dell’avvenuto incasso e liquidargli le somme che gli spetterebbero. L’ex coniuge per riuscire a intascare la somma deve di conseguenza proporre un’istanza, o meglio un ricorso al tribunale con il quale si richiede di disporre il versamento in suo favore della quota di TFR spettante. Il tribunale con sentenza ordinerà al datore di lavoro e/o all’ente previdenziale di erogare le quote in favore dell’ex coniuge.

Questa procedura si può fare se l’ex coniuge non abbia riscosso le somme, invece è diverso il caso in cui questi abbia riscosso le somme senza che l’ex coniuge ne abbia avuto conoscenza e non abbia quindi avuto la possibilità di proporre ricorso o fare istanza per l’ottenimento della propria quota. In tal caso il proponente deve chiedere il sequestro conservativo delle somme già riscosse dal lavoratore. Una volta accertate dal tribunale le somme dovute, se il lavoratore non provvede a liquidare le somme volontariamente, sarà  messa in atto la procedura esecutiva sulle stesse.

Come si calcola l’indennità di fine mandato dell’agente di commercio?

Nel momento in cui si cessa il rapporto di agenzia, all’agente competono una serie di indennità, tra le quali quelle di cessazione del rapporto previste dall’articolo 1751 del Codice civile e dalla contrattazione collettiva. Le indennità sono dovute sia nel caso di rapporti di lavoro a tempo determinato che a tempo indeterminato.

Tre tipologie di indennità alla fine del rapporto di lavoro dell’agente di commercio

La determinazione di quanto dovuto alla fine del rapporto di lavoro si calcola su tre tipologie di indennità, così come previsto dalla contrattazione degli Accordi economici collettivi (Aec):

  • indennità, da versare all’Enasarco, di risoluzione del rapporto (Firr);
  • una indennità suppletiva di clientela, stabilita dalla contrattazione collettiva;
  • una componente dell’indennità suppletiva, ovvero l’indennità meritocratica.

Indennità di risoluzione del rapporto (Firr)

L’indennità di risoluzione del rapporto (Firr) è riconosciuta all’agente di commercio anche se quest’ultimo non ha concorso all’incremento del fatturato o della clientela. Il Firr, dunque, è dovuto in ogni caso ed è calcolato sulle provvigioni maturate e liquidate fino alla cessazione del rapporto. Gli accantonamenti si versano annualmente all’Enasarco e si calcolano mediante l’applicazione della percentuale del 3% al montante delle provvigioni liquidate all’agente nel corso del rapporto di lavoro.

Fine mandato agente di commercio: l’indennità suppletiva di clientela

L’indennità suppletiva di clientela deve essere corrisposta all’agente di commercio senza alcuna condizione, salvo nei casi in cui il rapporto di lavoro sia terminato per fatto imputabile all’agente stesso. In altre parole, l’indennità è dovuta se il contratto si scioglie su iniziativa dell’agenzia preponente. L’indennità è dovuta all’agente anche nei casi in cui quest’ultimo rassegni le dimissioni per:

  • invalidità permanente e totale;
  • infermità o malattie per le quali non è possibile, ragionevolmente, continuare il rapporto di lavoro;
  • maturazione della pensione di vecchiaia, della pensione anticipata, dell’anticipo pensionistico Ape Enasarco o Ape Inps;
  • circostanze attribuibili al preponente;
  • gli eredi, nel caso di decesso.

Come si calcola l’indennità suppletiva di clientela

L’indennità suppletiva di clientela si calcola con l’applicazione di tre percentuali sulle provvigioni maturate. Nel dettaglio:

  • il 3% sulle provvigioni maturate nei primi 3 anni di rapporto di lavoro;
  • l’aliquota sale al 3,5% per le provvigioni rientranti tra il quarto e il sesto anno di rapporto;
  • il 4% sulle provvigioni corrisposte negli anni successivi.

Indennità meritocratica

La terza formula di indennità di fine rapporto dell’agente riguarda quella meritocratica. È riconosciuta e pagata solo quando l’attività dell’agente abbia portato l’agenzia a un aumento di fatturato con la clientela esistente o con quella acquisita. Inoltre, l’indennità è dovuta anche qualcosa l’importo complessivo dell’indennità di risoluzione e indennità suppletiva sia inferiore all’importo massimo previsto dall’articolo 1751 del Codice civile. L’articolo, al terzo comma, prevede che “l’importo dell’indennità non può superare una cifra equivalente a un’indennità annua calcolata sulla base della media annuale delle retribuzioni riscosse dall’agente negli ultimi 5 anni e, nel caso in cui il contratto risale a meno di 5 anni, sulla media del periodo in questione”.

Indennità di fine rapporto agenti per il Codice civile

Diverse dalla contrattazione collettiva sono le indicazioni sull’indennità di fine rapporto degli agenti enunciate dall’articolo 1751 del Codice civile. L’indennità di legge è un obbligo per l’agenzia preponente per la cessazione del rapporto quando:

  • dall’operato dell’agente, il preponente ne abbia ricavato nuovi clienti o abbia sviluppato in maniera consistente gli affari con i clienti esistenti e l’agenzia ne ricavi ancora vantaggi derivanti dagli affari con questi clienti;
  • dall’equità del pagamento dell’indennità. In particolare, occorre tener conto dalle provvigioni che l’agente perde dallo sviluppo degli affari dell’agenzia preponente con i clienti.

Di conseguenza, affinché all’agente venga riconosciuto il diritto all’indennità di scioglimento del rapporto, sempre dovuta nel caso della Firr, dovranno essere presi in considerazione sia l’accresciuto portafoglio clienti per l’operato dell’agente, sia la perdita in capo all’agente stesso per le mancate provvigioni sui clienti acquisiti.

Indennità di fine rapporto agenti, quando non è dovuta

I casi nei quali l’indennità di fine rapporto dell’agenzia non è dovuto all’agente sono elencati dallo stesso articolo 1751 del Codice civile. In particolare, l’indennità non si paga se:

  • il contratto di agenzia è stato risolto su iniziativa dell’agenzia preponente per un’inadempienza imputabile all’agente. In tal caso, per la gravità dell’inadempienza, non è possibile proseguire il contratto, anche temporaneamente;
  • l’agente recede dal contratto, ad esclusione dei casi in cui il recesso non sia giustificato. Tali circostanze devono essere imputabili all’agenzia preponente. Non possono essere imputabili all’agente circostanze nelle quali non sia ragionevolmente possibile proseguire il contratto di agenzia, come malattia o infermità;
  • l’agente ceda a un terzo i diritti e gli obblighi derivanti dal contratto con l’agenzia in accordo con il proponente.

Misura indennità agenti fine rapporto per il Codice civile

La misura dell’indennità agli agenti per la fine del mandato, erogata nei casi enunciati dall’articolo 1751 del Codice civile, si determina nel limite massimo di un’indennità annua calcolata sulla base della media annuale delle retribuzioni riscosse dall’agente di commercio negli ultimi 5 anni e, nel caso in cui il contratto risale a meno di 5 anni, sulla media del periodo in questione. Il diritto all’indennità decade se non viene esercitato dall’agente nel limite temporale di un anno.

Carico fiscale in calo ma ancora sopra la media Ue

Nel 2016 le aziende italiane, come è stato confermato dal Total tax & contribuition rate, hanno visto diminuire il proprio carico fiscale e contributivo del 48%, e questo grazie agli sgravi contribuiti portati dalle assunzioni a tempo indeterminato.

Nonostante ciò, però, il Ttcr è ancora al di sopra della media mondiale, attestata al 40,5%, ed europea, al 39,6%.
Occorrerà lavorare ancora in questo senso, ma sembra che l’Italia sia sulla strada giusta. Anche se alcune criticità rimangono.

L’Italia ha comunque un Ttcr inferiore rispetto ad altre economie avanzate come Germania, Svezia, Belgio e Francia, ma questo posizionamento favorevole potrebbe migliorare ancora, se si mantenesse il trend del 2016.

Tra i punti cruciali c’è il trattamento di fine rapporto, che sia nel 2016 sia negli anni precedenti era compreso nel Ttcr.
Nel 2016, il Tfr ha pesato per 8,6 punti percentuali sul Ttcr italian e ad oggi la classificazione del Tfr è oggetto di discussione tra l’amministrazione finanziaria italiana e la Banca Mondiale.

Vera MORETTI

Agevolazioni per le Pmi che anticipano il Tfr

Sono previste nuove agevolazioni per le pmi che scelgono di effettuare l’anticipo del TFR ai dipendenti ricorrendo ad un finanziamento bancario, come da decreto 65/2015 del governo.
In questo caso, le agevolazioni corrispondono a ulteriori garanzie sul prestito e sconti sulle imposte di bollo.

Queste novità si trovano nell’articolo 7 del decreto e modificano alcuni punti della Legge di Stabilità 2015 che riguardano l’anticipo TFR.
Si tratta del meccanismo in base al quale i dipendenti assunti da almeno sei mesi possono chiedere l’anticipazione della quota maturanda di TFR dal 2015 al 2018, con una scelta che una volta effettuata è irrevocabile per l’intero triennio.

La legge prevede che le imprese fino a 50 dipendenti possano ricorrere a un finanziamento bancario, con condizioni agevolate che evitano l’impatto negativo sulla liquidità.

Alle garanzie già previste per questo finanziamento si aggiunge un ulteriore garanzia sul finanziamento, aggiuntiva rispetto a quella già prevista dal Testo Unico Bancario, che rende l’operazione meno rischiosa.
E’ anche previsto che tutte le operazioni connesse a questo finanziamento sull’anticipo TFR siano esenti da imposte di registro, di bollo e da ogni altra tassa indiretta, tributo o diritto. Quindi, per l’azienda il finanziamento non appesantisce in alcun modo i conti.

Vera MORETTI

Legge di Stabilità 2015: ecco le novità

Il 15 ottobre è stato varato, dal Consiglio dei Ministri, il testo della Legge di Stabilità 2015, che ora passerà in Parlamento per l’iter di approvazione, che dovrebbe arrivare a fine anno.
Vediamo nel dettaglio le novità salienti.

Per quanto riguarda lavoro e fisco:

  • taglio della componente lavoro dell’Irap per le imprese per 6,5 miliardi di euro, per spingere l’occupazione e soprattutto l’assunzione con contratto a tempo indeterminato;
  • contributi azzerati per i primi tre anni per le imprese che assumeranno con contratto a tempo indeterminato

Bonus 80 euro e sgravi famiglie:
stabilizzazione del bonus Irpef di 80 euro per i lavoratori dipendenti con reddito complessivo fino a 26.000 euro, questa volta sottoforma di sgravio contributivo e non più di un bonus, oltre a sgravi fiscali per le famiglie con figli fino al terzo anno di età.

Lotta all’evasione:

  • controlli mirati attraverso l’incrocio delle banche dati;
  • con riguardo all’IVA, estensione del reverse charge anche ad altri settori a rischio evasione, come servizi di pulizia e mensa.

Regime forfettario partite IVA:
introduzione di un regime forfettario per le partite IVA con ricavi da 15.000 a 40.000 euro.

Proroga detrazioni:
proroga per almeno un altro anno delle detrazioni per il risparmio energetico del 65% e per le ristrutturazioni edilizie del 50% (che altrimenti dal 2015 sarebbero scese rispettivamente al 50% e al 40%).

Anticipo TFR in busta paga:
possibilità per i lavoratori del settore privato, in via sperimentale per tre anni, di richiedere un anticipo del TFR in busta paga, con adesione su base volontaria e a costo zero per le imprese. Tale possibilità varrà anche per chi aderisce ai fondi di previdenza complementare.
Le banche anticiperanno alle imprese le risorse per pagare il TFR con la stessa remunerazione oggi garantita al TFR in azienda (1,5% più 0,75% del tasso d’inflazione).
In caso di mancata restituzione delle somme da parte dell’azienda , alla scadenza del finanziamento la banca potrà rivolgersi al fondo di garanzia Inps e fruire anche di una garanzia aggiuntiva dello Stato finanziata con 100 milioni di euro.

Stretta sulla tassazione delle rendite e dei fondi:

  • tassazione al 26% della componente finanziaria dei fondi di previdenza complementare, delle polizze vita incassate dall’erede e delle fondazioni bancarie;
  • aumento della tassazione dei fondi di previdenza complementare dall’11,5% attuale al 20%;
  • per le Casse di previdenza delle professioni la tassazione delle rendite finanziarie salirà dal 20% al 26%, come per qualsiasi altro investitore privato.

Ammortizzatori sociali:

  • Aspi rimodulata in base alla storia contributiva del lavoratore, incremento della sua durata massima (oggi pari a 12 mesi per gli under 55 e 18 mesi per gli over 55) e sua estensione anche ai co.co.co. Una volta scaduta l’Aspi, verrà introdotta una nuova prestazione per i lavoratori in disoccupazione con un ISEE particolarmente basso;
  • estensione dei contratti di solidarietà anche alle imprese che attualmente non possono usufruirne, come le pmi sotto i 15 dipendenti.

Spending review:
revisione della spesa pubblica con tagli per 15 miliardi di euro.

Pacchetto ricerca:

  • previsti 300 milioni di euro per il 2015 per la concessione di un credito d’imposta del 25% per gli incrementi di investimenti in ricerca. La misura del credito d’imposta è elevata al 50% nel caso di ricerca contrattualizzata con università o enti di ricerca. Il credito d’imposta spetterà fino ad un importo massimo annuale di 7,5 milioni di euro per beneficiario;
  • introduzione del “patent box”: i redditi derivanti dall’utilizzo di brevetti e marchi non concorreranno a formare il reddito complessivo nella misura del 50%.

La buona scuola:
stabilizzazione di 148.100 insegnanti precari ed eliminazione dei commissari esterni per la maturità.

Non rientrano nella Legge di Stabilità:

  • l’estensione del bonus Irpef di 80 euro anche a pensionati e partite IVA per mancanza di copertura finanziaria;
  • l’unificazione di IMU e TASI in una tassa unica comunale, con aliquote standard e detrazioni fisse sull’abitazione principale e aliquote più alte sugli altri immobili.

Vera MORETTI

Tfr in busta paga, c’è il trucco

Nonostante l’ottimismo sconfinato del premier Renzi, nell’operazione Tfr non tutti i conti tornano: per quanto riguarda l’anticipo del Trattamento di fine rapporto in busta paga non ci sarà alcuna riduzione fiscale per per la liquidazione mensile. Il “Tfr in busta paga”, infatti, potrà essere “liquidato mensilmente dal primo gennaio” e la richiesta, se fatta, sarà “irrevocabile fino al 2018”. L’importo sarà assoggettato a tassazione ordinaria, quindi non potrà godere della tassazione agevolata della rendita (all’11% dal 2011).

Come ricordato nei giorni scorsi, la scelta davanti alla quale si troverà il lavoratore sarà quindi tra avere maggiore liquidità nel presente, nonostante un aggravio fiscale notevole, continuare ad accantonare la liquidazione in azienda per avere un «tesoretto» a fine carriera o in caso di licenziamento, o versare ai fondi pensione con l’obiettivo di avere una pensione integrativa.

Come dimostrano i calcoli della Fondazione studi dei consulenti del lavoro, soltanto per i lavoratori con un reddito fino a 15.000 euro l’anno l’anticipo del Tfr in busta paga sarà conveniente visto il mantenimento, almeno, della tassazione ordinaria al 23%. Per i redditi superiori, invece, la richiesta di anticipo non sarà più conveniente perchè sarebbe tassata addirittura al 38% con oltre 300 euro di tasse in più l’anno. Per chi può contare su un reddito di 20.000 euro lordi l’anno, per esempio, il Tfr netto annuale sarebbe di 1.008 euro (84 euro al mese) a fronte dei 1.058 di Tfr netto annuale accantonato in azienda. Il lavorato, quindi, è chiamato ad una scelta non semplice “cercando di tenere in equilibrio libertà e responsabilità” come ha spiegato il presidente dell’Associazione bancaria Antonio Patuelli, che ne potrebbe condizionare seriamente il futuro.

Per quanto riguarda le imprese, invece, il meccanismo prevede che le banche che anticiperanno le risorse per pagare il Tfr in busta-paga avranno la stessa remunerazione che oggi viene garantita al Tfr in azienda (1,5% più lo 0,75% del tasso d’inflazione). Il provvedimento dovrebbe avere un arco temporale che terminerebbe nel 2018 (data che coincide con la scadenza delle Tltro, l’operazione di rifinanziamento prevista dalla Bce).

Jacopo MARCHESANO

Tfr in busta paga, sarà facoltativo

Nonostante le polemiche dei giorni scorsi, il decreto sul Tfr è entrato nel disegno di legge di Stabilità approvato ieri in Consiglio dei ministri. L’anticipo in busta paga del trattamento di fine rapporto sarà su base volontaria, possibile fino al 100% della somma maturata nell’anno, e riguarderà anche i lavoratori che hanno scelto di spostare il Tfr verso i fondi pensione. Ancora da limare gli ultimi dettagli: oltre ai lavoratori ai dipendenti pubblici, infatti, potrebbero rimanere fuori anche agricoltori e badanti.

Il ddl di Stabilità, approvato non senza tensioni all’interno della squadra di Governo, prevede interventi per 30 miliardi di euro, di cui 11,5 finanziati per ripianare il deficit, il resto in arrivo soprattutto da tagli di spesa. Per le imprese, grazie a Dio, diventerà più leggera l’Irap, l’Imposta sulle attività produttive, dalla quale sarà interamente deducibile il costo del lavoro per un valore di 6,5 miliardi, ma ad avvantaggiarsene ovviamente saranno quasi esclusivamente le grandi aziende mentre resteranno fuori quelle medio-piccole. Sempre dal lato delle imprese sul piatto c’è anche un miliardo di euro per azzerare i contributi sulle nuove assunzioni, quelle che saranno fatte con il contratto a tutele crescenti previsto dal Jobs act, che però, dopo la bagarre a Palazzo Madama la settimana scorsa, deve ancora passare l’esame della Camera.

“Diciotto. Non come l’articolo, ma diciotto miliardi di tasse in meno. E’ la più grande riduzione di tasse mai fatta da un governo in un anno – ha dichiarato Renzi in conferenza stampa dopo un Consiglio dei ministri non semplicissimo per la sua squadra di Governo – ed è normale farlo, perché si era arrivati a un livello pazzesco di tassazione. Non è una decisione né di destra, né di sinistra. E’ una dimostrazione di grande forza, solidità e determinazione dell’Italia”.

Jacopo MARCHESANO

Tfr in busta paga, quasi unanime l’opposizione

Nonostante il Tfr in busta paga sia una possibilità sempre più concreta, il Governo ci punta con forza e potrebbe inserirla già nella prossima legge di stabilità, si allarga il coro di coloro che contianuano ad opporsi al provvedimento: «Basta fare welfare con i soldi delle piccole e medie imprese – è stato il commento di Paolo Galassi, presidente di CONFAPI INDUSTRIA -, secondo i piccoli e medi imprenditori questo progetto rischia di ripercuotersi sull’occupazione. Infatti – a fronte di una paventata ripresa dei consumi, tutta da verificare – viene aggredita una fondamentale fonte finanziaria delle imprese , già sottoposte alla stretta creditizia delle banche. Inoltre così si andrà a impoverire la liquidazione da sempre considerata una polizza per il futuro per i lavoratori e un sostegno previdenziale».

«Abbiamo già subìto i danni provocati dalla finanza creativa – ha concluso Galassi – tanti imprenditori e famiglie sono riuscite a far fronte alla crisi proprio grazie ai risparmi accantonati e alla logica della formica. Pensiamo piuttosto a mettere in atto azioni che diano vita a una ripresa stabile attraverso una politica industriale che si tramuti in sostegno agli investimenti in ricerca e sviluppo, all’internazionalizzazione e all’accesso al credito. Bisogna concentrarsi sulla riduzione degli sprechi, dei privilegi e della burocrazia in modo da consentire una concreta diminuzione delle tasse andando a prelevare soldi laddove non servono a produrre benessere».

Il Tfr in busta paga riscuote però consensi molto limitati anche tra i comuni cittadini: secondo l’ultimo sondaggio del buon Pagnoncelli, solo il 26% dei nostri connazionali (e il 21% dei lavoratori dipendenti) apprezzerebbe l’idea di avere qualche soldo in più mensilmente ad integrazione del proprio salario. Più di due terzi, nonostante il grave periodo di crisi economica, gradirebbe maggiormente lasciare tutto immutato e poter godere della classica liquidazione al termine del rapporto lavorativo. Anche in questo caso ci sono differenze apprezzabili tra privati (il 28% lo vorrebbe in busta paga) e pubblici (19%) ma in entrambi i segmenti di lavoratori la contrarietà alla proposta è netta.

Jacopo MARCHESANO

Scenna: “Tfr in busta paga? Le solite boutade elettorali”

Siano a meno «boutade elettorali» le uscite del premier Renzi, condite sempre più spesso da slides o hashtag più o meno irriverenti, hanno sempre il pregio di far discutere distogliendo per un attimo le attenzioni dai problemi dell’economia reale. Una delle più urgenti necessità del Paese è il rilancio della domanda interna, aiutando le famiglie a far ripartire i consumi e proprio in questa direzione, comunque, andava la scelta di inserire il bonus di 80 euro nelle buste paga dei redditi medio bassi e dovrebbe andare anche la proposta, parecchio discussa in questi giorni, di utilizzare (chissà se qualcuno mai ci dirà se in tutto o in parte) il Tfr come integrazione dello stipendio anziché come risorsa da procrastinare al momento dell’uscita dall’azienda o, in alcuni casi, come strumento per la costruzione di un percorso di previdenza integrativa. Per approfondire l’argomento in discussione, oggi abbiamo incontrato Roberto Scenna, direttore dell’API Biella.

Dott. Scenna, il Governo sta considerando l’ipotesi di anticipare il Tfr (trattamento di fine rapporto) in busta paga al fine di stimolare l’economia. E’ la strada giusta?
Il Governo continua a proporre misure che vanno in controtendenza dello sviluppo e la crescita delle imprese e dell’economia, il primo provvedimento necessario per noi sarebbe il taglio drastico dell’IRAP e solo successivamente si potrebbe iniziare a pensare ad altro. Abbiamo iniziato, come ha recentemente dichiarato il presidente di API Torino Corrado Alberto, con il bonus di 80euro recuperato, di fatto, contagli alla spesa della Pubblica Amministrazione che ricadono sui fornitori e quindi sulle imprese. Adesso si vuole dare 100 euro inbusta paga traendole dal Tfr e tartassando quindi ulteriormente leaziende, molte delle quali subirebbero delle ulteriori pesanti crisi di liquidità

L’obiezione principale che viene fatta al provvedimento è che il Tfr costituisce una forma di finanziamento delle imprese, le quali, senza di esso, dovrebbero ricorrere a strumenti più costosi, con un peggioramento dei loro costi di finanziamento e una riduzione della loro liquidità.
Sicuramente in questa fase di criticità nei rapporti con le banche, dove la concessione di finanziamenti alle imprese avviene con il contagocce e dove oramai è quasi sempre richiesto il ricorso ai consorzi di garanzia, ci troviamo di fronte a tassi pressochè raddoppiati. Ed è innegabile che, togliendo il Tfr, dal patrimonio aziendale i rapporti con le banche saranno ancora più difficili. In più, non ci pare che l’idea di usare i soldi della Bce per questa operazione, creando ulteriore indebitamento, generi sviluppo e quindi ripresa economica.

Secondo quanto contenuto in un’analisi della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro quello che entrerebbe effettivamente nelle tasche dei lavoratori sarebbe una somma oscillante tra i 40 e gli 80 euro. Realmente il gioco può valere la candela?
Sembrano nuovamente delle boutade elettorali, occorre fare capire al Governo che non è possibile compiere le riforme con i soldi delle imprese e di chi lavora.

Jacopo MARCHESANO