Isee 2024, molti rischiano di perdere prestazioni sociali. Cosa succede?

I CAF denunciano problemi con la compilazione del modello Isee 2024, ecco cosa sta succedendo e perché molti potrebbero non avere diritto a prestazioni sociali.

Isee 2024, l’Inps non aggiorna il sistema alle novità normative

La Consulta nazionale dei CAF ha presentato formale istanza al ministero del Lavoro e all’Inps al fine di chiedere delucidazioni in merito alla compilazione del modello Isee 2024. La legge di Bilancio 2024 ha infatti previsto che nel limite di 50.000 euro, all’interno dell’Isee non devono essere indicati i valori corrispondenti di Titoli di Stato come Btp e Buoni Fruttiferi postali. L’obiettivo è incentivare questa tipologia di investimenti che consente di recuperare liquidità, cosa essenziale in questo momento.

Il problema sorge perché l’Inps non ha aggiornato i programmi per il calcolo Isee, questo implica che se anche i Caf non inseriscono nella compilazione i Titoli di Stato detenuti, gli stessi sono segnalati dall’Inps e di conseguenza l’Isee 2024 ancora comprende tali valori.

Molti cittadini però proprio in questa prima parte dell’anno sono alle prese con la presentazione del modello aggiornato infatti questo incide sulla determinazione dell’assegno unico e sul diritto a percepire l’assegno di inclusione.

I cittadini potrebbero quindi percepire importi minori rispetto a quelli a cui avrebbero diritto a causa del mancato adeguamento dei sistemi di calcolo dell’Isee rispetto alla normativa appena entrata in vigore.

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I Caf devono ancora indicare i titoli di Stato nell’Isee 2024?

La Consulta dei Caf nel frattempo ha dato a questi indicazione di inserire ancora i Titoli di Stato in modo da evitare errori e segnalazioni. Ha giustamente chiesto all’Inps anche chiarimenti circa un eventuale aggiornamento automatico dei modelli Isee 2024 già presentati in modo che i cittadini che in questi giorni hanno avuto esigenza di presentare il modello non debbano nuovamente ripresentarlo appena il sistema Inps sarà adeguato alle norme. Resta poi anche la necessità di valutare se chi ha ottenuto prestazioni inferiori rispetto a quelle a cui avrebbe diritto, debba ottenere dei rimborsi.

Ovviamente non mancano polemiche dettate dalla opportunità di inserire questa misura nella legge di Bilancio visto che potrebbe creare disuguaglianze tra chi ha dei risparmi investiti in Titoli di Stato che rischia di ricevere maggiori prestazioni rispetto a chi invece non ha potuto accumulare risparmi.

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Isee 2024, ecco cosa non deve essere più dichiarato

Come cambia l’Isee nel 2024? Novità importante per i risparmiatori che possono accedere a nuove prestazioni.

L’Isee è l’Indicatore della situazione economica equivalente e tiene conto delle risorse economiche/patrimoniali del nucleo familiare in base anche alla sua composizione. Da gennaio 2024 ci sarà una vera rivoluzione perché, in base all’articolo 39 della legge di Bilancio, dal suo calcolo fuoriesce un’importante voce cioè i Titoli di Stato, molto apprezzati dai risparmiatori italiani.

Perché è così importante il nuovo calcolo Isee 2024?

L’Isee è il principale punto di riferimento per le famiglie che vogliono ottenere prestazioni sociali legate al reddito. L’Isee incide sul calcolo delle tasse universitarie, sulla possibilità di avvalersi di numerosi benefici fiscali, ad esempio il bonus occhiali da vista, ma non solo. In base all’Isee è stata emessa la Carta Dedicata a Te  e sulla stessa saranno caricati nuovi bonus, come il  bonus carburante  e ulteriori somme stanziate per la spesa alimentare.

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Isee 2024, esclusi dal calcolo i Titoli di Stato, perché?

Il 2023 ha visto diverse emissioni di BTP valore, Titolo di Stato destinato soprattutto ai piccoli risparmiatori con  rendimento legato all’inflazione. L’emissione ha avuto un discreto successo, attraverso queste operazioni lo Stato raccoglie liquidità dagli investitori.

Per il 2024 è prevista l’emissione ulteriore di BTP per un valore di 480 miliardi di euro e in un certo senso il Governo vuole attirare investitori. In questa ottica si colloca l’articolo 39 della bozza di legge di Bilancio 2024 presentata al Parlamento che esclude dal calcolo dell’Isee i Titoli di Stato indicati nell’articolo 3 del Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di debito pubblico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 dicembre 2003, n. 398.

Quanto incide la misura?

Gli italiani sono un popolo di risparmiatori e soprattutto amano i Titoli di Stato. Nel 2023 con l’emissione di BTP Valore sono stati acquistati Titoli di Stato per un valore complessivo di 35,2 miliardi di euro, 18 miliardi raccolti nella prima emissione e 17,2 miliardi nella seconda emissione.

A questi si devono aggiungere i Titoli di Stato acquistati precedentemente. Un vero tesoretto che esce dalle dichiarazioni Isee degli italiani e porta a una notevole riduzione dell’Indicatore della situazione economica equivalente con accesso alle prestazioni sociali per molte famiglie che prima rischiavano di essere escluse.
Ricordiamo inoltre che tra i Titoli di Stato non rientrano solo i BTP, ma anche altri, ad esempio:

1) Bot, ( Buoni ordinari dello Stato) titoli a breve termine, ossia con durata non superiore a un anno;
2) Btp, (Buoni del tesoro poliennali) caratterizzati da cedole fisse semestrali;
3) CCTeu, Certificati di Credito del Tesoro Indicizzati all’euribor con cedola variabile;
4) Ctz, Certificati del Tesoro Zero Coupon titoli a 24 mesi privi di cedola.

Isee 2024, il nuovo calcolo è iniquo e penalizza i poveri

Naturalmente non sono mancate critiche da parte dell’opposizione a questa scelta, infatti eliminare i Titoli di Stato dal calcolo dell’Isee 2024 vuol dire favorire l’accesso alle prestazioni sociali da parte di famiglie che hanno comunque dei risparmi investiti e quindi che potenzialmente hanno risorse rispetto a famiglie che invece non riescono a risparmiare. Proprio per questo il nuovo calcolo dell’Isee 2024 è da considerarsi iniquo.

Scudo anti-spread: cos’è e a cosa serve la misura annunciata dalla BCE?

Negli ultimi giorni sentiamo spesso parlare di scudo anti-spread, misura annunciata dalla BCE per proteggere i Paesi maggiormente esposti al rischio di uno spread elevato. In cosa consiste questo piano anti-spread?

Perché serve uno scudo anti-spread?

Sappiamo che lo spread è il differenziale tra i titoli di credito italiani a 10 anni quello dei titoli tedeschi. Quando i titoli di Stato di un Paese, in questo caso l’Italia, hanno un elevato rischio di insolvenza a causa della situazione politica ed economica, lo spread tende a salire. Di fatto in questa situazione i Titoli diventano poco appetibili. Gli stessi Titoli sono uno strumento utile agli investimenti e alla crescita economica, diventa quindi una sorta di cane che si morde la coda.

Negli anni passati un elevato spread dovuto alla situazione politica instabile ha richiesto molti sacrifici all’Italia, ecco perché quando gli italiani avvertono che lo spread sta per salire, o potrebbe salire, l’ansia sale. D’altronde non è mai stato del tutto chiaro se il livello dello spread in quegli anni saliva per la situazione politica o se ci sia stato un aumento “speculativo” e gestito da fonti esterne. Resta il fatto che dopo anni di relativa tranquillità, sembra di rivivere un vecchio incubo. Ricordiamo che quando aumenta lo spread, aumentano anche i tassi di interesse che l’Italia paga sul debito pubblico perché deve offrire interessi alti affinché qualcuno ritenga i titoli di Stato italiani “interessanti”.

Perché c’è il rischio di un nuovo aumento dello spread?

Ora si aggira di nuovo lo spettro dello spread che sale. Il motivo ufficiale è l’annuncio dell’aumento del costo del denaro da parte della BCE. A cui si aggiunge il termine del quantitative easing, cioè lo strumento attraverso il quale la BCE comprava il debito dei Paesi in difficoltà.

BCE: arriva l’annunciato aumento del tasso di interesse. Spread vola

C’è chi sostiene, come il Governatore della Banca d’Italia Visco, che uno spread sopra i 200 punti sia ingiustificato. Dovrebbe restare sotto i 150 punti. Di fatto sono in molti a temere che ci possa essere una forte ondata di aumenti. In realtà il rischio di aumento dello spread non coinvolge solo l’Italia, ma anche altri Paesi e in particolare Spagna, Grecia e Portogallo.

Per cercare di evitare questo rischio, la BCE ha annunciato l’intenzione di creare uno scudo antispread. Fin da ora è bene dire che non si conoscono i dettagli di questo strumento. Un piano antispread era stato già annunciato nel 2012 ma di fatto non fu necessario usarlo. Questo prevedeva in favore dei Paesi virtuosi, cioè impegnati con piani di pareggio di bilancio, l’uso di un fondo salva-Stati da usare nel caso in cui quegli stessi Paesi fossero oggetto di attacchi speculativi a causa dell’elevato debito pubblico.

Cosa prevede lo scudo anti-spread della BCE?

Nel comunicato reso noto nei giorni passati, la BCE ha parlato di “flessibilità nel reinvestimento dei rimborsi in scadenza nel portafoglio Pepp”, ma sono in molti ad avere dubbi sull’efficacia di questo strumento. Lo stesso comunicato però annuncia l’esistenza di un mandato ai comitati dell’Eurosistema insieme ai servizi della Bce di accelerare “completamento della progettazione di un nuovo strumento anti-frammentazione da portare all’esame del Consiglio direttivo”.

La maggior parte degli analisti ritiene che nel concreto il piano anti-spread sarà uno strumento che consente di acquistare debito pubblico dei Paesi in maggiori difficoltà. Lagarde ha annunciato che funzionarà in favore dei Paesi che avranno uno spread che cresce molto e in poco tempo. Ciò in deroga al principio generale secondo il quale i Titoli sono acquistati da Francoforte avendo come punto di riferimento le dimensioni di un’economia.

C’è anche chi ritiene che nella situazione attuale, sebbene l’Italia abbia un rating basso, non vi è un reale rischio di aumento del debito pubblico e questo perché l’inflazione porta le entrate dello Stato ad aumentare (tassazione sui consumi) e questo dovrebbe bastare a mantenere un certo equilibrio nei conti italiani. Naturalmente non mancano teorie inverse e che suggeriscono la necessità di avere sotto controllo l’inflazione e indurre una riduzione dei prezzi.

Investimenti finanziari e tassa sul capital gain: aliquote e curiosità

Sono sempre più numerose le persone che fanno degli investimenti finanziari e questo perché gli italiani sono un popolo di risparmiatori e perché nel tempo il trading online ha dato la possibilità a persone che prima avevano difficoltà ad accedere ai mercati finanziari di investire in azioni, obbligazioni e materie prime e ottenere anche dei buoni guadagni. Chi investe nei mercati finanziari deve però sapere che sui guadagni è necessario pagare delle tasse, si parla in questo caso di tassa sul capital gain, ecco come funziona e quanto si paga.

La tassa sul capital gain

La tassa sul capital gain è anche conosciuta come tassa sulle plusvalenze finanziarie, a esse si applica un’aliquota al 26% come stabilito dal Decreto Legge n. 66 del 24/04/2014 che ha portato l’aliquota dal 20% al 26%.

Come si paga la tassa sul capital gain? Abbiamo visto in precedenza che la maggior parte delle entrate sono tassate, ad esempio in caso di vincite alle lotterie nazionali, viene effettuata la ritenuta alla fonte e di conseguenza non sarà necessario dichiarare ulteriormente tali somme. Non è invece così per la tassa sulle plusvalenze finanziarie, infatti, sebbene spesso si associno tali guadagni a una vincita, non è questo il trattamento fiscale che viene riservato. Per pagare la tassa sul capital gain al momento della dichiarazione dei redditi, qualunque sia il modello adottato, è necessario compilare il quadro RT dedicato alle plusvalenze di natura finanziaria. Il quadro RT contiene diverse voci:

  • RT21: somme ricevute come corrispettivo degli investimenti (quindi la somma tra quanto investito e i guadagni)
  • RT22: somme investite
  • RT23: guadagni generati (differenza RT21 ed RT22)
  • RT24, 25 e 26: minusvalenze anche degli anni precedenti
  • RT27: imposta dovuta

Le minusvalenze degli anni precedenti, naturalmente non generano imposte, ma possono essere utilizzate come credito d’imposta e di conseguenza possono portare a una diminuzione delle imposte da pagare. Le minusvalenze non si possono recuperare nel caso in cui siano state generate da ETF o da fondi comuni di investimento.

Per indicare la compensazione deve essere utilizzato il riquadro RT28

Il riquadro RT29 contiene invece la differenza tra il riquadro RT27e RT28.

Naturalmente per un corretto calcolo dell’imposta sul capital gain è bene avvalersi della consulenza di un esperto, solo in questo modo si può evitare di pagare più del dovuto o meno del dovuto.

Ulteriori informazioni sulla tassa sul capital gain

Il capital gain sui Titoli di Stato si calcola in modo diverso, o meglio si applica un’aliquota molto più bassa, al 12,50% questa si applica a BOT, BTP, CCT e CTZ. La tassazione agevolata si applica anche a titoli emessi da enti pubblici, ad esempio regioni, province e comuni e alle obbligazioni emesse da organismi internazionali di Paesi rientranti nella white list, cioè nell’elenco dei Paesi con i quali c’è lo scambio di informazioni.

Se vuoi conoscere quali sono i Paesi appartenenti alla white list e quelli della black list, leggi l’articolo: Fiscalità privilegiata: i Paesi della Black list e White list

Nel caso in cui gli investimenti che hanno generato guadagni sono in fondi che contengono anche Titoli di Stato, la tassazione si applica al 26%, ma con riduzione dell’importo al 48,8%.

Naturalmente una volta calcolati gli importi dovuti, sommati quelli per i reddito ordinari, se dovuti, sarà necessario effettuare il versamento.

Le alternative agli investimenti alternativi

 

La terra ha un valore, in quanto bene scarso, ed il suo valore è tanto più rilevante quanto lo sono le potenzialità di sfruttamento che offre, in relazione alla richiesta di mercato attuale o prospettica. Maggiore è la capacità di comprendere l’evoluzione della richiesta, maggiore è la possibilità di ottenere plusvalore dal terreno acquistato.

Un terreno edificabile, oggi, può avere scarsa appetibilità per il futuro, considerando l’inflazione di offerta sul mercato immobiliare e la scarsezza di domanda. Con le dovute eccezioni, perché in zone ad elevato potenziale turistico o di sviluppo economico, le prospettive di incremento, anche a breve, del valore, sono molto incoraggianti.

I terreni, in generale, contraddicono un principio rilevante per gli investimenti alternativi, la loro facilità di trasporto; un appezzamento, quindi, subisce tutte le eventuali ripercussioni di problemi sociali e  politici che dovessero insorgere nel corso del tempo. Anche perché, altra caratteristica che contraddice i principi, il terreno ha un orizzonte temporale di lungo o lunghissimo periodo. Inoltre, gravano come  spade di Damocle, gli incrementi di tassazione o la possibilità di confisca, per ragioni pubbliche o per scelte politiche, dei possedimenti in questione.

Nonostante queste contraddizioni, ritengo utile diversificare il patrimonio anche con l’acquisto di terreni, sempre che ci si faccia aiutare, nella scelta, da consulenti che debbano vendervi nulla.

Considero un valido investimento alternativo sopratutto i terreni agricoli, per diverse ragioni.

Prima di tutto, un terreno agricolo può divenire terreno edificabile, quindi aumentandone il valore in maniera esponenziale. Non credo sia una condizione che si verificherà facilmente nei prossimi anni, considerata la crisi immobiliare attuale, la enorme quantità di offerta di immobili, la contrazione di domanda e di popolazione. Con le debite eccezioni di luoghi ad elevato potere di espansione, in grado di attirare investitori stranieri.

Ma nel lungo periodo, potrebbe accadere che torni una certa “fame di immobili nazionali” e di conseguenza di terreni su cui edificare.

In secondo luogo, i diritti di sfruttamento del sottosuolo, che normalmente rimane di proprietà dello Stato, possono far lievitare il valore nel caso di scoperte di giacimenti di materie prime utili all’industria.

In terzo luogo, è plausibile che ci sarà, nei prossimi anni, un ritorno alla coltivazione della terra; se pensate alle molte persone senza un lavoro e a quelle che potrebbe perderlo, l’unica soluzione sarà quella di coltivare, in proprio o conto terzi, prodotti necessari al mantenimento della popolazione.

Ancora, sta aumentando il consumo di legno pregiato da costruzione, sia per ragioni ecologiche che di costo, ed è plausibile che la tendenza continui nei prossimi 20 anni. Potrebbe essere un ottimo investimento possedere un terreno su cui è possibile coltivare teak, ad esempio.

Un problema può essere la reperibilità di terreni agricoli interessanti e non troppo estesi, perché esistono diritti di prelazione per i coltivatori  e per i confinanti, addirittura è difficile sapere che un determinato terreno è in vendita. Ma non è impossibile, basta riferirsi a professionisti seri ed affidabili.

 

Dott. Marco Degiorgis – Life Planner / Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

 

Le alternative agli investimenti alternativi

 

Come già detto in precedenti occasioni, è importante assecondare gli interessi che ognuno di noi ha. Quindi, se le auto e i veicoli d’epoca sono la vostra passione, possono rappresentare un valido investimento alternativo.
Alcuni problemi sono comuni agli oggetti di arte e antiquariato; lo stoccaggio può richiedere spazi molto ampi, sopratutto se si possiedono molti veicoli, e gli spazi devono essere adeguatamente protetti da “incursioni” di potenziali ladri o vandali.
Ci sono anche costi da sostenere, collegati alla circolazione dei mezzi in questione (assicurazione e bollo, anche se ridotti rispetto alle auto recenti), alla protezione (assicurazione, impianti di allarme, sorveglianza), alla manutenzione o al restauro. Questi costi possono incidere anche pesantemente sul bilancio famigliare, quindi sono da valutare a priori e con attenzione.
In generale, come per altri beni rifugio già visti in precedenza, più un veicolo è raro, più ne aumenta l’appetibilità presso i collezionisti, e quindi il suo prezzo è stabilito da chi lo possiede, non dal mercato; questo perché non esiste un mercato se siete il proprietario dell’unica Bugatti rimasta al Mondo, ma esistono dei collezionisti interessati e disposti a spendere cifre folli per averla. O disposti a compiere atti folli per sottrarvela.
Nel mondo del collezionismo, entrano in gioco anche altri fattori. Ad esempio, un’auto che è stata guidata da un personaggio famoso, assume un valore maggiore rispetto alle altre, valore direttamente collegato alla notorietà del personaggio. Oppure una moto prodotta in un periodo limitato e con un motore ma più utilizzato. Cose così.
Queste considerazioni valgono un pò per tutti gli oggetti da collezione, che siano francobolli o fucili ad avancarica.
C’è però la possibilità di commisurare l’acquisto di oggetti da collezionismo in base alle proprie finanze. E’ un discorso già affrontato in precedenza: se il vostro patrimonio è di 1 milione di euro, e vi piacerebbe comprarvi un’auto d’epoca che vale 250 mila euro, forse non fa per voi, perché significherebbe investire il 25% del patrimonio in un solo bene.
Ma magari è possibile acquistare una moto altrettanto rara che però vale “solo” 50 mila euro, cioè il 5% del patrimonio complessivo.
Se ampliamo il discorso ad altri oggetti da collezionismo, la scelta si allarga molto e ci sono collezioni, rare ed interessanti, adatte a tutte le tasche. E diversificabili, cioè ne potete comprare di diverse tipologie.
MI vengono in mente i francobolli, le armi d’epoca, i dischi, i bastoni da passeggio, e ci saranno mille altre cose che si possono prendere in considerazione. Attenzione, però: sto parlando di oggetti da collezione veri, cioè rari o unici, con un valore certificato e riconosciuto. Quindi è da escludere tutto il ciarpame che potete trovare nelle varie fiere e mercatini dell’antiquariato. Perché? Devono essere beni che proteggono il patrimonio, quindi vendibili e il cui valore, possibilmente, cresca nel tempo.
In ogni caso, sarà bene ponderare adeguatamente le scelte di investimento, con l’aiuto di un planner patrimoniale esperto ed indipendente, che non abbia nulla da vendervi.

dott. Marco Degiorgis – Life Planner / Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

Le alternative agli investimenti alternativi

Gli oggetti d’arte e di antiquariato sono una tra le tante possibili forme di investimento alternativo. Hanno il vantaggio di abbellire le case di chi li possiede, oltre a migliorare la qualità della vita e a coltivare il senso estetico del proprietario, cose che non guastano mai. Gli svantaggi spesso consistono nelle grandi dimensioni o il peso degli oggetti, che li rendono difficilmente trasportabili ed occultabili: vi ricordate cosa avevo detto a proposito dell’oro? In caso di necessità, l’oro è rapidamente e facilmente trasportabile ovunque. Ma un lingotto d’oro non trasmette nessun sentimento, a meno che non siate come Paperon de Paperoni che trascorre le giornate a nuotare tra le sue monete d’oro, rimirandole e compiacendosi. In sostanza, credo che vada assecondata anche la natura di ognuno di noi, coltivando le inclinazioni e le passioni. Quindi, se ci piacciono gli oggetti d’arte o d’antiquariato, bene, perché possono essere una buona forma di diversificazione degli investimenti. Ci sarebbero da definire alcune cose: arte e antiquariato sono termini generici, poiché ci sono molte declinazioni diverse per la stessa parola.

La sostanziale differenza sta nel tempo trascorso; più un oggetto è antico, più è facile che abbia un mercato di riferimento e un prezzo. Inoltre si può valutare l’evoluzione del suo valore nel tempo; quanto si è incrementato, se ha subito forti oscillazioni e diminuzioni di prezzo, qual è la richiesta nei diversi periodi storici…

Viceversa, un oggetto recente mette di fronte ad un’incognita: il prezzo che pago oggi, si manterrà nel tempo? Incrementerà? La produzione artistica è soggetta anche a mode e a quantitativi prodotti: ad esempio, le opere di un artista molto prolifico hanno un valore inferiore alle opere di un artista, dello stesso periodo e corrente, più “riservato” e restio a produrre in gran quantità. Però questa è una considerazione che si può fare solo ex post, dato che non è possibile sapere cosa accadrà.

E’ un po’ lo stesso discorso che può valere per l’acquisto di un titolo in borsa: nonostante i valori fondamentali ottimi, non siamo in grado di sapere come muterà il suo prezzo nel tempo. Quindi acquistare opere di un artista contemporaneo rappresenta un’incognita, che può regalare grandi soddisfazioni ma anche deludere. Per questo dicevo all’inizio che bisogna anche appagare il proprio senso estetico: se si acquista un’opera che piace, il suo valore estetico non avrà prezzo.

Basta essere consapevoli che l’arte moderna non sempre ripaga lo sforzo economico sostenuto per acquistarla: è una scommessa, sostenuta dal piacere di possedere qualcosa che appaga la vista e rasserena l’animo.

Discorso un pò diverso è quello degli oggetti di modernariato: alcuni sono diventati pezzi da collezione, e quindi assumono un valore riconosciuto e scambiabile, altri richiamano ricordi d’infanzia o di gioventù, ma non hanno nessun valore di mercato per i collezionisti. Occhio attento, quindi, a cosa si compra.

Per l’antiquariato, invece, esiste un mercato, locale o internazionale, a seconda della rarità e dell’appetibilità del pezzo. Anche nel mondo antiquario esistono le “sole” ovviamente, più che altro copie o falsi, a cui bisogna prestare la massima attenzione. I problemi legati  agli oggetti di antiquariato come beni di investimento sono principalmente due: le dimensioni e il prezzo. Pensiamo ad un comò del 1700, ad un quadro di due metri per tre, ad una statua  neoclassica in marmo di Carrara: sono grandi, pesanti, difficili da trasportare. Il prezzo, inoltre, di questi oggetti può essere molto elevato, decine o centinaia di migliaia di euro. Quindi in un ambito di pianificazione complessiva, è bene rivolgersi sempre ad un patrimonialista, che sia in grado di distribuire il patrimonio in maniera adeguata alle vostre reali esigenze di vita. Evitare di investire troppo in un unico bene è una regola base della corretta pianificazione e diversificazione.

In linea generale, sarebbe bene acquistare beni che si possano quantomeno riporre in un caveau di sicurezza: infatti un grosso problema degli oggetti d’arte e di antiquariato è il rischio di furti, da cui ci si può tutelare con assicurazioni, impianti di allarme, caveau bancari. Le precauzioni non sono mai troppe, in funzione anche del valore e della rarità dei beni posseduti. Per le assicurazioni, va considerato un aggiornamento costante dei valori assicurati e verificato se la compagnia risarcisce per intero il valore o in maniera proporzionale al danno complessivo subito. Per gli impianti di allarmi e altri sistemi di dissuasione, è necessario mantenere i sistemi funzionanti e tecnologicamente aggiornati.

Insomma, comunque vogliate proteggere i vostri oggetti preziosi, c’è un costo da sostenere, negli anni, che va valutato in detrazione rispetto al prezzo di mercato del bene, poiché il costo per la sua protezione ne riduce il valore reale nel momento in cui volessimo realizzare (vendere).

Nel mondo dell’arte e dell’antiquariato vige poi una regola: un oggetto è tanto più prezioso quanto è raro e ben conservato. La rarità può essere in funzione sia delle quantità prodotte, sia della sua reperibilità effettiva. Più un oggetto è antico e fragile, meno sopravvive al tempo, ai traslochi, agli imprevisti che ne minacciano l’integrità. Pensiamo ad antico vaso, oggetto delicato e fragile; è un miracolo se ci imbattiamo in un pezzo con 100 anni di età, se ha 200 anni pensiamo ad un miraggio e così via.

Più un oggetto è raro, non  solo più è alto il suo valore, anzi in alcuni casi il valore viene determinato a discrezione assoluta del venditore, ma aumenta in maniera esponenziale il suo interesse collezionistico. Questa è la condizione ideale per un investimento, in quanto sarà abbastanza semplice rivenderlo e il ricavo ottenuto sarà elevato.

Ma poche sono le persone che hanno disponibilità economiche tali da potersi permettere oggetti così rari da essere quasi “mitici” e oggetto del desiderio dei collezionisti di tutto il mondo. O meglio, poche persone hanno un patrimonio così elevato che permetta loro di ricomprendere in una attenta diversificazione e pianificazione oggetti di valore così elevato. Se un dipinto antico e raro vale 10 milioni di euro, quanto dovrà essere grande la ricchezza del suo proprietario perché questo oggetto sia equamente distribuito in un complesso di investimenti? Solo chi non deve vendervi il dipinto e conosce la situazione patrimoniale presente e futura del cliente, come un planner patrimoniale indipendente, sarà in grado di valutare l’adeguatezza dell’investimento rapportata al complesso del patrimonio, alle necessità della famiglia, alla realizzazione delle aspirazioni dei figli o dei nipoti.

 

 

Dott. Marco Degiorgis – Life Planner / Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

 

Le alternative agli investimenti alternativi

Le pietre preziose fanno parte dei gioielli, ma possono anche avere una vita autonoma, nel senso che possono essere commercializzati come oggetti a sè, senza per forza essere  incastonati in un gioiello. Sono un po’ l’equivalente del lingotto d’oro, ma solo un po’.

Per pietre preziose si intendono diamanti, rubini, smeraldi, zaffiri e altri, meno conosciuti. I diamanti hanno una storia a parte, poiché sono gli unici ad avere un listino ufficiale.

I diamanti oltre i 10 carati sono fuori listino, nel senso che il prezzo è stabilito di volta in volta, tra acquirente e venditore. Che significa anche avere completo arbitrio sul prezzo, che diventa un accordo tra le due parti. Questo discorso vale in generale quando si possiede un bene unico o molto raro e che contemporaneamente sia molto ambito: infatti si si ha un bene raro ma che non vuole nessuno…non varrà nulla. Che si tratti di un immobile, di un gioiello, di un diamante o di una macchina d’epoca, più è raro e più ha compratori, più il suo valore sarà inestimabile.

Il problema, per tornare ai diamanti, è che una singola pietra da oltre 10 carati vale oltre un milione di euro, quindi, per suddividere equamente le “uova del paniere”, sarà necessario un patrimonio molto elevato. Altrimenti si rischia di investire troppo in un solo “uovo”, che sappiamo potrebbe risultare molto rischioso. Se invece ci dobbiamo accontentare di diamanti di peso inferiore ai 10 carati, esiste un listino ufficiale, il Rapaport, che classifica i diamanti in base a peso, colore, purezza e taglio. Negli ultimi anni sono anche sorti rilevanti scrupoli circa la provenienza delle pietre preziose, poichè spesso viene sfruttata manodopera infantile per l’estrazione o per le condizioni disumane in cui versano i minatori. La maggior parte dei diamanti proviene da zone fortemente sotto sviluppate e quindi la certificazione sull’eticità delle miniere è divenuta indispensabile.

Nonostante la quotazione ufficiale, va detto che il mercato mondiale dei diamanti è in mano a sole 6 aziende, di cui il 40% alla De Beers, e che ha subito incrementi costanti di prezzo dal 1993! Quindi mi viene da pensare che sia un mercato artificiale e che la quotazione è sostenuta dai produttori, più che dall’incontro tra domanda e offerta.

Questo rende abbastanza complicato capire quale sia il vero valore dei diamanti.

Discorso simile vale per le altre pietre preziose, rubini, smeraldi zaffiri per citare i più famosi, con l’aggravante che non esiste un listino ufficiale e che il colore è fondamentale per la valutazione, il che complica parecchio le cose quando si deve stimare la pietra. Inoltre le pietre di colore subiscono gli andamenti legati alle mode, per cui in alcuni periodi valgono di più e in altri meno. Il diamante, se non altro, ha maggiore costanza.

Altra differenza consiste nella perizia certificata e “imbustata” del diamante, cioè un ente riconosciuto, come la GIA, esegue la perizia e rilascia un certificato, e una parte del certificato è incluso in una bustina trasparente insieme al diamante, in modo da evitare equivoci. Per le altre pietre preziose non esiste questa forma di certificazione.

Quindi, se avete un patrimonio di 10 milioni di euro, forse un diamante da 10 carati fa al caso vostro. In tutti gli altri casi, sarà bene ponderare adeguatamente le scelte di investimento, con l’aiuto di un planner patrimoniale esperto ed indipendente, che non abbia nulla da vendervi.

dott. Marco Degiorgis – Life Planner / Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

 

 

 

Le alternative agli investimenti alternativi: i gioielli

Qualcuno potrebbe sostenere che gioielli e oro sono in fondo la stessa cosa e quindi che in questo spazio l’argomento è già stato trattato, ma non è così. Il valore di un gioiello infatti sta nel materiale con cui è realizzato, che sia oro o argento o altro metallo, ma anche per esempio nelle pietre preziose incastonate in esso e nella stessa attività di realizzazione che comporta. Pertanto investire in oro o in gioielli presenta rischi e opportunità diversi.

A incidere sul valore di un gioiello sono dunque diversi fattori. Per quanto riguarda la lavorazione si deve distinguere tra lavorazioni a mano, semiindustriali e industriali, alle quali corrisponde spesso un diverso valore di mercato.

L’artigianalità in particolare porta con sé spesso il valore di esclusività, specie se il pezzo è unico. Il prezzo pagato all’acquisto del gioiello incorpora anche le ore necessarie alla sua costruzione, che incidono sensibilmente sul costo finale complessivo, talvolta più del valore delle materie prime. E’ chiaro che se questo costo non viene riconosciuto nel momento della rivendita, perdiamo quella parte di denaro relativa alla manodopera. Senza contare l’IVA, che si paga all’acquisto e non viene rimborsata alla vendita. L’oro puro, quello in lingotti o monete, invece è esente IVA.

Ricordo anche che i gioielli d’oro contengono solo il 75% di questo prezioso metallo, mentre per il 25% sono fatti di altri metalli, come argento e rame. Quindi pur contando di rivendere i gioielli a peso d’oro, non si realizza mai in base al peso totale dell’oggetto acquistato.

Per quanto riguarda le pietre preziose, è consigliabile chiedere la perizia di un gemmologo, per verificarne le caratteristiche e di conseguenza il valore. E anche la perizia comporta un esborso.

Per valutare quanto e se i gioielli possono essere un bene nel quale investire per salvare i nostri patrimoni si devono dunque considerare tutte queste variabili al fine di fissare il vero valore di rivendita, in caso di bisogno.

Diverso è il caso di gioielli pezzi unici, magari firmati da artigiani famosi o realizzati per personaggi o ricorrenze importanti, o gioielli antichi, che assumono un valore anche storico e collezionistico. In questo scenario, il gioiello può avere un costo perfino superiore a quanto pagato in origine, in relazione alla sua rarità e al valore estetico che il mercato gli riconosce.

Si presenta però un po’ lo stesso problema degli immobili: un gioiello unico, raro, di pregio costerà molto e quindi poche persone potranno utilizzarlo come efficace protezione e diversificazione (fattori che, ricordo, devono andare a braccetto). Se l’oggetto vale la metà del patrimonio complessivo, ad esempio, sbilancia troppo  e rischia di causare più danni che benefici.

dott. Marco Degiorgis – Life Planner / Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

Le alternative agli investimenti alternativi

Diversificare ‘cum grano salis’, questo era l’argomento dell’ultimo contributo in tema di investimenti a tutela del patrimonio, ovvero quanto è corretto diversificare i propri risparmi e come.

Qui vorrei parlarvi di un investimento alternativo molto caro agli italiani, l’immobile da reddito, altra cosa dall’immobile in cui si abita.
Per la verità, noi siamo un popolo che crede indispensabile possedere la casa di residenza e vi investiamo spesso una parte consistente del nostro patrimonio. Al contrario, in molti altri Paesi, l’immobile è visto solo come un investimento, pertanto la dimora dove si vive spesso non è di proprietà.

Escludendo dunque la casa di residenza dal calcolo del patrimonio complessivo, quanti immobili sarà saggio possedere per diversificare proficuamente I nostri investimenti?
Facciamo due conti.
Un immobile del valore di 150.000 euro rappresenta il 15% di un patrimonio complessivo di 1 milione di euro, quello che gli anglosassoni chiamano High Net Worth Individuals, somma già rispettabile e corrispondente ad una famiglia benestante. Stabilire se il 15% investito in un solo immobile sia corretto è complesso e solo un bravo life planner, che conosca molto bene la situazione del suo cliente, puo’ valutarlo. Nel caso di patrimoni molto elevati, cioè sopra ai 5 milioni di euro, i Very High Net Worth Individuals, o addirittura sopra ai 30 milioni di euro, i cosiddetti Ultra High Net Worth Individuals, potrebbe essere adeguato investire in più immobili; ad esempio, in tre immobili di 300.000 euro ciascuno, per un totale di 900.000 euro; se il patrimonio complessivo è di 10 milioni, corrisponde al 9%. E’ impossibile però fornire a priori o in generale ricette e dosi precise e metto in guardia i lettori da chi propone soluzioni “pret a porter”, che vanno bene per tutti.

Inoltre, l’immobile, per molti anni investimento per eccellenza degli italiani, sta dando sempre piu’ preoccupazioni, quali:

  • l’inquilino non paga l’affitto
  • l’immobile è sfitto da parecchio tempo
  • i costi di ristrutturazione interna: ogni inquilino lascia traccia del proprio passaggio…
  • i costi di manutenzione straordinaria sono aumentati
  • le tasse sono aumentate
  • il prezzo di vendita è diminuito
  • i tempi per la vendita si sono allungati
  • il numero di acquirenti è diminuito e il numero di immobili in vendita è aumentato

L’immobile è dunque ancora un investimento sicuro o lo è mai stato?
E’ una questione di proporzioni: certamente, se avete capitali elevati, qualche milione di euro, allora potete pensare di investirne una parte (quanta parte sarebbe da vedere in base ad altre considerazioni) in immobili da reddito. Al di sotto di certe cifre, l’immobile può essere una trappola peggiore delle sabbie mobili: il vostro capitale è immobilizzato tutto nello stesso investimento, quindi o lo realizzate per intero o niente, non potete venderne solo una parte. A meno che non possediate dei monolocali. C’è mercato pero’ per i monolocali?

Gli acquirenti sono diminuiti e gli immobili in offerta sono aumentati, ribaltando le proporzioni del passato: ora ci sono in media 5 immobili per ogni acquirente, qualche anno fa c’erano 5 acquirenti per ogni immobile in vendita. Quindi per chi vuole acquistare aumenta la possibilità di guardarsi intorno e di scegliere, chi vende deve forse cedere sul prezzo ed essere più accondiscendente sulle richieste.
E poi se l’inquilino non paga o vi causa dei danni, cosa potete fare? Chiedere lo sfratto o fargli causa? Con i tempi della nostra giustizia, è dura.

Altro settore può essere quello degli immobili per le vacanze.
Comportano comunque costi e se li volete vendere, lo scenario di prima ritorna. Ci sono, è vero, alcune località più fortunate di altre, che non conoscono ribassi ne’ di prezzi ne di richieste. Pertanto, prima di acquistare mattoni ad uso vacanza, valutate realisticamente i seguenti fattori.

  • la località: considerate le prospettive future di espansione o contrazione del mercato. Se siete in un posto esclusivo e alla moda, sarebbe bene capire da quanto tempo è di moda e per quanto tempo lo sarà. Se invece è una località che deve ancora essere scoperta, beh, rischiate che rimanga sconosciuta per sempre!
  • Quanto potrete sfruttare il bene: per meno di 30 giorni in tutto l’anno, forse non ne vale la pena;
  • i costi di manutenzione ordinaria e straordinaria. Questi dipendono dalle condizioni generali dello stabile e dal tipo di condomini che lo abitano. Se la maggioranza decide di fare un intervento di manutenzione, non vi potete opporre, anche se non lo ritenete necessario o non potete permettervelo.

In sostanza, un investimento alternativo sicuro in immobili è solo un bene di grande pregio, in zone molto appetibili. Parliamo di soluzioni esclusive, con caratteristiche uniche o rare: un castello, una villa sul mare, un palazzo nobiliare in centro città… Questo comporta anche un prezzo molto elevato di acquisto e costi ingenti in quanto a tasse, manutenzione, gestione. E quindi ritorna nuovamente la domanda: quanto pesa sul patrimonio complessivo il valore dell’immobile, se ha queste caratteristiche esclusive e quindi un prezzo molto elevato?
Insomma, diversificare in immobili, oggi piu’ che mai, e’ difficile e per non sentirsi in un dedalo, meglio consultare un life planner di fiducia.

dott. Marco Degiorgis – Life Planner / Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis