Vacanze di Pasqua con il segno +

Non c’è crisi (peraltro alle spalle, dicono gli ottimisti…) né paura di attentati che possano fermare la voglia degli italiani di ferie e di ponti. Lo dimostrano i numeri di queste vacanze di Pasqua snocciolati da Federalberghi.

La federazione degli albergatori stima infatti in 9,7 milioni (il 15,9% della popolazione) il numero gli italiani che stanno trascorrendo in viaggio le vacanze di Pasqua. Un numero che porta a +7,1% i connazionali fuori porta rispetto alle vacanze di Pasqua del 2015.

Come sempre Federalberghi ha anche indagato sulle mete preferite dagli italiani per le vacanze di Pasqua 2016. Di quanti sono rimasti in Italia (il 91% di chi ha scelto si spostarsi), il 29% ha scelto il mare, il 28% le città d’arte e il 23% la montagna, complice anche un innevamento ancora abbondante rispetto invece alla siccità che aveva contraddistinto le ultime vacanze di Natale.

Chi invece ha scelto una meta all’estero, nella maggior parte dei casi (il 73%) si è recato nelle capitali europee, nonostante il clima poco favorevole dal punto di vista della sicurezza, mentre un 12% ha scelto una crociera o delle località di mare.

Federalberghi ha rilevato che la struttura ricettiva preferita dagli italiani per queste vacanze di Pasqua è la casa di parenti o amici (nel 31,2%, in calo rispetto al 32,4% dello scorso anno), seguita dall’albergo (in crescita al 27,9% dal 26,9% del 2015), dalla casa di proprietà (13,4% contro 15% dello scorso anno), dal bed and breakfast (in decisa crescita, 8,3% contro 6,4%) e dall’appartamento in affitto (giù al 3,7% dal 4,2%).

Anche la spesa media e la durata della permanenza fuori casa in queste vacanze di Pasqua mostrano un incremento rispetto alle cifre dello scorso anno. Mediamente i viaggiatori di Pasqua spendono a testa 332 euro – ripartiti tra 639 di chi è all’estero e 306 di chi è rimasto in Italia -, con un giro d’affari complessivo di 3,22 miliardi di euro (+4,5% rispetto alla Pasqua 2015). La permanenza media rimane invece sulle 3,5 notti.

Di fronte ai numeri tutto sommato positivi per queste vacanze di Pasqua 2016, il presidente di Federalberghi Bernabò Bocca non ha fatto mancare un appello alla politica perché dia al turismo la centralità che merita nelle strategie di sviluppo del Paese. “Accogliamo con favore il trend positivo che il mercato registra – ha dichiarato Boccae chiediamo al governo di sostenerlo attraverso la riduzione della pressione fiscale che grava sulle imprese del turismo. Meno tasse sul lavoro, di conseguenza, meno tasse sui beni strumentali, meno tasse sugli interventi di riqualificazione servono ad aprire la porta agli investimenti produttivi che creano ricchezza e posti di lavoro per tutto il Paese“.

La grande opportunità del turismo religioso

C’è un turismo di nicchia, particolare, che per l’Italia ha un grande valore simbolico ed economico: il turismo religioso. I dati più recenti e attendibili risalgono a un paio d’anni da e le fonti sono diverse, ma la fotografia che del turismo religioso viene scattata è piuttosto coerente: costituisce, nella bilancia turistica, una voce non indifferente.

Secondo uno studio di Coldiretti effettuato nel 2014 in occasione della canonizzazione di Giovanni Paolo II e di Giovanni XXIII, il giro d’affari generato in Italia dal turismo religioso quell’anno era valutato intorno ai 5 miliardi di euro.

Cifre tutto sommato attendibili, se si considera che, secondo l’Organizzazione mondiale del Turismo Unwto, solo a Roma e al Vaticano si recano ogni anno circa sette milioni di turisti spirituali su un totale mondiale di gente che viaggia per turismo religioso di oltre 300 milioni di persone, che generano un fatturato annuo di 18 miliardi di dollari.

Coldiretti rileva poi che il 41,4% dei turisti religiosi ha un’età compresa tra i 30 e i 50 anni e che il 44,4% di loro si affida per l’organizzazione del viaggio a tour operator e agenzie di viaggio, specializzate o meno in turismo religioso. Ampia la fetta di chi preferisce viaggiare in compagnia del partner 32,7%. Il 20% sceglie un tour organizzato, il 19,7% un gruppo di amici, il 13,3% la famiglia e il 9,8% viaggia da solo.

Una caratteristica importante di chi preferisce il turismo religioso è data dal fatto che tende a spendere poco e a viaggiare in bassa stagione: un ottimo modo per destagionalizzare mete e destinazioni. Insieme al fatto che sempre più spesso il turismo religioso viene affiancato da quello enogastronomico.

Se poi si considera che, secondo una ricerca Isnart, circa il 60% di chi pratica turismo religioso in Italia viene (45,3% dall’Europa, il 14,9% dai Paesi extraeuropei), si può ben capire quanto questo possa e debba essere incentivato con adeguate politiche di promozione e accoglienza.

L’ enoturismo italiano cresce, ma…

L’offerta turistica italiana è ampia e variegata, non sempre all’altezza del prodotto che vende e quasi sempre incapace di fare sistema. Quest’ultimo è un punto dolente dell’Italia in generale, ancor più grave in settori che potrebbero dare al mercato turistico italiano una spinta importantissima. Come nel caso del cosiddetto enoturismo.

L’occasione per fare il punto su questo strepitoso segmento del turismo italiano è venuto dalla presentazione del 12esimo Rapporto sull’ Enoturismo, che si tenuta la scorsa settimana alla Bit di Milano, a cura delle Città del Vino.

I numeri dell’ enoturismo italiano nel periodo 2014-primo semestre 2015 sono incoraggianti e parlano di una crescita. Nel periodo considerato, infatti, il settore dell’ enoturismo ha fatto registrare una spesa per visite in cantina di circa 2,5 miliardi di euro, con un numero di turisti del vino superiore ai 10 milioni.

I dati del rapporto sono stati elaborati in base a un’indagine svolta su un campione di 80 aziende dall’Osservatorio Nazionale sul Turismo del Vino di Città del Vino, in collaborazione con l’Università di Salerno, e dicono che quando si parla di enoturismo è bene considerare non solo la visita e lo shopping in cantina, ma anche tutto l’indotto che intorno a esso ruota, in primis l’hospitality.

È questa, infatti, la ragione per cui il fatturato delle cantine legato all’ enoturismo e relativo al 2014 è di 214,5 milioni, con una proiezione a 242,5 per il 2015. Segno che il delta tra queste cifre e i 2,5 miliardi di cui sopra deriva in buona parte dall’indotto.

La spesa media dell’enoturista in Italia è di 193 euro, derivanti da acquisti di bottiglie, visite ai vigneti o alle cantine, degustazioni, pernottamenti ecc. Va da se che la spesa per l’acquisto di bottiglie è la voce più rilevante sul totale, pari a più del 70%, mentre le altre voci sono solo la parte residuale dell’indotto da enoturismo.

Il 12esimo Rapporto sull’ Enoturismo ha anche stilato un ritratto dell’enoturista tipo, del numero di arrivi e della capacità e propensione alla spesa di chi fa turismo per vino. A differenza dei fatturati i numeri degli arrivi sono meno aleatori: si parla infatti di oltre 10 milioni nel 2014, con una proiezione a quasi 14 milioni per il 2015. Numeri che tratteggiano un +31,7% per gli arrivi di turisti in cantina e un +32% per la spesa legata all’ enoturismo.

Si tratta quindi di un settore, quello dell’ enoturismo, dai numeri buoni ma dalle potenzialità di sviluppo illimitate, da spingere particolarmente in un periodo nel quale le tensioni geopolitiche in Paesi esteri a forte vocazione turistica, una generale ripresa dei consumi e l’amore degli italiani e degli stranieri per il vino di casa nostra sono condizioni ottimali per favorire l’afflusso enoturistico nel Paese. Tutto sta a intraprendere politiche di promozione efficaci e a imparare, almeno in settori chiavi per la nostra economia, a fare sistema. Fosse facile…

Il turismo italiano vince “dal basso”

Se nel terzo millennio l’economia, la cultura, la politica e un sacco di altre cose trovano la loro origine più vera se nascono “dal basso” e in maniera partecipata, anche per il turismo vale la stessa cosa. Prova ne sono il successo di realtà come Airbnb e Tripadvisor, che hanno rivoluzionato il concetto di viaggio, ospitalità e turismo in tutto il mondo.

Lo hanno fatto guadagnandosi anche autorevolezza e rispetto, tanto che, nel caso di Tripadvisor i suoi Travelers’ Choice Hotel Awards, elaborati sulla base dei feedback degli utenti del sito, sono diventati una classifica nella quale ogni struttura alberghiera ambisce entrare, se esclusa, può avere ripercussioni pesanti sul proprio business. Il bello e il brutto del turismo 2.0.

C’è da dire che l’edizione 2016 della classifica di Tripadvisor è stata benevola con le strutture ricettive italiane: 125 strutture premiate e 150 riconoscimenti ricevuti, almeno 2 vincitori su 10 in ogni categoria e nazione più rappresentata nella categoria Luxury.

Un risultato ancora più importante per il turismo italiano se si considera che i Tripadvisor Travelers’ Choice Hotel Awards hanno premiato oltre 7mila strutture distribuite in 97 Paesi e 8 aree geografiche.

Entrando nel dettaglio, Campania, Trentino Alto Adige e Toscana sono le regioni italiane più premiate per l’offerta alberghiera e il turismo: Campania con 22 strutture premiate e 31 riconoscimenti, Trentino Alto Adige con 17 strutture premiate e 20 riconoscimenti, Toscana con 15 strutture premiate e 19 riconoscimenti. Inoltre, A Sorrento si trova il terzo miglior hotel a livello mondiale, il Bellevue Syrene, che segue una struttura indiana e una cambogiana. In Toscana, il B&B Casa Portagioia di Castiglion Fiorentino (AR) è il miglior bed & breakfast del mondo.

E il fatto che il turismo italiano dovrebbe far tesoro di questi riconoscimenti traspare anche dalle posizioni che le nostre strutture occupano nelle classifiche europee. Se del Bellevue Syrene e di Casa Portagioia abbiamo detto, l’hotel La Minerva di Capri (NA) è secondo della categoria Migliori Hotel di Piccole dimensioni in Europa e sesto nel mondo. Il The Gritti Palace di Venezia è terzo nella categoria Migliori Hotel di Lusso e, in Europa, è accompagnato dal Bellevue Syrene (6°) e dal Portrait Firenze (9°). E meno male che ci pensano gli utenti “dal basso” e non le istituzioni dall’alto a premiare il turismo italiano…

Turismo italiano ed europeo, un confronto

Il turismo è il petrolio dell’Italia, si dice. Beh, se così davvero fosse, il crollo del prezzo dell’oro nero che continua incessante da mesi, trova un triste e singolare parallelismo con il calo del turismo nel nostro Paese. O almeno con quello che si può leggere tra le righe.

Il 2015 è stato infatti un anno buono per il turismo europeo, come certificano i recenti dati Eurostat sulle notti trascorsi da non residenti nei Paesi europei. Una tendenza favorita anche dal fatto che si è trattato del primo anno in cui si è registrata un minima ripresa in campo economico, dopo sette anni ininterrotti di crisi. Eppure il nostro Paese, nel settore del turismo, non è stato in grado di agganciare questa ripresa.

Secondo i dati Eurostat di cui sopra, infatti, gli arrivi di turisti extracomunitari sono saliti in Europa, nel 2015, di quasi il 4% (+3,96%). Il turismo in Italia è invece rimasto ben al di sotto di questa media: +2,15%, nonostante lo straordinario volano di Expo 2015. Un dato migliore solo di quello di Bulgaria Estonia, Finlandia, Grecia e Lituania.

E, se nel 2009, primo vero anno di crisi, l’Italia perdeva solo l’1,4% in termini di arrivi di turisti extra Ue contro una media continentale del -5%, purtroppo da quell’anno a oggi il turismo di casa nostra è riuscito a far crescere solo del 19% gli arrivi dal di fuori del continente, contro una media europea di +33%.

Il turismo italiano si è dunque ripiegato su se stesso in maniera preoccupante. Vuoi per politiche di promozione turistica non sempre all’altezza; vuoi per la tendenza di ciascuna regione a proporsi all’estero per sé, senza fare sistema con le altre; vuoi per i prezzi non proprio abbordabili che contraddistinguono il nostro Paese (nota dolente in anni di crisi in cui avrebbe dovuto imperare la politica del low cost, soprattutto per attrarre turismo giovanile); vuoi per un patrimonio artistico, culturale e storico unico al mondo, gestito da burocrati e da sindacati da Terzo Mondo. E potremmo trovare mille altre ragioni per spiegare questa implosione. Ma più che trovarle, sarebbe meglio far funzionare la macchina del turismo.

Un 2015 brillante per il turismo italiano

Come ogni anno, nel mese di febbraio si è celebrata l’industria del turismo italiana e mondiale alla Bit, la Borsa internazionale del Turismo che si è tenuta nei giorni scorsi a Milano. Un appuntamento che è servito a Federalberghi per fare il punto sull’andamento del mercato turistico italiano nel nostro Paese nel 2015.

E l’andamento pare buono. Secondo il Barometro del turismo di Federalberghi, realizzato insieme all’ente nazionale turismo, il turismo italiano se la passa bene. Lo scorso anno sono infatti risultati in crescita gli arrivi e le presenze negli alberghi (+3,6%), accompagnati da un aumento del traffico negli aeroporti. Tutti dati che hanno fatto pendere la bilancia turistica al positivo, con un avanzo di circa 6 miliardi di euro, +8% rispetto al 2014.

In crescita anche i ricavi medi degli hotel, +11,5%, e il tasso di occupazione delle camere, +4,5%, così come le spese dei turisti stranieri: +4,3% con incassi per 23,5 miliardi di euro. Un abisso rispetto alle spese dei turisti italiani all’estero, pari a 7,5 miliardi di euro. A proposito di stranieri, vi è stato un anche un forte aumento dei voli internazionali verso l’Italia: +6,8%, per un totale di 97,8 milioni di passeggeri.

Il turismo italiano nel 2015 ha potuto contare anche sulle buone performance di uno dei suoi fiori all’occhiello, troppo spesso bistrattato e al centro di polemiche politiche e sindacali: il sistema museale: +6% degli ingressi, con 43 milioni di visitatori e 155 milioni di euro di incassi totali..

Forse parte dei buoni risultati registrati dal turismo in Italia lo scorso anno sono dovuti anche all’effetto Expo 2015, ma quello che è certo è che i segnali di ripresa del settore, così come quelli generali dell’economia, secondo Fedralberghi sono un’occasione da prendere al volo in vista della stagione turistica 2016. Una stagione nella quale le tensioni e l’instabilità politica potrebbero penalizzare (e già penalizzano…) i Paesi del Nord Africa, mentre Paesi come Grecia e Turchia sono alle prese con l’emergenza migranti. Il turismo italiano non può dunque farsi trovare impreparato. In questo caso, mors tua vita mea

Immacolata, Federalberghi si sfrega le mani

La voglia di ripresa comincia anche dalla voglia degli italiani di partire per la vacanze, punghe o brevi, ponti o no. E Ponte dell’Immacolata 2015, per fortuna, sembra confermare questa tendenza.

Secondo le stime di Federalberghi sono infatti oltre 6,1 milioni gli italiani che passano questo Ponte dell’Immacolata in vacanza, dormendo almeno 1 notte fuori casa: +12,9% rispetto ai 5,4 milioni del 2014 e il10,1% della popolazione italiana tra maggiorenni e minorenni.

Federalberghi prevede in crescita anche la spesa media pro-capite a 267 euro (+1,9% rispetto ai 262 euro del 2014), con una ricaduta sul giro di affari complessivo lordo di 1,6 miliardi di euro: +14,3% rispetto agli 1,4 miliardi del 2014.

Secondo Federalberghi, i recenti fatti internazionali spingono gli italiani a restare in Patria: il 97,3% di loro è rimasto nel Bel Paese e solo il 2,1% si è spostato all’estero, principalmente nelle capitali europee.

Federalberghi analizza poi il trend di scelta delle località dove trascorrere il Ponte dell’Immacolata. Vince la montagna (nonostante la scarsità di neve, almeno al Nord) con il 36% delle preferenze (2,2 milioni di italiani), seguite dalle città d’arte (31,8%, 1,95 milioni di italiani) e dal mare (12,1%, pari a 742mila italiani). Rimane un residuo 4,8% di persone, pari a 294mila italiani, che ha scelto il lago.

Secondo il presidente di Federalberghi, Bernabò Bocca, questi numeri rappresentano “un segnale di inequivocabile voglia di reagire al clima di terrore che aleggia nel mondo intero. Considerando infatti il momento di allerta sia del livello di sicurezza sia di tenuta economica internazionale, poter contare su oltre il 10% della popolazione che può permettersi una seppur breve vacanza approfittando della circostanza favorevole che il calendario ci riserva, è un raggio di sole in un cielo sicuramente ingombro di nuvole“.

L’indicazione principale che emerge dalla nostra indagine – conclude il presidente di Federalberghiè di un turismo autarchico, con la quasi totalità dei vacanzieri che sceglie il Bel Paese per trascorrere qualche giorno di svago e di riposo. Il dato è importante anche perché nella maggioranza dei Paesi europei l’8 dicembre non è un giorno festivo e quindi in questa occasione contiamo solo su una parte di domanda internazionale, che tuttavia continua ad indirizzare verso l’Italia flussi crescenti di clientela, aiutandoci a rafforzare il recupero del sistema ricettivo”.

Turismo ok, ma non siamo ancora competitivi

I primi mesi estivi sono stati accompagnati da cifre e proclami trionfali relativamente all’afflusso di turisti nelle località italiane di mare. Numeri che devono la loro eccezionalità anche al paragone con un’estate 2014 pessima dal punto di vista meteorologico e del conseguente numero di turisti, ma che tutto sommato fanno ben sperare.

Europasia però prova a guardare un po’ più in là e, pur riconoscendo la positività della stagione, lancia un avvertimento: l’Italia non è ancora competitiva sul piano del turismo con i Paesi competitor, nonostante Expo, Giubileo e i molti segni più del 2015.

Secondo Achille Colombo Clerici, presidente di Europasia, questi i motivi dell’insoddisfacente investimento sul turismo: “Insoddisfacente la struttura alberghiera di medio livello, mancanza di grandi tour operator, inadeguata la strategia dei trasporti aerei da parte delle compagnie. Ma soprattutto è un’Italia del turismo fai-da-te priva di un sistema nazionale”.

Nel primo trimestre 2015, sulla base dei dati finora disponibili ad Europasia, gli arrivi negli esercizi ricettivi sono stati oltre 16 milioni di unità e le presenze quasi 49 milioni, con aumenti, rispetto al primo trimestre del 2014, dell’1,4% e dello 0,3%. Il trend positivo nel turismo si è incrementato nei mesi successivi e dopo sette anni consecutivi con segno meno il 2015 si presenta come l’anno della ripresa grazie anche ad Expo e al Giubileo che inizierà l’8 dicembre. Traducendo in cifre, 375-380 milioni di presenze (giorni-turista), un giro d’affari, compreso l’indotto, di 166 miliardi di euro (il 10,6% del pil) e una incidenza sull’occupazione dell’11,4%.

Ma prima di abbandonarsi ai facili entusiasmi, ricorda Europasia, è bene fare qualche paragone. La ripresa del turismo italiano si inserisce in un boom mondiale senza precedenti con 1.138 milioni di persone in giro per piacere, per cultura o per affari. A fronte di un +3% medio dell’Unione Europea – che già non brilla a causa della concorrenza di mete esotiche in continenti oggi più facilmente raggiungibili – per l’Italia si prevede un incremento dell’1,8%: manteniamo, è vero, il quinto posto al mondo per presenze e il sesto per spese dei turisti, ma siamo insidiati, per citare, persino dalla Thailandia.

A sostenere il settore del turismo restano, come al solito, gli stranieri. Pur rappresentando meno della metà del movimento turistico complessivo, sono in continua crescita dal 2010, limitando i danni delle forti contrazioni interne dovute alla recessione e innescando la ripresa. A cominciare da Expo, per il quale sono previsti 8 milioni di stranieri in più, che genereranno una spesa aggiuntiva stimata in 5,4 miliardi su un totale, sempre straniero, di quasi 50 miliardi previsto quest’anno.

Fin qui la proiezione sull’Italia. Domani vedremo il paragone con il turismo negli altri Paesi, terreno sul quale il Belpaese perde sempre più competitività.

Le luci e le ombre del turismo in Italia

Da una classifica all’altra, l’Italia del turismo esce sempre con le ossa rotte. Abbiamo parlato ieri della graduatoria stilata da Bankitalia sulla base della spesa turistica dei visitatori stranieri in diversi Paese e abbiamo visto come lo Stivale si posizioni solo al quinto posto. Esattamente come nel caso dei numero di turisti stranieri che la visitano annualmente.

Oggi parliamo invece dello sguardo che il World Economic Forum ha dato al turismo in diversi Paesi del mondo con il suo Global Travel & Tourism Report 2015. Si tratta di una graduatoria biennale, un vero sguardo d’insieme sul turismo come sistema che, purtroppo, per il nostro Paese riserva luci e ombre.

Una delle prime luci che balzano all’occhio è l’avanzamento in classifica che, rispetto a due anni fa, l’Italia ha messo a segno per quanto riguarda la sua competitività nel turismo: dal 26esimo posto (orrore!) all’ottavo.

Peccato che (e questa è un’ombra) la classifica sia guidata da una nostra concorrente diretta, ossia la Spagna, il Paese più competitivo al mondo per il turismo, passato in due anni dal quarto al primo posto. Completano il podio la Francia e la Germania.

Ma quali sono le palle al piede, le ombre che frenano la competitività dell’Italia nel settore del turismo? Fondamentalmente tre, tutte tra loro collegate: burocrazia, prezzi e tasse. Burocrazia e competitività dei prezzi ci piazzano al 133esimo posto, tasse e scarsi investimenti nel turismo al 65esimo.

Più ombre che luci, quindi? No, qualche lucina c’è, anche se si tratta di punti forti storici del nostro turismo. Siamo al terzo posto nel mondo per patrimonio culturale (e questa il World Economic Forum ce la deve spiegare…) e al 13esimo per quello naturale e non ce la caviamo malaccio nemmeno per quanto riguarda le infrastrutture dedicate al turismo: terzi.

Purtroppo, però, su altri due fronti del settore infrastrutturale non siamo messi benissimo, perché rappresentano due punti chiave per una gestione fruttuosa e razionale dei flussi turistici in entrata in Italia: aeroporti e porti. Il 26esimo posto mondiale nella graduatoria delle infrastrutture aeroportuali e, soprattutto, il 32esimo per quelle portuali (in un Paese che è quasi tutto coste e mare) sono due handicap non indifferenti per un Paese che sul turismo potrebbe tranquillamente campare. Ma si sa, siamo italiani…

Italia bocciata nel turismo

Per una volta facciamo i bravi giornalisti e diamo la notizia in testa: l’Italia è il quinto Paese al mondo per spesa da turismo. Di per sé un ottimo risultato, se non fosse che prima di noi, a parte i due colossi Stati Uniti e Cina, vi sono due Paesi che sul turismo investono più e meglio di noi ma che da offrire al visitatore hanno decisamente meno di noi: Spagna e Francia.

La top 5 mondiale della spesa turistica al 2013, stilata dalla Banca d’Italia nella sua Indagine campionaria sul turismo internazionale dell’Italia, è infatti così composta: Stati Uniti (130 miliardi di euro, inarrivabili), Spagna (47), Francia (43), Cina (39) e Italia (33).

I 14 miliardi di euro che separano la spesa per il turismo in Italia da quella in Spagna e i 10 che la separano dalla Francia sanno tanto di una resa incondizionata da parte di un Paese come il nostro che possiede la più alta concentrazione di siti artistici e opere d’arte del mondo ma che non è in grado di allestire un sito internet degno di questo nome per il turismo nazionale, soprattutto imparagonabile ai siti di promozione dei Paesi nostri concorrenti.

Un Paese nel quale possiamo sapere tutto del turismo a livello di qualsiasi regione, dove si fanno campagne di promozione turistica per i posti più sfigati delle province più jellate, ma dove si è incapaci di fare sistema per presentarci al mondo con un offerta centralizzata e strutturata, privilegiando invece borghi e orticelli.

Non stupisce allora che il quinto posto nella classifica della spesa per il turismo ce lo meritiamo anche nella classifica che misura non tanto quanto queste persone spendono in Italia ma quante effettivamente sono quelle che scelgono di visitare il Belpaese. Sono infatti 48 milioni i turisti internazionali che nel 2013 hanno visitato l’Italia. Un bel numero, certo… Peccato che in Francia sono stati quasi 40 milioni in più (85), 70 negli Usa, 61 in Spagna e 56 in Cina. Niente male per chi ha da offrire una torre d’acciaio e poco più…

Ed è di poca consolazione quanto rileva lo studio di Bankitalia sul turismo, relativamente alle abitudini di viaggio dei turisti stranieri in Italia; secondo i dati della ricerca, infatti, è aumentato il numero dei viaggiatori, è diminuita la durata media della loro vacanza, ma è cresciuta la spesa giornaliera media. In particolare, tra il 1990 e il 2013, il numero dei viaggiatori internazionali è cresciuto in media del 4% annuo, mentre la spesa è aumentata del 7%.

Nonostante la classifica condanni giustamente il nostro approccio miope al business del turismo, lo studio di Bankitalia fa notare che c’è comunque un mal comune, mezzo gaudio. Negli anni si è infatti ridotta la quota di mercato internazionale delle principali destinazioni del turismo, non solo dell’Italia, a vantaggio delle mete asiatiche emergenti come Thailandia (sesta dietro di noi nella classifica di spesa con 32 miliardi), Cina, India e Malesia.