Bonus autotrasporti: dal 12 settembre attiva la piattaforma per richiedere il credito di imposta

Dal 12 settembre 2022 sarà attiva la piattaforma per la presentazione dell’istanza per accedere al credito di imposta previsto per il bonus autotrasporti. Si tratta di una misura in favore delle imprese del settore al fine di far fronte ai maggiori costi dovuti alla crisi in Ucraina.

Bonus autotrasporti: di cosa si tratta?

Dal giorno 3 settembre 2022 sul sito del Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibilie, guidato da Enrico Giovannini, è presente l’avviso dell’apertura della piattaforma per inoltrare le richieste del credito di imposta per l’autotrasporto. La misura è prevista in favore del settore dell’autotrasporto delle merci per conto terzi e prevede un fondo di 497 milioni di euro.

L’obiettivo è aiutare le aziende che lavorano nel settore degli autotrasporti a far fronte ai notevoli rincari dei prezzi dei carburanti che stanno caratterizzando gli ultimi mesi. Allo stesso tempo si vogliono stimolare gli autotrasportatori a rinnovare il parco mezzi con modelli di nuova generazione che inquinano meno, per questo motivo si potrà accedere al beneficio solo per i consumi relativi a mezzi di categoria Euro 5 o superiorei.

Il 12 settembre 2022 e il giorno da segnare per chiedere il bonus autotrasporti

Il Bonus autotrasporti per le imprese che si coccupano di trasporto merci per conto terzi è pari al 28% delle spese sostenute nel primo trimestre del 2022, al netto dell’Iva, per l’acquisto di carburante impiegato nell’attività.
La piattaforma per l’inoltro dell’istanza sarà disponibile a partire dal 12 settembre 2022 e sarà possibile procedere all’inoltro per un mese.

La piattaforma è gestita dall’Agenzia Dogane e Monopoli, ricordiamo che è attiva la procedura per il concorso ADM. Una volta inoltrata la domanda sarà possibile utilizzare la piattaforma per accedere alla propria istanza e controllare lo stato della stessa.

Il credito di imposta riconosciuto potrà essere utilizzato attraverso il modello F24, cioè il modello generalmente utilizzato per versare le imposte, si tratterà di uno sconto sulle imposte da versare. A breve si potrà conoscere anche il codice tributo da utilizzare.

Per saperne di più leggi l’articolo: Credito di imposta autotrasporti nel decreto Aiuti: arriva il decreto attuativo

Pensioni, quante possibilità ci sono che nel 2023 venga attuata quota 41?

Quante possibilità ci sono che nella riforma delle pensioni del 2023 venga attuata la quota 41 per tutti? Ad oggi, le trattative tra il governo Draghi e i sindacati per la riforma previdenziale del prossimo anno sono ferme. Oltre 3 mesi di stop ai tavoli delle nuove misure pensionistiche che dovranno evitare il ritorno ai vincoli della riforma Fornero di fine 2011. Se non si dovesse intervenire per tempo, con la fine della sperimentazione della quota 100 a 31 dicembre scorso, e in attesa della scadenza della quota 102, attualmente in vigore fino al prossimo 31 dicembre, le vie di uscita dal lavoro rimarrebbero quelle della pensione di vecchiaia all’età di 67 anni, e quella della pensione anticipata con 42 anni e dieci mesi di versamenti contributivi.

Pensioni, senza quota 102 i lavoratori rimarrebbero senza misure di uscita anticipata

Proprio nei giorni scorsi, il leader della Lega Matteo Salvini è intervenuto per porre pressione al governo sulla riforma delle pensioni e per rilanciare il vecchio progetto della quota 41 per tutti. Al netto di misure di uscita che riservano l’uscita a una platea ben ristretta di contribuenti (l’opzione donna e l’anticipo pensionistico sociale, ancora da confermare per il 2023), e senza la proroga dell’attuale quota 102, i lavoratori rimarrebbero senza canali di uscita praticabili. E dovrebbero attendere la maturazione dei requisiti della legge Fornero.

Pensioni, quali sono le previsioni del decreto ‘Aiuti’ di Mario Draghi?

Ad oggi non si fanno previsioni sulla ripresa dei tavoli di riforma delle pensioni. Il presidente del Consiglio Mario Draghi è impegnato nelle misure da adottare nel decreto legge “Aiuti”, alcune delle quali potrebbero riguardare i pensionati. Infatti, oltre al bonus 200 euro nel quale rientrano i contribuenti in quiescenza, il governo potrebbe prevedere misure per difendere il valore delle pensioni dall’inflazione causata dal conflitto in Ucraina. La road map dei lavori governativi prevede di entrare nel vivo del provvedimento all’incirca per il 20 giugno prossimo, in modo da avere tempo fino al 16 luglio per l’ok definitivo delle Camera.

Il governo pensa a misure nel decreto ‘Aiuti’ per difendere le pensioni  dall’inflazione

Quello della difesa del valore delle pensioni dall’inflazione è un cavallo di battaglia delle sigle sindacali. Che però vorrebbero riprendere i tavoli di trattativa con il governo per creare le condizioni necessarie affinché nella legge di Bilancio 2023 vengano attuate misure di riforma strutturale delle pensioni. A partire dalle uscite flessibili dei lavoratori dall’età di 62 anni o della stessa quota 41 per tutti. Un’ipotesi in comune con la politica di Matteo Salvini a favore dei lavoratori che hanno iniziato presto a lavorare in età adolescenziale e che hanno accumulato circa quattro decenni di contributi previdenziali.

Pensioni: Matteo Salvini propone quota 41 per tutti, Forza Italia risponde che è meglio la quota 104

La quota 41 per tutti è un modello previdenziale nemmeno recente di Matteo Salvini. Infatti, la misura avrebbe dovuto rappresentare il meccanismo da introdurre al termine dei tre anni di sperimentazione della quota 100, proprio a partire dal 1° gennaio 2022.

Quota 41 per tutti, ‘senza se e senza ma’

Si tratterebbe di considerare il solo requisito contributivo dei 41 anni di versamenti, “senza se e senza ma”. Ovvero il meccanismo di uscita sarebbe slegato da tutti i paletti che, nella misura attuale, restringono notevolmente la platea di chi può intraprendere questo canale di uscita. Peraltro, a Matteo Salvini ha risposto nei giorni scorso Antonio Tajani, coordinatore di Forza Italia, il quale ha espresso la preferenza per la quota 104 rispetto alla quota 41. Si tratterebbe di innalzare la quota con l’età minima di 64 anni di età, in linea con il requisito anagrafico richiesto per varie ipotesi di riforma e per la stessa quota 102, ma aumentando i contributi a 40 anni.

Pensioni, per Antonio Tajani ‘quota 104 è meglio di quota 41’

Quella di Antonio Tajani sarebbe una proposta di riforma delle pensioni che andrebbe ad assicurare l’uscita a chi ha parecchi anni di contributi e, probabilmente, accontenterebbe Bruxelles sui requisiti minimi dal momento che nei giorni scorsi è arrivata dall’Europa la bocciatura sia per la quota 102 che per la quota 100. Per il coordinatore di Forza Italia è occorrente “dare vita ad una nuova riforma che tuteli i contribuenti di oltre 60 anni di età, ma anche i giovani lavoratori”.

Riforma pensioni 2023, probabili tavoli delle trattative con i sindacati in autunno

La bocciatura di Bruxelles, peraltro, ha reso ancora più difficoltosa una riforma delle pensioni che riesca a mettere d’accordo partiti politici, sindacati, lavoratori e imprese. Dopo aver lavorato sui dossier ritenuti più urgenti e dettati dall’emergenza in Ucraina, Mario Draghi potrebbe sedersi al tavolo delle trattative per le nuove pensioni in autunno, quando la riforma dovrà trovare collocazione legislativa nella Manovra di Bilancio 2022.

Pensioni, Draghi sarebbe freddo all’ipotesi di quota 41: ecco perché

Al momento, infatti, il governo sarebbe piuttosto freddo rispetto all’ipotesi della quota 41, da adottare come baluardo per evitare un ritorno alla riforma Fornero. E anche di mettere mano alla misura dei 41 anni di contributi attualmente in vigore. L’uscita con l’odierna quota 41 è possibile solo per determinate categorie di lavoratori, come i precoci, e quelli che svolgono mansioni usuranti. La proposta di Matteo Salvini considera solo gli anni di contributi, a prescindere:

  • dall’età anagrafica di uscita dal lavoro;
  • dall’anno di contributo, attualmente richiesto, versato entro i 19 anni di età.

Pensioni con quota 41, i requisiti richiesti in comune con l’Ape sociale

A questi requisiti si aggiungono quelli in comune con la misura di pensione dell’Ape sociale, ovvero:

  • la situazione di disoccupazione;
  • lo svolgimento di attività usuranti o gravose per almeno gli ultimi 7 anni su 10 e per non meno di 6 degli ultimi 7 anni;
  • lo stato di invalidità civile per almeno il 74%;
  • l’essere caregiver, ovvero prendersi cura di familiari conviventi in condizione di handicap grave.

Pensioni a quota 41 per tutti, quanto costa la misura?

Al di là della volontà politica di aprire tavoli di riforma delle pensioni che abbiano tra le ipotesi quella della quota 41 per tutti, è necessario tener presente i conti dell’Inps sulla misura. L’Istituto previdenziale, infatti, calcola che la quota 41 per tutti costerebbe:

  • quattro miliardi di euro nel primo anno di adozione del meccanismo;
  • valori elevati per tutta la durata;
  • 9 miliardi di euro nell’ultimo anno di un percorso decennale.

Pensioni, la soluzione flessibile dell’Inps che costa meno

Conti alla mano, dunque, il governo sarebbe rimasto freddo di fronte all’ipotesi di una misura così costosa. Le possibilità di uscita anticipata rispetto alla pensione di vecchiaia convergono su un requisito anagrafico di almeno 63 o 64 anni di età. La spesa per queste misure con requisiti anagrafici si abbasserebbe a 400 milioni di euro. Ma occorrerebbe che il neo pensionato accetti l’assegno calcolato solo con il contributivo fino all’età della pensione di vecchiaia. Dunque, dai 67 anni di età i lavoratori con contributi versati prima della fine del 1995, recupererebbero la quota retributiva.

Contributi a fondo perduto export imprese danneggiate dalla guerra in Ucraina: 2,2 miliardi le risorse

I contributi a fondo perduto alle imprese esportatrici danneggiate dalla crisi conseguente alla guerra in Ucraina e dal conseguente caro prezzi di fonti energetiche, materie prime e semilavorati, saranno gestiti da Simest insieme al ministero degli Affari esteri. Sarà messo di nuovo in funzione il Fondo 394 con finanziamenti fino a 400 mila euro per ciascuna impresa che presenterà domanda. In tutto, le risorse e gli aiuti a favore delle aziende potrebbero raggiungere la cifra di 2,2 miliardi di euro. È quanto riporta la relazione accompagnatoria al decreto legge “Aiuti”. Il provvedimento è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale lo scorso 17 maggio. Il decreto legge “Aiuti” estende i finanziamenti agevolati già previsti dal decreto legge numero 14 del 25 febbraio 2022.

Quali sono le condizioni di accesso al Fondo 394 per le imprese esportatrici?

L’articolo 5 ter del decreto legge 14 del 2022 prevede, alle lettere a) e b) del comma 1, le condizioni di ammissibilità delle imprese esportatrici ai contributi a fondo perduto Simest e di erogazione dei finanziamenti. La prima condizione impone l’aver avuto rapporti frequenti con i tre Paesi dell’Est Europa (Ucraina, Federazione Russa e Bielorussia). Ovvero, aver realizzato un fatturato pari mediamente a non meno del 20% del fatturato dell’impresa totale mediante operazioni di esportazioni dirette nei tre Paesi. La seconda condizione per usufruire dei contributi a fondo perduto è il limite dell’aiuto. I contributi, infatti, non possono superare il 40% dell’intervento complessivo a sostegno dell’impresa. Inoltre, il regime di aiuti non può prolungarsi oltre il 31 dicembre 2022.

Contributi a fondo perduto imprese dell’export, quali saranno le spese ammissibili?

Le misure di salvaguardia delle imprese esportatrici nei tre Paesi dell’Est europeo mediante l’erogazione dei contributi a fondo perduto sono accompagnate, inoltre, dalla sospensione, fino a 12 mesi, del pagamento della quota capitale e degli interessi delle rate in scadenza dei finanziamenti agevolati concessi a valere sul Fondo 394 nel corso del 2022. Peraltro, il regime di aiuti per l’emergenza della guerra in Ucraina (il cosiddetto Temporary crisis framework), si estende alle difficoltà incontrate dalle imprese imprese esportatrici in questo periodo non solo per i prezzi aumentati dell’energia, delle materie prime, dei prodotti finiti e dei semilavorati, ma anche delle maggiori spese sostenute per il trasporto dei prodotti. Infine, concorre a determinare l’aiuto alle imprese esportatrici anche il rincaro dei prezzi per la ricerca di approvvigionamenti in Paesi alternativi alla Russia, all’Ucraina e alla Bielorussia.

Aiuti Simest alle imprese esportatrici, da oggi il Comitato agevolazioni inizia la messa a punto dei nuovi contributi

Dei nuovi contributi a fondo perduto Simest del Fondo 394 sarà il Comitato agevolazioni a fissare i paletti e le condizioni di acceso delle imprese agli aiuti. Proprio nella giornata di oggi, 26 maggio, è prevista la riunione del Comitato. È quindi probabile che si inizi a mettere a punto le condizioni di accesso ai contributi a fondo perduto Simest. Le risorse che potrebbero essere stanziate arriverebbero a 2,2 miliardi di euro. Al riutilizzo del Fondo 394, infatti, concorrerebbero:

  • le risorse avanzati nel 2021;
  • i nuovi trasferimenti disposti dalle recenti manovre;
  • i 726 milioni di euro di cofinanziamento a fondo perduto.

 

 

Contributi a fondo perduto alle PMI colpite dalla guerra in Ucraina fino a 400 mila euro

Il decreto “Aiuti” approvato il 2 maggio 2022 dal governo mette a disposizione delle piccole e medie imprese contributi a fondo perduto per la perdita di fatturato causata alla crisi per le guerra Ucraina. I contributi  potranno arrivare all’importo di 400 mila euro per ciascuna impresa. Gli aiuti saranno legati alle perdite di fatturato degli ultimi mesi. Le risorse stanziate dal governo per i contributi a fondo perduto sono pari a 130 milioni di euro. Per ottenere gli aiuti è necessario aver venduto servizi o beni in Russia, Bielorussia o Ucraina per almeno il 20% del fatturato degli ultimi 2 anni.

Contributi alle PMI fino a 400 mila euro per perdite di fatturato: per cosa si possono richiedere?

Sono 3 sostanzialmente i motivi di ammissibilità ai contributi a fondo perduto per la perdita del fatturato delle imprese. In primo luogo, la contrazione della domanda che si è registrata in questi ultimi mesi; a seguire, l’interruzione dei progetti e dei contratti già in essere; infine la crisi di approvvigionamento delle fonti energetiche con conseguente caro prezzi di energia elettrica e gas. Le risorse stanziate dal governo confluiranno nel Fondo per il sostegno alle imprese danneggiate dalla crisi in Ucraina.

Contributi a fondo perduto alle PMI: quali sono i fondi?

La diminuzione del fatturato per la richiesta dei contributi a fondo perduto deve essere di almeno il 30% nel primo trimestre del 2022 rispetto ai mesi di gennaio, febbraio e marzo del 2019. I fondi stanziati dal governo si sommano alle misure del Piano nazionale per la ripresa e la resilienza (Pnrr), in particolare alle risorse inerenti la promozione dei  patti territoriali volti a trasferire le tecnologie a favore delle PMI.

Quali imprese possono chiedere i contributi a fondo perduto per la crisi ucraina?

Ammesse a ottenere i contributi a fondo perduto sono le PMI  come definite dalla raccomandazione della Commissione europea 2003/361, fatta eccezione per le imprese agricole. Le imprese dovranno presentare vari requisiti in maniera cumulativa. In particolare, oltre alla perdita del fatturato del 30%, deve risultare che le PMI richiedenti i contributi devono aver realizzato negli ultimi 2 anni operazioni di vendita di beni e di servizi ad aziende ucraine o di Russia e Bielorussia. Le operazioni possono consistere anche nell’approvvigionamento di materie prime o di semilavorati. Inoltre, i rapporti con i tre Paesi devono incidere per almeno il 20% del fatturato complessivo dell’impresa richiedente.

Aumento prezzo delle materie prime per la richiesta di contributi a fondo perduto

Le imprese che richiedono i contributi devono rientrare però, contestualmente, in altri parametri. Il prezzo medio di acquisto per le materie prime e per i semilavorati del trimestre che precede l’entrata in vigore del provvedimento deve aver subito un aumento di almeno il 30% rispetto allo stesso prezzo del medesimo periodo del 2019. Nell’ipotesi in cui l’impresa sia stata costituita durante il 2020, il trimestre di riferimento del 2022 deve essere comparato con lo stesso trimestre del 2021.

Diminuzione di fatturato per le imprese che richiedono aiuti per la crisi in Ucraina

Inoltre, sempre nei tre mesi antecedenti la data di entrata in vigore del provvedimento, deve essersi verificato una diminuzione del fatturato di almeno il 30% rispetto allo stesso trimestre 2019. La precisazione inerente la verifica del calo del fatturato si effettua sulla base dei ricavi previsti dal comma 1, lettere a) e b) dall’articolo 85, del Testo unico delle imposte sui redditi (Tuir).

Come si calcola il contributo a fondo perduto spettante alle PMI per gli aiuti della crisi in Ucraina?

Il calcolo del totale del contributo a fondo perduto che spetta alle PMI per la crisi in Ucraine segue uno specifico meccanismo. Infatti:

  • si applica una percentuale alla differenza tra il totale medio dei ricavi dei tre mesi precedenti a quello di  entrata in vigore del decreto e il complessivo dei ricavi medi dello stesso trimestre del 2019;
  • sul risultato della differenza, i contributi ammontano alla percentuale del 60% se i ricavi medi del 2019 sono superiori ai 5 milioni di euro;
  • del 40% per ricavi del medesimo periodo tra i 5 milioni e i 50 milioni di euro;
  • per le imprese costituite a decorrere dal 1° gennaio 2020, l’anno di imposta da prendere a riferimento è quello del 2021.

Come presentare domanda per i contributi a fondo perduto delle imprese per la crisi in Ucraina?

Per presentare le domande  dei contributi a fondo perduto è necessario attendere il decreto del ministero per lo Sviluppo Economico (Mise). Il provvedimento stabilirà le modalità di erogazione degli incentivi per le imprese investite dalla crisi in Ucraina. Nel decreto verranno chiariti i requisiti per accedere agli incentivi, le scadenze e le modalità da seguire per presentare la domanda.

Contributi a fondo perduto fino a 400mila euro in arrivo alle imprese per cali di fatturato

Sono in arrivo i contributi a fondo perduto alle imprese per la perdita di fatturato dovuta alla crisi in Ucraina. Gli aiuti potranno arrivare a 400 mila euro per ogni impresa e si baseranno sulle perdite di fatturato registrate a causa delle crisi scaturite a seguito della pandemia di Covid e per la guerra in Ucraina. Le risorse che il governo ha stanziato per i contributi a fondo perduto ammontano a 200 milioni di euro. L’incentivo è contenuto nel decreto legge “Aiuti” che ha avuto il via libera ieri, 2 maggio, nel Consiglio dei ministri.

Bonus 400 mila euro alle imprese per perdite di fatturato: a cosa sono dovute?

Tre sono sostanzialmente le motivazioni ammissibili legate alla perdita del fatturato delle imprese. In primis, la contrazione della domanda registratasi negli ultimi mesi; le altre cause ammissibili alla base del bonus 400 mila euro alle imprese riguardano l’interruzione dei contratti e dei progetti già in essere e la crisi di approvvigionamento delle materie prime con conseguente caro prezzi di gas ed energia elettrica. Le risorse stanziate dal governo confluiranno nel Fondo per il sostegno alle imprese danneggiate dalla crisi in Ucraina.

Contributi a fondo perduto alle imprese: quali sono le risorse?

La riduzione del fatturato per richiedere i contributi a fondo perduto deve essere pari a non meno del 30% nei mesi di gennaio, febbraio e marzo 2022 rispetto allo stesso trimestre del 2019. Le risorse messe a disposizione del fondo si sommeranno alle misure del Piano nazionale per la ripresa e la resilienza (Pnrr), in particolare a quelle per promuovere i patti territoriali volti a trasferire le tecnologie a favore delle imprese.

Requisiti delle imprese per poter richiedere i contributi a fondo perduto per la crisi ucraina

Per l’ottenimento dei contributi a fondo perduto, le imprese dovranno presentare vari requisiti cumulativamente. Nel dettaglio, oltre alla perdita del fatturato del 30%, deve risultare che:

  • le imprese richiedenti negli ultimi due anni hanno realizzato operazioni di vendita di beni e di servizi con aziende dell’Ucraina o della Bielorussia. Le operazioni possono riguardare anche l’approvvigionamento delle materie prime o dei semilavorati. I rapporti con i due Paesi dell’Est europeo devono incidere per almeno il 20% del fatturato aziendale complessivo;
  • il prezzo medio delle materie prime e dei semilavorati nel trimestre precedente a quello di entrata in vigore del provvedimento di legge deve risultare aumentato di almeno il 30% rispetto al prezzo medio di acquisto degli stessi materiali del medesimo trimestre del 2019. Per le imprese costituite nell’anno 2020 si fa riferimento al prezzo medio di acquisto dello scorso anno.

Come si calcola l’ammontare del contributo a fondo perduto delle imprese per gli aiuti della crisi in Ucraina?

Il calcolo dell’ammontare del contributo a fondo perduto spettante alle imprese per la crisi in Ucraine segue un determinato meccanismo. Infatti:

  • si applica una percentuale alla differenza tra il totale medio dei ricavi del trimestre precedente a quello nel quale sia entrato in vigore il decreto e il totale dei ricavi medi del medesimo trimestre del 2019;
  • sulla differenza ottenuta, gli aiuti ammontano alla percentuale del 60% se i ricavi medi del 2019 superano i 5 milioni di euro;
  • del 40% per ricavi dello stesso periodo tra i 5 milioni di euro e i 50 milioni di euro;
  • per le imprese nate a partire dal 1° gennaio 2020, l’anno di imposta di riferimento è quello del 2021.

Come presentare domanda per i contributi a fondo perduto delle imprese per la crisi in Ucraina?

Per la presentazione delle domande occorre attendere il decreto del ministero per lo Sviluppo Economico (Mise) che stabilirà le modalità di erogazione dei contributi a fondo perduto per le imprese investite dalla crisi in Ucraina. Nel provvedimento verranno chiariti i requisiti per l’accesso al bonus, le scadenze e le modalità di presentazione della domanda.

Effetto Ucraina, bollette e nuova stangata per le famiglie

L’effetto Ucraina, anche dal punto di vista economico, sta producendo degli effetti negativi. Bollette su, nuova stangata per le famiglie, facciamo il punto della situazione.

Effetto Ucraina, ancora su il prezzo del gas

A seguito delle sanzioni imposte dai rappresentanti del G7, la Russia non ha tardato a dare la sua risposta. Infatti, l’interruzione del gasdotto Yamal- Europa, ha fatto registrare un costante aumento dei prezzi del gas. Ad Amsterdam le quotazioni del gas sono volate alla cifra record di 208 euro al megawattora. Quindi è ora di tentare nuovi accordi che permettano all’Europa di rifornirsi.

Tuttavia nel vecchio continente sembra che le scorte siano sufficienti per tutto l’inverno, ma occorre prevenire la situazione, qualora il cessate il fuoco, non venisse firmato. Ma i reali effetti di quello che sta accadendo oggi, si sentiranno a luglio, con 140 euro al megawattora per il gas. Gli aumenti saranno per tutti imprese e famiglie, senza alcuna distinzione, nonostante i primi interventi approntati dal nostro governo.

Continua a salire anche il prezzo della benzina

Due euro a litro e quanto si paga la benzina in questo momento. Anche il gasolio è aumentato, se pur meno rispetto alla benzina. Aumenti che sono dovuti a tanti fattori. Il primo è dato dal costo del singolo barile. Ma non solo, a pesare c’è anche alla debolezza dell’Euro sul dollaro. E che dire delle accise, sempre presenti, nonostante la situazione odierna.

Oltre a quanto detto cominciano a scarseggiare anche il quantitativo di benzina presente sul territorio italiano. Ma la guerra continua e anche alcune compagnie petrolifere fanno sentire la loro voce. Infatti il gigante russo del petrolio Lukoil ha chiesto di porre fine rapidamente alla guerra in Ucraina. E’ stata la prima compagnia nazionale ad opporti all’inversione del Paese da parte di Mosca.

Effetto Ucraina, il caso delle acciaierie

Un altro problema è quello legato alla scarsità dei metalli che l’Italia importa proprio dalle terre di guerra. In questo momento di conflitto, l’Italia rischia di bloccare il settore siderurgico. Nei giorni scorsi le acciaierie Ferriere Nord e le fonderie Zanardi hanno annunciato i primi fermi. Lo stabilimento Stellantis di Melfi chiuderà invece la prossima settimana, a causa delle difficoltà di rifornire le centraline a motore.

Oltre agli aumenti luce, gas c’è quello del grano. La Russia e l’Ucraina rappresentato quasi un terzo del commercio mondiale di grano. Sulla borsa di Parisi una tonnellata di grano si acquista a 400 euro (38% di incremento). Prezzi su anche per mais, frumento, avena. Inoltre l’Ucraina è il secondo fornitore di mais per l’Italia. Quindi l’Italia importa circa il 64% del grano tenero per pane e biscotti. Ed ancora il 44% di grano duro per la pasta, il 47% di mais e soia. Elementi base per molti dei prodotti maggiormente apprezzati dagli italiani.

 

 

 

Stato di emergenza fino a 31 dicembre 2022 per crisi in Ucraina

L’Italia ha deliberato lo Stato di Emergenza per la crisi umanitaria in Ucraina, lo stesso consente di adottare decisioni straordinarie per affrontare gli effetti di questa crisi che ci coinvolge sempre più. Ecco cosa prevede il decreto.

Stato di Emergenza: le parole del Presidente del Consiglio  Mario Draghi

Il decreto del 1° marzo 2022 adotta lo stato di emergenza fino al 31 dicembre 2022, prevede uno stanziamento 10 milioni di euro, a carico del Fondo per le emergenze nazionali, al fine di prestare soccorso e assistenza alle popolazioni dell’Ucraina. Il Presidente del Consiglio Mario Draghi ha sottolineato che lo stato di emergenza proclamato non andrà a influire sul termine dello stato di emergenza proclamato per far fronte all’emergenza Covid 19 e che termina il 31 marzo, inoltre non porterà cambiamenti per gli italiani. Si tratterebbe solo di uno strumento volto ad affrontare la crisi umanitaria in Ucraina.

Aiuti e accoglienza ai profughi dell’Ucraina

Si è previsto l’incremento di risorse del Ministero dell’Interno per attivazione, locazione e gestione dei centri di trattenimento e di accoglienza, i posti avranno un incremento complessivo di 13.000 unità. La spesa gestita dal Ministero degli Interni sarà di 54,1 milioni nel 2022. Dei 13.000 posti, 3000 unità saranno gestite attraverso il Sistema di Accoglienza e Integrazione (SAI) gestisti dagli enti locali e diretti soprattutto a nuclei familiari e persone vulnerabili. In questo caso la spesa prevista è di 37,7 milioni nel 2022 e 44,9 milioni di euro per ciascuno dei due anni 2023 e 2024.

Invio di armi

Lo stato di emergenza prevede però anche altro, comporta fino al 31 dicembre 2022, ( decisione già  ratificata dal Parlamento con maggioranza trasversale) la cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore del governo dell’Ucraina derogando di fatto alla legge 185 approvata nel 1990 e che vieta l’esportazione di armi verso i Paesi in conflitto armato. Deve però essere sottolineato che è top secret la tipologia di armamenti che sarà inviata e la quantità, voci di corridoio parlano di missili anticarro e antiaereo, ma anche mitragliatrici e naturalmente munizioni.

Piano di riduzione programmata dell’uso del gas

Nel decreto che proclama lo stato di emergenza è previsto anche il razionamento dell’uso del gas: viene sottolineato che in questo momento non vi è alcuna emergenza, ma nel caso in cui in futuro le cose dovessero cambiare, è già pronto il piano di riduzione programmata del consumo di gas. Le misure dovranno essere adottate dal Ministro della Transizione Ecologica attraverso provvedimenti e atti di indirizzo che dovranno essere comunicati al Consiglio dei Ministri nella prima seduta successiva all’adozione. Questo implica che il ministro, per ora Cingolani, potrà agire senza un preventivo assenso del Consiglio dei Ministri.

Il piano prevede il razionamento del gas utilizzato dalle centrali per la produzione di energia elettrica e la massimizzazione della produzione da altre fonti. Le altre fonti sono rappresentate da carbone, olio combustibile ed energie rinnovabili. Agli impianti ad olio combustibile e carbone si applicheranno i limiti alle emissioni inquinanti previsti dall’Unione Europea e non quelli nazionali. I secondi sono maggiormente restrittivi, in poche parole sarà possibile inquinare di più per far fronte al fabbisogno energetico.

Sarà Terna, in quanto gestore della rete, a dover gestire queste delicate operazioni attraverso nuovi compiti che gli saranno affidati.

Ulteriori misure adottate dall’Italia

Il decreto, infine, prevede misure di sostegno a studenti, docenti e ricercatori di nazionalità ucraina un apposito fondo con una dotazione pari a 500 mila euro da iscrivere nello stato di previsione del Ministero dell’università e della ricerca.

Occorre ricordare che tra le decisioni assunte in questi giorni per far fronte all’emergenza, c’è anche l’invio di soldati ai confini dell’Ucraina. Si provvede al potenziamento della presenza in Romania e Lettonia, saranno inviati 4 aeroplani nella base di Mihail Kogalniceanu di Costanza. Il governo mette a disposizione anche ulteriori 1400 uomini dell’Eservcito, della Marina e dell’Aeronautica. I militari non saranno impiegati nel conflitto nei territori di Russia e Ucraina, ma ai confini in modo da attivare un servizio di sorveglianza dello spazio aereo e marino.

Sistema Swift: cos’è, perché è importante e cosa comporta il blocco?

Negli ultimi giorni sentiamo spesso parlare di sistema Swift in relazione alle sanzioni comminate alla Russia in seguito all’invasione dell’Ucraina, ma cos’è esattamente il sistema Swift e perché è così importante?

Cos’è il codice SWIF e perché è importante?

Il codice Swift è una realtà quotidiana che riguarda ognuno di noi, ma fino a pochi giorni fa nessuno lo sapeva, oppure conosceva la sua esistenza senza però capirne utilità e funzionalità. Il termine Swift è acronimo di Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication, si tratta di una società cooperativa nata nel 1973 e che è sottoposta al controllo della BCE, Federal Reserve e la Banca Centrale Belga e altri istituti centrali dislocati in varie parti del mondo.

L’obiettivo è consentire transazioni rapidissime a livello globale e questo perché la cooperativa è impegnata nel rendere tutte le transazioni sicure e rapide attraverso controlli telematici. Il fatto che sia sottoposta a controllo di banche centrali praticamente di tutto il mondo e che sia utilizzato da 10 mila aziende e istituti finanziari per le transazioni, rende il sistema SWIFT un nodo centrale nell’economia mondiale. Ordini, acquisti, pagamenti di soggetti privati o di aziende, e quindi anche con alti volumi, passano attraverso questo sistema.

Dove trovo il codice Swift della mia banca e quando devo usarlo?

Ad ogni banca che usa il sistema Swift viene assegnato un codice da 8 o 11 caratteri denominato appunto codice SWIFT, si tratta di un codice univoco che identifica la singola banca.

  • I primi 4 caratteri rappresentano il codice bancario;
  • i successivi 2 caratteri il Paese, ad esempio per l’italia IT;
  • seguono 2 lettere o due numeri che individuano la località;
  • gli ultimi 3 caratteri sono opzionali e individuano la filiale di riferimento, in alternativa a questi sono indicate XXX ed indicano uffici centrali della banca.

All’interno di un bonifico il codice Swift viene indicato solo per i pagamenti internazionali, si tratta di una sorta di IBAN che però opera a livello sovranazionale. Proprio il fatto che l’indicazione esplicita sia richiesta solo per queste tipologie di pagamento, fa in modo che generalmente le banche segnalino al cliente tra le coordinate bancarie solo il codice IBAN, mentre non segnalano il codice Swift, che potrà comunque essere richiesto alla propria filiale nel caso in cui dovesse essere necessario utilizzarlo.

Il blocco dello Swift delle banche russe sta creando problemi alla popolazione che quotidianamente effettua pagamenti, ma l’obiettivo non è questo, o almeno non è questo il principale. Tra i cambiamenti immediati c’è stata l’impossibilità di accedere ai pagamenti attraverso i sistemi Visa e Mastercard, quindi con i pagamenti digitali bloccati si ritorna all’uso prevalente del contante.

Perché il blocco del sistema Swift si utilizza come “arma di guerra”?

Tra le transazioni che passano attraverso il sistema Swift ci sono quelle per l’acquisto di gas dalla Russia da parte dell’Europa, ma non solo, anche da parte di tutti gli altri Paesi che sfruttano le risorse energetiche di questo Paese. Affari di diversa natura intercorrono invece con gli Stati Uniti. Ne consegue che escludere la Russia dai sistemi di pagamento vuol dire tagliare di netto la fornitura economica che alimenta le casse della Russia e consente di avere armi che saranno poi utilizzate contro l’Ucraina.

Non si tratta di una decisione senza conseguenze perché questo taglio, da un lato rischia di mettere in ginocchio la Russia, ma dall’altro mette in difficoltà i Paesi che non hanno autonomia energetica, tra cui l’Italia che sicuramente per un breve periodo può garantirsi una certa autosufficienza, ma nel tempo potrebbe avere notevoli difficoltà. L’Italia dipende dal gas russo per circa il 46% del fabbisogno. Dai dati resi noti dal Ministero della Transizione Ecologica emerge che nel 2020, l’Italia ha importato quasi 66,4 miliardi di metri cubi di gas naturale, di cui il 43,3% (pari a circa 28,6 miliardi di metri cubi) dalla Russia.

Al fine però di evitare il blocco del gas proveniente dalla Siberia, la Commissione UE al tavolo Coreper che riunisce gli ambasciatori dei 27 Paesi Membri dell’Unione Europea ha proposto di escludere dal blocco dei codici Swift quello di Gazprombank cioè la banca attraverso la quale l’ENI effettua le transazioni per l’approvvigionamento del gas.

Escludere la Russia del sistema Swift non vuol dire bloccare ogni flusso di denaro, ma semplicemente costringe il colosso ad adottare circuiti lenti per le sue transazioni.

I precedenti

Deve essere ricordato che non è l’unica volta in cui si è proceduto a questa tipologia di sanzione, infatti già nel 2012 si era provveduto all’esclusione dal sistema Swift dell’Iran. L’obiettivo in quel caso era fermare il programma nucleare. Da quella decisione derivò un notevole calo di PIL dovuto proprio a questa sanzione.

Rispetto al 2012 però qualcosa è cambiato, infatti, la Cina non si è schierata, ma da sempre esprime posizioni vicine alla Russia. Entrambe queste potenze avevano provato in passato a creare un sistema analogo, tentativo poi fallito a causa delle scarse adesioni, ma ora la Cina lavora in modo assiduo alla creazione di piattaforme digitali (yuan) e crypto asset che potrebbero essere rese disponibili alla Russia, superando così anche questo ostacolo. Rispetto al blocco all’Iran c’è anche un’altra differenza e cioè il livello di operazioni internazionali eseguite che per la Russia è molto più elevato e proprio a causa di questo fattore, oltre che al bisogno di gas, si è pensato non a un blocco totale, ma parziale con salvaguardia di alcuni istituti finanziari.