Made in Italy, a Roma un’esposizione per salvare le eccellenze dalla contraffazione

Ha aperto i battenti giovedì 13 gennaio a Roma “Il Falso non ha senso“, la prima esposizione dedicata all’originalità e alla tutela del Made in Italy. L’esposizione organizzata e promossa dal Ministero dello Sviluppo Economico e da Unioncamere, è aperta al grande pubblico fino al 6 febbraio con l’intento di sensibilizzare e far conoscere il fenomeno della contraffazione, evidenziandone le conseguenze sia sul sistema produttivo che per i consumatori e valorizzando, al contempo, l’originalità dei prodotti italiani.

Nella cornice di Palazzo Ruspoli, nel cuore storico e culturale della Capitale, il percorso espositivo vede protagoniste dell’evento alcune aziende leader del Made in Italy nel mondo e particolarmente colpite dalla contraffazione.

Moda e accessori, motori, design, prodotti per l’infanzia, il mondo della cosmesi, oltre all’industria alimentare, sono le categorie merceologiche coinvolte, unite da un percorso sensoriale ideato per esaltare i prodotti e i marchi, permettendo ai visitatori di apprezzare l’originalità e la creatività dei prodotti italiani.

È tempo di previsioni: cosa ci aspetta nel 2011? Ecco a voi quelle di Unioncamere

Certo stiamo alla fine dell’anno ed in questo periodo si affollano in edicola ed in tv gli almanacchi astrologici per il nuovo anno. C’è chi preferisce Branko, chi Paolo Fox, chi Haruspex…. Noi preferiamo Unioncamere che assieme a Prometeia (il principale gruppo italiano per la consulenza e la ricerca economica e finanziaria attivo sull’intero territorio nazionale) ci fornisce una dettagliata previsione economica sul nostro Paese per il prossimo anno.

Secondo gli scenari elaborati, nel 2011 crescerà il Pil in Italia e ancora una volta a fare da traino c’è il Nord-Ovest che incrementerà il Pil dell’1,6%, contro una media nazionale prevista dell’1,3%.

Mentre nel 2010 il risveglio dalla crisi sembra aver interessato prima e con maggior intensità il Nord-Est (+1,8% l’aumento del Pil atteso per il 2010 a fronte di un incremento medio dell’1,2%), nel 2011 saranno infatti le regioni del Nord-Ovest quelle che, nel complesso, dovrebbero registrare le performance migliori, tallonate a brevissima distanza da quelle del Nord-Est (+1,5%).

La regione che dovrebbe crescere più delle altre pare debba essere la Lombardia, che dovrebbe arrivare ad un +1,8%, la seconda regione dovrebbe essere l’Emilia Romagna con l’+1,6%. Quindi, a pari merito, Piemonte, Veneto, Friuli Venezia-Giulia, dove il Prodotto interno lordo dovrebbe crescere dell’1,5% nel 2011.

Decisamente più lenta la ripresa al Centro (+1,1%), dove solo le Marche potrebbero arrivare a superare, sebbene di poco, la media nazionale (+1,4%).

Passo lento e pesante, invece, quello del Mezzogiorno (+0,8%), con la Sicilia (+1,1%) che spinge più delle altre e la Campania (+0,5%) che invece fatica di più.

Ma come crescerà il Pil nel 2011? A spingere l’economia nostrana verso l’uscita dalla crisi saranno soprattutto le esportazioni, che, dopo il sensibile recupero atteso per quest’anno (+7,3% il dato stimato per il 2010), dovrebbero proseguire la loro corsa nel 2011, mantenendo un ritmo di crescita ancora consistente (+5,2%). Le attese migliori si confermano quelle del Nord-Ovest (+6,1%), seguite da quelle del Nord-Est (+5,7%). Più debole la dinamica, invece, del Centro (+3,8%) e del Sud (+2,6%).

Sarà la Lombardia a proseguire e irrobustire il percorso di recupero delle sue esportazioni rispetto al 2010: +7% l’aumento atteso nel 2011 dopo il 4,2% con il quale dovrebbe chiudersi il 2010. Alle spalle di questa regione e su valori superiori alla media nazionale si dovrebbero posizionare il Veneto (+6,3%), l’Emilia Romagna (+5,9%), la Calabria (+5,4%). Molise (0%) e Valle d’Aosta (+0,5%) mostreranno invece una sostanziale staticità.

A frenare un po’ la crescita però ci saranno i consumi interni che in tutte le ripartizioni dovrebbero registrare nel 2011 incrementi piuttosto modesti (+0,7% il dato medio). Sopra la media si dovrebbero collocare soprattutto le regioni del Centro (+0,9%), seguite da quelle del Nord-Est (+0,8%). Tra le regioni, gli andamenti migliori sono attesi in Trentino-Alto Adige, Lazio ed Umbria (+1,0%). Sul fronte opposto, la classifica regionale vede Sardegna, Molise e Abruzzo nelle posizioni di retroguardia (+0,3%).

Continueranno invece la salita già intrapresa quest’anno, gli investimenti fissi lordi (+2,5% atteso nel 2011), rafforzando così il recupero previsto per il 2010 (+2,2%). Più sensibile la propensione ad investire delle regioni del Nord (+2,7% in entrambe le ripartizioni) seguite da quelle del Centro (+2,5%). Sempre distaccato invece il Mezzogiorno (+2,0%). A livello territoriale, emerge lo sforzo dell’Emilia-Romagna (+3,0%), inseguita da vicino da Piemonte e Lombardia (+2,8%). Sul fronte opposto si collocano invece Molise (+1,5%) e Calabria (+1,6%).

Insomma, le previsioni per il 2011, dopo questi due anni terribili, sembrano riaccendere la luce sull’economia del nostro Paese. Noi, ottimisti di natura, siamo fiduciosi e restiamo a guardare ed ad incoraggiare la crescita. Avanti Italia, dalla crisi si può uscire!

L’Emilia Romagna alla conquista del Sud America: missione imprenditoriale in Brasile e Perù

Unioncamere, con l’organizzazione tecnica di Promofirenze e la collaborazione di Unioncamere Emilia-Romagna,  ha organizzato una missione imprenditoriale multisettoriale che vedrà impegnate alcune imprese dell’Emilia Romagna in Brasile ed in Perù fino al prossimo venerdì. La missione prevede tappe a San Paolo e Lima dove sono in programma incontri b2b con operatori locali sulla base di un’agenda prefissata. Il Brasile produce da solo oltre il 50% del Pil sud americano ed è destinato secondo gli analisti a diventare la quinta potenza al mondo entro il 2013, mentre il Perù è un Paese che sta mostrando un alto ritmo di crescita. Meccanica, prodotti chimici e plastici, agroalimentare, sono i settori trainanti del rapporto tra le imprese emiliano romagnole e quelle di paesi dell’ America Latina che offrono un’incredibile varietà di possibilità imprenditoriali: materie prime, prodotti finiti e forza lavoro, in una vasta gamma di settori produttivi. Secondo i dati Istat relativi al primo semestre del 2010, nonostante rappresentino solo una quota del 3,5%, le esportazioni regionali hanno realizzato nel semestre un incremento del 35,9%, ben superiore all’aumento del 19,7% registrato dall’export totale e anche al + 28,8 % delle esportazioni italiane verso l’America Centro-Meridionale. Nel primo semestre l’export regionale verso l’area è stato di 710 milioni di euro pari al 14% del livello nazionale con un incremento nel periodo di quasi il 36%.

Nuove imprese in Italia: 30 mila imprese in più nel terzo trimestre 2010

Che siano già i segnali della ripresa economica, o gli strascichi di una crisi che ha costretto tanti ad inventarsi un lavoro, questo le statistiche ancora non ce lo suggeriscono. Possiamo intuirlo. Ma è pur vero che la ripresa economica passa anche per il coraggio e la voglia di intraprendere. Quindi sapere che nel terzo trimestre del 2010 sono aumentate le imprese, è sicuramente una notizia che ci entusiasma. Infatti, dopo il buon risultato del secondo trimestre, tra luglio e settembre il saldo tra imprese iscritte e cessate ai registri delle Camere di commercio, è stato positivo di 29.627 unità, un terzo in più di quanto rilevato nello stesso periodo del 2009. Secondo i dati diffusi da Unioncamere, sulla base di Movimprese, la rilevazione condotta da InfoCamere a partire dai dati del Registro delle Imprese delle Camere di Commercio,  il trimestre estivo evidenzia anche un rallentamento nella crescita delle aperture di procedure fallimentari rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso (+13,8% contro +38%).

In particolare, le 85.220 nuove imprese iscritte rappresentano il valore più alto di tutti i corrispondenti trimestri dal 2003 ad oggi. Rispetto al dato dello scorso anno (quando nello stesso periodo le nuove iscrizioni furono 79.488), in termini assoluti la natalità ha fatto registrare un miglioramento del 7,21%. Le 55.593 imprese cessate, invece, risultato inferiori del -9,33% rispetto al dato del 2009, quando a chiudere i battenti furono ben 61.314 imprese. Come effetto di queste due favorevoli dinamiche, il saldo del terzo trimestre dell’anno è il secondo miglior risultato tra quelli degli ultimi otto, dopo quello del 2004, in netta ripresa (+63%) rispetto al 2009. Il buon risultato non si riflette appieno nell’andamento delle imprese artigiane, aumentate solo dello 0,24% (3.543 unità in più rispetto a fine giugno). In termini assoluti, a incidere positivamente sul saldo sono state soprattutto la crescita delle Società di capitali (+11.124 nel periodo), la tenuta del settore commerciale e dei servizi turistici (che insieme hanno determinato un terzo del saldo complessivo), il rilancio delle Ditte individuali che fanno registrare un saldo quasi quattro volte superiore a quello dello stesso periodo dello scorso anno (+15.082 unità, contro le 3.806 del 2009), cui hanno dato un forte contributo le imprese avviate da cittadini extra-comunitari, cresciute di 4.354 unità, il 28,9% del saldo trimestrale di tutte le Ditte individuali.

“Motivi di fiducia e, ancora, diversi campanelli di allarme”. Questo il primo commento ai dati Movimprese del Presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello. “Da un lato l’impresa continua ad essere considerata dagli italiani una risorsa importante per rispondere alle sfide più difficili, come quella della perdita del lavoro, prendendosi delle responsabilità e affrontando il mercato. Nei primi nove mesi dell’anno il bilancio demografico è positivo per oltre 60mila imprese. Dall’altro, pur rallentando, l’andamento dei fallimenti ci dice che gli effetti della crisi non si sono ancora esauriti e che continueremo a scontarli ancora per molti mesi. Il compito delle istituzioni in questa fase – ha aggiunto Dardanello – è di sostenere l’impresa. Per questo bisogna mantenere alto l’impegno a semplificare le norme per lo svolgimento delle attività d’impresa e a non far mancare il credito indispensabile per garantire investimenti e occupazione. Accanto a questo è urgente completare le riforme già avviate, come quella per l’internazionalizzazione, e accelerare il passo su una riforma fiscale a misura di piccole imprese e famiglie”.

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Nino Ragosta

Donne imprenditrici: sono più forti degli uomini.

In Italia le donne che guidano un’impresa individuale sono circa 862 mila. Rispetto a cinque anni fa sono circa 25 mila in meno, ma ciononostante sembra stiano resistendo meglio dei colleghi maschi alla crisi che ha attraversato il Paese, tanto da diminuire di solo lo 0,06 tra dicembre e giugno scorsi di fonte a una flessione delle imprese individuali totali (-0,33%). Non solo, mettersi in proprio e creare un’impresa rappresenta un’opportunità alla quale ricorrono in misura maggiore, rispetto al sesso forte, le giovani donne, specie se immigrate.

Queste sono alcune delle tendenze emerse dai dati sulle imprese individuali femminili, presentati in occasione dell’avvio a Cagliari del “Giro d’Italia delle donne che fanno impresa”.

L’iniziativa, promossa da Unioncamere insieme alle Camere di commercio e ai Comitati per l’imprenditoria femminile, si articolerà in 9 tappe sul territorio nazionale. Sarà un’occasione per le diverse componenti istituzionali, associative e della società civile di analizzare le peculiarità, caratteristiche ed eventuali criticità dell’universo femminile che svolge un’attività d’impresa privata e, più in generale, dell’inserimento delle donne nel mercato del lavoro.

AAA, giovani imprenditori cercansi. Invano…

di Davide PASSONI

Partiamo da una notizia pubblicata nei giorni scorsi su Infoiva che ha creato un buon dibattito tra i nostri fan su Facebook: pare che in Italia diminuisca il numero di imprenditori under 30 mentre aumentano quelli over 70. Secondo Unioncamere, promotore della ricerca dalla quale è emersa questa tendenza, si tratta di un riflesso del trend demografico del Paese sulla struttura portante della nostra economia. Siamo sicuri che sia soltanto questo? O meglio, perché, stando a queste cifre, i giovani italiani scelgono di non essere imprenditori?

Togliamo subito di mezzo un equivoco: noi non siamo di quelli che vedono le nuove generazioni come svogliate, incapaci di accollarsi responsabilità personali e sociali, impegnate solo nel rimandare sine die l’uscita dal nido genitoriale. Insomma, per noi l’equazione di padoaschioppana memoria “30enne = bamboccione” non esiste. Prova ne è il fatto che, almeno nel campo della cosiddetta new economy e dei nuovi media, le idee imprenditoriali vincenti che hanno preso il via da giovani capaci ed entusiasti ci sono.

Pensiamo invece che l’accesso all’imprenditorialità da parte dei giovani sia in calo perché scoraggiato da più fattori, tre dei quali pesano più di altri.

1- La giungla normativa – e perdonateci se abbiamo questo chiodo fisso – che accoglie oggi chi vuole aprire un’attività, piccola o grande che sia. Stiamo ancora aspettando che il governo batta un colpo in tal senso – al di là del fatto che è stato più facile portare Ibrahimovic al Milan che indicare il nuovo ministro dello Sviluppo Economico – e che si vada oltre i proclami. Rimettere al centro della sua azione la politica economica, come chiesto con forza da Napolitano nei giorni scorsi, significa anche semplificare.

2- Un accesso al credito per nulla facile, che impone molte più garanzie di quelle che gli istituti stessi, a parti invertite, sarebbero in grado di onorare. Per quanto sia vero che negli ultimi anni le cose sono migliorate, c’è ancora tanto da lavorare.

3- Una preparazione accademica che in realtà, salvo poche eccezioni, non prepara in maniera efficace l’ingresso al mondo del lavoro tanto da dipendente quanto da imprenditore. Non a caso, molta imprenditoria giovanile si è formata direttamente sul campo più che nelle aule universitarie.

Risultato: come ben sintetizzato dal titolo del nostro articolo, “L’Italia è un Paese per vecchi (imprenditori)” e, come ben sintetizzato da alcuni nostri lettori “tocca darsi una mossa”.

E voi, siete giovani imprenditori e volete raccontarci la vostra storia? Oppure avreste voluto esserlo ma avete mollato il colpo? O ancora, vorreste diventare imprenditori ma avete dubbi e timori? Scriveteci, parlate: su Infoiva vi daremo spazio, sempre.

L’Italia è un paese per vecchi (imprenditori)?

Secondo una ricerca presentata da Unioncamere durante lo scorso Meeting di Rimini, sembrerebbero diminuire gli imprenditori “under 30” a fronte di un aumento degli “over 70” alla testa delle imprese italiane.

Si alza l’età media della popolazione, così genitori e nonni restano in sella dell’azienda di famiglia più a lungo, i tempi di uscita dall’università si allungano e trovare un imprenditore con meno di trent’anni è diventato più difficile. A distanza di otto anni (tra la fine di giugno del 2002 e la fine dello stesso mese di quest’anno) mancano, infatti, 65.358 nomi all’appello dei titolari di imprese individuali con meno di trent’anni, iscritti nei registri delle Camere di commercio italiane. Una riduzione pari al 23,5% dello stock di tutti i giovani imprenditori al di sotto di questa soglia di età, e che è responsabile del 90% della diminuzione complessiva di imprese individuali (75.529) avvenuta in Italia nel periodo considerato. Gli imprenditori “junior” sono oggi il 6,3% del totale (otto anni fa erano l’8,1), mentre la quota dei “senior” è salita al 9,2% (erano l’8,5 nel 2002).

“L’invecchiamento della società italiana sembra specchiarsi nella struttura portante della nostra economia, quei 3 milioni e mezzo di piccole imprese individuali, la maggior parte artigiane, che tengono insieme i fili del nostro tessuto imprenditoriale”. Ha commentato così questi dati il Presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello.

“E’ un quadro – ha detto Dardanello – che desta preoccupazione, perché si ritarda l’ingresso nel mercato di tante energie nuove, quelle che scaturiscono dalle menti più giovani e, anche per questo, potenzialmente più ricche di immaginazione. Quell’immaginazione che, assieme alla competenza, è la materia prima del Made in Italy, dunque un bene preziosissimo che non va sprecato. L’imprenditorialità è un talento che va invece coltivato fin dall’esperienza scolastica, favorendo la conoscenza e lo studio dei meccanismi di mercato e valorizzando le idee innovative dei giovani attraverso una contaminazione precoce con l’esperienza aziendale”.

La diagnosi d’invecchiamento della classe imprenditoriale italiana viene confermata, all’estremo opposto della scala anagrafica, dal significativo aumento dei titolari “over 70”, cresciuti nel periodo preso in esame di 16.481 unità (pari ad una crescita del 5,2% nel periodo). In termini relativi, in questi ultimi otto anni il peso percentuale dei giovani imprenditori sul totale è passato dall’8,1 al 6,3%, mentre quello degli ultrasettantenni è lievitato dall’8,5 al 9,2%.

Osservando le altre due fasce di età prese in considerazione dall’analisi (quelle fra i 30 e i 49 e fra i 50 e i 69 anni), emerge chiaramente come l’unica ad espandersi sia stata la prima (28.856 unità, pari ad una crescita dell’1,8%), mentre per la seconda si registra una diminuzione di 52.508 unità (corrispondenti ad una riduzione del 4,3% rispetto all’inizio del periodo).

Il bollino DOC per la ristorazione italiana

L’Italia, per uno straniero su dieci, è sinonimo di ottimo cibo. Un vanto, certo, ma il rovescio della medaglia si chiama contraffazione alimentare: i prodotti agroalimentari italiani sono infatti i più imitati al mondo, con una perdita annuale potenziale per i produttori di 50 miliardi di euro.

Alla salvaguardia del settore agroalimentare punta il progetto ‘Ospitalità italiana, Ristoranti italiani nel mondo‘, realizzato da Unioncamere, Isnart (Istituto nazionale ricerche turistiche) e Assocamere Estero; con questo progetto, grazie al contributo delle associazioni imprenditoriali del settore, come la Fipe, e dei Ministeri degli Esteri, dello sviluppo Economico, dei Beni culturali e del Turismo, i ristoranti italiani nel mondo potranno certificare la propria ‘italianità’ e qualità con un bollino DOC.

L’iniziativa, presentata nei giorni scorsi a Roma nella sede di Unioncamere in occasione dell’undicesimo meeting dei segretari generali delle Camere di commercio italiane all’estero, è stata così commentata dal presidente di Unioncamere Ferruccio Dardanello: “Se con questo progetto riducessimo di un centesimo il fatturato realizzato con i prodotti imitati o contraffatti, recupereremmo al made in Italy 500 milioni di euro“. “In questo modo – ha proseguito Dardanello – chi ha intrapreso la strada della gastronomia italiana all’Estero assume un ruolo di fondamentale interesse per l’economia nazionale contribuendo a valorizzare l’immagine dell’Italia nel suo complesso“. “La tutela del made in Italy è la prima battaglia del nostro Paese e quest’iniziativa si inserisce in un piano più ampio di lotta alla pirateria che il Ministero dello Sviluppo economico sta promuovendo“, ha chiosato il viceministro allo Sviluppo Economico, Adolfo Urso.

Imprese italiane all’estero: 100 imprese in Giordania e Libano.

Saranno 103 le aziende, provenienti da 14 regioni ed operanti in 17 settori merceologici che parteciperanno alla missione promossa da Unioncamere, Ice e Promos per promuovere l’imprenditoria italiana in Giordania e Libano, dove margini di crescita sono rilevanti, visto che quest’area rappresenta meno del 10% del volume complessivo dei nostri scambi commerciali.

Tra i settori merceologici, le rappresentanze più numerose saranno quelle nell’arredamento e design (33 imprese), energia e ambiente (19 le presenze), infrastrutture e costruzioni (18) e Servizi (17). Tra le regioni di provenienza, il drappello più numeroso in assoluto è quello del Veneto (27 le imprese partecipanti), seguito da Lazio (18) e Lombardia (16).

Made in Italy: arriva il marchio di qualità per 1.000 ristoranti italiani all’estero.

Per uno straniero su 10, l’Italia è sinonimo di “buon cibo” e quanti hanno avuto la possibilità di trascorrere una vacanza nel BelPaese promuovono la nostra cucina con un 8 pieno. Non a caso, le nostre produzioni agroalimentari sono anche le più imitate o “taroccate” al mondo. E a rimetterci non è solo il palato di ignari consumatori stranieri, convinti di acquistare vero prodotto made in Italy, ma anche il bilancio del settore agroalimentare, paradossalmente “derubato” di potenziali 50 miliardi di euro (tale la stima di Coldiretti del fatturato globale delle imitazioni o delle contraffazioni di prodotti tricolore).

E visto che l’Italia è la prima destinazione per vacanze enogastronomiche proposte dal turismo organizzato internazionale, vale la pena – questa l’idea del progetto “Ospitalità italiana, Ristoranti italiani nel mondo” – di far “assaggiare” a quanti sognano un viaggio in Italia i sapori più genuini del nostro Paese, promuovendo in questo modo i territori e l’Italian way of life nel suo complesso. Come? Attraverso i più incisivi ambasciatori del gusto e del palato, cioè i ristoranti italiani all’estero, che oggi hanno la possibilità di certificare la propria “italianità” e la qualità dei prodotti offerti alla clientela con un bollino DOC.

Il progetto, curato da Unioncamere, si avvale del supporto operativo di Isnart (Istituto Nazionale Ricerche Turistiche), del coinvolgimento della rete delle Camere di commercio italiane all’estero, coordinate da Assocamerestero, e del contributo delle associazioni imprenditoriali di settore, in particolare della Fipe, e vede la collaborazione dei Ministeri degli Esteri, dello Sviluppo economico, dei Beni culturali e del Turismo, i cui rappresentanti partecipano al Comitato di indirizzo dell’iniziativa.

 

Fonte: Unioncamere