Imprese, fine della crisi? Tra gennaio e marzo sono in ripresa le aperture.

La crisi allenta il morso sull’economia reale e la vitalità delle imprese italiane recupera i livelli del 2007, preannunciando il possibile ritorno alla stabilità nel corso del 2010. Sono state 123mila le imprese iscritte ai registri delle Camere di Commercio tra gennaio e marzo di quest’anno, 4.700 in più rispetto allo stesso trimestre del 2009. Un dato che segna un’inversione di tendenza apprezzabile rispetto agli ultimi due anni, segnati dall’esplosione della crisi internazionale: nei primi tre mesi del 2008, infatti, si registrarono circa 11.800 aperture in meno rispetto al 2007 e l’anno scorso la diminuzione rispetto al 2008 fu di ulteriori 12.200.

A questo recupero nella dinamicità delle iscrizioni ha fatto eco un sensibile rallentamento delle chiusure che, sempre tra gennaio e marzo, sono state di poco superiori a 139mila unità, oltre 10mila in meno rispetto al corrispondente periodo del 2009. Conseguentemente, il saldo tra aperture e chiusure di imprese nei primi tre mesi dell’anno si è attestato a –16.181 unità, risultato che si avvicina molto a quello registrato nel 2007 e che, soprattutto, dimezza quello del 2009 quando il “buco” all’anagrafe delle imprese, nei primi tre mesi dell’anno, era stato di oltre 30mila imprese. Ripresa delle aperture e rallentamento delle chiusure hanno determinato l’attestarsi del tasso di crescita trimestrale dello stock delle imprese al valore di –0,27% (contro il –0,5% fatto registrare nel primo trimestre dello scorso anno), portando il numero delle imprese presenti nei registri camerali a fine marzo al valore di 6.058.558 unità.

È questo il quadro di sintesi che emerge dai dati sulla nati-mortalità delle imprese italiane nel primo trimestre dell’anno fotografati attraverso Movimprese, la rilevazione trimestrale condotta per Unioncamere da InfoCamere – la società consortile di informatica delle Camere di Commercio italiane.

fonte: Uff. Stampa Unioncamere

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Le aziende del Made in Italy diventano price-maker.

Ferruccio Dardanello, presidente di Unioncamere

 Da un’indagine svolta da Unioncamere in cinque città d’europa (Amsterdam, Barcellona, Francoforte, Parigi e Stoccolma), è emerso che il 40 per cento dei prodotti di abbigliamento non ha alcuna dichiarazione d’origine, che il 57 per cento non è conforme alla composizione merceologica dichiarata, e che il 10 per cento presenta elementi cancerogeni. Anche in Italia, il 58,5 per cento dei capi di abbigliamento immessi sul mercato risulta senza indicazione di origine. I dati sono stati resi noti da Ferruccio Dardanello, presidente dell’Unione delle camere di commercio, intervenuto questa mattina al convegno di Symbola e Farefuturo “Il futuro Made in Italy”. “Le oltre 4.500 medie imprese, che rappresentano i campioni del Made in Italy – ha dichiarato Dardanello -, sono diventate negli scorsi anni dei veri e propri price-maker sui mercati internazionali. Queste imprese, infatti, hanno puntato su un modello aziendale improntato alla qualità, alla differenziazione, al contenuto di servizio al cliente, che ha consentito loro di vendere i prodotti principali a prezzi superiori di quasi il 20% a quelli del prodotto standard. Negli ultimi anni questo premium-price si è andato assottigliando, riducendosi al +2,5%. Ciò sta avvenendo perché, per conquistare fasce di mercato più ampie ed andare incontro a un modello di consumo più consapevole, rispettoso dell’ambiente e del consumo energetico, le imprese hanno puntato a potenziare ulteriormente altri fattori competitivi di tipo immateriale, cioè l’innovazione, il design, il marchio aziendale. Non a caso, dalle nostre indagini emerge che grazie a nuovi prodotti, e facendo sempre della qualità la propria bandiera, il 59% delle piccole e medie imprese manifatturiere conta di raggiungere altri e più promettenti mercati in Italia e all’estero mentre il 70% ha investito nell’innovazione”. “Ma questa spinta all’innovazione che emerge dal nostro tessuto produttivo – ha concluso Dardanello -, deve essere portata a sistema e deve essere sostenuta dalle istituzioni e dalla pubblica amministrazione. La tutela del Made in Italy è una linea di intervento politico fondamentale, alla quale vanno affiancate azioni di sostegno alla qualificazione dei prodotti, attraverso la tracciabilità, un’adeguata strategia di comunicazione e tanta formazione che valorizzi i saperi del territorio e dia futuro alle nostre produzioni di punta”.

fonte: ago press