Vino Made in Italy primo prodotto dell’export

Dopo aver brindato, con vino rigorosamente Made in Italy non solo in Italia ma anche all’estero, si comincia a fare il bilancio del settore, che per l’export ha aumentato del 7% le vendite stabilendo così un record storico di circa 6 miliardi di euro.

Coldiretti ha presentato questo risultato con entusiasmo, che conferma il vino come la prima voce dell’export agroalimentare nazionale. E se si pensa che questi dati più che positivi arrivano dopo una vendemmia che è stata tra le più difficili e povere dal dopoguerra, e relativo taglio del 26% della produzione, sicuramente si tratta di un traguardo ancora più importante.

Nel 2018, dunque, si dovrà fare a meno di una bottiglia su quattro, ma nonostante questo l’Italia sta mantenendo il primato mondiale tra i produttori, anche davanti alla Francia, con circa 40 milioni di ettolitri destinati per oltre il 40% ai 332 vini a denominazione di origine controllata (Doc) e ai 73 vini a denominazione di origine controllata e garantita (Docg), il 30% ai 118 vini a indicazione geografica tipica (Igt) riconosciuti in Italia e il restante 30% a vini da tavola.

Gli Stati Uniti rimangono il maggiore cliente, tanto che è stato registrato, nel 2017, un incremento in valore del 6%. Percentuale positiva del 3% è stata registrata in Germania, che rimane al secondo posto, e dell’8% nel Regno Unito, ancora molto attivo e ammiratore dei prodotti Made in Italy.

Nonostante il podio sia questo, l’aumento percentuale migliore e decisamente più consistente è quello registrato dalla Russia, con una crescita del 47%, anche grazie al fatto che il vino è uno dei pochi prodotti agroalimentari Made in Italy non colpiti dall’embargo.
Buone performance sono state anche quelle raggiunte dalla Cina, del 25%, dove però la presenza rimane limitata rispetto ai concorrenti francesi che hanno superato quest’anno l’Italia anche sul mercato statunitense.

Vera MORETTI

Export del vino Made in Italy da record

Record assoluto per l’esportazione di vino Made in Italy, che è aumentata del 7% in valore, e che, se manterrà questo trend fino a fine anno, raggiungerà i 6 miliardi di euro, diventando la prima voce dell’export agroalimentare nazionale, come confermato dai dati della Coldiretti presentati durante il Congresso di Assoenologi al quale ha partecipato il presidente Roberto Moncalvo.

Si tratta di una notizia importante, alla luce di una vendemmia, quella del 2017, che, appena conclusasi, è stata una delle più povere dal dopoguerra, tanto che sono previste perdite di produzione del 26%.
Nonostante questo, l’Italia dovrebbe riuscire a mantenere il primato mondiale tra i produttori, rimanendo dunque davanti alla Francia, con circa 40 milioni di ettolitri destinati per oltre il 40 per cento ai 332 vini a denominazione di origine controllata (Doc) e ai 73 vini a denominazione di origine controllata e garantita (Docg), il 30 per cento ai 118 vini a indicazione geografica tipica (Igt) riconosciuti in Italia e il restante 30 per cento a vini da tavola.

Considerando, per ora, l’andamento dell’export, le vendite sono aumentate del 6% in valore negli Usa, da sempre il principale cliente, del 3% in Germania al secondo posto e dell’8% nel Regno Unito che nonostante i negoziati sulla Brexit resta sul podio.

Considerando, invece, l’aumento percentuale, l’exploit migliore arriva dalla Russia, che raggiunge il 47%, anche grazie al fatto che il vino sia uno dei pochi prodotti Made in Italy non colpito dall’embargo.
Buona anche la crescita del 25% in , dove la presenza rimane limitata rispetto ai concorrenti francesi che hanno superato quest’anno l’Italia anche sul mercato statunitense.

Ma non è solo l’export a registrare dati positivi, perché quest’anno anche gli italiani hanno aumentato gli acquisti di vino, in particolare di quelli Doc (+5%), le Igt (+4%) e gli spumanti (+6%), mentre i vini comuni scendono del 4%.

Vera MORETTI

Ai cinesi piace sempre di più il vino italiano

La Cina è sempre più appassionata di vino, specialmente se proveniente dall’Europa, con una predilezione netta nei confronti dell’Italia.
Ciò è evidente dal proliferare delle enoteche, appartenenti alle società che operano nel settore, presenti in quasi tutte le province cinesi, e con preferenze molto diverse a seconda della territorialità, segnale che i consumatori del Sol Levante stanno sviluppando gusti e predilezioni spiccati.

Ad oggi la Cina è produttrice di 15 mio/ettolitri di vini, mentre lo scorso anno 2016 ha importato 638 mio/litri per un controvalore di 2,7 mld/euro.
Entro il 2020 si prevede che queste cifre raddoppino, e l’Italia non deve assolutamente farsi trovare impreparata e, anzi, essere pronta a cogliere la grande opportunità che le si sta presentando.

Per ora, infatti, il Belpaese è il sesto esportatore, con 125 mio/euro e per crescere ulteriormente e diventare una minaccia per chi ora si trova al vertice, deve tenere conto della fascia di clienti di età compresa tra 18 e 54 anni, che presenta sfaccettature molto diverse tra loro, a cominciare dall’età ma tenendo in considerazione anche le zone di residenza. E’ ovvio che chi vive in una zona urbana avrà tendenze diverse rispetto a chi vive in paesi rurali.

In generale, comunque, si può dire che i vini preferiti attualmente sono quelli di grande profumo e di grandi sapori, soprattutto rossi ma anche dolci e fragranti, probabilmente più capaci di adattarsi ad una cucina, quella cinese, ricca di spezie e contrasti di sapore.
Per ora i vini bianchi arrancano, poiché ancora è difficile concepire una bevanda che non sia a temperatura ambiente, anche se con le cucine delle aree marittime la tendenza potrebbe presto cambiare.

Vera MORETTI

Vino? Agli italiani piace Made in Italy e di qualità

Quando si tratta di bere vino, gli italiani certo non si tirano indietro, anche se sono sempre più attenti alla qualità e alla territorialità di ciò che consumano e che portano sulle loro tavole.
L’assemblea annuale di Federvini, tenutasi a Roma nei giorni scorsi, ha indicato dati in aumento del 9% da parte delle famiglie, nell’intervallo di tempo tra il 2013 e il 2015, percentuale in termini reali, a fronte di consumi in generale che nello stesso triennio hanno registrato un incremento del 2% e di acquisti per gli alimentari che hanno fatto segnare solo un +0,5%.

Questi risultati derivano da una propensione al consumo da parte di chi è disposto a spendere un po’ di più ma avere un prodotto di qualità. Una bottiglia di vino racchiude in sé anche altro, a cominciare dalla convivialità e dal desiderio di provare qualcosa di superiore, insieme a famiglia ed amici.
Per questo, si va al di là del bene materiale, poiché si prende in considerazione anche la dimensione simbolica, e l’incarnazione di cultura e tradizioni locali, che esprimono al meglio il Made in Italy.

A dimostrazione di ciò, il numero sempre più elevato degli italiani coinvolti in un’attività legata al vino. Nell’ultimo anno sono stati 24 milioni, così distribuiti: 16,1 milioni sono intervenuti a eventi, sagre, feste locali; 14,2 milioni sono andati in ristoranti e trattorie segnalati per la disponibilità di buoni vini; 13,7 milioni hanno fatto vacanze e gite in località famose per l’enogastronomia.

Nel 2016, gli italiani che hanno consumato vino sono stati oltre 28 milioni, pari al 52% della popolazione totale. di questi, il 54,6% è di età pari o superiore a 65 anni, il 58,4% di 35-64 anni, il 48,6% di giovani nati a partire dai primi anni Ottanta. SI è anche ridotto il numero dei grandi consumatori, quelli abituati a bere mezzo litro di vino al giorno, passato dal 7,4% del 1983 al 2,3% del 2016.

La scelta riguarda per il 91,2% dei casi di vini italiani, e ben l’85% fa caso che il vino sia Dop o Igp, o comunque di un marchio conosciuto o fidato.

Ovviamente, anche l’export dei vini Made in Italy è in continuo aumento, tanto che il valore dell’export ha raggiunto quota 5,6 miliardi di euro, registrando un balzo del 27,6% nel quinquennio 2011-2016.
I vini Dop hanno fatto segnare un’impennata del 44,8% in valore, quelli Igp del 24,1%, mentre gli spumanti hanno avuto un exploit di +117,9%.

Vera MORETTI

Vinitaly chiude col botto e rilancia

L’edizione 2016 di Vinitaly si è chiusa mercoledì 13 con una sfilza di segni +. In crescita buyer e affari, con visitatori sempre più qualificati, quasi 50mila presenze straniere, con 28mila buyer accreditati dai mercati internazionali, +23% rispetto al 2015, grazie al potenziamento delle attività di incoming di Vinitaly e del Piano di promozione straordinaria del made in Italy.

Inoltre, la manifestazione ha ospitato 130mila operatori da 140 nazioni e ha superato il record di 100mila metri quadrati netti espositivi, prima rassegna al mondo per superficie, con oltre 4.100 espositori da più di 30 Paesi. Sono stati 2.357 i giornalisti accreditati da 47 nazioni che hanno seguito Vinitaly.

La cifra del successo di Vinitaly 2016 sta tutta nelle cifre dei buyer esteri: Stati Uniti +25%, Germania +11%, Regno Unito +18%, Francia +29%, Canada +30%, Cina +130%, Giappone (+ 21%, Paesi del Nord Europa +8%, Paesi Bassi +24%, Russia +18%. Dati positivi anche dal fronte interno, con gli operatori dal Centro e Sud Italia cresciuti in media del 15%.

Nei quattro giorni, oltre agli incontri b2b, si sono tenuti più di 300 appuntamenti tra convegni, seminari, incontri di formazione sul mondo del vino.

Il fuorisalone Vinitaly and the City ha registrato 29mila presenze, interpretando la strategia di diversificazione dell’offerta per gli operatori professionali a Vinitaly, da quella rivolta ai wine lover, appassionati e giovani con degustazioni, spettacoli ed eventi culturali nelle piazze del centro storico di Verona.

Il commento di Maurizio Danese, presidente di Veronafiere: “L’obiettivo era quello di dare un segnale chiaro alle aziende espositrici e ai visitatori, per fare in modo che la 50esima edizione di Vinitaly fosse quella che proiettava la rassegna nei prossimi cinquant’anni. L’aver saputo mantenere la parola data e creare un format che ha soddisfatto in pieno le attese, sia per il wine business in fiera sia per il wine festival in città, con un’edizione di Vinitaly and the City dai grandi numeri, è motivo di orgoglio e di impegno per migliorare ulteriormente il prossimo anno”.

Gli ha fatto eco il direttore generale di Veronafiere, Giovanni Mantovani: “Da questa edizione emergono segnali interessanti sia dall’estero sai dal mercato interno, confermando la capacità del Salone di interpretare le tendenze, mettere a frutto il lavoro di internazionalizzazione e capitalizzare esperienze importanti, come la realizzazione del Padiglione del Vino ad Expo 2015”.

Appuntamento per la 51esima edizione di Vinitaly dal 9 al 12 aprile 2017.

Credit foto: FotoEnnevi_Veronafiere

Vino, la Cina è lontana

Nei giorni scorsi si è fatto tanto clamore intorno all’incontro, tenutosi al Vinitaly, tra Jack Ma, fondatore della piattaforma cinese di e-commerce Alibaba, la più grande al mondo, e il premier italiano Matteo Renzi, per coinvolgere il colosso cinese in una grande operazione di promozione e vendita di vino italiano nel Paese del Dragone.

Clamore, a nostro avviso ben giustificato. Principalmente perché l’Italia, attualmente, non sfrutta quasi per nulla le potenzialità della Cina come mercato per il vino. Basti dire che la quota di mercato del vino italiano nel Paese è del 6%, contro il 55% di quello francese.

I margini di crescita sono quindi incalcolabili, specialmente se, come ha sottolineato in una nota Denis Pantini, responsabile di Nomisma Wine Monitor, nei primi due mesi dell’anno il vino in Cina ha fatto segnare un “+59% di import in valore in euro“. Un treno del quale però l’Italia sta sfruttando poco le potenzialità.

La nota di Nomisma sull’import di vino in Cina lo ha messo in luce, anche in rapporto all’incontro tra Renzi e Ma: “Nell’orizzonte della tumultuosa crescita cinese, l’Italia sta giocando un ruolo marginale da Cenerentola, e i margini per crescere sono elevati“. “La Cina – ha proseguito la nota – corre e noi rincorriamo, ecco perché è utile l’incontro con Alibaba Group“.

Nel 2015 la crescita del vino in Cina è stata tumultuosa – ha aggiunto Pantini -: il Dragone lo scorso anno è diventato il quarto mercato mondiale per importazione di vini, surclassando il Canada. La Francia resta padrone incontrastato tra i vini importati in Cina (+44%), e sempre nel 2015, crescono in particolare Australia (+22%) e Sud Africa (+2%)“.

La nota si chiude guardando alle prospettive di crescita dell’import di vino in Cina per il 2016: “Nel primo bimestre, secondo i dati Wine Monitor Nomisma, l’onda lunga della crescita cinese continua imperterrita, segnando un +59% di import in valore in euro. Tra i principali Paesi da dove la Cina continua ad importare di più spicca l’Australia (+108%), mentre l’Italia conferma il ritmo del 2015 (+15%)“.

Nasce l’Osservatorio del Vino. Finalmente…

Il Vinitaly che si chiude oggi a Verona non è solo un momento di presentazione e di degustazione delle novità del vino, ma anche e soprattutto un’occasione di studio, analisi e riflessione. Specialmente se si considera che la mancanza di dati certi del settore, i numeri che variano a seconda delle fonti, ufficiali e non, e dei metodi di rilevazione sono sempre stati per il vino italiano un grande punto di debolezza.

Fino a qualche anno fa, era impossibile conoscere la superficie esatta del vigneto italiano e quindi il potenziale produttivo del nostro paese, così come sono stati molti gli anni in cui i numeri della vendemmia erano così diversi tra i dati previsionali e quelli consuntivi diffusi dall’Istat, da creare difficoltà agli operatori del settore, con scompensi e disorientamento a livello commerciale, e imbarazzo alle istituzioni nazionali nei confronti della Ue.

L’incertezza statistica sul vino italiano era dovuta tanto alle difficoltà del sistema di rilevazione pubblico, quanto alla mancanza di un organismo ufficiale e rappresentativo che monitorasse il mercato sul fronte produttivo, commerciale e distributivo e potesse diffondere in modo organico e competente analisi aggregate delle statistiche ufficiali riguardanti il vino, monitorando le fonti interne e internazionali e raccogliendo in autonomia i dati dalle imprese.

Una lacuna che ha penalizzato il settore del vino italiano – imprenditori ed aziende in primis – considerata l’estrema importanza assunta dalla conoscenza dei numeri di un comparto economico, delle statistiche produttive, delle dinamiche e dei trend del mercato sia per il decisore pubblico, sia per l’imprenditore e l’impresa che devono quotidianamente confrontarsi con un mercato vivo e in costante e continua evoluzione.

Per colmare questa lacuna nasce l’Osservatorio del Vino. Un’iniziativa dell’Unione Italiana Vini, sviluppata in risposta alle esigenze delle imprese vitivinicole italiane, desiderose di colmare questo vuoto e di offrire una risposta attendibile, capace di supportare le strategie di marketing delle aziende. Obiettivo dell’Osservatorio del Vino è dare sia alla politica sia alla pubblica amministrazione un quadro corretto del mercato, necessario per poter operare scelte normative e di regolazione efficaci e adeguate.

L’Osservatorio istituzionalizza e rende organico il rapporto di collaborazione nato tra Unione Italiana Vini e Ismea oltre vent’anni fa, che dalle previsioni vendemmiali si allarga a tutta la sfera produttiva e di mercato del vino italiano nelle sue segmentazioni geografiche, a livello interno e relativa ai diversi mercati internazionali, per tipologia di vino, per canale distributivo.

L’analisi dell’Osservatorio del Vino si allarga all’esplorazione delle strategie di marketing collegate alle evoluzioni del mercato proposte dal WINE management lab della SDA-Bocconi, che ha maturato negli anni una lunga esperienza nello studio e nelle analisi delle strategie di marketing del vino italiano.

Inoltre, la struttura di analisi e monitoraggio dei trend del vino italiano si avvarrà, come partner tecnico, dei ricercatori del Wine Monitor di Nomisma, che interverranno con alcune analisi di dettaglio che completeranno il lavoro svolto da tecnici dell’Ismea.

Le fonti dell’Osservatorio saranno:

  • Dati trasmessi delle aziende;
  • Fonti ufficiali (Istat Agenzia delle Dogane, Commissione Europea, Eurostat, Monopoli di Stato OIV, ecc.);
  • Fonti internazionali relative ai diversi Paesi (Agenzie private di analisi quali Global Trade Atlas, Wine Intelligence, PWSR, ecc,).

Gli ambiti di ricerca saranno:

  • Dati vendemmiali e di produzione del vino italiano;
  • Analisi dell’andamento dei prezzi all’origine (per tipologie, aree prodotto, ecc.);
  • Analisi dell’andamento dei prezzi al consumo (per tipologie, aree geografiche, canali, ecc.);
  • Analisi delle vendite mercato interno per canale, tipologia, area geografica;
  • Analisi dei mercati internazionali (singoli, aggregati, per tipologia, per canale ecc.);
  • Survey sui consumatori di vino italiani e sulle abitudini di acquisto e consumo nel fuori-casa ;
  • On Trade Tracking – Monitoraggio delle vendite di vino nell’on-trade italiano (riservato alle imprese vinicole).

L’Osservatorio avrà anche un output pubblico, con statistiche agli organi di informazione relative a dati aggregati dei principali trend di mercato, e uno riservato alle imprese associate all’Unione Italiana Vini che aderiscono all’Osservatorio, le quali potranno ricevere elaborazioni statistiche mirate a singoli prodotti e segmenti di mercato sulla base dei dati di volta in volta trasmessi dalle imprese stesse.

Meno vino prodotto, più vino esportato

Il vino italiano, protagonista in questi giorni al Vinitaly di Verona, fa registrare performance incredibili sotto il profilo dell’export, come abbiamo visto ieri, specialmente in rapporto alla quantità di vino prodotto.

Emerge dalla prima analisi su 50 anni di storia del vino italiano elaborata da Coldiretti, che sottolinea come in 50 anni la quantità di vino made in Italy venduto all’estero è cresciuta di quasi otto volte in volumi, nonostante la produzione sia calata del 30%.

Nello specifico, nel 1966 venivano esportati 257 milioni di litri di vino italiano, diventati 50 anni dopo 2 miliardi di litri (+687%), pari a circa il 20% dell’export mondiale. Parallelamente, la produzione di vino italiano è passata in mezzo secolo da 68,2 milioni di ettolitri ai 47,4 milioni di ettolitri.

Più vino esportato, meno prodotto, ma di migliore qualità, come testimonia il fatto che proprio nel 1966 nacque la prima Doc (la Vernaccia di San Gimignano) e che, in 50 anni, il peso delle doc sulla produzione enologica italiana è passato dal 2 al 32% e il primato europeo conquistato dal nostro Paese nella classifica del numero di vini a indicazione geografica: 73 Docg, 332 Doc e 118 Igt.

La riduzione di un terzo della produzione in 50 anni è stata accompagnata, in Italia, dalla riduzione a un terzo dei consumi annui medi pro capite, passati dai 111 litri del 1966 ai 37 di oggi. Anche in questo caso, secondo Coldiretti, il calo in quantità è stato compensato da un aumento di qualità: gli italiani bevono meno ma meglio.

I risultati di questa analisi sono stati ben sintetizzati dal presidente di Coldiretti, Roberto Moncalvo: “In mezzo secolo il vino è assurto a prodotto-simbolo del passaggio, ancora in corso non solo tra le vigne, ma in tutto il sistema produttivo italiano, da un’economia basata sulla quantità ad un’economia che punta invece su qualità e valore, scommettendo sulla sua identità, sui legami col territorio, sulle certificazioni d’origine. La decisa svolta verso la qualità ha messo in moto nel vino un percorso virtuoso in grado di conciliare ambiente e territorio con crescita economica e occupazionale“.

Un 2015 positivo per l’export del vino italiano

A Verona si sta celebrando, come ogni anno in questo periodo, il rito profano del Vinitaly. Come sempre accade, l’appuntamento clou per vitivinicoltura mondiale è anche l’occasione per fare il punto sul settore del vino made in Italy. Un punto positivo.

Secondo quanto riporta l’aggiornamento annuale dell’indagine sul settore vinicolo italiano e internazionale pubblicato dall’Area Studi Mediobanca in concomitanza proprio con il Vinitaly, il vino italiano continua a crescere all’estero.

L’analisi di Mediobanca è relativa a 136 società produttrici di vino con fatturato superiore a 25 milioni di euro, comprese 14 tra le maggiori imprese internazionali quotate con fatturato superiore a 150 milioni di euro. Emerge che lo scorso anno i ricavi hanno fatto segnare una discreta ripresa (+4,8%), principalmente grazie all’export, ma grazie anche alla vivacità del mercato italiano.

Lo studio di Mediobanca sottolinea anche il robusto aumento degli investimenti in vino, la contrazione del mercato asiatico e la decisa espansione di quello nordamericano, le buone prospettive per il 2016 e l’interessante performance dell’indice di Borsa mondiale del settore del vino.

Nel 2015 la crescita del fatturato dei maggiori produttori  italiani è stata sospinta dall’export (+6,5%) e dagli spumanti (+10%) che hanno venduto all’estero il 15,2% in più rispetto al 2014. Meno brillante ma comunque positivo il dato del vino non spumante (+3,7% complessivo, +5,1% l’estero). Il buon andamento di export e produzione ha anche stimolato gli investimenti: +37,2% nel 2015.

Per quanto riguarda i mercati esteri più forti, bene il Nord America, verso il quale l’export è cresciuto del 13,3% e ha fatto salire la quota di mercato dell’area per il nostro vino al 34%. Calo marcato dell’Asia, -10% e una quota di mercato ridotta a un misero 3,9%.

In tutto questo, sullo scacchiere mondiale il principale sbocco per l’export del vino italiano rimangono i Paesi Ue (51,5%), in crescita del 3,7%. Poco più del 3,2% che caratterizza la crescita delle esportazioni in Africa, Medio Oriente e Paesi Europei non Ue, che insieme fanno una quota di mercato del 9,1%; il restante 1,5% delle esportazioni è diretto in Sud America, dove crescono del 18,3%.

Il vino italiano torna a crescere nella Gdo

Manca ormai meno di un mese al Vinitaly, appuntamento numero 1 in Italia e nel mondo per il vino e la vitivinicoltura nazionale e si comincia a fare il punto su alcuni aspetti del settore enologico di casa nostra.

Uno dei più significativi di questi aspetti riguarda la crescita decisa delle vendite di vino italiano sugli scaffali della grande distribuzione, sia in volume sia a valore, dopo anni di stasi. Lo testimonia un’indagine dell’istituto di ricerca IRI, elaborata in esclusiva per Veronafiere, relativa all’andamento di mercato nel 2015.

Le vendite delle bottiglie di vino da 75cl aumentano del 2,8% a volume rispetto al 2014, e le bottiglie da 75cl a denominazione d’origine (Doc, Docg, Igt) dell’1,9%. Rispettivamente le vendite a valore crescono del 4% e del 3,8%.

Una crescita doppiamente positiva – ha commentato Virgilio Romano, Client Solutions Director di IRI – perché non è stata stimolata dalla crescita promozionale né da prezzi in calo. La pressione promozionale, infatti, rimane su livelli alti ma inalterati rispetto all’anno precedente, mentre i prezzi sono in aumento: i vini a denominazione di origine, ad esempio, hanno prezzi medi in crescita dell’1,9%. Dopo un lustro di assenza, la crescita contemporanea di volumi e valori ci lascia ben sperare per gli anni futuri”.

Risultati positivi anche per gli spumanti venduti nella grande distribuzione: +7,8% a volume e +7,5% a valore, anche se il prezzo medio è leggermente ridimensionato rispetto al 2014. Il vino biologico cresce a volume del 13,2% e a valore del 23%, ma i litri venduti sono ancora limitati: 1 milione e 630mila.

A poco meno di un mese dal via del 50esimo Vinitaly, si tratta di anticipazioni che fanno ben sperare in una crescita più strutturale del mercato interno del vino – è il commento di Giovanni Mantovani, Direttore generale di Veronafiere -. Da sottolineare il continuo aumento delle vendite a valore, segno che il consumatore è più maturo: ricerca e sceglie la qualità. Si tratta di una strada che con Vinitaly abbiamo sempre sostenuto e promosso a livello commerciale e culturale, nelle nostre iniziative e negli incontri b2b tra Gdo, aziende e buyer”.

Il vino più venduto in assoluto nei supermercati italiani rimane il Lambrusco, con 12 milioni e 771mila litri, sempre tallonato dal Chianti, che vince però la classifica a valore. Al terzo posto sale lo Chardonnay, un bianco di vitigno internazionale, che cresce del 9% a volume. Si fanno notare le performance del Nero d’Avola (+4,6%), del Vermentino (+8,5%) e del Trebbiano (+5,6%).

Tra i vini “emergenti”, quelli che hanno fatto registrare nel 2015 un maggior tasso di crescita, il primo posto è occupato dalla Passerina marchigiana, +34,2%, il secondo dal Valpolicella Ripasso, il terzo dal Pecorino, il quarto dal piemontese Nebbiolo. E, se nel caso di Passerina e Pecorino si parla di bianchi con prezzi medi a bottiglia di circa 4 euro, Valpolicella Ripasso si posiziona sui 7,69 euro, Nebbiolo su 5,91. Un segnale che la crescita nelle vendite di vino si registra anche su bottiglie importanti per prezzo e complessità.