Vino Made in Italy primo prodotto dell’export

Dopo aver brindato, con vino rigorosamente Made in Italy non solo in Italia ma anche all’estero, si comincia a fare il bilancio del settore, che per l’export ha aumentato del 7% le vendite stabilendo così un record storico di circa 6 miliardi di euro.

Coldiretti ha presentato questo risultato con entusiasmo, che conferma il vino come la prima voce dell’export agroalimentare nazionale. E se si pensa che questi dati più che positivi arrivano dopo una vendemmia che è stata tra le più difficili e povere dal dopoguerra, e relativo taglio del 26% della produzione, sicuramente si tratta di un traguardo ancora più importante.

Nel 2018, dunque, si dovrà fare a meno di una bottiglia su quattro, ma nonostante questo l’Italia sta mantenendo il primato mondiale tra i produttori, anche davanti alla Francia, con circa 40 milioni di ettolitri destinati per oltre il 40% ai 332 vini a denominazione di origine controllata (Doc) e ai 73 vini a denominazione di origine controllata e garantita (Docg), il 30% ai 118 vini a indicazione geografica tipica (Igt) riconosciuti in Italia e il restante 30% a vini da tavola.

Gli Stati Uniti rimangono il maggiore cliente, tanto che è stato registrato, nel 2017, un incremento in valore del 6%. Percentuale positiva del 3% è stata registrata in Germania, che rimane al secondo posto, e dell’8% nel Regno Unito, ancora molto attivo e ammiratore dei prodotti Made in Italy.

Nonostante il podio sia questo, l’aumento percentuale migliore e decisamente più consistente è quello registrato dalla Russia, con una crescita del 47%, anche grazie al fatto che il vino è uno dei pochi prodotti agroalimentari Made in Italy non colpiti dall’embargo.
Buone performance sono state anche quelle raggiunte dalla Cina, del 25%, dove però la presenza rimane limitata rispetto ai concorrenti francesi che hanno superato quest’anno l’Italia anche sul mercato statunitense.

Vera MORETTI

Export del vino Made in Italy da record

Record assoluto per l’esportazione di vino Made in Italy, che è aumentata del 7% in valore, e che, se manterrà questo trend fino a fine anno, raggiungerà i 6 miliardi di euro, diventando la prima voce dell’export agroalimentare nazionale, come confermato dai dati della Coldiretti presentati durante il Congresso di Assoenologi al quale ha partecipato il presidente Roberto Moncalvo.

Si tratta di una notizia importante, alla luce di una vendemmia, quella del 2017, che, appena conclusasi, è stata una delle più povere dal dopoguerra, tanto che sono previste perdite di produzione del 26%.
Nonostante questo, l’Italia dovrebbe riuscire a mantenere il primato mondiale tra i produttori, rimanendo dunque davanti alla Francia, con circa 40 milioni di ettolitri destinati per oltre il 40 per cento ai 332 vini a denominazione di origine controllata (Doc) e ai 73 vini a denominazione di origine controllata e garantita (Docg), il 30 per cento ai 118 vini a indicazione geografica tipica (Igt) riconosciuti in Italia e il restante 30 per cento a vini da tavola.

Considerando, per ora, l’andamento dell’export, le vendite sono aumentate del 6% in valore negli Usa, da sempre il principale cliente, del 3% in Germania al secondo posto e dell’8% nel Regno Unito che nonostante i negoziati sulla Brexit resta sul podio.

Considerando, invece, l’aumento percentuale, l’exploit migliore arriva dalla Russia, che raggiunge il 47%, anche grazie al fatto che il vino sia uno dei pochi prodotti Made in Italy non colpito dall’embargo.
Buona anche la crescita del 25% in , dove la presenza rimane limitata rispetto ai concorrenti francesi che hanno superato quest’anno l’Italia anche sul mercato statunitense.

Ma non è solo l’export a registrare dati positivi, perché quest’anno anche gli italiani hanno aumentato gli acquisti di vino, in particolare di quelli Doc (+5%), le Igt (+4%) e gli spumanti (+6%), mentre i vini comuni scendono del 4%.

Vera MORETTI

Ai cinesi piace sempre di più il vino italiano

La Cina è sempre più appassionata di vino, specialmente se proveniente dall’Europa, con una predilezione netta nei confronti dell’Italia.
Ciò è evidente dal proliferare delle enoteche, appartenenti alle società che operano nel settore, presenti in quasi tutte le province cinesi, e con preferenze molto diverse a seconda della territorialità, segnale che i consumatori del Sol Levante stanno sviluppando gusti e predilezioni spiccati.

Ad oggi la Cina è produttrice di 15 mio/ettolitri di vini, mentre lo scorso anno 2016 ha importato 638 mio/litri per un controvalore di 2,7 mld/euro.
Entro il 2020 si prevede che queste cifre raddoppino, e l’Italia non deve assolutamente farsi trovare impreparata e, anzi, essere pronta a cogliere la grande opportunità che le si sta presentando.

Per ora, infatti, il Belpaese è il sesto esportatore, con 125 mio/euro e per crescere ulteriormente e diventare una minaccia per chi ora si trova al vertice, deve tenere conto della fascia di clienti di età compresa tra 18 e 54 anni, che presenta sfaccettature molto diverse tra loro, a cominciare dall’età ma tenendo in considerazione anche le zone di residenza. E’ ovvio che chi vive in una zona urbana avrà tendenze diverse rispetto a chi vive in paesi rurali.

In generale, comunque, si può dire che i vini preferiti attualmente sono quelli di grande profumo e di grandi sapori, soprattutto rossi ma anche dolci e fragranti, probabilmente più capaci di adattarsi ad una cucina, quella cinese, ricca di spezie e contrasti di sapore.
Per ora i vini bianchi arrancano, poiché ancora è difficile concepire una bevanda che non sia a temperatura ambiente, anche se con le cucine delle aree marittime la tendenza potrebbe presto cambiare.

Vera MORETTI

Vino? Agli italiani piace Made in Italy e di qualità

Quando si tratta di bere vino, gli italiani certo non si tirano indietro, anche se sono sempre più attenti alla qualità e alla territorialità di ciò che consumano e che portano sulle loro tavole.
L’assemblea annuale di Federvini, tenutasi a Roma nei giorni scorsi, ha indicato dati in aumento del 9% da parte delle famiglie, nell’intervallo di tempo tra il 2013 e il 2015, percentuale in termini reali, a fronte di consumi in generale che nello stesso triennio hanno registrato un incremento del 2% e di acquisti per gli alimentari che hanno fatto segnare solo un +0,5%.

Questi risultati derivano da una propensione al consumo da parte di chi è disposto a spendere un po’ di più ma avere un prodotto di qualità. Una bottiglia di vino racchiude in sé anche altro, a cominciare dalla convivialità e dal desiderio di provare qualcosa di superiore, insieme a famiglia ed amici.
Per questo, si va al di là del bene materiale, poiché si prende in considerazione anche la dimensione simbolica, e l’incarnazione di cultura e tradizioni locali, che esprimono al meglio il Made in Italy.

A dimostrazione di ciò, il numero sempre più elevato degli italiani coinvolti in un’attività legata al vino. Nell’ultimo anno sono stati 24 milioni, così distribuiti: 16,1 milioni sono intervenuti a eventi, sagre, feste locali; 14,2 milioni sono andati in ristoranti e trattorie segnalati per la disponibilità di buoni vini; 13,7 milioni hanno fatto vacanze e gite in località famose per l’enogastronomia.

Nel 2016, gli italiani che hanno consumato vino sono stati oltre 28 milioni, pari al 52% della popolazione totale. di questi, il 54,6% è di età pari o superiore a 65 anni, il 58,4% di 35-64 anni, il 48,6% di giovani nati a partire dai primi anni Ottanta. SI è anche ridotto il numero dei grandi consumatori, quelli abituati a bere mezzo litro di vino al giorno, passato dal 7,4% del 1983 al 2,3% del 2016.

La scelta riguarda per il 91,2% dei casi di vini italiani, e ben l’85% fa caso che il vino sia Dop o Igp, o comunque di un marchio conosciuto o fidato.

Ovviamente, anche l’export dei vini Made in Italy è in continuo aumento, tanto che il valore dell’export ha raggiunto quota 5,6 miliardi di euro, registrando un balzo del 27,6% nel quinquennio 2011-2016.
I vini Dop hanno fatto segnare un’impennata del 44,8% in valore, quelli Igp del 24,1%, mentre gli spumanti hanno avuto un exploit di +117,9%.

Vera MORETTI

Vino italiano in Cina, la sfida dell’online

È dei giorni scorsi la notizia dell’accordo tra il governo italiano e il colosso cinese dell’e-commerce Alibaba per tutelare l’origine dei prodotti made in Italy presenti sulla piattaforma commerciale, tra i quali grande importanza ricopre il vino.

Il mercato cinese, infatti, è ancora poco penetrato dal vino made in Italy rispetto al vino francese e proprio dal digitale passa una parte importante della prossima sfida del vino italiano in Cina.

Lo sa bene Veronafiere, organizzatrice di Vinitaly, che nei giorni scorsi ha partecipato a Shanghai all’evento E-commerce: the new gateway for italian wine in China, organizzato da Ice, Italian Trade Agency con l’Ambasciata d’Italia nella Repubblica Popolare Cinese, il ministero dello Sviluppo economico e il ministero delle Politiche agricole.

Un evento che ha avuto come obiettivo quello di sostenere le aziende italiane del vino già presenti su Alibaba e per avviare ulteriori campagne di sensibilizzazione destinate ai consumatori cinesi.

Con 688 milioni di naviganti in rete, di cui in gran parte nativi digitali, e 659 milioni di utenti social – ha affermato Giovanni Mantovani, direttore generale di Veronafiere -, il web è sempre più uno strumento fondamentale per colmare il gap che ci separa dagli altri Paesi competitor, Francia in primis. E Vinitaly, da 50 anni promotore dell’internazionalizzazione del sistema vino con azioni mirate di marketing mix, intende accettare questa sfida accanto e al servizio delle aziende vitivinicole made in Italy”.

Oltre alla Vinitaly international Academy, che in Cina ha già formato dieci ambasciatori del vino italiano – ha proseguito Mantovani -, Vinitaly è disponibile a realizzare, in partnership con i principali attori del settore vinicolo, la multipiattaforma Italian Wine Channel, per ampliare la commercializzazione online attraverso i canali più innovativi e diffondere una più puntuale conoscenza delle peculiarità dei vini e dei vitigni italiani”.

Sul fronte del mercato, in attesa di perfezionare il proprio vitigno, fa grandi passi la domanda mondiale di vino in Cina, oggi quarto principale buyer al mondo e secondo tra i Paesi extra-Ue, dietro solo agli Usa.

Nei primi 4 mesi del 2016 la domanda di vino in Cina ha segnato una crescita impressionante, +41,7%, quasi 10 volte più degli Usa (+4,5%). La Germania (-6,2%) è a un passo e tutto fa prevedere che a fine di quest’anno lo storico buyer europeo sarà superato e lasciato sul posto dalla Cina.

L’Italia è partita tardi rispetto alla Francia, il Paese top exporter mondiale con il 43% di quote di mercato, e oggi sta pagando anche gli accordi di sistema tra Canberra e Pechino che hanno favorito l’exploit nel 2015 (+111%) del vino proveniente dall’Australia, secondo Paese fornitore, davanti a Cile, Spagna e Italia, ancora ferma a poco più del 5% del mercato.

La situazione sembra cambiare: nei primi mesi di quest’anno l’Italia tiene il passo degli altri competitor con performance che sfiorano una crescita del 30%, più di tutti gli altri in termini percentuali.

La vendemmia 2016 parte con il piede giusto

Ci sono momenti dell’anno che, per l’economia italiana, rappresentano dei veri punti di svolta. Uno di questi è la vendemmia, dal momento che il settore vitivinicolo del nostro Paese è una delle eccellenze mondiali e motore per un indotto di proporzioni rilevanti.

I numeri parlano da soli: 650mila ettari di vigne, dei quali 480mila Doc, Docg e Igt; oltre 200mila aziende vitivinicole; oltre 1,3 milioni di addetti; 10 miliardi di fatturato annui derivanti solo dalla vendita del vino. Ecco dunque l’importanza chiave della vendemmia.

Per non parlare poi dell’indotto che ruota intorno al mondo del vino: dalla produzione di bottiglie e bicchieri alla produzione di tappi, dalla trasformazione, alla distribuzione, al commercio.

La vendemmia 2016 è iniziata con una settimana di ritardo di rispetto allo scorso anno e le previsioni di Coldiretti sono rosee. L’associazione dei coltivatori diretti stima un 5% in più di produzione rispetto al 2015, quando si arrivò alla cifra record di 47,5 milioni di ettolitri.

Oltre che sulla quantità, le stime positive di Coldiretti per la vendemmia 2016 si riferiscono anche alla qualità. Se lo scorso anno ci fu una stagione estremamente secca, quest’anno le recenti escursioni termiche e un clima estivo generalmente buono fanno prevedere uve e vini di alta qualità.

In questo senso, ricorda Coldiretti, la stagione della vendemmia è lunga, poiché è cominciata nelle scorse settimane dalla Franciacorta e terminerà a novembre inoltrato con i grandi vitigni di Aglianico e Nebbiolo. Ragion per cui, alle stime di questi giorni sulla vendemmia potranno far seguito dati effettivamente positivi se il clima da qui all’autunno inoltrato risulterà favorevole.

Stime a parte, il dato certo è il grande peso che il settore vitivinicolo ha sull’economia italiana e, di conseguenza, le grandi aspettative che la vendemmia porta con sé, in virtù delle oltre 200mila aziende agricole che vi sono coinvolte.

Coldiretti stima che oltre metà del fatturato derivante dalla vendita di vino italiano sarà totalizzato all’estero. Del resto, i dati di export fanno già ben sperare, dal momento che nei primi 4 mesi del 2016 si è registrato un +2% di esportazioni di vino italiano in volumi, rispetto allo stesso periodo del 2015, che già era stato più che positivo.

Del resto, le uve della vendemmia 2016 secondo Coldiretti andranno ad alimentare per più del 40% il circuito dei vini a denominazione di origine controllata (Doc, sono 332 in Italia) e dei vini a denominazione di origine controllata garantita (Docg, 73). Il 30% darà vita ai vini a indicazione geografica tipica (Igt, 118) e il 30% ai vini cosiddetti da tavola.

E sulla strategicità di vino e vendemmia, il presidente di Coldiretti Roberto Moncalvo ha le idee chiare: “Il vino italiano è cresciuto scommettendo sulla sua identità, con una decisa svolta verso la qualità che ha permesso di conquistare primati nel mondo. Oggi 1 bottiglia esportata su 5 è made in Italy”.

E-commerce e vino: si può fare, ma…

Abbiamo visto nei giorni scorsi come in Italia l’ e-commerce, nonostante un trend di crescita incoraggiante, sconti ancora un ritardo importante rispetto ai Paesi europei a lei più vicini, per non parlare dei colossi extra Ue. Abbiamo visto anche come questo ritardo è tanto più colpevole quanto più, come Italia, abbiamo eccellenze uniche da offrire ai mercati di tutto il mondo attraverso l’ e-commerce.

Una di queste eccellenze è il vino, il cui e-commerce, in Italia, è ben poco sviluppato. Una situazione che è ancora più incresciosa quando si leggono notizie come quelle della nascita di eBay Wine, una sezione del colosso mondiale dell’ e-commerce completamente dedicata al vino, con attualmente 10mila vini provenienti da 30 Paesi e oltre 500 regioni, anche italiane.

Ovvio che non si può competere con la potenza tecnologica e di marketing di eBay, ma perché devono arrivare prima gli americani su un business del genere, potendo contare su soldi e tecnologia e non su una vera cultura enologica? Eppure, che l’ e-commerce del vino sia un business potenzialmente infinito per l’Italia, non pare un concetto difficile da intendere. Forse solo da mettere in pratica.

Fatto sta che, nonostante restiamo il terzo Paese al mondo per consumo pro-capite di vino, la vendita online ancora non decolla, a dispetto dei progressi fatti dall’ e-commerce B2C negli ultimi anni.

Stando ai dati dell’Osservatorio e-Commerce B2C del Politecnico di Milano, in Italia la penetrazione dell’online sulla vendita totale di vino al consumatore finale è una tra le più basse al mondo, pari a circa lo 0,2% del mercato totale, per un controvalore di 24 milioni di euro. Un ritardo causato anche dal fatto che uno dei settori dell’ e-commerce meno sviluppati nel nostro Paese è quello del food, che totalizza solo il 2% delle vendite online.

In realtà non è difficile comprendere i perché di questi numeri, che sono molteplici e variegati. Al di la della antica diffidenza degli italiani verso l’ e-commerce, che va comunque via via attenuandosi, c’è da constatare che nel nostro Paese la commercializzazione del vino attraverso enoteche o GDO è talmente capillare che il consumatore finale ha meno difficoltà ad acquistarlo fisicamente anziché ordinarlo online.

Il problema, però, non è tanto stimolare il mercato interno del vino attraverso le vendite online, quanto aprire piattaforme di e-commerce che, dalle singole cantine o dai produttori locali, possano far viaggiare in tutto il mondo le loro pregiate bottiglie. Certo non è facile. Ci vogliono investimenti in tecnologia, in promozione e una logistica che funzioni come un orologio. In cambio, però, l’opportunità di avere il mondo come vetrina per la propria eccellenza italiana può contribuire a ripagare l’investimento anche in breve tempo. È l’ e-commerce, bellezza. Anche per il vino.

Il vino italiano torna a crescere nella Gdo

Manca ormai meno di un mese al Vinitaly, appuntamento numero 1 in Italia e nel mondo per il vino e la vitivinicoltura nazionale e si comincia a fare il punto su alcuni aspetti del settore enologico di casa nostra.

Uno dei più significativi di questi aspetti riguarda la crescita decisa delle vendite di vino italiano sugli scaffali della grande distribuzione, sia in volume sia a valore, dopo anni di stasi. Lo testimonia un’indagine dell’istituto di ricerca IRI, elaborata in esclusiva per Veronafiere, relativa all’andamento di mercato nel 2015.

Le vendite delle bottiglie di vino da 75cl aumentano del 2,8% a volume rispetto al 2014, e le bottiglie da 75cl a denominazione d’origine (Doc, Docg, Igt) dell’1,9%. Rispettivamente le vendite a valore crescono del 4% e del 3,8%.

Una crescita doppiamente positiva – ha commentato Virgilio Romano, Client Solutions Director di IRI – perché non è stata stimolata dalla crescita promozionale né da prezzi in calo. La pressione promozionale, infatti, rimane su livelli alti ma inalterati rispetto all’anno precedente, mentre i prezzi sono in aumento: i vini a denominazione di origine, ad esempio, hanno prezzi medi in crescita dell’1,9%. Dopo un lustro di assenza, la crescita contemporanea di volumi e valori ci lascia ben sperare per gli anni futuri”.

Risultati positivi anche per gli spumanti venduti nella grande distribuzione: +7,8% a volume e +7,5% a valore, anche se il prezzo medio è leggermente ridimensionato rispetto al 2014. Il vino biologico cresce a volume del 13,2% e a valore del 23%, ma i litri venduti sono ancora limitati: 1 milione e 630mila.

A poco meno di un mese dal via del 50esimo Vinitaly, si tratta di anticipazioni che fanno ben sperare in una crescita più strutturale del mercato interno del vino – è il commento di Giovanni Mantovani, Direttore generale di Veronafiere -. Da sottolineare il continuo aumento delle vendite a valore, segno che il consumatore è più maturo: ricerca e sceglie la qualità. Si tratta di una strada che con Vinitaly abbiamo sempre sostenuto e promosso a livello commerciale e culturale, nelle nostre iniziative e negli incontri b2b tra Gdo, aziende e buyer”.

Il vino più venduto in assoluto nei supermercati italiani rimane il Lambrusco, con 12 milioni e 771mila litri, sempre tallonato dal Chianti, che vince però la classifica a valore. Al terzo posto sale lo Chardonnay, un bianco di vitigno internazionale, che cresce del 9% a volume. Si fanno notare le performance del Nero d’Avola (+4,6%), del Vermentino (+8,5%) e del Trebbiano (+5,6%).

Tra i vini “emergenti”, quelli che hanno fatto registrare nel 2015 un maggior tasso di crescita, il primo posto è occupato dalla Passerina marchigiana, +34,2%, il secondo dal Valpolicella Ripasso, il terzo dal Pecorino, il quarto dal piemontese Nebbiolo. E, se nel caso di Passerina e Pecorino si parla di bianchi con prezzi medi a bottiglia di circa 4 euro, Valpolicella Ripasso si posiziona sui 7,69 euro, Nebbiolo su 5,91. Un segnale che la crescita nelle vendite di vino si registra anche su bottiglie importanti per prezzo e complessità.

L’ enoturismo italiano cresce, ma…

L’offerta turistica italiana è ampia e variegata, non sempre all’altezza del prodotto che vende e quasi sempre incapace di fare sistema. Quest’ultimo è un punto dolente dell’Italia in generale, ancor più grave in settori che potrebbero dare al mercato turistico italiano una spinta importantissima. Come nel caso del cosiddetto enoturismo.

L’occasione per fare il punto su questo strepitoso segmento del turismo italiano è venuto dalla presentazione del 12esimo Rapporto sull’ Enoturismo, che si tenuta la scorsa settimana alla Bit di Milano, a cura delle Città del Vino.

I numeri dell’ enoturismo italiano nel periodo 2014-primo semestre 2015 sono incoraggianti e parlano di una crescita. Nel periodo considerato, infatti, il settore dell’ enoturismo ha fatto registrare una spesa per visite in cantina di circa 2,5 miliardi di euro, con un numero di turisti del vino superiore ai 10 milioni.

I dati del rapporto sono stati elaborati in base a un’indagine svolta su un campione di 80 aziende dall’Osservatorio Nazionale sul Turismo del Vino di Città del Vino, in collaborazione con l’Università di Salerno, e dicono che quando si parla di enoturismo è bene considerare non solo la visita e lo shopping in cantina, ma anche tutto l’indotto che intorno a esso ruota, in primis l’hospitality.

È questa, infatti, la ragione per cui il fatturato delle cantine legato all’ enoturismo e relativo al 2014 è di 214,5 milioni, con una proiezione a 242,5 per il 2015. Segno che il delta tra queste cifre e i 2,5 miliardi di cui sopra deriva in buona parte dall’indotto.

La spesa media dell’enoturista in Italia è di 193 euro, derivanti da acquisti di bottiglie, visite ai vigneti o alle cantine, degustazioni, pernottamenti ecc. Va da se che la spesa per l’acquisto di bottiglie è la voce più rilevante sul totale, pari a più del 70%, mentre le altre voci sono solo la parte residuale dell’indotto da enoturismo.

Il 12esimo Rapporto sull’ Enoturismo ha anche stilato un ritratto dell’enoturista tipo, del numero di arrivi e della capacità e propensione alla spesa di chi fa turismo per vino. A differenza dei fatturati i numeri degli arrivi sono meno aleatori: si parla infatti di oltre 10 milioni nel 2014, con una proiezione a quasi 14 milioni per il 2015. Numeri che tratteggiano un +31,7% per gli arrivi di turisti in cantina e un +32% per la spesa legata all’ enoturismo.

Si tratta quindi di un settore, quello dell’ enoturismo, dai numeri buoni ma dalle potenzialità di sviluppo illimitate, da spingere particolarmente in un periodo nel quale le tensioni geopolitiche in Paesi esteri a forte vocazione turistica, una generale ripresa dei consumi e l’amore degli italiani e degli stranieri per il vino di casa nostra sono condizioni ottimali per favorire l’afflusso enoturistico nel Paese. Tutto sta a intraprendere politiche di promozione efficaci e a imparare, almeno in settori chiavi per la nostra economia, a fare sistema. Fosse facile…

Il vino toscano protagonista del made in Italy

Il vino toscano tira sempre nel mondo e ogni appuntamento B2B che ha come obiettivo quello di farne crescere conoscenza ed export è il benvenuto. Ecco perché va tenuta d’occhio la sesta edizione di Buy Wine, in programma alla Fortezza da Basso di Firenze il 12 e il 13 febbraio prossimi.

Si tratta di un workshop B2B, organizzato dall’Agenzia regionale Toscana Promozione, per favorire l’incontro tra la Toscana del vino e il trade internazionale. Nell’occasione, 200 produttori di vino toscano incontreranno 240 buyer stranieri tra importatori, distributori, GDO e HoReCa, provenienti da mercati storici, ma anche da piazze nuove, per un totale di 36 Paesi rappresentati.

Nel dettaglio, tra i Paesi amanti del vino toscano con la maggior rappresentanza a Buy Wine ci saranno Stati Uniti (44 rappresentanti), Canada (39), Cina (25), Brasile (12), Australia (12), Giappone (11), Danimarca (10), Germania (8), Corea del Sud (7) e Messico (7) che, complessivamente, rappresentano oltre il 72,9% dei buyer internazionali partecipanti.

Per quanto riguarda i produttori, invece, presenti quasi tutte le province della regione. Guidano la classifica per territorio Siena e Firenze, rispettivamente con 68 e 55 aziende, seguite da Grosseto (26), Livorno (12), Arezzo (17), Pisa (13), Pistoia (3), Prato (3) e Lucca (3).

Nato nel 2010, Buy Wine è un evento in costante crescita che, negli anni, si è accreditato come punto di riferimento per i buyer di tutto il mondo interessati al vino toscano. Nell’edizione 2015 sono stati circa 6mila gli incontri di business in agenda, che hanno portato, nel 63% dei casi, alla stipula di contratti grazie ai quali il 46% delle aziende toscane partecipanti è riuscita ad incrementare il proprio fatturato.

Per il quarto anno consecutivo Buy Wine lancia la volata alle Anteprime di Toscana che, dal 13 al 20 febbraio, vedranno 13 denominazioni del vino toscano presentare, agli operatori e ai giornalisti di settore i vini nuovi introdotti sul mercato a partire dal 2015.

Si inizia a Firenze la collettiva allo Star Hotel Michelangelo, dove il 13 febbraio saranno presenti 8 denominazioni: Morellino di Scansano, Montecucco, Vini Cortona, Vini di Carmignano, Valdarno di Sopra Doc, Bianco di Pitigliano e Sovana, Colline Lucchesi e Maremma Doc.

Il 14 febbraio sarà la volta dell’Anteprima del Chianti. Si prosegue poi con la Chianti Classico Collection alla Stazione Leopolda di Firenze (15-16/2), l’Anteprima della Vernaccia al Museo di Arte Moderna e Contemporanea De Grada San Gimignano (17/2) e l’Anteprima del Vino Nobile nella Fortezza di Montepulciano (18/02). Chiude la programmazione di Anteprime di Toscana Benvenuto Brunello, che si terrà il 19 e 20 febbraio nel Chiostro del Museo di Montalcino.