Internazionalizzazione, il partner ideale è l’India

Internazionalizzazione, il partner ideale è l'India

Internazionalizzazione, il partner ideale è l'India

di Mirko ZAGO

L’ internazionalizzazione è una delle più ardue sfide per le imprese italiane. I territori su cui puntare gli occhi sono gli ormai conosciuti paesi del Bric, Brasile, Russia, India, Cina, mercati che fino a poco tempo fa erano considerati in via di sviluppo e che adesso sono invece cresciuti a ritmo così sostenuto da diventare un rifugio quasi sicuro per le numerose imprese che in terra propria patiscono la crisi.

La potenza del Bric

Questi paesi secondo le stime di EPFR Global, hanno attirato fondi azionari per 5,8 miliardi di dollari nella prima settimana di febbraio. Dando uno sguardo al MSCI Emerging Markets Index si nota un incremento del 15% durante i primi mesi di quest’anno rispetto al precedente periodo, con una performance considerata la migliore a partire dal 1991. Si tratta di una corsa considerata da alcuni analisti pericolosa, la crescita è infatti talmente elevata da far temere speculazioni e rischi per la situazione futura. Quel che è certo che allo stato attuale delle cose i Paesi identificano nel Bric la destinazione più favorevole per gli investimenti in titoli azionari e continueranno ad investire qui ancora per molto.

Se il Brasile e la Cina sono ormai mercati assodati, meno attraente appare al momento la Russia per via degli scontri politici che si stanno vivendo dalle ultime elezioni. Si parla invece meno dell’India, forse vista ancora lontana rispetto alle altre due neo potenze. A Roma pochi giorni fa si è tenuto un’interessante conferenza dal titolo “Continente India: i nuovi hub produttivi e commerciali per le Pmi italiane” organizzata da Ambasciata indiana a Roma e Unindustria.

I settori più promettenti

L’incontro è stato il presupposto per delineare un profilo del paese-continente: crescita del Pil del 7% nel 2011, 400 aziende italiane che già hanno investito aprendo filiali nel suo territorio, secondo paese al mondo per velocità di crescita dei consumi, caratteristiche che fanno dell’India un partner molto appetibile per le imprese pronte a cogliere la sfida. In particolare è il settore alimentare ad aver mostrato i segnali di crescita maggiori triplicando addirittura il suo valore in comparazione con il 2010, buone performance si registrano anche per macchinari e apparecchi industriali, prodotti farmaceutici, computer ed apparecchi elettronici.

Vi sono molte opportunità di crescita per le Pmi italiane che vogliono “sconfinare” soprattutto per i settori dell’automotive, delle energie rinnovabili, della logistica, degli accessori moda nonostante i grandi centri di produzione indiani ruotino attorno al settore meccanico, petrolifero, farmaceutico e tessile presente nello stato del Gujarat; quello delle biotecnologie e rinnovabili in Tamil Nadu; e l’hub industriale della citta’ di Pune nello Stato di Maharashtra, strategico per la meccanica e l’automotive come ricordato dal Presidente della Piccola Industria di Unindustria Angelo Camilli.

Analisi prima di gettarsi a capo fitto

Rimangono validi i consigli di un’attenta analisi prima di lanciarsi a capo fitto in un’impresa che potrebbe trasformarsi in catastrofica se non accompagnata da corrette valutazioni e adozione dei giusti mezzi.  Il prodotto buono, da solo, non è garanzia di successo su questi territori. E’ necessario approfondire  il funzionamento del sistema istituzionale, la distribuzione ma anche la mentalità commerciale per presentarsi con le carte in regola per vincere la sfida. Esistono numerosi advisor specializzati in internazionalizzazione ai quali è bene affidarsi per diminuire il rischio di gravi errori. Per comprendere la portata del fenomeno internazionalizzazione si possono consultare i dati dell’Istituto per il commercio estero  che identifica 5.800 investitori attivi sui mercati internazionali, un totale di 17. 200 imprese estere partecipate con un numero di dipendenti totali pari a 1.120.550 unità. Nel 2005, quando l’internazionalizzazione nel 55% dei casi parlava ancora lingue europee (Francia, Germania e Gran Bretagna in primis), le imprese affiliate realizzavano un fatturato di 322 miliardi di euro.