Gli orafi vicentini arrancano ma resistono

La tradizione orafa italiana non può prescindere dalla provincia vicentina, vera e propria fucina di talenti nel passato, e anche nel presente.

Ne è ben consapevole Giuseppe Corrado, che fu presidente del gruppo orafo degli industriali vicentini negli anni Novanta e che ora, a 73 anni, è tornato a ricoprire la stessa carica: “Lo faccio perché vedo dei giovani che fanno delle cose straordinarie, che stanno in fabbrica dalla mattina alla sera, che meritano sostegno, e per loro vale la pena di difendere la tradizione vicentina”, che, comunque, in vent’anni è molto cambiata.

Ad essere diverse, prima di tutto, sono le cifre: se negli Anni ’90 le imprese attive erano 1.300, e tutte operative, ora ce ne sono circa 500, ma di queste ad essere attive sono solo 200.

Si tratta di un ridimensionamento che fa male, soprattutto se si pensa che la provincia era il sesto export nazionale e che, nonostante i risultati importanti, non ha ricevuto sostegno dai governi che, in questi ultimi vent’anni, si sono succeduti.

E le barriere doganali dei diretti concorrenti si sono innalzate in maniera spropositata.
Un esempio è il mercato statunitense, dove gli orafi italiani pagano, oltre al valore aggiunto, anche il valore dell’oro, ora alle stelle, e ciò rende tutto più difficile visto il clima di crisi in cui viaggia l’Italia.
Ma anche cinesi ed indiani se la passano meglio di noi, dal momento che i loro gioielli, nel belpaese, hanno una barriera doganale del 2,5%, mentre noi, per vendere da loro, paghiamo oltre il 40%.

La situazione, dunque, appare come un circolo vizioso dal quale sembra impossibile uscire, ma sono anche i tempi che cambiano, e con essi la cultura.
Regalare oro non è più in cima ai pensieri degli italiani, anche nelle occasioni in cui, fino a pochi anni fa, era quasi d’obbligo. Addio, dunque, alle catenine d’oro con medagliette a tema da donare a battesimi e cresime: sono state sostituite da doni più pratici o tecnologici, come ad esempio un cellulare.

Benché, dunque, tutto sembri remare contro, il distretto vicentino vuole mantenere salda la sua tradizione, forte anche delle nuove leve che mettono passione ed innovazione nel mestiere.
Si tratta di neoimprenditori ma anche dei figli degli “anni d’oro”, ai quali è stato tramandato l’amore per questa professione.

Ora, però, il modo di lavorare è diverso, perché il mercato è sempre più esiguo e la concorrenza sempre più spietata.
Se, infatti, prima c’era posto per tutti, e tutti vendevano i loro prodotti, ora le cose non sono così semplici: occorre invogliare ad acquistare, attraverso creazioni uniche e tecniche all’avanguardia, tanto che tutte le ditte sopravvissute destinano una buona parte del proprio fatturato a ricerca e design.
E ci si rivolge all’estero, con un incremento delle esportazioni che, dal 20% di circa dieci anni fa, è arrivato all’80%. E tutti concordano nell’affermare che senza questa inversione di tendenza avrebbero chiuso i battenti da un pezzo.

Confartigianato Vicenza parla di “ridimensionamento quantitativo, dovuto a fattori molteplici che vanno dalla crisi strutturale delle economie occidentali alla competizione di Paesi emergenti come India e Indonesia, dalla scarsa propensione delle imprese vicentine ad aggregarsi per trovare nuovi sbocchi nei mercati esteri allo scarso orientamento a investire in formazione, innovazione, ricerca”.

A tutto ciò, poi, si aggiunge la paura, motivo che ha portato all’idea di creare una zona di sicurezza con accessi limitati e laboratori orafi in una zona dedicata, idea non attuata a causa delle troppe limitazioni imposte. La conseguenza è stata l’aumento esponenziale di sistemi di allarme e anti intrusione.

Le prime aziende che sono scomparse sono quelle del catename e dello stampato, sconfitte dai rincari dell’oro e dalla mancanza di un valore aggiunto che le rendesse uniche.

E in un periodo di crisi come questo, si tratta di caratteristiche indispensabili.

Vera MORETTI