Q8 in rialzo ma i carburanti sono stabili

Anche se lentamente, il prezzo dei carburanti si sta alzando, con Q8 che ha appena ritoccato la benzina di altri 5 centesimi.
I mercati internazionali, però, anche oggi stabili, lasciano ben sperare e, dunque, i listini dovrebbero viaggiare, nei prossimi giorni, verso una certa tranquilla stabilità.

Sul territorio, prezzi praticati senza grosse variazioni, con una tendenza all’aumento a seguito degli aumenti passati sui prezzi raccomandati. Gpl stabile o in leggera discesa.

Nel dettaglio, le medie nazionali della benzina e del diesel sono adesso a 1,791 e 1,714 euro/litro (Gpl a 0,803). Le punte in alcune aree sono per la “verde” fino a 1,831 euro/litro, il diesel a 1,745 e il Gpl a 0,816.

Più nel dettaglio, a livello Paese, in modalità servito, i prezzi della benzina sono oggi compresi tra l’1,760 euro/litro di Eni e l’1,791 di Tamoil.
Per il diesel si passa dall’1,684 euro/litro di Eni all’1,714 di Shell.
Il gpl, infine, è tra 0,781 euro/litro sempre di Eni e 0,803 di IP.

Vera MORETTI

Il successo dell’high-tech anche in Europa

Anche il Vecchio Continente si sta attrezzando per essere competitivo nel settore dell’high-tech, come ha anche confermato la ricerca “High Technology Employment in the European Union“ presentata recentemente a Bruxelles.

A crescere sono anche le risorse impiegate nel comparto, dove a quanto pare le proposte di lavoro non mancano, ed abbracciano tutti i macro settori in esso compresi, da quello scientifico a quello matematico, fino ad arrivare al tecnologico ed ingegneristico.
In questo campo, l’unico a dir la verità, la richiesta di lavoro è cresciuta del 20% nel periodo 2000-2011, più del doppio rispetto alla crescita totale dell’occupazione.

E proprio queste cifre, in costante aumento, hanno permesso al settore dell’high-tech di arrivare a ricoprire il 10% dell’occupazione totale nell’Unione Europea.
Questo bilancio positivo riguarda anche l’Italia, dove è stato registrato un incoraggiante, e sorprendente, +28,5% dal 2000 ad oggi, con particolare concentrazione nelle regioni del nord, Lombardia ed Emilia Romagna in testa, e nel Lazio.

A vantaggio del comparto ci sono anche i salari: forse anche a causa di una elevata preparazione accademica e professionale, coloro che lavorano nel settore percepiscono stipendi elevati rispetto agli altri ambiti, e in Italia può raggiungere picchi del 20% in più.

E non è tutto, poiché dal 2005 al 2010 la crescita dei salari dei lavoratori high-tech è stata più alta della crescita media dei salari totali in 20 dei 26 paesi europei considerati.
In Italia, i salari di questo settore sono cresciuti del 4,4%, il doppio degli impieghi non high-tech.

Ma i vantaggi derivano anche da altri fattori, a cominciare dagli effetti secondari che l’high-tech ha sull’economia: le analisi stimano che, a livello locale, la creazione di un impiego high-tech crea un effetto moltiplicatore, ed è associata alla creazione di più di 4 posti di lavoro in altri segmenti non high-tech, nella stessa zona (il risultato è statisticamente significativo all’ 1%).
In breve, la forza lavoro high-tech genera una somma considerevole di reddito, aiutando a sostenere le economie locali.

Vera MORETTI

2013 positivo per l’edilizia sostenibile

E’ stato pubblicato il rapporto “Il Partenariato Pubblico e Privato e l’edilizia sostenibile in Italia nel 2013“, come sempre curato da Unioncamere, e realizzato in collaborazione con CRESME Europa Servizi.

Presentato a Roma durante lo svolgimento di un convegno di Unioncamere, il rapporto ha confermato le difficoltà in cui versa il settore dell’edilizia, ed in particolare del mercato delle opere pubbliche.
Al contrario, il comparto relativo all’edilizia sostenibile sta attraversando un momento positivo e per questo rappresenta una concreta opportunità di occupazione e di investimenti.

Soffermandoci sulle opere pubbliche, in sofferenza sono sia quelle di sola esecuzione, sia quelle che riguardano il settore del Partenariato Pubblico e Privato, su cui tanto si punta per rilanciare la spesa infrastrutturale del paese.

Le difficoltà del PPP, dopo il crollo degli importi in gara del 2012 (-41%), persistono anche nel 2013 (-34%) e all’origine della frenata vi sono da un lato le difficoltà di accesso al credito, che hanno determinato il crollo del mercato delle grandi infrastrutture di importo unitario elevato, dall’altro permangono diverse criticità legate all’intero percorso decisionale, tecnico e realizzativo.

Parallelamente, nel 2013, al crollo del mercato delle grandi infrastrutture si contrappone una fase di crescita della domanda di interventi di importo medio-grande, trainato da interventi di riqualificazione urbana, con tassi di crescita degli importi in gara del 10% per l’intero mercato e superiori al 30% per le sole operazioni di PPP. Rientrano in questa fascia dimensionale il maggior numero di iniziative di PPP di riferimento per l’edilizia sostenibile.

Ferruccio Dardanello, presidente di Unioncamere, ha commentato così i dati: “In un mercato come quello delle opere pubbliche, ancora fortemente in crisi, lo sviluppo sostenibile e la tutela dell’ambiente sono leve importanti per rimettere in moto investimenti e occupazione. E’ un ambito che coinvolge asset strategici del Paese e che riguarda interventi indispensabili per mettere in sicurezza i nostri territori: i beni culturali, il riassetto di comparti urbani, l’edilizia scolastica e sociale, le strutture dedicate al tempo libero, al turismo. E’ una strada da percorrere con convinzione mettendo insieme le forze di tutti. Il sistema camerale è oggi impegnato a promuovere la filiera dell’edilizia sostenibile attraverso Unionfiliere e vuole essere ancora di più protagonista di questa partita. Non solo come punto di osservazione del mercato, ma anche come soggetto facilitatore dell’incontro tra domanda e offerta e sostenitore di quella ‘cultura della realizzazione’ che da sempre è propria delle Camere di commercio”.

Vera MORETTI

Il governo Renzi e le prime misure economiche

Dopo tanti proclami, per Matteo Renzi è arrivato davvero il momento di fare. Specialmente nel campo delle misure economiche e sul fronte della spesa pubblica, il governo Renzi è atteso da scelte importanti.

Tra le principali misure ci sono il taglio ai costi della politica, la riforma elettorale, la riforma del fisco, la scuola e novità per lavoro e imprese. L’aumento della tassa sulle rendite finanziarie dal 20 al 25% sarà la prima misura che Renzi e l’esecutivo adotteranno.

L’aumento della tassazione sulle rendite finanziarie era già previsto nel Jobs act, presentato da Renzi a dicembre 2013, prima che stravincesse le primarie del Pd. Il piano di lavoro del nuovo governo parte dalla necessità di allargare le tutele economiche e sociali per i lavoratori e di introdurre un reddito minimo garantito per chi dovesse perdere il posto di lavoro, oltre che dalla necessità di creare occupazione. L’obiettivo è quello di avere 200mila occupati in più nei settori di punta dell’economia.

Del piano per il lavoro faranno parte gli incentivi alle assunzioni degli under 30, ma solo per le aziende che prima non licenziano. Queste assunzioni dovrebbero essere defiscalizzate e ulteriormente agevolate nel caso di lavoratori impiegati nei settori dell’innovazione e della ricerca; l’impresa pagherà solo i contributi previdenziali.

L’esecutivo Renzi punta poi a ridurre Irap e Irpef sui redditi da lavoro; l’ipotesi è quella di una riduzione di un punto delle prime due aliquote: quella del 23% che si paga ora fino al 15mila euro, e quella del 27% che si versa fino a 28mila euro. L’impatto sarebbe su tutti i cittadini, ma il dato importante è che con queste due aliquote pagano le tasse 34 dei 41 milioni di contribuenti che presentano la dichiarazione dei redditi ogni anno. Il problema è il costo elevato di questa misura necessaria: circa 5 miliardi di euro.

Governo Renzi e politiche economiche: il manifesto

E alla fine l’Italia ha il nuovo governo Renzi. Il segretario del Pd dà una spallata a Letta e al suo esecutivo, schiera la propria squadra di ministri e si appresta a governare. O almeno a provarci. Noi di INFOIVA guardiamo con attenzione a questa nuova avventura e aspettiamo di vedere quali saranno le misure in campo economico che il governo prenderà per tentare di rimettere in piedi l’Italia.

Le cose da fare sono poche e chiare e noi la pensiamo esattamente come Alberto Alesina e Francesco Giavazzi, che sul Corriere del 21 febbraio hanno scritto un editoriale che Renzi e i suoi dovrebbero stampare, appendere nei loro uffici e applicare passo passo. Ve lo riproponiamo qui sotto, perché per noi è un manifesto. Voi che ne dite?

Il nuovo governo dovrà dimostrare (e in tempi brevissimi) di aver chiare quali sono le priorità e di essere determinato nell’affrontarle. Se saprà farlo tranquillizzerà i mercati e potrà rinegoziare i vincoli europei. Perché una rinegoziazione è inevitabile se si vuol far ripartire la crescita.

Quali siano i problemi dell’Italia lo sappiamo da tempo: un debito pubblico enorme, una recessione che sembra non finire mai, banche che prestano col contagocce, una disoccupazione soprattutto giovanile elevatissima, una tassazione asfissiante, una burocrazia che impone oneri immensi alle imprese, e infine i costi della politica. La difficoltà non è dunque individuare le cose da fare, ma metterle in fila e poi affrontarle con determinazione.

La prima è annunciare stime di crescita credibili. Le previsioni del governo uscente sono più ottimiste di quelle delle organizzazioni internazionali, inclusa la Commissione europea. Il governo prevede un aumento del prodotto interno lordo (Pil) dell’1% nel 2014 e dell’1,7% nel 2015. Il consenso internazionale è 0,5% nel 2014 e poco sopra l’1% nel 2015.

Da che numeri parte il nuovo governo? Le previsioni di crescita sono cruciali perché costituiscono il punto di partenza per un piano credibile di riduzione del rapporto debito-Pil. Per avviare tale riduzione è necessario compiere tre passi: ridurre la spesa pubblica e le imposte, far ripartire la crescita e vendere aziende e immobili oggi posseduti da Stato, Comuni e Regioni.
Per rilanciare la crescita, servono due interventi immediati. Primo: provvedimenti per allentare la stretta creditizia. È difficile tornare a crescere se non riparte l’offerta di credito all’economia. Lo si può fare anche con l’aiuto della Bce, come spiegavamo il 9 febbraio (nell’editoriale E ora le banche non hanno scuse ). A ciò deve aggiungersi un’accelerazione del pagamento dei debiti della pubblica amministrazione nei confronti delle imprese. Il governo uscente ne ha saldati 22 miliardi su circa 100: troppo pochi.

Seconda cosa da fare: provvedimenti per ridare competitività alle imprese. La leva principale è una riduzione immediata e consistente del cuneo fiscale, finanziata con una combinazione di tagli di spese (immediate e future) e, se necessario, con imposte meno dannose delle tasse sul lavoro.

Per portare gli oneri sociali a carico delle imprese al livello tedesco bisogna ridurli di 23 miliardi. 9-10 miliardi si possono reperire tagliando i sussidi alle imprese: 4 miliardi il primo anno, altri 5-6 nei due successivi. Un altro miliardo, o due, tagliando i costi della politica, come suggerito in uno studio di Roberto Perotti pubblicato su www.lavoce.info. I rimanenti 8 miliardi vanno reperiti dalla spending review : il commissario Cottarelli ritiene che sia un obiettivo raggiungibile già quest’anno. Altre risorse possono arrivare dalla revisione del costo di alcuni servizi (come l’università) che lo Stato offre quasi gratuitamente a tutti, indipendentemente dal reddito.

Ridurre le imposte sul lavoro non basta. Bisogna anche riformare i contratti abolendo il muro invalicabile che separa chi ha un lavoro a tempo determinato da chi ne ha uno a tempo indeterminato. Qui il diavolo sta nei dettagli. La proposta giusta è quella di Pietro Ichino, che riprende un’idea degli economisti Olivier Blanchard (capo-economista del Fondo monetario internazionale) e Jean Tirole. Un contratto uguale per tutti, senza muri e con protezioni che crescono in funzione dell’anzianità sul posto di lavoro. Ad esempio: entro tre anni dall’assunzione un’impresa può licenziare liberamente, dal quarto anno in poi il licenziamento costa all’impresa una indennità (crescente con l’anzianità del contratto) e che finanzia (in parte) i contributi di disoccupazione.

Va abolito il principio del reintegro obbligatorio, tranne nei casi di discriminazione. In questo modo verrebbe di fatto cancellato, per i neoassunti, l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Occorre anche ridurre il peso dei contratti collettivi, e legare maggiormente il salario alla contrattazione a livello aziendale. Il segreto del successo della Germania sta principalmente nell’avere fatto questo.

La riforma del mercato del lavoro è impossibile senza una revisione degli ammortizzatori sociali. Una maggiore libertà alle imprese nella gestione della forza lavoro si deve accompagnare a tutele per chi rimane temporaneamente disoccupato.

La Cassa integrazione (Cig) va abolita. Per tutti coloro che perdono il posto – e con le risorse ora destinate alla Cig e ai corsi di formazione gestiti dal sindacato – va introdotto un sussidio di disoccupazione decrescente nel tempo che li costringa a cercare lavoro (con la possibilità, al massimo, di due rifiuti). Il sussidio deve essere esteso anche alle categorie oggi non coperte dalla Cassa.

Infine bisogna cedere aziende pubbliche e semipubbliche. Qui le priorità sono: riscrivere da zero il progetto di apertura del capitale delle Poste e impedire che la Cassa depositi e prestiti continui ad essere usata come un salvadanaio dello Stato per false privatizzazioni (vedi Ansaldo Energia) e sprechi risorse pubbliche facendo, senza saperlo fare, il mestiere del finanziatore di startup , e cioè di nuove aziende.

Ma il nuovo governo non farà nessuna di queste cose se non sostituirà radicalmente i burocrati che gestiscono i ministeri (riformando i contratti della dirigenza pubblica e allineandoli a quelli del settore privato) cominciando dalla casta dei capi di gabinetto. Per farlo ci vuole coraggio perché questi signori sono depositari di «dossier» che tengono segreti per proteggere il loro potere. Bisogna aver il coraggio di mandarli tutti in pensione. All’inizio i nuovi ministri faranno molta fatica, ma l’alternativa è non riuscire a fare nulla.

Italia seconda solo alla Germania per innovazione

Italia tradizionalista, ancorata al passato e poco innovativa?
A quanto pare no, se, guardando i dati del Trade Performance Index dell’Unctad-Wto, secondo i quali il Belpaese si piazzerebbe secondo dietro alla sola Germania per numero di migliori piazzamenti nelle 14 classifiche 2012 di competitività relative ad altrettanti settori del commercio mondiale.

Ciò che stupisce maggiormente è che, dopo Germania e Italia, c’è praticamente il vuoto, se si pensa che il terzo Paese europeo più competitivo, l’Olanda, ha ottenuto solo tre secondi posti, un terzo e un quarto posto, per quanto riguarda i piazzamenti di vertice, contro tre primi posti, tre secondi posti, un terzo posto e un sesto posto dell’Italia.

Le buone notizie non finiscono qui, perché, dei 935 prodotti in cui l’Italia è prima, seconda o terza al mondo per attivo commerciale con l’estero, ben 415 di essi appartengono a settori innovativi della meccanica e dei mezzi di trasporto diversi dagli autoveicoli.

Insomma, la convinzione che l’Italia è indietro anni luce rispetto alle altri “grandi” d’Europa costituirebbe solo un mito da sfatare, poiché la realtà è ben diversa.
C’è da auspicare che questa positiva inversione di tendenza possa farsi presto sentire anche a livello nazionale, per risolvere una situazione di crisi ormai insostenibile.

Vera MORETTI

Federica Guidi, ecco chi è il nuovo ministro dello Sviluppo

Quarantacinquenne modenese, laureata in giurisprudenza, figlia di Guidalberto Guidi, già Vice Presidente di Confindustria, la nomina di Federica Guidi allo Sviluppo Economico è giunta inaspettata. Dopo un master in business administration comincia la carriera nell’azienda di famiglia, la Ducati Energia Spa, dal 2002 al 2005 è stata Presidente regionale dei Giovani imprenditori dell’Emilia-Romagna e Vicepresidente degli imprenditori della regione. Sotto la presidenza Marcegaglia, è nominata a capo dei Giovani imprenditori di Confindustria sostituendo un altro figlio d’arte, Matteo Colaninno.

Mentre tutti attendevano la nomina di Riccardo Zacconi, tra fondatori di Candy Crush Saga, la Guidi, da più parti additata come possibile futura candidata per Forza Italia, ha battuto anche l’agguerrita concorrenza dell’amministratore delegato delle Ferrovie Mauro Moretti, e ha di fatto preso il posto di Luca Cordero di Montezemolo, candidato forte della primissima ora.

Jacopo MARCHESANO

Vademecum per il bonus mobili

A breve nei CAF sarà disponibile il Vademecum operativo sul bonus mobili e un’assistenza fiscale dedicata alla loro fruizione, in seguito ad un accordo siglato tra FederlegnoArredo ed i sindacati Feneal Uil, Filca Cisl e Fillea Cgil nazionali.

L’obiettivo principale è quello di permettere ai cittadini di usufruire della detrazione fiscale del 50% per l’acquisto di mobili ed elettrodomestici fino a 10mila euro, purché destinati ad immobili oggetto di ristrutturazione agevolata.
Entro l’estate 2014 FederlegnoArredo renderà noti i dati relativi all’effettivo utilizzo da parte dei contribuenti del bonus arredi, raccolti grazie alle segnalazioni che arriveranno dalle sedi CAF.

L’accordo è stato pensato per dare nuova linfa ad un settore, quello del legno-arredo, che si trova in grave difficoltà, poiché ha risentito in maniera particolare di questa crisi e ha visto 50mila posti di lavoro perdersi per strada e la chiusura di 12mila imprese.
Ad oggi, ci sono ancora 370mila lavoratori ed oltre 70mila aziende produttive a rischio, ma la cui sopravvivenza è fondamentale per il sistema del Paese.

Roberto Snaidero, presidente di FederlegnoArredo, ha a questo proposito dichiarato: “I nostri sforzi devono essere indirizzati innanzitutto a garantire il rilancio dei consumi e la competitività delle imprese“.

Vera MORETTI

Fondi per le imprese toscane colpite dall’alluvione

Sono stati sbloccati, dalla Camera di Commercio di Pisa, i fondi da destinare alle imprese alluvionate della provincia di Pisa.

L’hanno comunicato insieme Federico Pieragnoli e Federica Grassini, che sono rispettivamente direttore e presidente di Confcommercio Pisa.

I vertici dell’Associazione pisana hanno voluto esprimere il loro ringraziamento alla CCIAA di Pisa “per aver compreso tempestivamente la gravità della situazione, decidendo conseguentemente di stanziare contributi a favore delle imprese e dei negozi alluvionati. Adesso si tratterà di verificare tempi e modalità di erogazione di questi fondi. Nel frattempo, l’invito che facciamo alle imprese è quello di repertare e fotografare tutti i danni subiti, in attesa di compilare il modulo della domanda di risarcimento danni. I nostri uffici, dislocati nelle sedi di Pisa e Pontedera sono a disposizione per questo”.

Anche Alessandro Simonelli, presidente di Confcommercio Ponsacco, ha voluto esprimere la sua soddisfazione al riguardo: “Ponsacco ha subito danni molto gravi e il nostro auspicio è quello che la disponibilità di questi fondi possa arrivare quanto prima. Bisonga che i bandi siano pronti quanto prima. Il rischio è che alcune di queste attività e negozi sommerse non facciano in tempo a risollevarsi da questo disastro”.

Vera MORETTI