Dagli ingegneri una scossa al ddl corruzione

Il ddl corruzione in questi giorni sta facendo un gran parlare di sé, soprattutto per i tira e molla e le strategie da prima repubblica che si stanno giocando intorno al suo testo. Intanto, la corruzione in Italia non si ferma, specialmente in un campo, quello dell’edilizia e delle grandi opere, nei quali gli ingegneri sono impegnati ogni giorno.

Proprio il Consiglio Nazionale degli Ingegneri, a modo suo, fa capire al governo che la conversione in legge del ddl corruzione non è più rinviabile con un convegno il cui titolo parla chiaro: Open Government e Agenda Digitale: Trasparenza e Anticorruzione. Appuntamento per domani, 26 marzo, alle 16 nella Sala del Refettorio della Camera dei Deputati. Accreditamento obbligatorio cliccando qui.

Le parole chiave del convegno con il quale gli ingegneri, oltre a informare e sensibilizzare sulle tematiche in questione, cercheranno di dare una mossa al ddl corruzione sono sintetizzate negli obblighi per le amministrazioni: diritti per i cittadini; strumenti per il monitoraggio; sanzioni per gli inadempienti.

Con questo incontro – commenta il Presidente del CNI, Armando Zambranovogliamo ribadire il ruolo di vera e propria ‘sentinella della legalità’ che gli ingegneri italiani assumono oggi nel contesto nazionale. Intendiamo dare un forte segnale alla politica ed alla pubblica amministrazione, affinché trasparenza e rispetto delle leggi siano la bussola dell’agire nel rispetto della correttezza e della moralità. In questo senso le nuove tecnologie possono essere uno strumento essenziale per favorire la crescita della cultura della legalità nel nostro Paese”.

Il terzo mondo siamo noi

Mentre in Parlamento il ddl corruzione sembra come la tela di Penelope e i partiti pensano più a parare il fondoschiena alle proprie lobby che a far progredire il Paese su questo tema cruciale, Transparency International ci ricorda che l’Italia, in tema di corruzione, è ai livelli di Senegal e Swaziland. Terzo mondo a chi?

Missione dell’ Ance in Ungheria

Se il mercato interno dell’edilizia è praticamente morto a causa della crisi economica e della tassazione folle sugli immobili, qual è la mossa più intelligente da fare per le imprese edili italiane? Farsi un giro all’estero. L’ Ance, l’Associazione nazionale dei costruttori edili, ci ha pensato.

Dal 25 al 27 marzo sono infatti 50 le imprese italiane del settore costruzioni che partecipano alla Missione Budapest, in programma nella capitale ungherese. L’iniziativa è promossa dall’ Ance in collaborazione con l’Agenzia Ice e con il supporto dell’Ambasciata d’Italia in Ungheria.

La missione Ance è focalizzata sul settore delle infrastrutture (progettazione e costruzione), con particolare riferimento a quelle di trasporto (strade, ferrovie, ecc.), di base (acquedotti, fognature, ospedali, scuole, ecc.) e al real estate.

Il programma della missione Ance, oltre a riunioni istituzionali e a un seminario di approfondimento specifico dei programmi del governo ungherese per il settore delle costruzioni e delle infrastrutture, prevede incontri bilaterali tra imprenditori italiani e ungheresi, oltre ad approfondimenti con vertici del mondo finanziario e assicurativo.

La scelta dell’Ungheria da parte dell’ Ance non è casuale. L’incremento del Pil ungherese nel 2014 è stato del 3,2% e le previsioni dicono che la crescita dovrebbe proseguire nel prossimo quadriennio, con un aumento medio previsto del 2,6%. Inoltre, di recente il governo di Budapest ha adottato una serie di misure a favore delle imprese e degli investimenti produttivi, con un ciclo di fondi strutturali 2014-2020 da 34 miliardi di euro, parte dei quali sarà destinata a interventi urbanistici e infrastrutturali.

E’ una grande opportunità per le nostre aziende – sostiene il presidente del Gruppo Pmi Internazionale dell’ Ance Gerardo Biancofioree intendiamo coglierla, continuando un processo di integrazione del nostro settore in un’economia continentale, comunitaria in particolare, che va vista sempre più come un mercato domestico dalle notevolissime potenzialità di crescita”.

Tfr in busta paga: e se l’azienda non ha i soldi?

Il Tfr in busta paga non è un’incognita solo per il lavoratore, ma anche per l’azienda. Non è detto, infatti, che tutte le imprese che ricevono dai propri dipendenti la richiesta dell’anticipo del Tfr in busta paga abbiano la liquidità necessaria per farvi fronte. Che cosa fare, allora?

Per le aziende con meno di 50 dipendenti, le quali non sono quindi tenute a versare il Tfr al Fondo di tesoreria Inps, è possibile accedere a un apposito finanziamento garantito dal Fondo stesso; a tale finanziamento non è possibile applicare tassi, comprensivi di oneri, che siano superiori al tasso di rivalutazione delle quote di Tfr.

L’accesso al credito attraverso il fondo per poter erogare il Tfr in busta paga deve essere effettuato direttamente dai datori di lavoro all’Inps per via telematica, fornendo all’Istituto tutte le informazioni necessarie all’attivazione del finanziamento. Entro 30 giorni dalla data della richiesta, l’Inps rilascia l’autorizzazione o meno ad accedere al fondo.

Con la certificazione dell’Inps è così possibile accedere al finanziamento per ottenere i fondi necessari all’anticipo del Tfr in busta paga. Il finanziamento può essere acceso tramite un solo intermediario aderente, il quale stipula con il datore di lavoro un contratto ad hoc con garanzia. È necessario che la garanzia in questione preveda la costituzione del privilegio speciale sui beni mobili.

Una volta concesso il finanziamento, l’intermediario aderente comunica all’Inps l’avvio dell’erogazione del finanziamento stesso, il cui importo non può essere superiore a quella della quota di Tfr in busta paga che l’Inps certifica mese per mese.

Dall’Inps arriva mensilmente all’azienda e all’intermediario aderente, entro 60 giorni dal primo giorno del mese successivo a quello di competenza, la certificazione della quota di Tfr in busta paga da finanziare, così come risulta dalle denunce contributive del datore di lavoro.

Il rimborso del finanziamento assistito da garanzia per la liquidazione del Tfr in busta paga è stato fissato al 30 ottobre 2018. Qualora risulti che il finanziamento sia stato utilizzato, anche in parte, per motivi diversi dall’anticipo del Tfr in busta paga, l’erogazione viene interrotta e l’azienda deve rimborsare immediatamente la quota di finanziamento già fruita, con i relativi interessi.

Telecom Italia si mangia Telecom Italia Media

Via libera alla fusione tra Telecom Italia e Telecom Italia Media dai rispettivi consigli di amministrazione. Tecnicamente si tratta di un’operazione di “fusione per incorporazione” , così che Telecom Italia si “mangerà” TI Media (che, peraltro, è ora controllata e soggetta a direzione e coordinamento della prima, che ne detiene direttamente e indirettamente il 77,71% del capitale ordinario e il 2,25% del capitale di risparmio).

Nel processo di fusione, sarà rispettato il rapporto di cambio già approvato il 19 febbraio 2015, che prevede 0,66 azioni ordinarie di Telecom Italia di nuova emissione, con data di godimento identica a quella delle azioni ordinarie in circolazione alla data di efficacia della fusione, per ogni azione ordinaria di TI Media; 0,47 azioni di risparmio di Telecom Italia di nuova emissione, con data di godimento identica a quella delle azioni di risparmio di Telecom Italia in circolazione alla data di efficacia della fusione, per ogni azione di risparmio di TI Media.

Non sono previsti conguagli in denaro. Dal momento che l’iniziativa non comporta pregiudizio dei diritti degli azionisti di risparmio, la fusione non è subordinata all’approvazione delle rispettive assemblee speciali per cui sarà operativa con (sperano gli azionisti) beneficio di entrambe le parti.

Ocse e Camere di commercio insieme per il credito alle Pmi

È partita ufficialmente la collaborazione tra Camere di commercio e Ocse per supportare le imprese sul credito con la firma di un accordo ad hoc siglato ieri a Milano da Francesco Bettoni, presidente Consorzio Camerale per il Credito e la Finanza, e Sergio Arzeni, direttore dipartimento imprenditorialità, Pmi e sviluppo locale – Ocse.

L’accordo prevede per l’ Ocse la cooperazione e lo scambio di conoscenza sui nuovi strumenti finanziari per le Pmi, una maggiore discussione e partecipazione dei decisori in materia, il rafforzamento dello sforzo conoscitivo sullo sviluppo di strumenti di credito alternativi nelle imprese italiane, l’identificazione di politiche economiche rilevanti e la proposta delle buone pratiche per finanziare i bisogni delle imprese. C’è poi la disponibilità a promuovere questi studi con il coinvolgimento di ricercatori internazionali che possano focalizzare le loro tesi su questi temi.

Il credito è un elemento centrale per la competitività delle imprese ed un fattore di vulnerabilità in questo periodo di crisi – ha dichiarato Francesco Bettoni -. Questo vale particolarmente per le imprese lombarde e italiane. Le Camere di commercio, attraverso il Consorzio per il credito, aiutano le imprese con strumenti effettivi e con un orientamento verso nuove formule più innovative”.

Le imprese italiane tendono a richiedere un credito quando ormai è troppo tardi, nella speranza che arrivino nuove fatture in pagamento – ha commentato invece Sergio Arzeni -. Questo porta a difficoltà per l’impresa legate al credito e al pagamento di alti interessi. Le imprese italiane fanno un uso ancora limitato rispetto ad altri Paesi di strumenti finanziari alternativi alle banche e questo è un fattore di vulnerabilità accentuato dall’attuale crisi. Si tratta di dati confermati dal rapporto Ocse Financing SMEs and entrepreneurs 2015, che presenteremo a Washington a metà aprile e che oggi anticipiamo in Camera di commercio”.

Protocollo d’intesa tra Equitalia e Istituto Nazionale Tributaristi

Si rafforza la collaborazione tra l’Int, l’ Istituto Nazionale Tributaristi, ed Equitalia per favorire l’efficienza e la trasparenza dell’azione di riscossione dei tributi. Il protocollo d’intesa, firmato dal presidente dell’Int, Riccardo Alemanno, e dal presidente di Equitalia, Vincenzo Busa, avrà la durata di due anni e pone le basi per una capillare cooperazione sul territorio, finalizzata a rendere più agevole e diretto il rapporto tra Equitalia e l’associazione di rappresentanza dei professionisti.

Gli iscritti all’ Istituto Nazionale Tributaristi potranno accedere allo sportello telematico dal sito www.gruppoequitalia.it. Nella pagina dedicata ad “Associazioni e Ordini” è possibile interagire direttamente con la sede provinciale di Equitalia per richiedere informazioni e confrontarsi con personale qualificato allo scopo di analizzare i casi più delicati dei loro assistiti.

L’accordo prevede anche altre forme di collaborazione come ad esempio seminari, convegni e tavoli tecnici al fine di approfondire tematiche sul rapporto fisco-contribuente.

Con la sottoscrizione del nuovo Protocollo Nazionale di Intesa con Equitalia – ha dichiarato il presidente dell’ Istituto Nazionale Tributaristi, Riccardo Alemanno – si sancisce la volontà di collaborazione e di confronto costruttivo con le istituzioni. Equitalia rappresenta un importante interlocutore per l’attività dei tributaristi e con un maggiore e migliore utilizzo dei sistemi telematici e un’ancora più intensa attività di confronto attraverso i tavoli tecnici, si contribuirà a migliorare l’attività di assistenza dei nostri iscritti e conseguentemente il rapporto Fisco-Contribuente. Inoltre, quanto contenuto nel Protocollo servirà ad ottimizzare anche gli accordi ad oggi in essere con le società territoriali di Equitalia“.

La collaborazione con l’ Istituto Nazionale Tributaristi è molto importante nell’ottica di semplificare gli adempimenti dei contribuenti tramite il dialogo costante con i professionisti che li rappresentano – ha invece affermato il presidente di Equitalia, Vincenzo Busa -. Le iniziative previste dall’accordo sono finalizzate a favorire una gestione del servizio di riscossione sempre più attenta alle esigenze di cittadini e imprese attraverso l’impegno congiunto a individuare soluzioni legittime e trasparenti anche ai casi più difficili“.

Il Tfr in busta paga può costare oltre 10mila euro

Il Tfr in busta paga non funziona. Lo sappiamo, qualcuno dirà che è troppo presto per giudicare, che le stime elaborate qualche tempo fa da Confesercenti attraverso un sondaggio Swg su quanti sarebbero stati i lavoratori a scegliere l’anticipo del Tfr in busta paga (il 6% solo) sono parziali e premature ecc ecc ecc…

È un dato di fatto, però, che, conti alla mano, farsi versare mensilmente parte del Tfr in busta paga è, attualmente, un’opzione in perdita per chi ne volesse usufruire. Conti alla mano, abbiamo scritto, perché di questo essenzialmente si tratta: contabilità e matematica. E, come si sa, i numeri si possono girare e interpretare ma, in fondo, non mentono mai.

Questi numeri sulla convenienza e sull’opportunità dell’anticipo del Tfr in busta paga li ha messi in fila la Fiba Cisl. Il sindacato dei bancari, attraverso un’elaborazione, ha infatti rilevato come i lavoratori che scelgono di farsi anticipare mensilmente parte del proprio Tfr in busta paga perdono una cifra che oscilla tra i 2mila e i 10mila euro rispetto a coloro che destinano il trattamento di fine rapporto a un fondo pensione o lo lasciano in azienda.

Intanto, come già rimarcato nei giorni scorsi, il trattamento fiscale del Tfr in busta paga è il medesimo cui è soggetto lo stipendio, per cui con un’aliquota progressiva dal 23 al 43%; il Tfr riscosso a fine rapporto viene tassato con un’aliquota media degli ultimi 5 anni di retribuzione (attualmente è intorno al 23%); i fondi pensione sono soggetti a un’aliquota secca del 20%.

Lasciando poi stare il capitolo della possibile perdita delle agevolazioni Isee a causa dell’aumentare del reddito, la Fiba Cisl rimarca come il Tfr in busta paga non sia soggetto a rivalutazioni, diversamente da quanto accade per il Tfr lasciato in azienda (1,5% annuo + ¾ del tasso di inflazione corrente).

Per sostanziare i propri calcoli, quindi, la Fiba Cisl ha fatto una stima con 3 tipologie di lavoratore dipendenti che scelgono di avere il Tfr in busta paga per i 36 mesi previsti dalla misura, per capire quanto perderebbero:

  • Lavoratore 25 anni di età: -9453 euro rispetto a lasciarlo in azienda; -10808 euro rispetto ai fondi pensione;
  • Lavoratore 40 anni di età: -3140 euro rispetto a lasciarlo in azienda; -5667 euro rispetto ai fondi pensione;
  • Lavoratore 55 anni di età: -1044 euro rispetto a lasciarlo in azienda; -2045 euro rispetto ai fondi pensione.

Modena, terra fertile per il franchising

Il Modenese è una delle zone più industriose d’Italia e, nonostante molte ferite del terremoto che l’ha colpita a maggio 2012 siano ancora aperte, la voglia di ricominciare ha vinto sulla frustrazione. Perché, oltre al tessuto storico delle imprese locali, la provincia ha sempre puntato forte, e continua a farlo, sul franchising.

La conferma viene da Confesercenti Modena, che ha fatto il punto sulla diffusione nel territorio degli sportelli franchising aperti in collaborazione con Federfranchising. “Negli ultimi tre anni – ha spiegato l’associazione in una nota – il settore del franchising ha messo a segno a livello nazionale una crescita media complessiva del 5%, e concorre alla creazione dell’1,2% del Pil italiano. Per questo Federfranchising Modena ha predisposto un piano, comprensivo pure di formazione specifica che mira a rendere ancora più forte la nostra rete di Franchising Point”.

Ricordando che, dal 2008, sono stati attivati in tutta la provincia 14 sportelli Franchising Point, Confesercenti Modena ha poi sottolineato come gli sportelli franchising sono “uno strumento che si sta rivelando ancora più utile in un momento di sostanziale stagnazione dei consumi. Il dato di crescita registrato dal Franchising a livello nazionale, non ha mancato di riflettersi anche in ambito locale: dall’attivazione dei Franchising Point nel 2009 ad oggi sul territorio modenese abbiamo registrato un incremento di aspiranti imprenditori di circa un 20%. Si tratta degli accessi ai nostri punti informativi da parte di questi che hanno chiesto specificatamente consulenza per aprire attività in franchising. Sono dati in controtendenza rispetto a quasi tutti gli indicatori macro-economici italiani, ed in particolare nel commercio, che ha risentito della difficile situazione economica più di altri settori”.

Il vino italiano è in salute, parola di Vinitaly

In questi giorni a Verona, al Vinitaly, si celebrano il vino e la sua filiera in tutte le sfaccettature possibili e immaginabili. Non manca, naturalmente, un occhio attento e puntuale sui dati economici relativi al vino italiano e, almeno da questo settore, le notizie che arrivano dal Vinitaly sono più che incoraggianti.

Secondo un’analisi di Coldiretti presentata proprio in occasione del Vinitaly, nel 2014 il fatturato del vino e degli spumanti italiani è cresciuto dell’1%, arrivando a toccare i 9,4 miliardi. A trainare verso l’alto la cifra, come era immaginabile, l’export, che è cresciuto dell’1,4% a 5,1 miliardi, contro un mercato interno di fatto fermo sui rimanenti 4,3 miliardi

Entrando nel dettaglio dei mercati di elezione del vino italiano, a Vinitaly è emerso che quello britannico è cresciuto del 6,1%, quello statunitense del 4,4% mentre sono calati quello tedesco (-4,4%) e, soprattutto, quello russo, a causa dell’embargo e della debolezza del rublo (-10,4%).

Il dato incoraggiante emerso dalla ricerca presentata a Vinitaly è stato che della buona salute dei cui gode il vino italiano ha beneficiato l’intera filiera enologica. Secondo Coldiretti, nel 2014 la filiera del vino ha dato lavoro a 1 milione e 250mila persone tra vigne, cantine, distribuzione commerciale e industrie connesse, da quella vetraria a quella dei tappi a quella degli accessori.

Nel dettaglio, secondo Coldiretti hanno beneficiato di questo stimolo all’occupazione almeno 18 settori collegati al vino: 1) agricoltura, 2) industria trasformazione, 3) commercio/ristorazione, 4) vetro per bicchieri e bottiglie, 5) lavorazione del sughero per tappi, 6) trasporti, 7) assicurazioni/credito/finanza, 8) accessori come cavatappi, sciabole e etilometri, 9) vivaismo, 10) imballaggi come etichette e cartoni, 11) ricerca/formazione/divulgazione, 12) enoturismo, 13) cosmetica, 14) benessere/salute con l’enoterapia, 15) editoria, 16) pubblicità, 17) informatica, 18) bioenergie.

Il presidente di Coldiretti Roberto Moncalvo, nel presentare la ricerca in occasione del Vinitaly, ha sottolineato come “la decisa svolta verso la qualità ha messo in moto nel vino un percorso virtuoso in grado di conciliare ambiente e territorio con crescita economica e occupazionale. Nuove ed importanti opportunità si aprono nel 2015 con la ripresa economica in Italia tanto che nel primo bimestre c’è stato un aumento dell’1,9% in valore delle vendite nella grande distribuzione organizzata rispetto all’anno precedente”.