Kikiamo, franchising per chi ama gli accessori

Che cosa può spingere un imprenditore ad aprire un franchising nel settore dell’abbigliamento e degli accessori, già di per sé piuttosto inflazionato? Probabilmente il fatto che il marchio al quale decidono di affiliarsi offre qualcosa di diverso rispetto ai concorrenti.

È quello che promette il marchio Kikiamo, franchising di abbigliamento e accessori che, come comunica l’azienda, “nasce nel 2010 fondato da Vittorio del Re e Giuseppe Nappi noti consulenti del franchising per creare un modello di retail che utilizzasse tutto il know how di una società di consulenza. Oggi dopo più di 4 anni il progetto Kikiamo conta più di 50 punti vendita in franchising abbigliamento e accessori moda e più di 30 shop in shop all’interno di altri negozi esistenti”.

Dettagli

Superficie media del punto vendita: da 20 a 40 mq

Bacino d’utenza: almeno 30mila abitanti

Investimento iniziale: almeno 13.800 euro

Fatturato medio annuo: almeno 100mila euro

Fee d’ingresso: nessuna

Royalties: nessuna

Durata del contratto: non specificato

Per maggiori informazioni http://franchising.kikiamo.it/

Gli indiani vogliono Pininfarina

Motori e stile italiani piacciono da sempre agli stranieri e non solo se si tratta di comprarsi un’auto o una moto. Piacciono soprattutto quando si tratta di comprarsi un’intera azienda, o quasi. È di pochi giorni fa la notizia dell’accordo di Pirelli con China National Tire&Rubber, che ha fatto diventare cinese parte dell’azienda milanese. Ora si sussurra di nuovi occhi orientali sull’automotive italiano. L’indiana Mahindra&Mahindra sarebbe interessata a Pininfarina.

La mitica carrozzeria torinese Pininfarina, secondo Bloomberg, avrebbe da tempo colloqui in corso con gli indiani e la chiusura dell’accordo sarebbe a un passo. Anche se Pincar, socio di controllo di Pininfarina, afferma in una nota diffusa su richiesta Consob (l’azienda è quotata in Borsa) che “pur in presenza di un interesse manifestato da Mahindra&Mahindra, non esistono accordi vincolanti di qualsiasi natura tra le parti che prefigurino una operazione di acquisto” della società.

C’è da dire che l’azienda è ormai da tempo focalizzata più sull’engineering e sul design che sulla carrozzeria, specialmente dopo la scomparsa del fondatore Sergio Pininfarina nel 2012, e che negli ultimi anni ha avuto qualche difficoltà economica che ne ha minato la solidità e reso incerto il futuro.

Ai valori di Borsa, il gruppo Pininfarina capitalizza circa 120 milioni di euro e ha chiuso il 2014 con un margine operativo di 7 milioni. Alla fine del 2014, Pininfarina aveva un debito verso gli enti creditizi di 104,8 milioni, scesi rispetto ai 119,3 del 2013. Tutt’altra dimensione per Mahindra&Mahindra, un gruppo da 6 miliardi di dollari di fatturato, nei settori degli autoveicoli, delle attrezzature agricole, della tecnologia delle informazioni. Un boccone fin troppo facile da inghiottire, Pininfarina, e che riapre l’ipocrita questione della salvaguardia dell’italianità delle aziende.

Si fa da anni un gran parlare intorno allo shopping che i grandi gruppi e colossi stranieri vengono a fare in Italia, portandosi in casa marchi storici del made in Italy di qualunque settore, dalla moda all’agroalimentare, dai motori alla meccanica. Spesso si tratta di chiacchiere miopi e demagogiche, che parlano solo di una sacrilega violazione dell’italianità dei marchi, da deprecare o, se possibile, scongiurare.

Fermo restando che “è la globalizzazione, bellezza”, e che può essere una brutta bestia o una benedizione a seconda di come ciascuno vede la questione, più che alzare la voce e le barricate al grido di “non passa lo straniero” anche in economia, quello che davvero varrebbe la pena di chiedersi è per quale motivo certe aziende, orgoglio e vanto del tricolore, finiscono in mani di ricchissimi gruppi esteri.

Se si tratta di marchi in salute, come per esempio Bulgari o Pirelli, è indiscutibile che chi acquista lo fa attratto dall’allure che il brand porta con sé e dal fatto che, grazie a questo, può posizionarsi in segmenti di mercato appetitosi nei quali, magari, ancora non ha messo piede. Se si tratta di aziende decotte e sull’orlo del fallimento come Alitalia o altre è lecito domandarsi se, a fronte delle responsabilità dell’azienda stessa, delle logiche di mercato o delle fallimentari politiche fiscali e del lavoro seguite dal Paese negli ultimi decenni che possono aver condotto sull’orlo del baratro, il salvataggio straniero è proprio così orrendo di fronte all’unica alternativa: la chiusura e la messa su lastrico di centinaia di famiglie.

Finanziamenti per l’export delle imprese italiane in Canada

Per le imprese italiane è il momento giusto per esportare. Oltre alla debolezza dell’euro, possono infatti contare su alcuni importanti plafond messi a disposizione dall’Abi per le imprese italiane che vogliono espandersi all’estero.

Dopo gli oltre 1,2 miliardi stanziati a febbraio per le imprese italiane che vogliono esportare in Egitto, ora dalle banche arriva una cifra di pari importo per quelle che intendono espandersi in Canada.

Il dato è stato presentato nei giorni scorsi da Guido Rosa, membro del Comitato di Presidenza Abi incaricato per le relazioni internazionali, al Forum economico tenutosi a Toronto, in occasione della missione di sistema organizzata da banche, imprese italiane e istituzioni.

Degli oltre 1200 milioni messi dalle banche a disposizione delle imprese italiane, fino ad oggi sono stati impegnati 851,5 milioni di euro e 569,9 milioni di euro sul breve termine. Le imprese italiane che operano in Canada possono anche servirsi dell’assistenza di alcuni interlocutori in loco, grazie agli accordi di collaborazione con le principali banche canadesi.

Alla missione ha partecipato una delegazione di cinque dei principali gruppi bancari: Intesa Sanpaolo, UniCredit, Ubi Banca, Banco Popolare di Vicenza, Bper. “La missione economica e le riunioni dei prossimi giorni – ha dichiarato Guido Rosaattestano in modo chiaro che c’è ancora un notevole potenziale da realizzare nelle relazioni economiche tra l’Italia e il Canada. Entrambe le parti sono determinate a impegnarsi in un ulteriore dialogo in modo costante, proficuo e aperto. Le cinque banche partecipanti alla missione intendono potenziare le relazioni con le controparti locali, la cui collaborazione è fondamentale per l’ulteriore sviluppo delle relazioni economiche bilaterali, e rafforzare il supporto offerto alle imprese italiane, tanto dall’Italia quanto direttamente in Canada”.

Pos, l’ Istituto Nazionale Tributaristi scrive alla Comm. Finanze Senato

Il Presidente dell’ Istituto Nazionale Tributaristi (Int), Riccardo Alemanno, interviene nuovamente sul problema Pos obbligatorio. L’occasione è data dal ddl 1747 assegnato alla VI Commissione Finanze e Tesoro del Senato, che prevede sanzioni (certe) e agevolazioni fiscali (fumose) e lo fa inviando una lettera al presidente della Commissione Finanze e Tesoro del Senato, Mauro Maria Marino, e per conoscenza a tutti i Membri della stessa, lettera che lo stesso numero uno dell’ Istituto Nazionale Tributaristi definisce collaborativa e non di mera polemica.

Alemanno, tralasciando ogni commento, peraltro già espresso in altre occasioni sul fatto che, all’installazione obbligatoria del Pos, i ministeri competenti avrebbero dovuto chiedere ed ottenere dal sistema bancario riduzioni dei costi di gestione della moneta elettronica e non farlo solo a legge emanata (tavolo Mise-Abi) ed anche sulle difficoltà di connessione internet che hanno ancora molte aree periferiche del Paese, ha così argomentato le proprie richieste di chiarimenti: “Il ddl 1747 ambisce a colmare un duplice vuoto della norma originaria: previsione di sanzioni e di incentivi. Si è quindi preso atto che, nel nostro Paese, un obbligo legislativo può avere efficacia solo se sostenuto da una previsione sanzionatoria nei confronti di chi non ottemperi all’obbligo normativo; di fatto nel nostro Paese ha scarso appeal ciò che negli ultimi anni viene definita in ambito fiscale ‘moral suasion’. Sulla previsione sanzionatoria voglio pertanto porre l’accento solo sul quantum: mi pare che 500 euro siano eccessivi, soprattutto se si tiene conto del difficilissimo periodo economico e del fatto che l’obbligo del Pos ricade soprattutto su micro imprenditori e studi professionali con fatturati già pesantemente ridotti da innumerevoli costi burocratici e gestionali“.

Il Presidente dell’ Istituto Nazionale Tributaristi affronta poi l’argomento agevolazioni: “Altro discorso invece riguarda gli incentivi, o meglio ‘benefici fiscali’ come indicato all’art. 1 del ddl in oggetto. Pur apprezzando l’intenzione, dalla lettura non ho, ma potrebbe essere un mio limite, ben individuato quale sia il beneficio fiscale. La parte finale del succitato articolo recita ‘agevolazioni fiscali consistenti nella detrazione dall’imponibile reddituale del costo percentuale di ciascuna transazione eseguita…’, è di difficile interpretazione e pone alcune perplessità. Si tratta di una duplice detrazione dei costi delle transazioni, cioè una detrazione prima effettuata a livello contabile, come costo di gestione e poi nuovamente detratta prima del calcolo delle imposte? Oppure l’intenzione era quella di prevedere una sorta di credito di imposta? Ai fini della chiarezza, sempre auspicabile in una norma di legge, un concreto beneficio fiscale si attuerebbe solo indicando quale agevolazione un credito di imposta da calcolarsi in percentuale sui costi annui totali derivanti dall’installazione e dall’utilizzo del Pos“.

Quanto avrò in più col Tfr in busta paga?

Fino ad oggi ci siamo occupati principalmente di quanto poco sia conveniente farsi anticipare il Tfr in busta paga, soprattutto dal punto di vista fiscale. Ma, se volessimo invece spezzare una lancia per quanti il Tfr in busta paga lo vogliono fortissimamente, quanto sarebbe il beneficio economico per ciascuno di loro?

Si tratta di una questione di calcoli matematici che ha fatto la Cgia per capire, a seconda dell’inquadramento aziendale del dipendente, quanta liquidità si ritroverebbe in più a fine mese facendosi anticipare il Tfr in busta paga. La Cgia ha ipotizzato lo scenario per un operaio (stipendio 1200 euro netti/mese), un impiegato (stipendio 1600 euro netti/mese), un quadro o dirigente (stipendio 3000 euro netti/mese).

  • Operaio: Tfr in busta paga 71 euro; Tfr netto accantonato 93 euro;
  • Impiegato: Tfr in busta paga 112 euro; Tfr netto accantonato 134 euro;
  • Quadro o dirigente: Tfr in busta paga 214 euro; Tfr netto accantonato 253 euro.

Di fronte a questi calcoli, a ciascuno è lasciata la libertà di scegliere se la somma che riceverebbe mensilmente facendosi anticipare parte del Tfr in busta paga è determinante per migliorare il proprio bilancio familiare o meno. Certo sarebbe bene che l’operaio, l’impiegato, il quadro o il dirigente in questione ricordassero qual è il meccanismo di tassazione del Tfr e del reddito. Il Tfr accantonato è soggetto a una tassazione separata che parte dal 23% e sale parallelamente alla retribuzione superando il 34% in caso di redditi da 94mila euro annui in su. La tassazione ordinaria cui è soggetto il Tfr in busta paga parte invece dal 23% per chi guadagna fino a 15mila euro, passa al 27% per i redditi compresi tra i 20mila e i 25mila euro, al 38% fino a 50mila euro, al 41% fino a 75mila e al 43% sopra i 75mila.

Senza dimenticare che la scelta di avere l’anticipo del Tfr in busta paga va fatta entro settembre 2015 per avere versamenti fino al giugno 2018 e che tale scelta è irreversibile fino al 2018.

YES – Youth Economic Summit

Che cos’è lo YES – Youth Economic Summit? Per capirlo, meglio affidarsi alle parole di chi lo ha ideato, Confassociazioni Giovani, o meglio, del suo presidente Roberto Miscioscia: “Immaginate un acceleratore di eccellenze tra giovani professionisti leader nei propri mercati di riferimento. Ipotizzate una thinking community in grado di affrontare problemi e ideare soluzioni concrete per lo sviluppo del Paese. Adesso guardatevi intorno: siete dentro lo YES, lo Youth Economic Summit”.

Confassociazioni Giovani è la branch dei professionisti sotto i 35 anni di Confassociazioni, la più importante confederazione di associazioni professionali dei servizi all’impresa e delle professioni innovative, e ha lanciato lo YES – Youth Economic Summit che non è solo un evento ma, nelle intenzioni degli organizzatori, una sfida.

Lo YES – Youth Economic Summit avrà luogo dal 29 al 31 maggio prossimi a Roma – continua Miscioscia – e sarà la ‘Cernobbio delle Idee e delle Azioni’ perché vedrà 50 giovani professionisti under 35 chiamati a confrontarsi con rappresentanti di spicco del mondo economico e istituzionale con l’obiettivo di ragionare insieme su idee e cambiamenti da attivare per il rilancio del nostro Paese. Queste eccellenze saranno ospiti di Confassociazioni Giovani nella Capitale per discutere di 5 grandi temi: Capitalismo Intellettuale, Nuove professionalità e Start-Up, Pubblica Amministrazione, Smart Health, Università e Lavoro”.

Il Comitato Scientifico di YES – Youth Economic Summit, presieduto dal Prof. Ercole Pietro Pellicanò, Presidente dell’Associazione Nazionale per lo Studio dei problemi del Credito, è composto da Fabio Bistoncini (AD FB&Associati), Luigi Capello (Founder LVenture Group e LUISS ENLABS), Andrea Gemma (Consigliere ENI), Marco Marzano de Marinis (Segretario Generale W.F.O. – O.M.A.), Francesco Calabro Menghini (Mergers & Aquisitions Advisor), Roberto Menotti (Senior Advisor International Activities Aspen Institute Italia), Paolo Messa (Fondatore e curatore di Formiche) e Massimo Minnucci (AD Ktesios).

Un’altra grande iniziativa dei nostri giovani – ha commentato Angelo Deiana, Presidente di Confassociazioni – ma anche un altro momento del percorso della nostra Confederazione verso quell’orizzonte di eccellenze e di competenze che vorremmo fosse il traguardo di tutti i nostri concittadini, nessuno escluso”.

Per partecipare alle selezioni di YES – Youth Economic Summit è necessario andare sul sito dedicato e compilare il modulo d’iscrizione presente nella sezione Come Partecipare. Successivamente, il Comitato Scientifico condividerà il percorso di crescita personale e professionale e il punto di vista sui temi trattati di ogni singolo candidato.

Expo2015 e l’effetto ottimismo

Da Expo2015 non ci si aspetta solo che sia una vetrina del mondo in Italia e dell’Italia nel mondo, ma all’esposizione universale di Milano si chiede anche e soprattutto che diventi un volano per la ripresa economica nazionale e del territorio milanese e lombardo in particolare.

Di certo, a poco più di un mese dal suo inizio, Expo2015 è un volano di ottimismo, almeno tra le imprese milanesi. Secondo i dati del primo “Monitor imprese della provincia di Milano” del 2015 realizzato dalla Camera di commercio di Milano con Ipsos, grazie a Expo2015 è tornata la fiducia nelle imprese del capoluogo lombardo, che ha toccato il livello più alto da inizio crisi: il 22% di loro il peggio è passato (+11% a ottobre).

Secondo il report della Camera di commercio, anche in previsione di Expo2015 le imprese tornano a investire, una su due in pubblicità e comunicazione, poco di più nel miglioramento del processo produttivo. Aumenta anche il numero di aziende che hanno assunto nuovo personale negli ultimi 3 mesi, passando dal 9% di ottobre all’11% attuale: in media quasi due persone assunte a impresa.

Inoltre, per la prima volta il numero di ottimisti supera la quota di pessimisti riguardo ai prossimi 12 mesi, non solo per la situazione dell’azienda, ma anche per quella di territorio e settore, con un saldo positivo del 2%. Anche per le aziende con meno di 10 dipendenti, più in difficoltà, gli ottimisti superano di ben 9 punti coloro che intravedono un possibile peggioramento. Se questo è l’effetto Expo2015, c’è solo da sperare che duri e che non si chiuda a fine ottobre insieme all’esposizione.

Tfr in busta paga, accordo Abi-ministeri

Lo abbiamo scritto ieri: per molte imprese, specialmente quelle con meno di 50 dipendenti, far fronte all’erogazione anticipata del Tfr in busta paga può costituire un esborso pesante che non tutte saranno in grado si sostenere.

Ecco perché si rende necessario fare in modo che possano accedere a un apposito fondo dal quale attingere le risorse utili alla liquidazione del Tfr in busta paga, identificato anche come Quir, ossia “quota integrativa di retribuzione”.

Va in questa direzione l’accordo quadro appena sottoscritto dall’Abi, l’associazione bancaria italiana, e dai ministeri del Lavoro e dell’Economia. L’accordo prevede infatti il finanziamento con garanzia del Tfr in busta paga e vi potranno accedere le aziende con meno di 50 dipendenti che, come scritto ieri, non sono tenute a versare il Tfr al Fondo di tesoreria dell’Inps

In una nota, il ministero dell’Economia spiega che “l’iter di attuazione delle disposizioni della legge di stabilità in materia di erogazione in busta paga del trattamento di fine rapporto (Tfr) si è completato con l’accordo quadro tra il Ministero dell’Economia e delle Finanze, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, l’Associazione Bancaria Italiana. Grazie all’accordo quadro, le imprese con meno di 50 dipendenti che dovessero registrare problemi nei flussi finanziari necessari a far fronte al maggiore esborso mensile a seguito delle richieste di erogazione mensile dell’importo altrimenti destinato al Tfr, potranno accedere a finanziamenti a tasso agevolato. Le banche aderenti all’accordo quadro potranno erogare finanziamenti a tasso agevolato in virtù della garanzia pubblica”.

Bene, una buona notizia. Ci rimane però il sospetto che, quando il governo ha pensato alla misura dell’anticipo del Tfr in busta paga non abbia considerato del tutto le ricadute che questa avrebbe avuto sulle imprese, guardando più alle tasche del dipendente che alle casse dell’azienda. Aveva ragione Winston Churchill quando scriveva che “alcune persone vedono un’impresa privata come una tigre feroce da uccidere subito, altri come una mucca da mungere, pochissimi la vedono com’è in realtà: un robusto cavallo che traina un carro molto pesante”.

Uno sportello franchising a Salerno

Anche il Sud è terra fertile per il franchising. Lo sanno benissimo Assofranchising e Confcommercio Imprese per l’Italia, che hanno aperto recentemente un nuovo sportello franchising a Salerno, nella sede di corso Garibaldi, 23.

Lo sportello franchising di Salerno è un altro tassello del mosaico che Assofranchising e Confcommercio stanno componendo su tutto il territorio nazionale (e di cui su Infoiva vi diamo periodicamente conto) per stimolare la diffusione del franchising come strumento di business ottimale per affrontare la crisi.

Lo sportello franchising di Salerno fornirà una consulenza specifica a chi vuole intraprendere una nuova attività o aderire con la propria a un marchio di grande diffusione in franchising; o, ancora, a chi vuole proporre la propria consolidata e avviata attività ad altri settori, in modo da ampliare la propria azienda.

Dopo un primo incontro conoscitivo per individuare le esigenze e le caratteristiche del richiedente, al quale illustrare le principali caratteristiche del franchising, lo sportello franchising metterà a disposizione diverse opportunità di contatti diretti con alcuni franchisor del settore per approfondire le opportunità dell’affiliazione.

Questi i riferimenti dello sportello franchising di Salerno:

Indirizzo: c/o Confcommercio Salerno, corso Garibaldi, 23, Salerno

Referenti: Ing. Eugenio D’Accardi

E-mail: e.daccardi@confcommercio.sa.it

Telefono: 089-233430

Fax: 089-233424

I dati di Assoenologi sull’export di vino italiano

Lo abbiamo anticipato nelle settimane scorse e adesso arrivano i dati di Assoenologi a confermarlo: l’export del vino italiano tira ancora. I numeri sono emersi in occasione dell’Assemblea generale dei soci di Assoenologi, l’organizzazione nazionale di categoria dei tecnici vitivinicoli, che ha presentato i dati sulle vendite di vino italiano nel mondo a tutto il 2014.

In sintesi – è il commento del direttore generale di Assoenologi, Giuseppe Martellifanno registrare 20,5 milioni di ettolitri venduti, il 50% dell’intera produzione italiana, per oltre 5 miliardi di euro di valore, pari a +1,4% rispetto allo stesso periodo del 2013”.

Dall’ufficio studi di Assoenologi si evidenzia come la debolezza della domanda dei mercati esteri è evidenziata dall’incremento minimo del valore medio unitario, +0,3%, da 2,48 euro/litro a 2,49. Fatto sta che nell’arco degli ultimi 5 anni il valore del vino in bottiglia ha fatto segnare una crescita costante, da 3,1 a 3,8 miliardi di euro.

Entrando nel dettaglio della distribuzione geografica dell’export, Assoenologi registra una lieve la variazione nell’Ue in termini di fatturato (+0,4%, da 2.680 a 2.692 milioni di euro), mentre i cosiddetti Paesi Terzi fanno registrare una maggiore vivacità: +2,5%, con valori che salgono da 2.361 a 2.419 milioni di euro. Riguardo ai volumi, gli incrementi sono modesti: Unione Europea a +0,6%, Paesi Terzi a +2,2%.

I dati di Assoenologi registrano anche nel Far East una crescita del valore dell’export, anche se solo di qualche decimo percentuale, ma rilevano segnali positivi in Vietnam +33,9%, Taiwan +22,1%, Singapore +13,0% e Corea del Sud +10,3%, mentre risultano deboli i grandi mercati, con il Giappone a -1,0% e la Cina a +1,2%.

Ma la parte del leone, secondo Assoenologi, la fa ancora lo spumante, che dal 2009 ha quasi raddoppiato il valore delle esportazioni. Grazie al successo del Prosecco, i volumi sono balzati nell’ultimo anno da 2 a 2,4 milioni di ettolitri, +19,7%; il valore ha seguito la stessa traiettoria da 736 a 840 milioni di euro +14,2%. Il valore medio ha invece mostrato una flessione del 4,6%, passando da 3,59 a 3,43 euro/litro.