Le tecnologie digitali al servizio della crescita

Quanto possono aiutare la crescita dell’economia mondiale le competenze e le tecnologie digitali? A leggere le cifre elaborate da Accenture tanto, tantissimo. L’azienda leader mondiale nel campo dei servizi professionali ha infatti presentato nei giorni scorsi al World Economic Forum di Davos la propria ricerca Digital Disruption: the Growth Multiplier, (clicca qui per scaricare il rapporto) dalla quale emerge che l’ottimizzazione delle competenze e tecnologie digitali a livello mondiale potrebbe generare 2 trilioni di dollari di produzione economica in più entro il 2020.

Questo ruolo centrale delle tecnologie digitali servirebbe anche a dare un ulteriore impulso a livello globale all’economia digitale, che già oggi vale oltre un quinto del prodotto interno lordo mondiale.

Lo studio valuta il valore aggiunto al PIL generato da hardware, software e tecnologie digitali correlate, nonché dai lavoratori che hanno bisogno di queste risorse digitali per svolgere le loro attività. Il rapporto calcola anche il valore dei beni e servizi intermedi digitali impiegati nella produzione.

Il rapporto di Accenture raccomanda caldamente tre azioni con le quali migliorare l’applicazione dei modelli di business digitale, per ottenere livelli più alti di produttività e crescita:

  • Dare priorità agli investimenti digitali basati su opportunità di valore: valutare l’equilibrio degli investimenti digitali, in modo che una combinazione ottimale di crescita delle competenze e di avanzamento tecnologico massimizzi i ritorni degli investimenti digitali;
  • Competere attraverso una strategia digitale specifica per settore: avere chiaro quale piattaforma, quali ruoli e quali dati sono fondamentali per competere con successo nel proprio settore;
  • Creare l’ambiente adatto per la trasformazione digitale: migliorare il proprio “quoziente d’intelligenza digitale”, collaborando con le istituzioni per avviare rapporti intersettoriali e cambiare le regole della concorrenza.

Lo studio di Accenture prende in esame i benefici che l’ottimizzazione delle competenze e tecnologie digitali porterebbe in diversi Paesi. Per l’Italia, si avrebbe una forte spinta allo sviluppo di tecnologie e dei cosiddetti “fattori abilitanti” – infrastrutture, contesto regolatorio, pubblica amministrazione, mercati – che porterebbe al Paese entro il 2020 una crescita addizionale del PIL del 4,2%, pari a circa 75 milioni di euro in 4 anni.

Del resto, il nostro Paese sconta ancora un certo ritardo nella gestione e nell’implementazione delle tecnologie digitali. In Italia l’economia digitale contribuisce oggi solo al 18% del PIL, contro il 33% degli Usa, il 31% del Regno Unito e il 29% dell’Australia.

Guardando il bicchiere mezzo pieno, se da una parte l’Italia si posiziona decima tra le 11 nazioni analizzate dal rapporto Accenture rispetto al peso dell’economia digitale sul PIL, dall’altra è tra i Paesi con le maggiori opportunità di crescita e di sviluppo se riuscirà ad ottimizzare le sue risorse e tecnologie digitali.

Il vino toscano protagonista del made in Italy

Il vino toscano tira sempre nel mondo e ogni appuntamento B2B che ha come obiettivo quello di farne crescere conoscenza ed export è il benvenuto. Ecco perché va tenuta d’occhio la sesta edizione di Buy Wine, in programma alla Fortezza da Basso di Firenze il 12 e il 13 febbraio prossimi.

Si tratta di un workshop B2B, organizzato dall’Agenzia regionale Toscana Promozione, per favorire l’incontro tra la Toscana del vino e il trade internazionale. Nell’occasione, 200 produttori di vino toscano incontreranno 240 buyer stranieri tra importatori, distributori, GDO e HoReCa, provenienti da mercati storici, ma anche da piazze nuove, per un totale di 36 Paesi rappresentati.

Nel dettaglio, tra i Paesi amanti del vino toscano con la maggior rappresentanza a Buy Wine ci saranno Stati Uniti (44 rappresentanti), Canada (39), Cina (25), Brasile (12), Australia (12), Giappone (11), Danimarca (10), Germania (8), Corea del Sud (7) e Messico (7) che, complessivamente, rappresentano oltre il 72,9% dei buyer internazionali partecipanti.

Per quanto riguarda i produttori, invece, presenti quasi tutte le province della regione. Guidano la classifica per territorio Siena e Firenze, rispettivamente con 68 e 55 aziende, seguite da Grosseto (26), Livorno (12), Arezzo (17), Pisa (13), Pistoia (3), Prato (3) e Lucca (3).

Nato nel 2010, Buy Wine è un evento in costante crescita che, negli anni, si è accreditato come punto di riferimento per i buyer di tutto il mondo interessati al vino toscano. Nell’edizione 2015 sono stati circa 6mila gli incontri di business in agenda, che hanno portato, nel 63% dei casi, alla stipula di contratti grazie ai quali il 46% delle aziende toscane partecipanti è riuscita ad incrementare il proprio fatturato.

Per il quarto anno consecutivo Buy Wine lancia la volata alle Anteprime di Toscana che, dal 13 al 20 febbraio, vedranno 13 denominazioni del vino toscano presentare, agli operatori e ai giornalisti di settore i vini nuovi introdotti sul mercato a partire dal 2015.

Si inizia a Firenze la collettiva allo Star Hotel Michelangelo, dove il 13 febbraio saranno presenti 8 denominazioni: Morellino di Scansano, Montecucco, Vini Cortona, Vini di Carmignano, Valdarno di Sopra Doc, Bianco di Pitigliano e Sovana, Colline Lucchesi e Maremma Doc.

Il 14 febbraio sarà la volta dell’Anteprima del Chianti. Si prosegue poi con la Chianti Classico Collection alla Stazione Leopolda di Firenze (15-16/2), l’Anteprima della Vernaccia al Museo di Arte Moderna e Contemporanea De Grada San Gimignano (17/2) e l’Anteprima del Vino Nobile nella Fortezza di Montepulciano (18/02). Chiude la programmazione di Anteprime di Toscana Benvenuto Brunello, che si terrà il 19 e 20 febbraio nel Chiostro del Museo di Montalcino.

Società di capitali, occhio alla Pec

Le società di capitali che sospettano minimamente di avere delle pendenze o delle irregolarità con il fisco, devono tenere gli occhi bene aperti. L’Agenzia delle Entrate ha infatti reso noto che, a partire dallo scorso 15 gennaio stesso invierà a mezzo Pec circa 200mila comunicazioni di irregolarità alle suddette società.

Tali irregolarità, ha ricordato l’Agenzia, sono emerse a carico delle società di capitali dal controllo automatizzato effettuato sulle dichiarazioni presentate dalle stesse attraverso hanno il modello Unico SC relativo l’anno d’imposta 2013.

Sempre verso le società di capitali, hanno poi ricordato le Entrate, nei prossimi mesi saranno inviate anche le comunicazioni riguardanti gli agli altri modelli di dichiarazioni presentate negli scorsi anni.

In questo modo l’Agenzia delle Entrate si adegua allo sviluppo tecnologico cui deve sottostare parte della PA, poiché l’invio delle comunicazioni attraverso Posta Elettronica Certificata sostituisce l’invio ordinario tramite raccomandata con avviso di ricevimento.

Una modalità che, qualora l’invio della Pec alle società di capitali non andasse a buon fine, sarà mantenuta dall’Agenzia delle Entrate. Allo stesso modo, nel caso anomalie che emergessero dai riscontri effettuati sull’elenco degli indirizzi contenuto nell’indice nazionale indirizzi di Pec istituito dal ministero dello Sviluppo Economico.

Pressione fiscale, zavorra per le imprese

Quando si tratta di parlare di impresa e fiscalità, il rischio di toccare un tasto dolente è sempre dietro l’angolo. E se questo tasto si chiama pressione fiscale, svoltare l’angolo non è nemmeno una manovra così difficile.

Lo sa benissimo Gianfelice Rocca, presidente di Assolombarda Confindustria Milano Monza e Brianza, che nei giorni scorsi a Milano, durante il convegno “Le novità fiscali per le imprese alla prova della loro attuazione” è tornato sull’argomento pressione fiscale con una valutazione secca ma anche con una proposta di collaborazione.

Dopo aver elogiato alcuni interventi positivi a favore delle imprese inseriti nell’ultima Legge di Stabilità, come il superammortamento e il nuovo welfare aziendale, positivi ”perché immediatamente utilizzabili dalle imprese”, Rocca si è poi tolto un sassolino dalla scarpa.

Non possiamo però dimenticare – ha affermato – che la fiscalità costituisce ancora una zavorra per il Paese. Basti pensare che la pressione fiscale effettiva per il 2015 è stimata al 49,4% del PIL dal Centro Studi di Confindustria e che non potrà diminuire finché non ridurremo la spesa corrente (al netto degli interessi è passata da 671 miliardi nel 2012 a 692 miliardi nel 2014)”.

In poche parole, le imprese fanno la loro parte, ma per la riduzione della pressione fiscale la leva principale da muovere è nelle mani della politica: “In sostanza – ha concluso Rocca -, abbiamo fatto passi in avanti, ma il percorso è ancora lungo e deve contare sull’impegno e la collaborazione per semplificare la vita delle imprese”.

Il 2016 sarà l’anno del franchising

Se, negli anni della crisi, la formula del franchising si è rivelata capace più di ogni altra di limitare i danni al fatturato degli imprenditori, costituendo anzi, spesso, una delle poche voci in positivo dell’economia italiana (+4% il giro d’affari tra il 2008 e il 2014), ora che si comincia a parlare di ripresa e uscita dal tunnel il settore prende ancora più vigore.

Secondo le stime di Confimprese, infatti, nel 2016 il commercio in franchising in Italia prevede l’apertura di 900 nuovi negozi (+18% rispetto al 2015), con un impatto sull’occupazione di circa 5mila persone in più.

Attualmente il settore del franchising presenta già numeri significativi in termini di occupazione. In Italia sono infatti 940 i brand attivi, con 51mila punti vendita che danno lavoro a 187mila persone, il 7% del commercio al dettaglio.

Il trend di crescita previsto per il 2016 è figlio soprattutto di un aumento della voglia di franchising, sia da parte di chi punta a investire nel settore aprendo nuovi punti vendita, sia da parte dei consumatori; anche se, stando ai dati elaborati da Rds Consulting, organizzatore del Salone del Franchising di Milano, a fronte di una spesa totale in Italia, nel 2015, di 23 miliardi nei punti vendita in franchising (realizzata soprattutto nei grandi centri commerciali), in termini percentuali questa cifra si è tradotta in un risicato +0,6%.

Secondo Confimprese, il 2016 vedrà dunque un aumento nel numero di nuove aperture tanto nei settori tradizionalmente forti in ambito franchising come la ristorazione e l’abbigliamento, quanto in settori attualmente minori. Del resto, in Italia il settore dell’abbigliamento già lo scorso anno l’ha fatta da padrone con 454 nuove aperure, seguito da alimentare e ristorazione con 159.

Buono il trend dei finanziamenti alle startup innovative

Lo scorso anno il Fondo di Garanzia per le Pmi ha avuto più di un occhio di riguardo per le startup innovative. Secondo il quinto rapporto bimestrale sull’accesso al Fondo di Garanzia di startup e incubatori redatto dal Mise, nel 2015 ben 711 startup innovative hanno beneficiato di finanziamenti bancari facilitati dall’intervento del Fondo di Garanzia.

Il meccanismo ha consentito di erogare finanziamenti alle startup innovative per un totale di oltre 289 milioni (con un importo garantito pari a 225 milioni) che, spalmati su 1054 operazioni, hanno costituito in media un finanziamento di quasi 275mila euro a prestito (274.369, per la precisione).

I dati di dicembre seguono quelli di ottobre 2015, rispetto ai quali, rileva il rapporto, è stato registrato “un cospicuo incremento” sia nel numero di startup innovative che hanno utilizzato il Fondo (85 in più), sia nel totale erogato (+34,16 milioni), sia nell’importo garantito (+25,70 milioni), sia nelle operazioni effettuate (+136). Si è registrato un calo solo relativamente all’entità del prestito medio, che è calata di 3.440 euro.

Ecommerce in lenta ma costante crescita

C’è ancora chi dice che, per le imprese, l’ ecommerce è il futuro. In realtà è un presente a tutti gli effetti, anche se ancora da consolidare. Lo conferma anche Confesercenti, secondo la quale nel 2016 saranno quasi 16mila le imprese attive nell’ ecommerce in Italia.

Uno studio dell’associazione dei commercianti rileva infatti che, a fine 2016, le imprese italiane attive nell’ ecommerce saranno il 165,4% in più rispetto al 2009, per toccare le 50mila unità nel 2025.

Secondo Confesercenti, “le tecnologie digitali, web in testa, stanno rivoluzionando profondamente il modo di fare impresa. Anche nella distribuzione commerciale e nella ricettività turistica, dove sono sempre di più le imprese che usano strumenti digitali per fare business“.

Confesercenti ha provato anche a stilare un identikit degli imprenditori digitali che operano attraverso l’ ecommerce: “Sono anche più giovani della media. La caratteristica più rilevante del commercio via internet è proprio l’età degli imprenditori, di quasi 10 anni inferiore alla media del commercio al dettaglio (39,7 anni contro 48,2), tanto che la quota di imprenditori con meno di 35 anni è il 28,4% (nel commercio al dettaglio è 14,9%), così come più alta è la quota per gli under 50“.

I commercianti hanno anche stilato un profilo per nazionalità e sesso, differenziando tra ecommerce e commercio al dettaglio tradizionale: italiani nel 91,6% dei casi, contro l’83,6% e uomini nel 69,6% dei casi, contro il 60,7%.

Da ultimo, Confesercenti nota come la distribuzione geografica delle attività che praticano il commercio online sia lungi dall’essere uniforme: “Un terzo delle imprese che vendono via internet è concentrato in sole due regioni: la Lombardia, che nel 2016 dovrebbe raccoglierne quasi 3mila, e nel Lazio (1.840). Seguono la Campania, l’Emilia Romagna, il Piemonte, il Veneto e la Toscana“.

Uno Statuto per poche partite Iva

Analizzando il contenuto e le ricadute sulle partite Iva del nuovo Statuto dei lavoratori autonomi, dipende da come si vuole guardare il bicchiere, se mezzo pieno o mezzo vuoto. Mezzo pieno: una categoria di lavoratori sempre ignorata da politica e sindacati, finalmente trova qualche minima tutela. Mezzo vuoto: sul totale delle partite Iva, quelle che avranno qualche beneficio sono ancora una minoranza.

Secondo l’Ufficio studi della Cgia sono poco meno di 220.500 le partite Iva interessate dal nuovo statuto dei lavoratori autonomi. Liberi professionisti senza cassa previdenziale e iscritti alla gestione separata Inps. In pratica circa il 6% delle partite Iva, pari a poco meno di 3 milioni e 900mila autonomi, che si dividono tra consulenti tributari, educatori, guide turistiche, grafici-pubblicitari, consulenti di investimento e affini.

Sempre la Cgia sottolinea come tra il 2010 e il 2014, ultimo anno per il quale sono disponibili i dati, le partite Iva iscritte alla gestione separata Inps sono cresciute del 19,2% come media nazionale, con boom in alcuni casi clamorosi: +44,8% in Sicilia, +37,2% in Puglia, +36,1% in Basilicata.

Sempre guardando a livello regionale, il più alto numero di partite Iva interessate dallo Statuto dei lavoratori autonomi si trova in Lombardia (55.993), seguita dal Lazio (29.959) e dall’Emilia Romagna (20.118).

Secondo il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeo, “l’istituzione di un pacchetto di misure a sostegno dei redditi degli autonomi va salutata positivamente, peccato che coinvolga un numero di lavoratori molto contenuto. Ricordo che in questi ultimi anni di crisi economica la povertà ha colpito soprattutto il popolo delle partite Iva. Gli ultimi dati riferiti al 2014 ci dicono che il 24,9% delle famiglie con reddito principale da lavoro autonomo ha vissuto con una disponibilità economica inferiore alla soglia di povertà totale, calcolata dall’Istat in 9.455 euro. Praticamente una su quattro si è trovata in una condizione di vita non accettabile. Per quelle con reddito da pensioni/trasferimenti sociali e da lavoro dipendente, invece, la percentuale al di sotto della soglia di povertà è stata inferiore. Per le prime, infatti, l’incidenza si è attestata al 20,9%, per le seconde al 14,6%. Insomma, le famiglie con reddito principale da lavoro autonomo sono quelle che più delle altre hanno rischiato di scivolare nella povertà”.

Gli fa eco il segretario della Cgia, Renato Mason: “Il forte calo della domanda interna ha contribuito in maniera determinante a peggiorare le condizioni economiche dei lavoratori autonomi che, nella stragrande maggioranza dei casi, vivono dei consumi delle famiglie. Il crollo di quest’ultimi ha causato una caduta verticale del fatturato di moltissime piccole attività e spinto alla chiusura tantissime partite Iva che, a differenza dei lavoratori dipendenti, fino ad ora non hanno beneficiato di alcuna misura di sostegno al reddito”.

Nuovo sito corporate per UniCredit

Una presenza sul web chiara ed efficace è ormai imprescindibile per qualunque azienda, a maggior ragione per una multinazionale. A questo proposito, è online il nuovo il sito istituzionale di UniCredit e della società UniCredit S.p.A. quotata in Italia, completamente rivisitato nel design e nei contenuti: www.unicreditgroup.eu.

Da sempre sito di riferimento per chi intende informarsi sull’azienda, www.unicreditgroup.eu presenta una nuova interfaccia, la cui progettazione si basa ora sui principi del flat design: semplificazione grafica, scalabilità e velocità.

Con l’eliminazione di bordi, riquadri, sfumature e ombre e grazie all’utilizzo di colori nitidi e pieni, il focus è sempre più incentrato sui contenuti. Lo spazio è sfruttato nella sua interezza e la navigazione è agevolata da un linguaggio iconico riconoscibile e caratterizzante, che sarà adottato su tutti i punti di contatto della banca.

Sul nuovo sito di UniCredit è maggiore l’uso delle infografiche, soprattutto per i dati finanziari e numerici, mentre i messaggi e i valori di brand sono trasmessi ricorrendo a una narrazione strutturata e coerente, resa fruibile anche grazie a video e immagini. I testi sono stati semplificati per garantire maggior chiarezza e trasparenza. Previsto l’interscambio con i canali social della banca, anche attraverso aggiornamenti live dai canali ufficiali.

È stata inoltre creata, incorporando parte dei contenuti del microsito di Unicredit per Uefa, una nuova sezione dedicata alla sponsorizzazione delle competizioni Uefa per club, con particolare riguardo alle due manifestazioni più importanti per il calcio europeo: Uefa Champions League ed Uefa Europa League.

Naturalmente, il nuovo sito Unicredit è completamente responsive: il flat design riconosce la natura dimensionale dello schermo, adattandosi in mobilità su diversi tipi di device.

La guida del notariato per genitori e figli

In questi giorni nei quali si fa un gran parlare di famiglia tradizionale, unioni civili, coppie di fatto, adozione di minori ecc, riveste particolare interesse un evento organizzato dal Consiglio Nazionale del Notariato.

Mercoledì 3 febbraio alle 11, al Consiglio notarile di Roma (via Flaminia, 122, Roma) sarà presentata e distribuita la tredicesima Guida per il Cittadino: “Genitori e figli, la legge oltre gli affetti”, realizzata dal Consiglio Nazionale del Notariato insieme a 12 tra le principali Associazioni dei Consumatori (Adiconsum, Adoc, Altroconsumo, Assoutenti, Casa del Consumatore, Cittadinanzattiva, Confconsumatori, Federconsumatori, Lega Consumatori, Movimento Consumatori, Movimento Difesa del Cittadino, Unione Nazionale Consumatori).

La guida del notariato spiega con un linguaggio chiaro e semplice i profili giuridici della relazione genitori-figli anche sotto il profilo patrimoniale, alla luce della riforma della filiazione entrata in vigore nel 2014.

Il vademecum sarà presentato alla stampa e ai cittadini da Albino Farina, consigliere nazionale del notariato con delega ai rapporti con le Associazioni dei Consumatori; Laila Perciballi, Movimento Consumatori e Roberto Tascini, Presidente Adoc. Alla tavola parteciperanno, inoltre, Valentina Rubertelli, notaio in Reggio Emilia; Monica Velletti, magistrato prima sezione del Tribunale di Roma; Stefania Pizzolla, funzionario Autorità Garante infanzia e adolescenza; Sabina Prati, responsabile dell’Unità famiglia e ciclo di vita – Istat. Moderatore sarà Giuseppe Caporaso, giornalista di Tv2000.

Un’occasione ulteriore per il notariato per dimostrare di essere al passo con i tempi, non solo da un punto di vista della tecnologia.