Franchising & Retail Expo parla sempre più estero

Mancano ancora due mesi all’inizio di Franchising & Retail Expo, la fiera del settore che si svolgerà alla Fiera di Bologna dal 28 al 30 aprile 2016, ma già i segnali che arrivano dalle adesioni di grandi brand sia italiani sia stranieri fanno ben sperare

Fonti dell’organizzazione fanno sapere che sono circa 120 i marchi che hanno già confermato la presenza a Franchising & Retail Expo, il 40% dei quali provenienti dall’estero. Si tratta di Paesi che già gli scorsi anni hanno partecipati alla manifestazione e di alcune new entry. In rigoroso ordine alfabetico, saranno presenti a Franchising & Retail Expo franchisor provenienti da Brasile, Croazia, Egitto, Filippine, Francia, Germania, India, Malesia, Portogallo, Russia, Spagna, Turchia, Ungheria, con una fortissima presenza di top brand.

Per quanto riguarda i settori merceologici presenti a Franchising & Retail Expo, quello che vanta il maggior numero di rappresentanti è ristorazione e food (28% dei brand presenti), seguito dall’abbigliamento (15%), da viaggi e turismo con (7%) e dalle grandi reti immobiliari (5%).

Tra gli altri settori presenti a Franchising & Retail Expo vi sono quelli dei prodotti dedicati al benessere, alla salute e alla cura della persona (10% se raggruppati insieme), dei prodotti e servizi, dell’innovazione tecnologica e dell’intrattenimento.

Palmerini (Confassociazioni): “Economia della conoscenza e capitale intellettuale innovatori delle realtà del terzo settore”

Economia della conoscenza e governo del capitale intellettuale presente negli enti sono fattori di innovazione nelle organizzazioni del terzo settore”. Questo il pensiero di Paola Palmerini, presidente di Confassociazioni Terzo Settore, espresso in una nota a margine del seminario “La conoscenza è esperienza”, organizzato da EuConsult Italia il 25 febbraio scorso a Roma e dedicato ai consulenti del Terzo Settore.

Secondo Palmerini, “conoscenza è esperienza e non si sarebbe potuto scegliere titolo migliore per questo incontro di studio. E, aggiungo, è esperimento che diviene modello ed è consapevolezza. Ruolo della consulenza capace di contestualizzare e personalizzare strumenti alle realtà del singolo ente: ruolo fondamentale vissuto in un’ottica di condivisione dei saperi, di approccio multidisciplinare, di moltiplicazione delle conoscenze, agendo in una community di professionalità qualificate”.

Confassociazioni Terzo Settore si muove proprio su questi presupposti – ha concluso la presidente Palmerini -. Siamo una realtà a rete, dove ogni ‘nodo’ conduce e si relaziona con altri nell’intento di trarne comune beneficio. E non solo attraverso la conoscenza e l’interazione, ma anche cogliendo le opportunità delle aperture offerte proprio da un sistema così strutturato. Lavoreremo per il valore del confronto, delle diversità e delle complementarietà professionali, prendendo a cuore percorsi di sviluppo di imprenditorialità sociale”.

Ict, volano della ripresa

Nelle imprese, medie o grandi che siano, è sempre crescente l’importanza di effettuare investimenti mirati nell’ambito Ict: per stare al passo con l’evoluzione della tecnologia e per implementare processi più efficaci, efficienti ed economici.

Sembra che in Italia questa esigenza sia finalmente avvertita in maniera seria, almeno all’interno delle aziende medio-grandi. È quanto traspare dai dati elaborati dalla Digital Innovation Academy del Politecnico di Milano, secondo i quali nel 2016 le imprese italiane effettueranno in media un +0,7% di investimenti in Ict rispetto al 2015.

Un trend che interesserà soprattutto le imprese di dimensioni medio-grandi (250-1000 dipendenti), che prevedono un +1,88% di investimenti contro il +1,16% delle imprese di medie dimensioni (50-250 addetti). Leggero aumento degli investimenti in Ict, +0,14%, per le imprese grandi (1000-10 mila addetti), calo dello 0,78% nelle grandissime imprese, quelle con più di 10mila dipendenti.

Quali saranno gli ambiti Ict oggetto degli investimenti più consistenti? Sempre sulla base delle analisi della Digital Innovation Academy, saranno la Business intelligence, i Big data, la digitalizzazione e dematerializzazione, l’Erp.

Tutto questo però necessita anche di figure specializzate nell’ambito Ict, figure che, purtroppo, in Italia non sono così diffuse. Lo certifica Eurostat, secondo il quale, nel 2014, solo il 2,5% dei lavoratori (circa 560mila persone) era occupato nel settore Ict nel nostro Paese, a fronte di una media Ue del 3,7%. Come se non bastasse, solo il 31,7% di loro ha studiato informatica contro il 56,5% dei colleghi europei.

Canone Rai in bolletta, che barzelletta!

Come si suol dire… il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. Nel nostro caso il diavolo è il governo, le pentole il canone Rai in bolletta elettrica, i coperchi le modalità per la riscossione da parte delle imprese elettriche.

Sì, perché dopo gli annunci in pompa magna dell’ok al ladrocinio del canone Rai in bolletta da parte dell’Esecutivo, si scopre ora che le imprese elettriche “non sanno cosa fare” per riscuoterlo, o meglio, per girare al Fisco quanto riscosso. Parole del presidente di Assoelettrica, Chicco Testa.

Infatti ministero dell’Economia e Mise avrebbero dovuto emanare un decreto ad hoc entro il 14 febbraio, con il quale specificare le modalità con cui le imprese elettriche avrebbero girato al fisco gli introiti del canone Rai, ma questo decreto non è arrivato.

Siamo al 15 febbraio – ha detto Testa -, ma le imprese del settore ancora non sanno come dovranno esigere il canone Rai che il governo ha voluto inserire nelle bollette dell’energia elettrica. Il rischio è che si arrivi impreparati alla scadenza del prossimo luglio”.

Le imprese – ha proseguito Testa parlando dei problemi legati al canone Rai in bolletta – devono predisporre i necessari sistemi informatici per emettere le nuove fatture modificate, bisogna incrociare le banche dati, occorre chiarire una lunga serie di problemi che ancora non sono stati sciolti, dalla questione dei ritardati pagamenti, alla morosità, dall’eventualità di un cambio di fornitore ai pagamenti parziali, dai reclami ai contratti non residenti. Insieme a Utilitalia, abbiamo preparato un documento circostanziato che elenca tutti i problemi aperti, ma il ministero per lo Sviluppo economico ancora non ci ha dato risposta. E il tempo ormai stringe”.

Export made in Italy, un buon 2015

Il 2015 è stato un anno importante per l’export del made in Italy, che ha superato per la prima volta il record di 400 miliardi di euro di controvalore (413,7, +3,7% su base annua). Una performance aiutata soprattutto dalla crescita del settore auto, il cui export è aumentato di oltre il 30%, ma che alla cui progressione hanno contribuito anche altri settori chiave per made in Italy come l’agroalimentare, l’elettronica, la farmaceutica e la chimica.

A ben vedere, i buoni risultati dell’export made in Italy sono stati aiutati anche dalla rivalutazione del dollaro, tanto che il risultato finale sarebbe un +0,8% in volumi. Export made in Italy extra Ue nel 2015 in progresso del 3,6%, intra Ue del 3,8%.

A proposito di rivalutazione del dollaro, nel 2015 i maggiori importatori di prodotti made in Italy sono risultati gli Stati Uniti: +20,9% per un controvalore di 36 miliardi di euro e un avanzo di 22 miliardi, grazie alle buone performance di auto, farmaceutica e macchinari.

In totale, il saldo commerciale annuo per l’Italia nel 2015 ha superato i 45 miliardi, oltre 3 miliardi in più rispetto al 2014, grazie sì al buon andamento dell’export, ma anche grazie soprattutto al calo della bolletta energetica dovuto al crollo del prezzo del petrolio. Calo che ha consentito al nostro Paese un risparmio di oltre 10 miliardi.

Le nuove partite Iva nel 2015

Non sono del tutto inattesi i dati dell’Osservatorio Iva del Mef, resi noti nei giorni scorsi riguardo all’apertura delle partite Iva nel 2015. Secondo i numeri, circa il 29% delle partite Iva aperte lo scorso anno è stato attivato in regime agevolato, sia come regime dei minimi sia come regime forfettario.

Le due tipologie di regime agevolato che si sono divise il mercato nel 2015 hanno fatto registrare una netta prevalenza del regime dei minimi (70%), rispetto al regime forfettario, che si è attestato sul rimanente 30%. Nemmeno inatteso il picco di adesioni al regime agevolato da parte delle nuove partite Iva nel mese di dicembre, l’ultimo mese utile per aderirvi.

Rispetto al 2014, però, le nuove partite Iva aperte sono calate sensibilmente: -10,7%. L’Osservatorio del Mef ha registrato che la maggior parte delle nuove aperture ha riguardato le persone fisiche, 71,5% contro il 22% delle società di capitali, tra le quali la più scelta è stata la società a responsabilità limitata semplificata (Srls).

Interessante lo spaccato delle nuove partite Iva tra le persone fisiche: il 19,4% è stato aperto da persone non nate in Italia, mentre quasi la metà (46%) è stata aperta da soggetti under 35. Una spia della voglia di imprenditorialità o della difficoltà a entrare nel mercato del lavoro dipendente?

Franchising immobiliare, un settore in salute

Uno dei settori più rilevanti all’interno del grande mondo del franchising è quello del franchising immobiliare. Un segmento che pare piuttosto dinamico, anche nel contesto del mondo del franchising, che meglio di altri ha resistito alla crisi.

Le cifre dicono infatti che il biennio 2014-2015 è stato all’insegna della ripresa, con un aumento del 15% dei mutui erogati nel terzo trimestre del 2014 e una crescita delle compravendite, arrivate a quota 450mila per anno, equivalenti a un fatturato di 110 miliardi.

Il settore del franchising immobiliare vede un numero di agenzie presenti in Italia di poco superiore a 40mila, con un numero di agenzie aderenti a un network poco superiore alle 4mila. Secondo le stime delle principali reti in franchising, si tratta di un numero destinato a crescere, grazie a molte nuove aperture previste per il 2016.

Del resto, affidarsi per il proprio franchising immobiliare a un grande gruppo affermato sul mercato immobiliare e conosciuto a livello nazionale, offre maggiori prospettive di competitività rispetto alla singola agenzia immobiliare, con costi di investimento iniziali più bassi per l’avvio di un’agenzia e possibilità di crescenti nel tempo.

Conti correnti e conti di deposito: come si muovono

È sempre interessante osservare le dinamiche e le tendenze del risparmio italiano, specialmente quelle legate ai conti correnti e ai conti di deposito. In questo senso si rivela utile l’analisi elaborata da confrontaconti.it sul mese di gennaio 2016, che ha dato origine agli Osservatori sui Conti Correnti e sui Conti di Deposito.

Nello specifico, l’analisi rivela che sono over 55 (il 44,8% dei richiedenti) gli italiani che nel corso del primo mese del 2016 hanno preferito utilizzare i conti di deposito tra i vari strumenti bancari. L’importo depositato sui conti di deposito per il 29,8% degli utenti è stato oltre i 50mila euro, in lieve aumento rispetto al 25,4% del primo semestre 2015. Inoltre, il 58,3% degli italiani ha preferito un deposito di tipo vincolato rispetto a quello non vincolato, scelto dal 41,7% dei risparmiatori.

Il 59,6% delle richieste di conti di deposito ha interessato un investimento con orizzonte temporale compreso tra 7 mesi e 1 anno, con un importo medio dei conti di deposito per età degli utenti di poco superiore ai 49mila euro (49.197) per gli over 55, in leggero aumento rispetto al primo semestre 2015 quando la cifra si era attesta a poco più di 47mila euro (47.102).

Spostando lo sguardo sui conti correnti, l’analisi rileva che gli italiani hanno utilizzato di più i canali online (il 47,8% dei richiedenti) rispetto alle filiali (solo il 9,2% dei richiedenti) e che il saldo medio dei conti correnti a gennaio 2016 era di 16.566 euro, in aumento rispetto al primo semestre 2015 quando si era fermato a 12.545 euro.

Per quanto riguarda la distribuzione geografica, confermati i dati del primo semestre del 2015, tanto per i conti di deposito quanto per i conti correnti (72,4%) con le richieste concentrate maggiormente al Nord Italia.

Ecco come investire sull’ avvocatura giovane

Gli avvocati italiani si confermano in prima linea nel sostenere e rinforzare l’ avvocatura giovane. Nei giorni scorsi, infatti, in occasione della seduta amministrativa del Consiglio Nazionale Forense, CNF, FIIF (Fondazione italiana per l’innovazione forense), Aiga e Fondazione Aiga Tommaso Bucciarelli hanno firmato il protocollo d’intesa volto per attivare una collaborazione operativa nel campo dei finanziamenti comunitari, con particolare riguardo all’ avvocatura giovane e all’inserimento degli avvocati nel mondo del lavoro.

Il protocollo d’intesa sarà focalizzato su linee di intervento da svilupparsi nell’ambito dei bandi europei che sono maggiormente interessanti per l’ avvocatura giovane, quali quelli relativi a formazione, accesso al mercato del lavoro nelle professioni legali, servizi per le professioni legali.

In questo senso, i soggetti firmatari del protocollo – ispirato dal lavoro avviato nei laboratori della Rete #Lab@vvocaturaGiovane, promosso dalla omonima commissione del CNF coordinata da Anna Losurdo – condivideranno l’impegno comune per monitorare, programmare e favorire la fruizione degli interventi nel campo dei finanziamenti europei all’ avvocatura giovane. E ora, spazio ai commenti dei firmatari del protocollo d’intesa a favore dell’avvocatura giovane.

Andrea Mascherin, presidente CNF: “Il CNF ripone grande fiducia nella collaborazione avviata in #Lab@vvocaturaGiovane tra la Istituzione forense e l’Associazione dei giovani Avvocati, nel convincimento che l’apporto specifico di Aiga sia essenziale per individuare azioni positive mirate per le necessità dei colleghi più giovani”.

Michele Vaira, presidente Aiga: “Questa intesa offrirà alla giovane avvocatura concreti ed effettivi strumenti di sostegno e di crescita professionale. L’interlocuzione e la collaborazione con la nostra rappresentanza istituzionale, nel rispetto delle reciproche prerogative, rappresentano un modello di sinergia a cui tutta l’avvocatura dovrebbe ispirarsi”.

Lucio Del Paggio, vicepresidente FIIF: “Il protocollo va oltre i buoni propositi: la nostra azione congiunta inizia oggi. L’Avvocatura finora non aveva affrontato con la necessarie attenzione questa materia strategica per il settore professionale”.

Francesco Pantaleone, direttore generale della fondazione Bucciarelli: “L’accordo firmato oggi è la migliore risposta che la Istituzione forense e l’Associazione possono dare all’Avvocatura, dimostrando una propensione al fare e a mettere in sinergia le forze positive”.

Smart working, croce o delizia?

Negli ultimi anni il modo di lavorare è cambiato per sempre, soprattutto grazie al fatto che si è sempre connessi, in ogni luogo e in ogni momento della giornata. Una condizione che per molti è un vantaggio, per altri una galera. Lo smart working deve la diffusione sempre maggiore che sta incontrando, specialmente nelle grandi aziende, proprio grazie al fatto che la tecnologia e si è sviluppata al punto che, anche in mobilità, non si rinuncia a lavorare e ogni luogo può diventare un ufficio improvvisato.

Una tendenza che emerge chiaramente da una ricerca svolta da Regus il principale fornitore globale di spazi flessibili, su un panel internazionale di imprese clienti (per un totale di 44mila interviste in 105 Paesi), alcune delle quali italiane. Ebbene, secondo i risultati della ricerca, oltre la metà degli intervistati in Italia (53%, con una media globale del 49%) effettua un tipo peculiare di smart working controllando rapidamente e-mail e messaggi di lavoro al bar, ma solo il 30% di loro, contro una media globale del 39%, risponde subito ai messaggi ricevuti.

Anche i mezzi pubblici diventano un ufficio virtuale per il 50% degli italiani, che leggono e-mail di lavoro (contro il 41% di media globale); anche in questo casi solo, il 20% di loro (contro una media globale del 24%) invia subito delle risposte, anche se brevi.

La rapidità nella risposta è dovuta sicuramente al fatto che si tratta di ambienti che non favoriscono uno smart working pieno e completo, soprattutto perché si tratta di luoghi affollati e rumorosi, dove non è possibile leggere in maniera attenta documenti importanti né effettuare conversazioni telefoniche che dovrebbero restare riservate. Ecco perché dalla ricerca emerge che lo svolgere il proprio lavoro conservando la privacy è un fattore critico chi si dedica allo smart working.

Dall’analisi di Regus è anche emerso che il 60% degli italiani trova utile effettuare chiamate di lavoro mentre è alla guida della propria auto. Soluzione meno gradita (17%) per le conference call, soprattutto per il rischio di perdere la connessione con uno o più interlocutori.

Molto meglio, per chi pratica lo smart working, utilizzare per almeno mezza giornata una business lounge; lo pensa il 35% degli intervistati italiani, che vede in questa soluzione professionalità, privacy e la possibilità di accedere a diversi servizi di segreteria utili per il proprio lavoro, come stampe e fotocopie.

La business lounge si configura per 1 italiano su 4 anche come una soluzione ottimale per videochiamate o conference call. Il fatto che questo sia uno dei business principali di Regus, che ha elaborato la ricerca, è comunque relativo: i risultati dell’analisi raccontano che il “virus” dello smart working si sta diffondendo e non sarà facile fermarlo…